L’epoca di Qianlong: il XVIII secolo, apogeo dell’Impero Cinese
Un’epoca di grande splendore, anche se non priva di nubi, terminata a causa di una mancata riforma della struttura amministrativa e delle aggressive politiche commerciali inglesi

Così come fu di estrema importanza il XVIII secolo per l’Europa, lo stesso si può dire della Cina.

Questo secolo d’oro dell’Impero Celeste venne inaugurato con l’Imperatore Kangxi (1662-1723), nonno dell’Imperatore Qianlong, su cui in particolare ci soffermeremo, proseguito poi col figlio Yongzheng (1723-1735) e terminato appunto da Qianlong (1735-1795), Sovrani che meritano l’appellativo, che viene riconosciuto anche ad alcuni Sovrani Europei, di «despoti illuminati».

Nel corso di questa epoca prospera accaddero alcuni fatti significativi, come un’incredibile aumento della popolazione (praticamente raddoppiata dal 1700 al 1800), una crescita economica senza precedenti, un’espansione del territorio imperiale, un miglioramento della vita intellettuale e culturale e un incremento significativo degli scambi con il mondo occidentale.

Grazie all’opera di pacificazione del nonno, che decretò la definitiva vittoria della nuova dinastia manciù[1] dei Qing sulla maggioranza della popolazione cinese han, e del padre, che operò una sistemazione efficace del fisco, Qianlong aveva ereditato un territorio ricco e immenso che incorporava territori e popolazioni molto diversi tra loro sotto l’autorità di un Sovrano unico e universale.

Qianlong non era soltanto il Figlio del Cielo per i suoi sudditi cinesi, ma anche il Khan dei Khan per i Mongoli, il Chakravartin («Sovrano i cui movimenti sono inarrestabili», Sovrano assoluto) per i Tibetani, e così via: era il Sovrano di un Impero multietnico la cui unità risiedeva nella sua persona.

L'Imperatore Qianlong

Giuseppe Castiglione, L'Imperatore Qianlong in armatura a cavallo, 1758, Palace Museum, Pechino (Cina)

Qianlong stesso contribuì a espandere ulteriormente l’Impero, portandolo alla sua massima estensione con le sue campagne militari nei confini settentrionali e occidentali, zone strategiche per la sicurezza del Regno.

Un territorio così vasto presuppone anche una popolazione considerevole, tenendo conto che la Cina interna era una delle zone più fertili del mondo. Al momento dell’insediamento di Qianlong, la popolazione era di 200 milioni di abitanti, già aumentata di 50 milioni dall’inizio del secolo in solo trent’anni, e destinata ad accrescersi ancora sotto il regno di Qianlong, per arrivare all’inizio del XIX secolo a 300 milioni di persone.

La crescita della popolazione è uno dei dati più sorprendenti, se non il più sorprendente, del Settecento Cinese se si confronta soprattutto con la più modesta crescita demografica europea.

Le cause di questo incredibile aumento non sono tuttavia chiare. Probabilmente incisiva sembra essere stata una diminuzione della mortalità, grazie a miglioramenti delle condizioni di vita e nell’assistenza medica (in particolare la diffusione della pratica dell’inoculazione contro il vaiolo), soprattutto ai progressi nelle pratiche ostetriche e nella cura dei bambini che avrebbero ridotto la mortalità infantile. Inoltre la fine della conflittualità interna a partire dagli anni ’80 del XVII secolo, e la situazione di pace che durò fino alla fine del Settecento (eccezion fatta per le campagne militari nelle regioni di confine che non furono però incisive in termini di perdite di vite), contribuirono a contrastare la diminuzione della popolazione.

A concorrere alla crescita demografica fu anche il fatto che il Settecento fu per la Cina un’era di prosperità grazie al progresso agricolo, commerciale e artigianale.

Le politiche del Governo sulla mobilità geografica e la possibilità di stanziarsi in territori incolti ricevendo sgravi fiscali, incoraggiarono la diminuzione della pratica dell’infanticidio, che, sebbene in prevalenza, non era applicata alle sole bambine. All’aumento della superficie coltivata si accompagnò anche l’introduzione, promossa spesso dagli ufficiali locali, di nuove colture americane, come la patata dolce, il mais e le arachidi, che contribuirono ad avversare la malnutrizione. Non è un caso che la popolazione crebbe di più nelle campagne rispetto alle zone urbane, in contrasto con quanto accadeva in Europa: era nelle zone rurali infatti che si avevano maggiori possibilità di migliorare la propria sussistenza. Per fare un paragone con la realtà europea possiamo prendere d’esempio le parole di Gernet quando dice che «il contadino cinese dell’era Yongzheng e della prima metà dell’era Qianlong è, in via generale, meglio nutrito e sta meglio del contadino francese del regno di Luigi XV, ed è anche generalmente più istruito»[2]. Inoltre, le politiche dei Qing erano molto favorevoli alla classe contadina, imponendo una bassa tassazione che favorì una diffusione della prosperità e la crescita della popolazione. Da segnalare è anche il fatto che la nuova tassazione calcolata sulla terra coltivata e non più a persona, introdotta da Kangxi, rese inutile la pratica di sottostimare la popolazione, dichiarando meno componenti di una famiglia per versare meno tasse. Nel 1745 Qianlong proclamò la prima amnistia (ne seguiranno altre tre nel 1770, 1777 e 1790) dalla tassa sulla terra, dando avvio a una politica di detassazione che andava nella direzione opposta a quella di Yongzheng di costruire un solido bilancio statale, nella convinzione che il benessere dell’Impero avesse raggiunto un livello tale da poter rinunciare a una parte consistente di entrate.

Accanto allo sviluppo agrario, ci fu anche un’espansione dell’artigianato e del commercio, soprattutto quello interregionale; per farsi un’idea dell’entità degli scambi, si può dire che il volume del commercio di grano della Cina Settecentesca era cinque volte più grande di quello europeo, ristretto però in ambito locale. Infatti, nonostante l’agricoltura rivestisse un’importanza preponderante a livello economico e culturale, non è meno vero che la Cina del Settecento era probabilmente il Paese più commercializzato del mondo, e continuò ad esserlo anche dopo le guerre dell’oppio.

Ma lo sviluppo commerciale cominciò molto prima dell’arrivo degli Europei sulle coste cinesi: a partire dalla metà del XVI secolo l’Impero fu investito da una rivoluzione commerciale, che toccò l’apice nel Settecento, che vedeva una penetrazione del commercio fino alle società rurali locali. A favorire la rivoluzione commerciale furono anche le politiche dei Qing volte a eliminare le leggi in vigore con la precedente dinastia Ming contro la mobilità, che riducevano la possibilità della circolazione delle merci, e l’adozione di leggi che tutelavano i contratti commerciali e i diritti di proprietà. I Qing promossero attivamente il commercio privato, dato che tutte le merci, tranne il sale e il rame, potevano essere liberamente commerciate, e il prelievo fiscale sul commercio interno ed estero rimase basso. Un forte impulso allo sviluppo commerciale venne anche dalle massicce quantità di argento messicano che attraverso Manila giungevano nelle coste cinesi: non solo l’argento straniero comprava i prodotti cinesi, ma la Corte Qing cominciò a chiedere il pagamento della tassa sulla terra in argento anziché in grano, incentivando in questo modo i contadini a vendere i loro raccolti anziché consumarli o barattarli.

La Cina commerciava col tutto il mondo: dalle Americhe, al Giappone e al Sud-Est Asiatico fino in Europa, sebbene le leggi che regolavano il traffico con quest’ultima fossero molto rigide (indurite proprio da Qianlong), tanto da trasformare alla lunga nel corso del secolo l’irritazione dei commercianti inglesi (leader alla fine del Settecento del mercato estero in Cina), dopo due ambasciate britanniche fallite, nelle guerre dell’oppio del XIX secolo. Ma questa è un’altra storia.

La prosperità della Cina del primo Settecento permise a Qianlong di poter affrontare lunghe campagne militari che, come abbiamo accennato sopra, contribuirono sensibilmente all’aumento del territorio cinese, portando i confini dell’Impero a limiti mai eguagliati. Sebbene la caratterizzazione di Qianlong come Sovrano guerriero sia molto forte, fatta strumentalmente dallo stesso Imperatore per creare un collegamento con la memoria del nonno Kangxi, grande condottiero artefice della conquista manciù, essa non è la sola immagine che Qianlong volle lasciare di sé.

In riferimento sempre alla figura di Kangxi, che riunì alla sua Corte gli intellettuali e scienziati più illustri (tra le sue grazie in primis i Gesuiti in missione evangelica), anche Qianlong ebbe un ruolo importante nello sviluppo e nella valorizzazione della cultura cinese. Egli stesso poeta, l’Imperatore promosse studi e opere che recuperavano le tradizioni manciù (lingua, storia e religione), preoccupato che l’eccessiva integrazione con l’etnia maggioritaria han potesse in qualche modo «inquinare» l’autenticità della stirpe dominante.

Le vittorie del Sovrano contribuirono all’espansione delle conoscenze geografiche e Qianlong si impegnò a diffondere nell’Impero le notizie dell’acquisizione dei nuovi territori, promuovendo gazzette locali, ma soprattutto dando il suo beneplacito per la realizzazione di nuove carte geografiche che comprendessero le recenti conquiste, sfruttando per questo compito le competenze degli scienziati gesuiti presenti a Corte (carte che grazie ai contatti di questi con l’Europa furono conosciute quasi contemporaneamente nel nostro continente). Ma l’iniziativa culturale più importante di Qianlong fu senza dubbio la realizzazione della Siku quanshu, la «Biblioteca Completa dei Quattro Tesori», un’antologia comprendente tutto quello scritto fino a quel momento in cinese, senza distinzioni di genere, epoca o lunghezza («Quattro Tesori» si riferisce appunto alle quattro sezioni in cui sono classificati i testi cinesi, classici, storici, filosofici e raccolte). Copiata a mano tra il 1773 e il 1782 con la collaborazione di 361 studiosi, questa imponente raccolta comprendeva 36.000 volumi, per un totale di 4,7 milioni di pagine, le quali riproducevano interamente 3.500 opere diverse. Potrebbe sorgere spontaneo un paragone con il contemporaneo progetto europeo dell’Encyclopedie, ma gli scopi delle due opere sono totalmente diversi. Se nel discorso preliminare del lavoro curato da Diderot, leggiamo che l’opera «ha due scopi: in quanto Enciclopedia, deve esporre quanto più è possibile l’ordine e la connessione delle conoscenze umane; in quanto Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri, deve spiegare i principi generali su cui si fonda ogni scienza e arte, liberale o meccanica, e i più notevoli particolari che ne costituiscono il corpo e l’essenza», nel Siku quanshu gli obiettivi sono tutt’altri. In primo luogo la gloria dell’Imperatore: Qianlong si augurava, patrocinando quest’opera, di entrare nel pantheon dei grandi uomini di lettere, come il nonno, e di accrescere la sua biblioteca personale (era un grande collezionista di libri). Un altro scopo, quello più meritevole, era migliorare le conoscenze letterarie e spurgare i testi dagli errori di ricopiatura che si erano tramandati di generazione in generazione, tornando alle versioni originarie dei testi: per questa sua caratteristica la «Biblioteca Completa» è un’opera che viene usata ancora oggi. L’ultimo obiettivo, quello che più di tutti probabilmente allontana un confronto con l’Encyclopedie, è quello censorio: trovare ed eliminare tutti i rimandi alla letteratura anti-manciù. La censura governativa era intervenuta già col regno di Kangxi e Yongzheng, stabilendo con vari editti pene per autori, stampatori e librai che scrivevano e facevano circolare testi giudicati pericolosi dalle autorità. Qianlong inasprì tali pene e pubblicò nuovi elenchi di opere proibite: dopo poco più di un secolo dalla conquista, l’élite manciù non si sentiva ancora totalmente sicura da complotti han che minassero il suo potere. Così, paradossalmente, un’opera che aveva come oggetto primario preservare la letteratura cinese, divenne l’emblema della repressione censoria, con 2.900 opere che furono distrutte per sempre, repressione alimentata dagli ufficiali sparsi nell’Impero, che in quel modo credevano di compiacere l’Imperatore, preoccupati per le loro carriere.

L’ultima fase dell’era Qianlong concise col declino dell’Impero Cinese, che si concluse dopo la sua morte con le sconfitte nelle guerre dell’oppio fino alla definitiva fine della millenaria istituzione imperiale. A contribuire al declino furono le stesse politiche di Qianlong: l’Impero era diventato troppo grande da gestire senza un’adeguata struttura amministrativa, e l’Imperatore si rifiutò di aumentare il numero di funzionari per inseguire la sua politica di avere un bilancio statale leggero e non gravoso. Davanti alle difficoltà amministrative, molti funzionari cedettero alle pressioni dei potenti locali, corruzione e mal costume dilagarono, grazie alla complicità della nuova atmosfera presente a Corte, dominata dal neo favorito dell’Imperatore, il parvenu Hešen (1756-1799), abile manipolatore e al centro di una rete intrecciata di malversazioni a danno dell’erario imperiale. La stessa crescita della popolazione portò a un impoverimento della terra e a una minore resa e fertilità, che provocò malcontenti e aumentò l’instabilità sociale, esplicitata nella creazione di fratellanze religiose fanatiche pericolose per l’ordine pubblico: tra le varie ribellioni quella più grave avvenne nel 1796, quando scoppiò la rivolta del Loto Bianco[3], una setta messianica che costrinse il nuovo Imperatore Jinqing a una lunga guerra fino al 1805, prosciugando le casse imperiali.

A mandare definitivamente in crisi il Celeste Impero, furono le aggressive politiche commerciali inglesi che si concretizzarono nelle due guerre dell’oppio (1839-1842, 1856-1860), che misero la parola fine all’epoca d’oro del Settecento Cinese.


Bibliografia di riferimento

Rowe, William T., China’s last Empire: the great Qing, The Belknap Press of Harvard University Press, Cambridge, 2009

Gernet, Jacques, L’Impero Cinese, Einaudi, Torino, 1978

Elliott, Mark C., Emperor Qianlong: Son of Heaven, Man of the World, Longman Publishing Group, 2009.


Note

1 I Manciù erano una popolazione proveniente dal confine Nord-Orientale della Cina (area nota dal 1800 come Manciuria), una regione storicamente terra di tribù nomadi o semi-nomadi. Il nome «manciù» («manju») fa la comparsa nel 1636, indicando la nuova unione dei tre gruppi principali che abitavano la regione. Negli ultimi anni è in corso un dibattito storiografico sul concetto stesso di manciù: secondo la visione tradizionale, il popolo manciù ha una sua propria caratterizzazione biologica e culturale che lo distingueva nettamente dalla popolazione han (Cinesi propriamente detti) già prima della conquista dell’Impero Cinese; secondo una visione recente invece il popolo che ha cacciato i Ming non aveva una identità biologica e culturale netta, ma questa si è costruita nel corso dei secoli ad opera soprattutto dell’Imperatore Qianlong; per riferimenti su questo dibattito confronta Rowe, William T., China’s last Empire: the great Qing, The Belknap Press of Harvard University Press, Cambridge, 2009, pagine 12-13.

2 Gernet, Jacques, L’Impero Cinese, Einaudi, Torino, 1978, pagine 452-453.

3 La setta del Loto Bianco combinava credenza buddiste e taoiste con la venerazione di una figura conosciuta come l’Ingenerata Venerabile Madre. I credenti erano convinti che la fine del mondo fosse vicina e si preparavano all’apparizione di Maitreya, l’ultimo Buddha a comparire sulla Terra, che avrebbe proclamato una nuova era. Le origini della setta non sono chiare per la presenza di elementi teologici comuni con altre organizzazioni religiose simili, ma si stima che risalgano al XVI secolo. Gli adepti provenivano principalmente dagli strati più poveri e disagiati della popolazione e tra di loro vigeva l’eguaglianza tra uomini e donne. Confronta Elliott, Mark C., Emperor Qianlong: Son of Heaven, Man of the World, Longman Publishing Group, 2009, pagina 159.

(marzo 2015)

Tag: Serena Manucci, Cina, Europa, Settecento, Oriente, Gesuiti, Cinesi, Qianlong, Impero Cinese, Manciù, Qing, Celeste Impero, apogeo dell'Impero Cinese, guerre dell'oppio, Siku quanshu, Encyclopedie.