Il Seicento
Un’epoca di miseria e splendore

Il XVII secolo si apre con due eventi memorabili: il 17 febbraio 1600 viene arso vivo in Campo di Fiori a Roma Giordano Bruno, condannato al rogo, dopo molti anni di prigione, per non aver voluto ritrattare le sue idee, ritenute eretiche dal Tribunale dell’Inquisizione; a Firenze, il 6 ottobre dello stesso anno, in occasione delle nozze di Maria de’ Medici con il Re di Francia Enrico IV, viene rappresentata l’Euridice di Jacopo Peri, il primo melodramma della storia del teatro.

Sono due eventi profondamente diversi, tragico l’uno, festoso l’altro, eppure entrambi emblematici della vita del secolo.

La morte del Bruno non è che uno dei momenti della repressione esercitata dalla Chiesa Cattolica contro la libertà delle idee, nella riaffermazione della superiorità del proprio magistero; molti altri subiscono l’oppressione: Galileo Galilei, che aveva sostenuto la teoria copernicana sul movimento della Terra e degli altri pianeti intorno al Sole (contro l’antica teoria tolemaica – fatta propria dalla Chiesa – del movimento del Sole attorno alla Terra), viene sottoposto a processo, imprigionato e costretto alla ritrattazione pubblica; Fra’ Paolo Sarpi, uomo di vasta dottrina impegnato a lottare contro il potere dei Gesuiti e l’assolutismo dei Papi, è ferito a pugnalate da sicari della Curia; Tommaso Campanella, che insiste sul valore dello studio diretto della natura (il libro in cui Dio parla con un linguaggio diverso da quello delle Sacre Scritture), trascorre ventisette anni in carcere e si salva dalla morte fingendosi pazzo. Sono solo alcuni esempi, che dimostrano, di fronte al conservatorismo del potere, la nascita di idee nuove, la nascita della scienza, la nascita dell’età moderna: il modello scientifico pone l’accento sui dati raccolti empiricamente e sugli esperimenti riproducibili; con l’invenzione del calcolo infinitesimale, Isaac Newton è in grado di descrivere le sue leggi del moto.

Neppure la rappresentazione fiorentina dell’Euridice è un fatto isolato. Appena sette anni dopo, alla Corte di Mantova, viene eseguito l’Orfeo di Claudio Monteverdi, uno dei massimi compositori italiani di tutti i tempi; e nel 1637 a Venezia si apre il primo teatro pubblico, il San Cassiano. Il melodramma non è «spettacolo da principi», come lo aveva definito il musicista Marco da Gagliano, è spettacolo popolare. A Venezia, nel Seicento, esistono contemporaneamente diciotto teatri, molti dei quali esclusivamente musicali. Anche a Roma, il melodramma si afferma senza ostacoli: i Barberini, la potente casata di Urbano VIII, hanno un teatro nel proprio palazzo; i monaci recitano; i Cardinali scrivono testi per musica, apprestano le scene, frequentano l’ambiente dei cantanti; Gian Lorenzo Bernini, grande artista, è scenografo, costumista, musicista.

Il Seicento si presenta così, già ai suoi albori, come un’epoca ricca di contrasti, ove allo sfarzo della nobiltà si contrappone la miseria dei poveri, ove l’Europa è dilaniata da lunghe guerre. Le armi piccole continuano a progredire, il moschetto con otturatore di fucile a pietra focaia è più veloce da caricare e più economico da produrre del precedente con otturatore a miccia. Le armi da fuoco divengono più potenti e precise e l’epoca degli arcieri volge lentamente al termine. Tuttavia, non è che dopo l’introduzione della baionetta, specialmente il modello sotto la canna adottato dall’esercito francese nel 1688, che le armi corpo a corpo come la spada e l’alabarda iniziano a scomparire definitivamente. Con quello sviluppo, il passaggio fondamentale dalla guerra medievale a quella moderna è ormai prossimo.

Il Seicento è un’età spregiativamente definita «barocca» per i suoi eccessi, per un’artificiosità nel pensiero e nell’arte – artificiosità come desiderio del «nuovo», ma che troppo spesso non si risolve se non nello «strano». Il termine sembra derivare dallo spagnolo «barrueco» e dal portoghese «barroco» che indicano la perla irregolare e scabra (in italiano «scaramazza») o anche da «baroco» che designa un ragionamento confuso e impuro. In ogni caso la parola esprime un giudizio negativo: oggi il Seicento è stato esaminato storicamente e rivalutato nei suoi effettivi valori, nelle sue luci e nelle sue ombre.

Il barocco è un fenomeno europeo, diffuso, in séguito all’evangelizzazione delle colonie, nell’America Latina, differenziato a seconda delle realtà sociali e culturali delle varie Nazioni, ed è un fenomeno soprattutto cattolico. Perciò la sua origine è essenzialmente italiana e il suo centro maggiore è a Roma, da dove si irradia in tutta Italia e in Europa.

Fra i maggiori centri italiani emerge, accanto a Roma, Torino, fino a questo momento piccola città di appena 20.000 abitanti, che ha conservato l’impianto quadrato del «castrum» romano, con strade rettilinee intersecate ortogonalmente. Torino comincia ad acquistare importanza quando, nel 1563, Emanuele Filiberto decide di trasferirvi la capitale del suo Ducato, che precedentemente si trovava a Chambéry in Savoia. È il momento in cui il Duca e, dopo di lui, i suoi discendenti, spostano i loro interessi politici dalla Savoia ai possedimenti italiani. I Savoia, che, dall’XI secolo in poi, sono venuti aumentando il loro prestigio, non potendo estendere i loro domini di là dalle Alpi, verso la Francia, ove esiste ormai una grande Monarchia unitaria, concepiscono adesso il disegno di consolidarsi al di qua della catena montana, verso l’Italia, più debole, perché divisa in tanti piccoli Stati e contesa fra le maggiori potenze europee, dall’Austria alla Francia, alla Spagna. Se il progetto verrà completamente realizzato solo nel XIX secolo con la formazione del Regno d’Italia, è in questo periodo che essi cominciano a tesserne la trama, come è dimostrato, fra l’altro, dal Trattato di Bruzòlo (1610) con il quale Carlo Emanuele I si impegna a cedere la Savoia al Re di Francia, Enrico IV, in cambio dell’appoggio per la conquista del Monferrato e della Lombardia (il trattato non avrà séguito a causa dell’uccisione di Enrico IV pochi giorni dopo la firma, ma è significativo, tanto più se si riflette sul valore morale che doveva avere la Savoia per una famiglia ducale proveniente da quella regione).

(ottobre 2013)

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