La Rivoluzione Francese
Una rivoluzione di eccezionale portata, degenera in una vasta opera di repressione sulla spinta dei gruppi politici popolari

la Rivoluzione Francese

Opera-manifesto celebrativa della Rivoluzione Francese

La Rivoluzione Francese fu una rivoluzione sociale, infinitamente più radicale di qualunque analoga sollevazione. Fu la sola fra tutte le rivoluzioni contemporanee ad essere ecumenica.

I suoi eserciti si levarono per rivoluzionare il mondo, le sue idee lo rivoluzioneranno veramente. Mentre quella americana non lasciò tracce rilevanti se non nei Paesi direttamente interessati, quella francese fu fondamentale per tutti i Paesi.

Ma quale fu la scintilla che fece scoppiare la Francia, provocata dalla cosiddetta «reazione feudale»?

Le 400.000 persone circa che tra i 23 milioni di Francesi costituivano la nobiltà, la «classe eletta» della nazione, pur non essendo protette in maniera assoluta contro l’intrusione dei ceti inferiori, si trovavano, tuttavia, in una posizione abbastanza sicura. Esse godevano di notevoli privilegi, fra cui parecchie esenzioni fiscali e il diritto di percepire tributi feudali. Politicamente la loro posizione era meno brillante. La monarchia assoluta aveva privato i nobili della loro indipendenza e iniziativa politica e aveva abolito le loro antiche istituzioni rappresentative: gli «ètats» e i «parlaments». Questo fatto creava uno stato di continua irritazione non solo tra la più alta nobiltà ma anche tra la più recente «noblesse de robe», creata dai Re per vari motivi, principalmente per scopi finanziari e amministrativi.

Dal punto di vista economico i crucci dei nobili non erano affatto trascurabili. Guerrieri e non trafficanti, per nascita e tradizione essi potevano contare solo sulle rendite delle loro proprietà, o, se appartenevano alla minoranza privilegiata della grande nobiltà di corte, su ricchi matrimoni, pensioni di corte, donazioni. Ma le spese inerenti alla loro posizione erano forti e crescenti, mentre le loro rendite diminuivano. Per di più l’inflazione tendeva a ridurre il valore delle rendite fisse, quali erano quelle delle proprietà. Era quindi naturale che i nobili cercassero di sfruttare l’unica loro prerogativa: i privilegi della loro classe. Per tutto il XVIII secolo, sia in Francia che altrove, essi presero continuamente ad usurpare le cariche ufficiali che la monarchia assoluta aveva preferito affidare a uomini della borghesia, tecnicamente competenti e politicamente innocui. La nobiltà non solo esasperava i sentimenti della borghesia con la sua vittoriosa concorrenza nella conquista delle cariche ufficiali, ma minava addirittura lo stesso Stato con la sua tendenza ad impadronirsi sempre più dell’amministrazione provinciale e centrale. Allo stesso modo i nobili tentavano di controbilanciare il declino delle loro rendite sfruttando al massimo i loro considerevoli diritti feudali di esigere denaro o, più raramente, prestazioni dai contadini. Nacque addirittura una nuova professione, quella dei feudisti, col compito di riesumare antichi diritti di questo genere caduti in disuso o di trarre il massimo da quelli che erano ancora in vigore.

La nobiltà quindi esasperava non solo la borghesia ma anche i contadini. I diritti feudali, le decime e le tasse toglievano al contadino una vasta e sempre maggiore proporzione delle sue entrate e quel che rimaneva andava sempre perdendo valore a causa dell’inflazione. I guai finanziari della monarchia precipitarono gli eventi. La struttura amministrativa e fiscale del regno era quanto mai antiquata e i tentativi di riforma fallirono per la resistenza dei parlamentari. Poi la Francia venne coinvolta nella guerra d’indipendenza americana. La vittoria sull’Inghilterra fu ottenuta a prezzo di una completa bancarotta, sicché la Rivoluzione Americana poté arrogarsi il diritto di essere stata la causa diretta di quella francese. Un quarto del bilancio era assorbito dalla guerra, dalla flotta e dalla diplomazia e non meno della metà serviva per pagare i debiti esistenti. Guerra e debiti spezzarono la monarchia. Della crisi del governo approfittarono l’aristocrazia e i «parlaments»; essi si rifiutarono di pagare se non fossero stati estesi i loro privilegi.

La rivoluzione cominciò quindi col tentativo dell’aristocrazia di impadronirsi nuovamente dello Stato. Fu un tentativo sbagliato per due motivi: esso sottovalutava le aspirazioni indipendentiste del terzo stato e trascurava la profonda crisi economica e sociale in mezzo alla quale faceva cadere le sue richieste politiche. La Rivoluzione Francese non fu attuata o guidata da un partito o un movimento organizzato nel senso moderno del termine, né da uomini che tentavano di attuare un programma sistematico. Ciò non di meno, un sorprendente consenso di idee generali in seno a un gruppo sociale abbastanza compatto diede al movimento rivoluzionario una effettiva unità. Questo gruppo era la borghesia, le sue idee erano quelle del liberalismo classico, quali erano state formulate dai filosofi, dagli economisti, e propagate dalla massoneria e da associazioni a carattere non ufficiale. Sotto questo aspetto il merito della rivoluzione può essere giustamente attribuito ai filosofi.

All’apice della Rivoluzione Francese arrivò il «Terrore» che ha devastato la Francia nel decennio dal 1789 al 1799. Per quanto sia possibile distinguere in esso periodi diversi, il primo, nell’agosto-settembre del 1792; il secondo, dalla caduta dei girondini il 2 giugno 1793, alla caduta di Maximilien de Robespierre, il 28 luglio 1794, appare più rispondente alla realtà storica considerare il Terrore un blocco unitario, come esito coerente di un movimento che, per accelerazioni progressive, volle fare terra bruciata del passato religioso, culturale e civile della Francia, e praticò sistematicamente, come metodo di lotta politica, l’annientamento dell’avversario esercitando il potere in modo totalitario.

Fra i più rilevanti provvedimenti, grondanti intrinseca ingiustizia, antecedenti alla fase strettamente terroristica, vanno ricordati la confisca dei beni della Chiesa Cattolica, la loro trasformazione in beni nazionali e la loro vendita all’incanto, con i decreti del 17 marzo e del 14 maggio 1790; la Costituzione Civile del Clero, del 12 luglio 1790 che voleva svellere il clero cattolico dalla Chiesa Universale, e la legge Le Chapelier del 14 giugno 1791 che interdiceva qualsivoglia associazione fra cittadini esercitanti il medesimo mestiere.

Focalizzando l’attenzione sul primo periodo del Terrore: agosto-settembre 1792, si può osservare che, a partire dall’estate del 1792, la violenza abbandonò le apparenze legalistiche. Il 10 agosto 1792, la marmaglia che già aveva fatto, sotto la guida di abili mestatori, la prova generale il 20 giugno precedente, assale, sospinta dalla Comune insurrezionale, il palazzo delle Tuilleries, da cui Re Luigi XVI di Borbone si era allontanato con la famiglia per porsi sotto la protezione dell’Assemblea Legislativa. Alle guardie svizzere, fedeli alla consegna di difendere la residenza reale, il sovrano, sollecitato dai deputati, trasmette l’improvviso ordine di cessare la resistenza.

Presa delle Tuileries

Jean Duplessis-Bertaux, Presa del Palazzo delle Tuileries il 10 agosto 1792, durante la Rivoluzione Francese, 1793, Reggia di Versailles (Francia)

È l’inizio del Terrore. Scampato il pericolo la folla stermina gli Svizzeri e gli altri difensori.

La Comune impone l’elezione di un nuovo corpo assembleare e la decadenza del Re: l’Assemblea terrorizzata sospende il Re fino a che si pronunci la Convenzione nazionale.

La Comune, affermando la sua dittatura, incarcera il Re, insieme con la famiglia nella prigione del Tempio.

Si scatena la caccia ai sospetti: i vincitori arrestano i sacerdoti che non hanno prestato giuramento alla Costituzione Civile del Clero, detti «refrattari» in contrapposizione ai «giurati», gli aristocratici, i parenti degli emigrati e i semplici cittadini malvisti dai sanculotti parigini. Poi, all’inizio di settembre, all’annuncio che l’armata prussiana preme alla frontiera, gli agitatori trucidano nelle prigioni gli arrestati. La carneficina, iniziata il 2 settembre, prosegue il 3, 4 e 5 successivi. Le prime esecuzioni sono compiute al convento dei Carmelitani, trasformato in prigione dei sacerdoti fedeli alla Chiesa. Dopo un macello iniziale, compiuto in modo indiscriminato e disordinato a colpi di fucile, di sciabola e di picca, è inscenata una parodia giudiziaria. Il commissario di una sezione della Comune si installa in un corridoio del pianterreno e si fa consegnare la lista dei prigionieri. A due a due i sacerdoti sopravvissuti gli sono presentati innanzi. Con zelo repubblicano, Violette (così si chiamava il figuro) si assicura dell’identità e della persistenza del rifiuto del giuramento. Poi pronuncia la sentenza che viene eseguita immediatamente con l’uso delle armi più diverse. Dei 150-160 prigionieri, la grandissima parte sacerdoti, 115 sono uccisi: fra essi il beato Jean-Marie du Lau d’Alleman (1738-1792), Arcivescovo di Arles e i fratelli De La Rochefoucauld-Bayers, il beato Francois-Joseph, Vescovo di Beauvais e il beato Pierre-Luois, Vescovo di Saintes.

Maria Teresa di Savoia Carignano, principessa de Lamballe (1749-1792) è vittima dei massacri di settembre; la sua testa, issata su una picca, è condotta come trofeo per le vie della città e portata innanzi alla prigione del Tempio affinché la Regina Maria Antonietta (1755-1793) possa vederla. Sono uccisi circa 1.300 prigionieri dei 2.500 imprigionati.

Il Comitato di Sorveglianza Rivoluzionaria della Comune si affretta a informare, già in data 3 settembre, i Comitati Dipartimentali che «…una parte dei cospiratori feroci detenuti nelle prigioni è stata messa a morte dal popolo e che gli atti di giustizia sono apparsi indispensabili al popolo per trattenere con il terrore le migliaia di traditori».

Georges-Jacques Danton (1759-1794), artefice dell’insurrezione del 10 agosto e Ministro della Giustizia al momento dei massacri, risponde, all’ispettore delle prigioni che gli manifesta inquietudine: «Me ne fotto dei prigionieri; divengano ciò che potranno». E il 2 settembre proclama: «Il popolo vuole farsi giustizia da sé di tutti i cattivi soggetti che sono nelle prigioni». Il 3 aggiunge: «Questa esecuzione era necessaria per tranquillizzare il popolo di Parigi. È un sacrificio indispensabile; d’altra parte il popolo non si sbaglia… "Vox populi, vox Dei", è questo l’adagio più vero e repubblicano che io conosca».

Il secondo periodo parte dal giugno 1793 al luglio del 1794 e con l’elezione dei membri della Convenzione, il 21 settembre 1792, sorge la nuova «legalità» repubblicana.

Il Terrore assume forme più raffinate e vuole divenire «legale». Lo stesso 21 settembre la Convenzione proclama all’unanimità l’abolizione della monarchia e il 25 la Repubblica è dichiarata «una e indivisibile». Però l’odio comune contro la religione cattolica e la tradizione storica della Francia cela feroci contrasti fra le fazioni. Già il 25 ottobre Robespierre, accusato in assemblea di volersi fare tiranno, rivendica orgogliosamente la contrarietà al diritto di tutta la Rivoluzione che egli individua come un blocco unitario. Il Terrore, religioso, politico, militare, economico, è organizzato sistematicamente per accelerare il corso della Rivoluzione. Consapevoli di essere un’infima minoranza in Parigi, e ancor più nel Paese, i membri della setta giacobina terrorizzano la Francia intera. Il regime di annichilimento è diretto dal Comitato di Salute Pubblica, creato il 6 aprile 1793, che esercita di fatto il governo del Paese. Nella fase più allucinante del Terrore, dal settembre del 1793 al luglio del 1794, ne fanno parte dodici uomini, di cui Robespierre è l’elemento trainante e Louis Saint-Just e Georges Couthon i più ascoltati consiglieri. Il Comitato si avvale del Tribunale rivoluzionario, Tribunale criminale straordinario, creato il 10 marzo 1793 e di una serie di leggi eccezionali fra cui va ricordata quella sui sospetti, del 17 settembre 1793, che prevede l’arresto e la messa a morte di chiunque non sia allineato con il Comitato. L’infrastruttura indispensabile alla Repubblica del Terrore è costituita dai Comitati di Sorveglianza Rivoluzionaria, diffusi su tutto il territorio nazionale nel numero di più di ventimila, con poteri di polizia che prevedono l’arresto dei «nemici della libertà».

I sacerdoti, ormai anche quelli «giurati», appartengono alla categoria dei sospetti e possono essere messi a morte in qualsiasi momento. È imposto il calendario repubblicano, allo scopo di abolire ogni traccia cristiana e cancellare il ritmo settimanale con la centralità della domenica. La scristianizzazione si accanisce contro le chiese, gli oggetti di culto e di arte e contro le memorie dei defunti. A Parigi il Vescovo Jean-Baptiste Joseph Gobel (1727-1794), collaborazionista e rivoluzionario lui stesso, abdica pubblicamente, prono agli ordini della Comune, alle funzioni episcopali, deponendo il 7 novembre 1793 la croce pettorale e l’anello nelle mani dei convenzionali senza che il gesto gli serva per scampare alla ghigliottina l’anno successivo. Il 10 novembre si celebra nella cattedrale di Notre-Dame una grottesca festa della Ragione: al centro un tempio simil-greco circondato da cartapesta; ai lati i busti di Voltaire, di Jean-Jacques Rousseau e di Benjamin Franklin; sulla scena un’attrice dell’Opera rappresenta la Ragione. Il 23 novembre la Comune decreta la chiusura di tutte le chiese di Parigi. La miseria e la fame flagellano le città, per le cui strade si consuma la caccia ai sospetti. Le delazioni sono innumerevoli e il Tribunale Rivoluzionario stenta a tenere il passo, sì che la Convenzione, preoccupata dell’efficienza del sistema, approva, il 10 giugno 1794, la riforma: sola pena prevista è la morte; tutti i cittadini hanno l’obbligo di denunciare i cospiratori e i controrivoluzionari; non vi è più bisogno di ascoltare testimoni, a meno che la «formalità» non sia necessaria per scoprire altri complici; le deposizioni sono soltanto orali e non più scritte; i difensori sono aboliti. L’articolo sedicesimo della legge statuisce infatti che i difensori dei patrioti calunniati sono gli stessi giurati patrioti; i cospiratori, invece, non meritano difensori di sorta. Grazie a tale legge è reso più sbrigativo il sistema delle «infornate» di condannati. Ogni giorno può essere giudicato un numero doppio di accusati rispetto a prima, il che fa salire il rendimento in numero mensile di ghigliottinati in modo considerevole; rispetto alle poche centinaia di ghigliottinati mensili nel periodo precedente, vi sono duemila esecuzioni capitali a Parigi nel solo mese di giugno, ove la ghigliottina funziona ininterrottamente per sei ore al giorno.

Anche i giudici, che regolano la procedura, sono nominati dalla Convenzione.

Il primo Presidente del Tribunale, Jacques Bernard Marie Montané è messo in disparte il 23 agosto 1793 perché accusato di moderatismo; il secondo, Martial Armand Herman, amico di Robespierre e per questo chiamato alla presidenza è giudicato troppo debole in occasione del processo di Danton, chiuso con sentenza di morte all’inizio di aprile del 1794, e sostituito da René Francois Dumas, ex-prete, ex-avvocato e infine rivoluzionario a tempo pieno, stretto collaboratore di Robespierre: nominato Presidente l’8 aprile 1794, Dumas sa terrorizzare il suo uditorio e ridurre al silenzio le vittime con la violenza dei suoi interventi.

Le poche migliaia di ghigliottinati «legali» a Parigi sono piccola cosa rispetto alle carneficine compiute in provincia, soprattutto rispetto al genocidio vandeano consumatosi a partire dall’estate del 1793, e alla strage dei cittadini di Lione, realizzata dopo l’eroica resistenza della città alle truppe rivoluzionarie dal 14 agosto al 9 ottobre 1793.

Tuttavia il Terrore parigino è immenso soprattutto ideologicamente, frutto parossistico e nevrotico della dottrina giacobina dell’eliminazione che per fondare la Repubblica conduce a sopprimere successivamente o congiuntamente i veri nemici, i semplici avversari, i compagni di strada deviati, quanti comunque rappresentano simbolicamente per la loro situazione sociale non soltanto l’Antico Regime ma anche la monarchia costituzionale e infine i tiepidi.

Il significato annientatore e la profondità di calcolo del Terrore sono ben compendiati in una istruzione del dicembre del 1792 che la Convenzione (all’epoca ancora controllata dai girondini) detta ai commissari nel Belgio occupato: «Sventura al popolo che cercherà di liberarsi senza spezzare nello stesso istante tutte le catene. Ogni rivoluzione esige un potere provvisorio che ordini i suoi movimenti disorganizzatori, che sia capace in qualche modo di demolire con metodo».

(anno 2003)

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