Alaska
Un bene bistrattato

L’Alaska è uno Stato Confederato degli Stati Uniti d’America avente un’estensione territoriale di oltre un milione e mezzo di chilometri quadrati e con una densità di popolazione fra le più basse del pianeta, valutata attorno a 2,6 abitanti per chilometro quadrato. È situata nella parte Nord-Occidentale del continente americano, separata dagli altri Stati Statunitensi solamente da una striscia di terra appartenente al Canada. Geograficamente si presenta secondo tre diversi aspetti, che ne condizionano il clima. La zona bagnata dall’Oceano Pacifico è dominata da montagne imponenti, culminanti nel Mac Kinley, che con i suoi 6.190 metri sul livello del mare (come confronto, molto più alto del Monte Bianco che, con 4.809 metri sul livello del mare, è il più alto d’Europa), è la più elevata vetta dell’America Settentrionale. Qui il clima è abbastanza mite, con estate fresca. Al centro si trova un altopiano percorso dal fiume Yukon, gelato per nove mesi l’anno, che si getta nel Mare di Bering; il clima è continentale, poco piovoso, con estati fresche, se non fredde, e inverni gelidi. Infine, per quel che attiene al territorio più settentrionale, che si affaccia sul Mare Artico, c’è ben poco da dire: il clima non può che essere polare.

La scarsa popolazione, costituita da isolani delle Aleutine e da eschimesi Inuit, si duplicò verso la fine del secolo XIX, quando si fece la scoperta dei filoni d’oro che attirarono tantissimi cercatori, avventurieri, giramondo, imbroglioni, insomma gente di qualsiasi tipo, onesta o non tanto. Si tratta di un Paese con buone risorse, quali la pesca, le pellicce, l’allevamento delle renne, legname da disboscamento e coltivazione di giacimenti di minerali metallici e oro. Da una cinquantina di anni, poi, si sono individuati imponenti giacimenti di petrolio (sicuramente un ottimo valore aggiunto) di cui è stata avviata immediatamente l’estrazione.

Ora, ci si può chiedere perché ci si soffermi a descrivere ciò che quel territorio può offrire. È facile rispondere: il perché sta nella decisione dei Russi che, dopo che da qualche tempo tenevano un piede sull’Alaska, l’hanno ceduta, privandosi di un suolo con grandi ricchezze. Per chiarire il tutto, conviene partire da monte, da quando, cioè, l’Alaska iniziò a destare l’interesse degli esploratori.

L’Alaska è una delle terre dell’intero continente americano che nel passato è stata maggiormente popolata: attorno a 15.000 anni fa, furono tanti coloro che vi giunsero provenienti dall’Asia. Era sconosciuta alla maggior parte dell’intero pianeta. Forse, il primo a scoprirla fu il Russo Seme Dezhnec nel 1648 che, purtroppo, non avendo comunicato al suo Governo i risultati delle sue esplorazioni, vide andar perduto tutto il frutto delle sue ricerche e delle sue esplorazioni. Nell’aprile del 1725, inviato a perlustrare le coste dell’Alaska dallo Zar Pietro il Grande, fu l’esploratore e cartografo danese Vitus Jonassen Bering che, con il grado di ufficiale della Marina Imperiale Russa, dirigeva una spedizione costituita da 34 persone. Il gruppo si trovò in gravi difficoltà per lo scorbuto e la scarsità di cibo. Comunque, egli rivendicò la sovranità dello Zar sull’Alaska.

Ci furono altre spedizioni, fra le quali quella più rilevante fu di James Cook, esploratore inglese, nel 1778. Più tardi, nel 1784, Grigorij Selichov fondò la prima colonia russa. Nel 1799, lo Zar Paolo I iniziò ufficialmente la colonizzazione del territorio, facendo riconoscere alla Russia il legittimo dominio su tutti i territori americani posti a Nord del 55° parallelo, naturalmente Canada escluso, e concedendo il monopolio commerciale alla Compagnia Russo-Americana, dedita soprattutto al commercio delle pellicce. La colonia, denominata America Russa, fissò la sua capitale nella città di Nuova Arcangelo.

In quel periodo, si ritiene che la popolazione fosse sui 90.000 abitanti (indicativamente 80.000 Eschimesi, 8.000 indigeni e meticci e 2.500 Russi). Questi ultimi erano ripartiti sul territorio, dove avevano organizzato punti di raccolta delle pelli fornite dai cacciatori locali, pronte per essere caricate sulle navi mercantili. I due centri principali erano Nuova Arcangelo, dove era fiorente il commercio delle pregiate pelli di callorino dell’Alaska (un pinnipede della famiglia delle otarie) e San Paolo, sull’isola di Kodiak, dove si sfruttavano le pelli di foca.

L’esplorazione completa avvenne con il trascorrere del tempo, fatta soprattutto dai commercianti di pellicce, fra cui emersero i Siberiani Selekov e Galikov, che avviarono uno stabilimento a Kodiak. Il fiume Yukon fu navigato per la prima volta solamente nel 1863.

La Russia, in notevole difficoltà finanziaria, con un territorio enorme da amministrare e con entrate abbastanza ridotte, pensò di liberarsi dell’Alaska per ragioni abbastanza valide, fra cui spiccava quella di non essere in grado di difendere la sua colonia, qualora la importuna e scomoda Gran Bretagna, signora assoluta del confinante Canada, decidesse di prendersela, senza tanti complimenti e senza compenso («gratis et amore dei», come si potrebbe dire). Per tutto questo, lo Zar Alessandro II decise di venderla agli Stati Uniti, sicuramente meno brigosi dell’Impero Britannico.

Pertanto fu affidato l’incarico delle negoziazioni al barone Eduard de Stoekl, Ambasciatore a Washington, che avviò le trattative con il Segretario di Stato William H. Seward con il quale era in ottimi rapporti.

Il dissenso nato alla notizia dell’acquisto dell’Alaska scatenò un’ondata furiosa di proteste fra gli oppositori. L’editore del «New York Tribune», Horace Greeley, che la guidava, ebbe a esclamare che la maggior parte dei quella terra era un «fardello, non meritevole di essere preso in regalo». Fra i Senatori, ci fu uno che sostenne che avrebbe contribuito a pagare l’acquisto solo se Seward fosse stato costretto a viverci.

Alla fine, però, il tutto avvenne con la ratifica del contratto il 9 aprile 1867, e le negoziazioni terminarono con il pagamento di 7.200.000 dollari americani (corrispondenti a circa 120 milioni o poco più di dollari attuali). L’estensione del territorio acquistato era di circa un 1.600.000 chilometri quadrati (per fare un confronto, un’area equivalente a quella dell’africana Libia).

Quando la notizia fece il giro degli Stati Uniti, il parere unanime fu che si era trattato di un contratto veramente fallimentare, perché si era acquistato un territorio del tutto selvaggio e che non aveva nulla da offrire, se non abbondanza di gelo e di ghiaccio. Secondo alcuni, soprattutto politici e giornalisti, Seward aveva compiuto un accordo folle, secondo altri, più spiritosi, si era procurata la sua ghiacciaia in cui conservare l’amato whisky; non mancò chi ritenne l’Alaska lo «zoo degli orsi polari» del Presidente Statunitense di allora, Andrew Johnson.

L’acquisto da parte degli Stati Uniti dell’Alaska derivava, invece, da un ragionamento politico logico. Da non molto tempo si era conclusa la Guerra di Secessione, che aveva visto la vittoria degli Stati del Nord, ai quali la Russia aveva dato un valido contributo, contrariamente al comportamento del Regno Unito che aveva appoggiato apertamente o quasi gli Stati Confederati. L’acquisto dell’Alaska avrebbe rappresentato un passo avanti degli Stati Uniti verso la loro supremazia sul continente nord-americano, nei confronti degli Stati Europei che tendevano a estendere la loro influenza anche di là dei possedimenti che avevano nel Vecchio Continente. Il tutto anche in ossequio alla dottrina di Monroe che recitava «l’America agli Americani». I Russi temevano possibili interventi sia degli Stati Uniti sia della Gran Bretagna; in quel periodo, quest’ultima era una potenza navale molto importante, appena uscita vittoriosa dallo scontro con i Russi nella Guerra di Crimea, che li aveva lasciati pieni di debiti.

D’altra parte, che i Paesi Europei più potenti fossero orientati a mettere piede oltreoceano lo aveva dimostrato chiaramente la vicenda, appena conclusa, che aveva visto fallito il tentativo della Francia di Napoleone III di estendere il suo potere sul Messico, approfittando del disordine in atto nel continente nord-americano a causa della Guerra di Secessione. Infatti, vi era stato messo sul trono Massimiliano d’Asburgo, ma la rivoluzione aveva prevalso e il poveretto era finito fucilato il 19 giugno 1867, con il consenso, non del tutto velato, del Presidente Statunitense Andrew Johnson.

Che il contratto di acquisto non fosse stato gradito a molti lo dimostra anche il tentativo di rimuovere dal suo incarico il Presidente Johnson, tentativo fallito per un singolo voto: era il febbraio del 1868. Poco più tardi, però, Johnson perdette la nomina presidenziale democratica.

In ogni modo, come si dice, Seward si diede da fare, dopo essersi ritirato dal Governo Statunitense nel 1869. A Sitka, s’interessò della vita lavorativa, visitando un impianto di produzione della birra e uno di segagione di tronchi, incontrò funzionari religiosi e comunali, camminò per le strade, incontrando Russi, soldati statunitensi, indiani, commercianti, viaggiatori, insomma tutti quelli che potevano fargli comprendere come si vivesse laggiù. Inoltre s’inoltrò pure nel Nord del Paese, per rendersi conto di come si vivesse e si lavorasse.

Inizialmente, le cose andavano non molto felicemente, giacché la colonia non ce la faceva a essere autosufficiente, per cui doveva appoggiarsi alle tribù originarie e ai rifornimenti di altri Stati. Nel 1898, tuttavia, la scoperta dei filoni d’oro portò l’ingresso di tantissime persone. L’Alaska divenne un centro di attrazione commerciale, oltre che per l’oro, per tutte le altre risorse naturali di cui disponeva, contribuendo in modo molto sensibile alla prosperità degli Stati Uniti, dando finalmente ragione al bistrattato Seward, che si era tanto apertamente esposto alle critiche degli oppositori al suo acquisto. La sua lungimiranza vale tuttora sia a proposito di ricchezza naturale, particolarmente con la scoperta di grandi giacimenti di petrolio, sia di attrazione per folle di turisti che, approfittando della buona stagione, vanno a visitare questo Stato staccato dal grosso degli Stati Uniti d’America.

Alla fine, gli Stati Uniti sicuramente sono stati quelli maggiormente avvantaggiati dall’acquisto dell’Alaska, un territorio ricco di minerali preziosi e di comune utilità, con depositi di petrolio invidiabili e, soprattutto, un piede sullo scacchiere del Nord Pacifico, di fronte, seppure lontano, ai domini asiatici. Sembra poco?

(giugno 2021)

Tag: Mario Zaniboni, Alaska, continente americano, Stati Uniti d’America, Mac Kinley, Yukon, Mare di Bering, Mare Artico, Aleutine, Inuit, Seme Dezhnec, Pietro il Grande, Vitus Jonassen Bering, storia dell’Alaska, James Cook, Grigorij Selichov, Paolo I, America Russa, Nuova Arcangelo, Eschimesi, Kodiak, Eduard de Stoekl, William H. Seward, Horace Greeley, Andrew Johnson, Guerra di Secessione, dottrina di Monroe, Guerra di Crimea, Massimiliano d’Asburgo, Sitka, scacchiere del Nord Pacifico.