Il Santo dell’amore e della vita quotidiana: San François de Sales
La vita, le opere, il pensiero

Uno dei Santi più importanti e originali del Seicento, il campione dell’«umanesimo cristiano», è San François de Sales, nato e vissuto per buona parte della sua esistenza in Savoia (1567-1622). Egli seppe raccogliere l’eredità umanistica del Cinquecento, ricavarne una sintesi armoniosa con il Cristianesimo e, in un’epoca in cui fin troppi religiosi si dedicavano ad aspre penitenze e a uno stile di vita incompatibile con la vita laicale, proporre una spiritualità adatta a tutti e in sintonia con la vita quotidiana. La sua famosa Introduzione alla vita devota o Filotea (dal nome fittizio della destinataria) divenne un vero e proprio «bestseller», diffuso persino tra i protestanti: quegli stessi protestanti con cui Monsignor de Sales riusciva a operare miracoli di conversioni e a intendersi con un dialogo rispettoso insolito in un’Europa lacerata dalle guerre di religione. La sua amabilità, l’equilibrio, l’insistenza sulla dolcezza e l’umiltà conferiscono a questa figura un’attualità straordinaria, cosicché vale proprio la pena proporne un breve ritratto.


Origini e formazione

San François de Sales[1] nasce in Savoia il 21 agosto 1567, al castello di Sales, presso Annecy, da una famiglia della piccola nobiltà locale salita di rango grazie a numerosi incarichi al servizio dei Duchi di Savoia. Il padre François è un grande feudatario e dal 1565 gentiluomo di camera al servizio del Duca Filiberto; la madre Françoise de Sionnaz, molto devota e attenta alla famiglia, riveste un ruolo fondamentale nell’educazione e nella vocazione del figlio maggiore. Primo di 13 fratelli, fin da piccolo François è attirato dalla pietà e dalla vita cristiana: prega, è buono e obbediente, assiste spesso alle distribuzioni di viveri ai poveri organizzate dai genitori. Mostra anche di essere molto dotato per lo studio: fino al 1578 frequenta ad Annecy il collegio Chappuis, quindi a Parigi il celebre collegio gesuita Clermont e poi la facoltà di Teologia alla Sorbona, dove segue i corsi del Benedettino Gilbert Génébrand. Nel frattempo, perfeziona la sua formazione di giovane aristocratico: assorbe letteratura, scherma, equitazione, ballo. Concepisce ben presto la vocazione religiosa, ma il padre progetta per lui un avvenire più brillante, o come militare, o come giurista.

Un Santo così contraddistinto dalla dolcezza ha però conosciuto i suoi tormenti, in linea con quelli del periodo. Ha solo una ventina d’anni quando, nel dicembre 1586, entra in una profonda angoscia perché si ritiene predestinato alla dannazione[2]; infine, una sera del gennaio 1587, si rifugia nella chiesa parigina di Saint-Etienne-des-Grès e si affida alla Madonna Nera di Notre-Dame-de-la-Délivrance. La chiave della liberazione è l’abbandono alla volontà di Dio, che François scopre allora essere espressione di amore:

«Qualunque sia la Vostra decisione per la mia eterna predestinazione e riprovazione… io Vi amerò, Signore, almeno in questa vita, se non mi sarà permesso amarVi nella vita eterna… Vi amerò almeno qui, o mio Dio, e avrò fiducia nella Vostra misericordia».

Ma è proprio questo atto di affidamento a liberarlo dalla paura: «Francesco comprese di poter amare Dio in terra, perfino senza dover sperare nel cielo»[3]. Il fatto illustra bene la percezione all’epoca del rapporto con Dio, visto troppo spesso alla stregua delle istituzioni autoritarie coeve; la predestinazione rientra in questo quadro[4].

Dopo Parigi, François de Sales prosegue i suoi studi di Diritto e Teologia a Padova (1588-1591); questo gli dà anche la possibilità di visitare l’Italia e di apprendere l’italiano. A Padova il suo direttore spirituale è nientemeno che il Gesuita Antonio Possevino, uno dei più grandi teologi di allora; approfondisce così i Padri, San Bonaventura e San Tommaso d’Aquino. Risale a questo periodo un regolamento di vita in latino (di cui restano le copie in italiano) ispirato al Combattimento spirituale di Padre Lorenzo Scupoli, libro che François teneva in grande considerazione; esso rivela un po’ la cultura dell’etichetta e del «savoir vivre» dell’epoca, ma soprattutto, spinge a spogliarsi della propria volontà per accettare quella di Dio; un ulteriore passo verso la spiritualità salesiana, che unisce armonia, decoro e umiltà.

Dopo aver sostenuto la tesi in Diritto «utroque iure» nel settembre 1591, il giovane si reca in pellegrinaggio per l’Italia, soprattutto a Roma e Loreto, quindi a Ferrara e Firenze, o a Milano, dove François è attratto dal ricordo di San Carlo Borromeo. Al ritorno in Savoia, dopo aver rifiutato un prestigioso matrimonio di convenienza, il giovane riesce a ottenere dal padre recalcitrante il permesso di seguire la propria vocazione religiosa. Gli viene concesso il ruolo di prevosto del capitolo di Saint-Pierre di Ginevra, cattedrale del Vescovo Claude Granier (che però è obbligato a risiedere ad Annecy, dato che Ginevra è ormai calvinista); il ruolo è il secondo dopo quello del presule ed è adatto a un nobile diplomato in Teologia e Diritto. La bolla di nomina arriva dal Vaticano il 7 maggio 1593, per cui François è ordinato sacerdote il 18 dicembre 1593; celebra la sua prima Messa nella cattedrale di Annecy il 21 dicembre successivo.


La missione presso i protestanti dello Chablais

Durante il suo ministero, François si distingue subito per l’eloquenza, per lo stile elegante e preciso, l’appropriatezza lessicale, l’altezza dei concetti e la chiarezza e la semplicità; eccelle inoltre nella controversia anti-protestante. In breve, si crea la fama di essere il miglior teologo, oltre che il predicatore di maggior successo della Savoia. Così, quasi immediatamente gli viene affidata la missione nel territorio calvinista dello Chablais, passato al protestantesimo dopo l’occupazione bernese. Solo la fortezza di Allinges, all’estremo Sud, resta in mano savoiarda; nel resto della regione i Cattolici sono perseguitati e le chiese devastate.

La missione di François inizia il 12 settembre 1594 ed è molto difficile, tanto che il giovane sacerdote, accompagnato dal cugino Louis, deve sfuggire anche ad alcuni tentativi di omicidio; all’arrivo, i due chierici sono obbligati a risiedere nella fortezza di Allinges e addirittura scortati da qualche arciere. Percorrono il Paese anche nel gelo dell’inverno, tra mille rischi e sacrifici; eppure, nei primi due anni non ottengono nessuna conversione, tanto la popolazione è prevenuta. Dato che il Consiglio di Thonon emana nel 1594 un divieto assoluto di assistere alle prediche del Santo, questo inventa gli opuscoli, messaggi brevi e diretti, da distribuire gratuitamente tra le case, dapprima copiati a mano, poi stampati a Chambéry; inventa così il «flyer» ed è perciò considerato ancora oggi il patrono dei giornalisti. La sua produzione controversistica, invece, cresce in continuazione: viene raccolta e pubblicata postuma nel 1672 sotto il titolo di Controversie. Poco per volta, grazie a questa incessante attività, arrivano le prime conversioni eccellenti e la gente comincia a trattare François con maggior rispetto, mentre i pastori protestanti temono le controversie con lui. Finalmente, il 24 dicembre 1596 egli dice Messa per la prima volta nella cattedrale di Thonon, dopo 60 anni da che essa era stata sottratta ai Cattolici.

In questi anni, su richiesta di Papa Clemente VIII, François visita almeno tre volte il teologo calvinista Teodoro di Beza per convertirlo: il dotto morirà nel 1605 senza essersi deciso all’abiura, ma durante i suoi viaggi a Ginevra François riesce a ristabilire il contatto con alcuni Cattolici (tra cui una ragazza, Jacqueline Coste, che diverrà la prima conversa della Visitazione). Alla fine del suo ministero nello Chablais, le conversioni avvengono ormai in massa; ciò può infine portare al ristabilimento ufficiale della religione cattolica nella regione, con ricostruzione delle parrocchie e restituzione dei beni rubati. François, con notevole genio imprenditoriale, costruisce anche una tipografia cattolica, una banca popolare a basso interesse per i piccoli prestiti, infine una «casa di misericordia»: si tratta della «Sainte Maison» di Thonon, dove catechizzare gli ugonotti che desiderino convertirsi, formare degli apprendisti e tenere una scuola, allo scopo di dare lavoro e cognizioni ai nuovi convertiti, rimasti senza occupazione dopo l’abiura; si tratta inoltre di garantire una produzione eccellente e a buon prezzo che eviti ai Cattolici di andare a rifornirsi in terra protestante, a Losanna o a Ginevra. Approvata da una bolla pontificia nel settembre 1599, purtroppo la casa non avrà un esito felice, perché François non potrà occuparsene (ne scrive però la regola).


L’episcopato

Finita la missione nello Chablais, il prevosto continua la sua attività pastorale ad Annecy; il 29 agosto 1597 il Duca Carlo Emanuele firma le lettere patenti perché François diventi il coadiutore del Vescovo Granier, che nutre per lui un’altissima stima. Deve quindi recarsi a Roma per la visita «ad limina» e per essere esaminato in vista dell’ordinazione episcopale. Il 15 gennaio 1598 viene presentato dal Cardinale Alessandro de’ Medici al Papa Clemente VIII; a Roma incontra anche il celebre Cardinale Bellarmino e il Cardinale Baronio, ora generale degli Oratoriani. L’esame per i candidati all’episcopato, il 22 marzo, si risolve brillantemente e il nostro viene nominato Vescovo di Nicopoli («in partibus»).

Nell’aprile 1600 muore suo padre. Nel 1602 François parte per Parigi, per difendere presso il Re alcune questioni importanti relative alla diocesi (come la situazione dei Cattolici nel paese protestante di Gex). Nonostante la sua modestia, François attira molto l’attenzione con la sua pietà e la sua «allure» da gentiluomo: così la duchessa di Longuéville propone che gli sia affidata la predica di Quaresima davanti addirittura alla Regina Maria de’ Medici. La prima omelia, in occasione del Mercoledì delle Ceneri, è un successo e così quelle dei giorni seguenti. La domenica dopo Pasqua, François predica davanti al Re, che ne è molto compiaciuto. Enrico IV lo ammira molto e lo vorrebbe Vescovo in Francia o addirittura Cardinale; il Vescovo rifiuta perché è Savoiardo e intende rimanere fedele al suo Paese. Nello stesso periodo, François entra nel salotto spirituale di Madame Barbe Acarie, dove si incontra il meglio del Cattolicesimo Francese: Bérulle, Michel de Marillac, il giovane Vincenzo de’ Paoli, il confessore del Re, il Gesuita Padre Coton eccetera. Nel circolo era diffusa la mistica fiamminga e renana, più astratta, ma anche quella teresiana, più cristocentrica (dal 1602 vi circolavano le opere di Santa Teresa in versione francese); inoltre, vi era molto apprezzata la mistica astratta di Benoît de Canfield, Cappuccino di origine inglese. Bérulle e François fanno immediatamente amicizia e così François accede alla cerchia di Barbe Acarie, di cui diverrà anche il confessore[5]. Proprio in questo periodo, partecipa al progetto del nuovo Carmelo di Parigi; allo scopo, invierà delle lettere a Roma persino da Annecy.

Quando il 17 settembre 1602 muore Monsignor Granier, è lui il nuovo Vescovo di Ginevra: viene consacrato l’8 dicembre successivo. Ottimo catechista, nell’amministrazione della diocesi è fermo e ha il pugno di ferro se necessario (ne faranno esperienza i vari monasteri da lui riformati), anche se sa essere di una dolcezza straordinaria. François prende molto sul serio i suoi doveri pastorali: visita le 360 parrocchie della sua diocesi in soli 4 anni. Vive molto modestamente, per non dire poveramente, e non si concede nessuno dei lussi dei suoi confratelli. Inizia delle conferenze mensili per i laici, per coinvolgerli (modernamente) nell’attività pastorale. Inoltre, è notissimo come oratore, tanto che viene richiesto anche fuori dalla Savoia.

A Digione viene chiamato dai Fremyot: il padre, Bénigne, è il Presidente del Parlamento di Borgogna, mentre suo figlio André è da poco Vescovo di Bourges. La figlia è Jeanne Fremyot, baronessa di Chantal, la famosa fondatrice delle Visitandine: sposatasi nel 1591 con un nobile di spada, il barone Cristophe de Rabutin-Chantal, ne era rimasta vedova nel 1601. François la vede per la prima volta in chiesa il 5 marzo e la riconosce grazie a un sogno premonitore. La stessa Jeanne aveva pregato per incontrare una guida spirituale; durante una passeggiata a cavallo, vede François in distanza e sente dentro una voce: «Ecco la guida beneamata nelle cui mani devi lasciar riposare la tua coscienza». Anche grazie a questi segni, durante il soggiorno di François a Digione i due hanno la possibilità di conoscersi e, dato che lei ha un direttore di coscienza troppo severo, si confida con il giovane Vescovo, chiedendogli di dirigerla. Lui accetterà solo con la lettera del 3 maggio 1604 dopo matura riflessione. In seguito, redige per lei un regolamento di vita e per istruirla approfitta ancora di una visita di lei al castello di Sales, da sua mamma. In questi anni redige una Lettre à Fremyot che risulta un piccolo trattatello di omiletica, divenuto poi sempre più diffuso.

Tra il 1607 e il 1610 fonda e anima assieme all’amico Antoine Favre l’Accademia Florimontana, modellata sulle grandi accademie del tempo e di ampi interessi, ma di breve vita: il suo regolamento la votava alla gloria di Dio e al servizio dell’utilità pubblica e vi si insegnavano letteratura, teologia, filosofia, matematica, diritto e cosmografia. Nel 1610 muore sua madre ed egli fonda la Visitazione assieme a Jeanne de Chantal. Il suo motto più noto, che ben ne riassume il carisma, è: «Il faut tout faire par amour et rien par force» («Bisogna fare tutto per amore e niente per forza»).

Una divisa straordinaria in un’epoca contrassegnata dall’uso della violenza: probabilmente, il successo di François de Sales con i protestanti (e non solo) è dovuto soprattutto al suo inusitato ricorso alla dolcezza.


Ultimi viaggi e ultimi anni

Il terzo soggiorno del Santo a Parigi (1618) dura quasi un anno: egli è a capo della delegazione che deve chiedere in sposa la principessa Cristina di Francia a Luigi XIII per Vittorio Amedeo, principe ereditario di Savoia e figlio di Carlo Emanuele; assieme all’amico Antoine Favre, Presidente del Parlamento di Savoia, egli accompagna i giovani principi Savoia, come il Cardinale Maurizio. A Parigi il Santo si fa notare ancora per le sue omelie, a partire da quella di San Martino nella cappella dell’Oratorio su richiesta del suo amico Bérulle. Tra gl’incontri più notevoli, quello con San Vincenzo de’ Paoli, allora più giovane (37 anni), che diverrà su sua richiesta il superiore del nuovo monastero della Visitazione di Parigi (dicembre 1618; lo resterà fino alla morte, nel 1660). I due restano amici, come conferma San Vincenzo durante la sua testimonianza al processo di beatificazione («Que Dieu doit être bon, puisque Monsieur de Sales est si bon!» amava dire del Vescovo di Ginevra: «Come deve essere buono Dio, poiché Monsignor de Sales è così buono!»).

Nell’aprile dello stesso anno, François incontra madre Angélique Arnauld: madre Marie-Angélique de la Sainte-Madeleine, al secolo Jacqueline Arnauld, sorella del «grande Arnauld», uno dei maggiori teologi del tempo, e appartenente a quella che sarebbe diventata la più nota famiglia del giansenismo francese. Madre Angélique ottiene di essere diretta da lui e François conosce così tutta la famiglia, ben prima dell’esplosione del giansenismo. All’epoca, François avrebbe sognato pure di recarsi in Inghilterra per convertire Giacomo I Stuart, lettore avido della Filotea[6]. Richiesto da Cristina di Savoia di divenire cappellano alla Corte di Torino, riesce invece a farsi sostituire dal fratello.

In questi ultimi anni, è sempre più debole e soffre di problemi di circolazione; non a caso, dal 1620 egli prende come coadiutore suo fratello. Si occupa della riforma di alcuni monasteri; poco prima dell’ultimo viaggio in Francia, nell’autunno 1622, fa testamento, chiedendo di essere sepolto o alla cattedrale di Ginevra o, nell’impossibilità di ciò, nella navata della chiesa della Visitazione. E tutti lo salutano con un triste presentimento… Difatti, nel novembre 1622 è costretto a recarsi in Francia, per la precisione ad Avignone, per un incontro con i Reali di Francia e i Duchi di Savoia (in questa circostanza, Richelieu diventa Cardinale). Ad Avignone, egli incontra la famiglia di Jean-Jacques Olier, allora un ragazzino, e ne profetizza alla madre la futura grande vocazione (Olier è il futuro fondatore del seminario di Saint Sulpice). Il 16 o 17 ottobre parla per l’ultima volta con madre de Chantal. Il giorno di Natale, durante la Messa, dà la comunione ad Arnauld d’Andilly, fratello di madre Angélique; comincia a sentirsi male il 27 dicembre: lo stronca difatti un’emorragia cerebrale. Continua a sforzarsi di ricevere gente, quindi crolla: spira il 28 dicembre, qualche ora dopo avere pronunciato le sue ultime parole: «Il se fait tard, et le jour baisse… Jésus, Maria» («Si fa tardi e il giorno declina… Gesù, Maria»[7]). Dopo varie traversie, sarà sepolto, come da lui richiesto, alla Visitazione di Annecy.


Opere principali – La Filotea

Nel 1609 viene pubblicata la celeberrima Introduction à la vie dévote, o Filotea, uno dei capolavori della letteratura spirituale del Seicento. Essa nasce così: dopo il trasloco a Chambéry, madame Louise de Charmoisy aveva tenuto presso di sé le lettere del suo antico direttore spirituale, appunto Monsignor de Sales; ne venne a conoscenza il nuovo direttore, il Padre Gesuita Fourier, che, ammirato della loro qualità, subito si attivò perché ne fosse creato un libretto di devozione per i laici. Scrisse così a François che allora decise di organizzare i suoi testi in un volume unico, cercando appoggio in un’ampia bibliografia. Il privilegio reale arrivò il 10 novembre 1608 e l’edizione apparve nel dicembre successivo con data del 1609: Introduction à la vie dévote par François de Sales, évesque et prélat de Genève, ovvero «Filotea» (= «colei che ama Dio»: pseudonimo parlante della destinataria). Il successo fu immediato e duraturo (tanto che possedevano il libro anche i calvinisti a Ginevra!): ben 64 edizioni fra 1635 e 1705, per non parlare delle traduzioni. Già nel 1609 comparve una seconda edizione, con aggiunta di nuovi capitoli.

Perché tanto successo? Ancor oggi la sua lettura è straordinariamente edificante, agile e persino godibile:

«Le esigenze della vita cristiana erano trascritte in forme a chiunque accessibili, lontane tanto da vette elitarie e da slanci singolarissimi quanto da improponibili rigorismi»[8].

Vediamo un esempio. San François de Sales insiste molto sulle piccole, grandi occasioni di purificazione e santificazione che abbondano anche nella normalità di tutti i giorni, in cui però, come osserva con acume, si accumulano anche le manifestazioni di egoismo:

«Siamo uomini soltanto perché siamo dotati di ragione, eppure è cosa estremamente difficile trovare un uomo veramente ragionevole, perché l’amor proprio abitualmente offusca la ragione, e insensibilmente ci conduce a mille generi di ingiustizie e cattiverie, piccole sì, ma pericolose che, come le piccole volpi di cui parla il Cantico dei Cantici, distruggono le vigne: essendo piccole nessuno ci fa caso, ma siccome sono numerose, producono seri danni… Per poco accusiamo immediatamente il prossimo, mentre scusiamo noi stessi anche nel molto; vogliamo vendere a prezzo molto alto e comperare a buon mercato; vogliamo che si faccia giustizia in casa d’altri, in casa nostra, invece, misericordia e comprensione; pretendiamo che si prendano sempre in buona parte le nostre parole, ma siamo suscettibili e permalosi a quelle degli altri…»[9].

Analogamente, bisogna saper fare tesoro del bene, anche minimo, che è possibile compiere nell’esistenza più banale e quotidiana, che si illumina allora delle luci dell’amore cristiano:

«Quando la Divina Provvidenza non ti manda afflizioni acute e pesanti, insomma non ti chiede gli occhi, donale almeno i capelli: voglio dire, sopporta con dolcezza le piccole offese, gli inconvenienti insignificanti, quelle sconfitte da poco sempre all’ordine del giorno. Per mezzo di tutte queste piccole occasioni, usate con amore e dilezione, conquisterai totalmente il suo [= di Dio] cuore e lo farai tuo.

I piccoli gesti quotidiani di carità, un mal di testa, un mal di denti, un lieve malessere, una stranezza del marito o della moglie, un vaso rotto, un dispetto, una smorfia, la perdita di un guanto, di un anello, di un fazzoletto; quel piccolo sforzo per andare a letto presto la sera e alzarsi al mattino di buon’ora per pregare, per fare la comunione; quella piccola vergogna che si prova in pubblico a fare un atto di devozione; a farla breve, tutte le piccole contrarietà accettate e abbracciate con amore fanno infinitamente piacere alla bontà divina, che, per un bicchiere d’acqua, ha promesso il mare della felicità completa ai fedeli; e siccome queste occasioni si presentano in continuazione, servirsene bene è un mezzo sicuro per accumulare grandi ricchezze spirituali…»[10].

Se tutti sapessero approfittare così della vita normale di tutti i giorni, la terra sarebbe un Paradiso… La novità straordinaria di questo libro è che coniuga vita devota e quotidiana: quindi, come scriveva Réné Doumic, dell’Académie Française, la devozione non è «un mostro per terrorizzare la gente»[11], anzi, non deve essere riservata solo ai religiosi, bensì animare una spiritualità del quotidiano adeguata a tutti e tale da diffondere l’armonia e la bontà in cerchie sempre più ampie della popolazione. Per esempio: l’autore non recalcitra davanti agli onesti divertimenti, come ballo e teatro, opponendosi alle penitenze esagerate di moda nei monasteri dell’epoca. A differenza di numerosi autori spirituali coevi, San François de Sales fa posto anche a un’onesta forma di rispetto di se stessi:

«Uno dei metodi più efficaci per conseguire la dolcezza è quello di esercitarla verso se stessi, non indispettendosi mai contro di sé e contro le proprie imperfezioni. È vero che la ragione richiede che quando commettiamo errori ne siamo dispiaciuti e rammaricati, ma non che ne proviamo un dispiacere distruttivo e disperato, carico di dispetto e di collera. E in questo molti sbagliano grossolanamente perché si mettono in collera, poi si infuriano perché si sono infuriati, diventano tristi perché si sono rattristati e si indispettiscono di essersi indispettiti… Queste collere e amarezze contro se stessi portano all’orgoglio e sono soltanto espressione di amor proprio, che si tormenta e si inquieta per le imperfezioni. Il dispiacere che dobbiamo avere per le nostre mancanze deve essere sereno, ponderato e fermo; un giudice punisce molto meglio i colpevoli quando emette sentenze ragionevoli in spirito di serenità che quando procede con aggressività e passione»[12].

Il Santo si muove costantemente nel solco di uno straordinario amalgama di armonia ed equilibrio: l’opera eccelle per la sua concretezza, elasticità, la penetrazione psicologica e per come rende accessibile la vita cristiana a tutti, con esempi pratici.

«La spiritualità che egli suggerisce non comporta dunque il rifiuto del mondo, ma l’inserimento in esso e la sua piena accettazione, nella misura in cui non vi sia conflitto con i principi cristiani»[13].

L’opera è suddivisa in 5 parti: esercizi per risolversi alla vita devota; consigli per la vita di preghiera; esercizi di virtù, sicuramente la parte più corposa; le tentazioni più correnti; rinnovamento dell’anima e conferma nella devozione.

L’importanza culturale di questo libretto, che fece epoca, può a stento essere sovrastimata: di una religiosità più appetibile dell’austerità calvinista, osserva la realtà in modo acuto e penetrante e si rivolge a tutti i ceti; per di più, è scritto in una lingua bella, elegante nella sua concisione e semplicità, ricca pure di espressioni e immagini quotidiane e tale da raggiungere un’alta qualità letteraria. In un’epoca che conobbe i primi trattati di etichetta e di buona educazione (come il celeberrimo Galateo di Monsignor Della Casa), la Filotea educò e rese migliori intere generazioni di Cristiani, anche al di là delle frontiere confessionali, formandole a un’esistenza ispirata a equilibrio, decoro, amore per Dio e per il prossimo. Il tutto è alimentato da un robusto ottimismo umanistico, per cui la natura umana non appare affatto corrotta del tutto (come sostenevano i calvinisti), anzi, è capace di bene; Monsignor de Sales evita però l’estremo opposto del pelagianesimo, che sminuiva la grazia attribuendo ogni merito all’essere umano: l’iniziativa principale dipende pur sempre da Dio, che è fonte di amore e Signore al centro del cuore del Cristiano.


Note

1 Per la biografia, ho seguito principalmente la recente opera, più concreta e meno agiografica, di Patrick de Gmeline, François de Sales. Le gentilhomme de Dieu, Paris, Omnibus, 2017 (in versione numerica); si vedano poi, per un inquadramento generale del Santo nella spiritualità dell’epoca, Massimo Marocchi, La spiritualità tra Giansenismo e Quietismo nella Francia del Seicento («La Spiritualità cristiana. Storia e testi» 15), Roma, Ed. Studium, 1983 (pagine 25-33); Sabine Melchior Bonnet, Francesco di Sales, in Jean Delumeau cur., «Storia dei Santi e della santità cristiana. VIII Le santità cristiane, 1546-1715» (traduzione italiana), Milano, Editrice Eraclea-Paris, Grolier Hachette International, 1991, pagine 114-123; sulla svolta epocale impressa dal Santo alla spiritualità cristiana, confronta Luigi Mezzadri-Paola Vismara, La Chiesa tra Rinascimento e Illuminismo, Roma, Città Nuova, 2006, pagine 165-167.

2 Patrick de Gmeline, François de Sales. Le gentilhomme de Dieu, Paris, Omnibus, 2017, posizione 869-893.

3 Patrick de Gmeline, François de Sales. Le gentilhomme de Dieu, Paris, Omnibus, 2017, posizione 869-893.

4 Sulle difficoltà a definire la dottrina della predestinazione per l’estrema difficoltà della materia e le sue sottigliezze, confronta Jean-Louis Quantin, Le rêve de la communauté pure: sur le rigorisme comme phénomène européen, in Bernard Cottret-Monique Cottret-Marie José Michel edd., «Jansénisme et puritanisme. Actes du colloque du 15 septembre 2001, ténu au Musèe national des Granges de Port Royal des Champs», Paris, Nolin, 2002, pagine 169-194.

5 Non apprezza però la teologia astratta di Benoît de Canfield, di cui diffida perché troppo elevata e priva della dimensione affettiva e quotidiana: confronta Massimo Marocchi, La spiritualità tra Giansenismo e Quietismo nella Francia del Seicento («La Spiritualità cristiana. Storia e testi» 15), Roma, Ed. Studium, 1983.

6 Confronta Patrick de Gmeline, François de Sales. Le gentilhomme de Dieu, Paris, Omnibus, 2017, posizione 8.522.

7 Confronta Patrick de Gmeline, François de Sales. Le gentilhomme de Dieu, Paris, Omnibus, 2017, posizione 9.440.

8 Confronta Paola Vismara, Attraverso il libro, oltre il libro: letteratura di pietà tra Sei e Settecento, in Grado Giovanni Merlo ed., «Libri, e altro: nel passato e nel presente», in Dipartimento di Scienze della Storia e della Documentazione Storica, Università degli Studi di Milano / Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, 2006, pagine 207-221, citazione pagina 211.

9 Confronta San François de Sales, Filotea. Introduzione alla vita devota, Milano, Edizioni Paoline, 201919 (I edizione 1984), citazione pagina 331.

10 Confronta San François de Sales, Filotea. Introduzione alla vita devota, Milano, Edizioni Paoline, 201919 (I edizione 1984), citazione pagina 328.

11 Confronta Patrick de Gmeline, François de Sales. Le gentilhomme de Dieu, Paris, Omnibus, 2017, posizione 5.940.

12 Confronta San François de Sales, Filotea. Introduzione alla vita devota, Milano, Edizioni Paoline, 201919 (I edizione 1984), citazione pagina 218.

13 Confronta Luigi Mezzadri-Paola Vismara, La Chiesa tra Rinascimento e Illuminismo, Roma, Città Nuova, 2006, citazione pagine 166-167.

(giugno 2022)

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