Pietro il Grande: Sovrano illuminato o «le plus barbare de tous les hommes»?
Come i «philosophes» guardarono e giudicarono il primo Zar «moderno»

La storiografia contemporanea colloca tradizionalmente l’inizio dell’età moderna russa con l’avvento di Pietro il Grande al trono degli Zar (nel 1696 diviene Zar unico, dopo aver affiancato dal 1682 l’infermo zio Ivan). Il perché di questa scelta storiografica si comprende nel momento in cui ci si sofferma a indagare l’operato di questo Sovrano, poi Imperatore: Pietro ebbe come obiettivo costante l’uscita della Moscovia dallo stato feudale e antiquato nel quale vegetava da secoli, attraverso un rapido quanto shockante ammodernamento. Il passaggio da età medievale a età moderna fu infatti più traumatico in Russia di quanto non fu in Europa Occidentale: non era avvenuto in Russia quel fenomeno di superamento della mentalità tradizionale che fu il Rinascimento, né era nato un rinnovamento religioso radicale come lo fu la Riforma. Così come nell'Europa moderna permasero caratteri dell'età precedente, analogamente la rivoluzione culturale petrina non poteva cancellare nel giro di pochi decenni le strutture mentali e statali russe che per secoli erano state alla base della società; paradossalmente, alcune di esse furono rafforzate, come la stessa autocrazia, che le riforme di Pietro contribuirono a consolidare. Inoltre non va dimenticato che l'europeizzazione dello Zar coinvolse solo una parte della popolazione: si aprì con Pietro il Grande quella frattura tra ceti alti e masse popolari che sarà sempre più crescente e che nemmeno le tardive riforme di Alessandro II riuscirono in qualche modo a rimarginare. Nonostante queste premesse l'operato di Pietro si può definire in un certo senso «rivoluzionario», perché le sue riforme hanno messo in moto «un processo che ha spezzato tradizioni locali di per sé incapaci di autosuperarsi spontaneamente, con le loro proprie risorse»[1], contrariamente alla modernizzazione europea che è avvenuta in maniera organica e continua. L'opera di Pietro il Grande avvenne nello stesso momento storico che vide la nascita del più grande movimento culturale e filosofico del Settecento, l'Illuminismo. E i «philosophes» francesi furono particolarmente interessati all’operato dello Zar, come dimostrano i fiumi di inchiostro versati a indagare, criticare, lodare le gesta del primo Imperatore di tutte le Russie.

Il 1717 è l'anno che vede nascere l'interesse per la Russia in Francia: è la visita dello Zar a Parigi in quell'anno a suscitare la curiosità (e anche lo scandalo) dei Francesi. Tra la folla di curiosi accorsi per cercare di ammirare lo Zar, vi era un osservatore particolare, Voltaire. Già Fontanelle e Leibniz avevano posto le basi per la costruzione del mito pietrino, ma fu Voltaire che lo portò al culmine e lo rese virale nel pubblico colto europeo. Nella sua Histoire de Charles XII (1730), il filosofo francese compie una lunga digressione sulla Moscovia, ammirando lo Zar che si era fatto carico di creare una «Nation nouvelle» [«una Nazione nuova»], riformando lo Stato in tutti i suoi aspetti, guardando all'Europa. Nello stesso testo però Voltaire sottolinea la mancanza di una virtù indispensabile per un «réformateur des hommes» [«riformatore d’uomini»], l'umanità: «De la brutalité dans ses plaisirs, de la férocité dans ses mœurs, de la barbarie dans ses vengeanges, se mêlaient à tant de vertus. Il poliçait ses peuples, et il était sauvage»[2]. Questa caratterizzazione in parte negativa di Pietro deriva soprattutto dalla volontà dell'autore di costruire un antieroe, una nemesi di Carlo XII, il protagonista, il vero protagonista della sua opera. Col passare degli anni, però, cresce in Voltaire l'ammirazione e la curiosità per lo Zar riformatore, tanto che nel 1748 viene pubblicata, in forma anonima, l'opera Anecdotes sur le Czar Pierre-le-Grand, quasi un'anticipazione di quello che sarà poi, più di dieci anni dopo, il tributo di Voltaire a Pietro, l'Histoire de l'empire de Russie sous Pierre le Grand, uscito in due volumi. È stato più volte detto che questa sia stata un'opera su commissione, che Voltaire sia stato in qualche modo «comprato» dalla Corte Russa con ori e pellicce; in realtà i contatti con San Pietroburgo ci furono esclusivamente per la necessità di reperire fonti documentarie per la stesura dell'opera.

Come lo storico Albert Lortholary ha sottolineato, l'Histoire di Voltaire è un'«œuvre de combat» [«opera da battaglia»][3], ovvero si tratta di un lavoro che ha come scopo quello di mostrare che il progresso necessita della distruzione del passato, e soprattutto dei suoi strumenti principali, la Chiesa e i privilegi sociali. La vicenda di Pietro il Grande è inoltre la dimostrazione che la felicità dipende solo dalla volontà degli uomini di agire secondo Ragione: Pietro è l'autore del «miracle russe» [«miracolo russo»], lo Zar incarna la possibilità concreta di azioni illuminate. Voltaire punta l'attenzione su due punti chiave: da una parte evidenzia il fatto che Pietro ha creato dal nulla la nuova Russia, dall'altra mostra come questa nuova Russia abbia tutti gli elementi per far parte dei Paesi più avanzati d'Europa, e come in alcuni campi (come la subordinazione della Chiesa allo Stato, l'unificazione dei pesi e delle misure all'interno del Paese, la meritocrazia) sia già più progredita e possa fare da esempio. L'Histoire de l'empire de Russie sous Pierre le Grand, più che essere uno studio storico, è lo sviluppo di un mito; Voltaire utilizza la storia dello Zar, spesso anche manipolandola, per affermare la sua filosofia politica: con la Ragione si può arrivare al Progresso, e Pietro è il primo a intraprendere questa strada, un modello per i futuri Sovrani illuminati, come Federico di Prussia e la Zarina Caterina.

Probabilmente il più grande difetto dell'opera è proprio l'eccessiva glorificazione di Pietro il Grande e l'eccessiva enfasi attribuita alle sue riforme. Queste caratteristiche non passarono inosservate ai critici dell'opera. Infatti, nonostante l'Histoire riscuotesse successo, con un gran numero di edizioni pubblicate e recensioni elogiative dai periodici dell'epoca, fu oggetto di giudizi negativi, anche da amici dello scrittore, come Diderot, che non ne rimase impressionato. Il confronto più aspro Voltaire però lo ebbe con Jean-Jacques Rousseau.

In parte l’atteggiamento critico di Rousseau fu dovuto alle sue simpatie per la Polonia; già nell’opera Considérations sur le gouvernement de Pologne è possibile farsi un'idea di ciò che pensava Rousseau del popolo russo: «Malgré l’expérience assez frappante que les Russes viennent des faire en Pologne rien ne les fera changer d’opinion. Ils regarderont toujour les hommes libres comme il faut les regarder eux-mêmes, c’est-à-dire comme des hommes nuls, sur lesquels deux seuls instrumens ont prise, savoir l’argent & le knout»[4]. È però nel Contrat Social, nell'edizione del 1762 (nella prima edizione del 1758-1760 non c'è alcun riferimento alla Russia) che Rousseau esprime il suo giudizio più compiuto su Pietro il Grande e il suo Paese; un’evidente risposta al primo volume dell’Histoire de l'empire de Russie sous Pierre le Grand di Voltaire apparsa nel 1758.

Lo Zar riformatore, che tanta ammirazione aveva suscitato nel suo rivale, altro non è che un imitatore di leggi e maniere che non appartengono al suo popolo. Pietro, «génie imitatif» [«genio imitativo»], invece di tirare fuori il vero carattere nazionale russo, lo ha trasformato in quello che non è; l'europeizzazione non è naturale, né tanto meno positiva: per la prima volta viene criticata la filosofia illuminista dell'universalità (leggi: europeizzazione) in favore del rispetto della storia e delle particolarità di un popolo.

Le riforme di Pietro sono solo superficiali, così come è superficiale la sua pretesa di aver intrapreso la civilizzazione della Russia, poiché si tratta di riforme che non appartengono al carattere del popolo russo e lo vogliono trasformare in ciò che non è. Pietro ha visto il suo popolo barbaro, ma non si è accorto che non era ancora maturo per la civiltà: secondo Rousseau la legislatura di un popolo, che deve corrispondere alla sua natura, può essere cambiata solo nella sua gioventù, unica fase in cui un popolo può essere plasmato. Il popolo russo quindi non può diventare civile per Rousseau perché è stato barbaro troppo a lungo: col passare del tempo avrebbe visto il prevalere di elementi asiatici, proprio perché incapace di uscire dalla barbarie.

Giudizi non dissimili sulla Russia pietrina, si trovano anche nelle opere di Montesquieu. Come il Ginevrino Rousseau, neanche il pensatore francese aveva scritto un’opera sistematica su Pietro il Grande, ma le sue considerazioni le troviamo in molti testi, dalle Lettres Persanes (1721), all’Esprit des Lois (1748), passando per Le Spicilège, dove Montesquieu definisce Pietro «le plus barbare de tous les hommes» [«il più barbaro di tutti gli uomini»].

Le Lettres offrono delle considerazioni tutto sommato positive: benché la Russia si collochi tra i Paesi soggetti a un regime dispotico a causa delle sue caratteristiche (immobilità dei costumi, vastità del Regno, impossibilità di uscire dai confini), un Sovrano diverso, che «a voulu tout changer» [«ha voluto cambiare tutto»], sembra voler uscire fuori dagli schemi dispotici promuovendo le arti e riformando il clero. Un approfondimento più critico dell'operato dello Zar si evidenzia invece nell'Esprit des Lois. In quest'opera sono presenti più di ventitré riferimenti sulla Russia o Moscovia, tutti associati al Governo dispotico, e il quadro generale che risulta dell'operato di Pietro e dei suoi sudditi è sostanzialmente negativo. La Russia, sebbene sia degna dell'interesse europeo grazie al suo rapido progresso sotto lo Zar Pietro, ha ancora davanti a sé dei difficili ostacoli per realizzare a pieno il processo di europeizzazione. In primo luogo i suoi abitanti e il loro stesso Sovrano conservano atteggiamenti barbari e crudeli, tanto che «il faut écorcher un Moscovite, pour lui donner du sentiment»[5]. In secondo luogo la Russia rimaneva un Governo dispotico, dove vigeva un sistema di schiavitù. Al cuore del dispotismo russo stava l'assenza del terzo stato, la mancanza di una classe sociale che rappresentasse i poteri intermedi, una componente fondamentale per l'esistenza di uno Stato libero secondo Montesquieu. Sembra quasi che quello che caratterizzi l'Europa in quanto tale sia proprio la presenza di una classe media indipendente, e la mancanza da parte della Russia di questa peculiarità spiega perché essa non abbia ancora scoperto «il segreto della felicità europea», per riprendere l’espressione usata dallo storico Ezequiel Adamovsky. Tuttavia qualche speranza per la Russia c'è: secondo la teoria di Montesquieu riguardo la corrispondenza tra tipo di Governo e clima, i popoli del Nord sono predisposti a vivere in Governi liberali, mentre nei Paesi con temperature elevate è più facile che il corpo si rilassi e accetti passivamente la servitù e un regime autoritario. La Russia rappresenta quindi un’eccezione a questa regola generale, essendo indubbiamente una potenza del Nord con un Governo però dispotico: i costumi russi sono «étrangeres au climat, & y avoient été apportées par le mélange des Nations & par les conquêtes»[6]. Montesquieu dà una spiegazione storica a questa stravaganza: era stata la conquista mongola in epoca medievale ad aver alterato i caratteri nativi e a portare il dispotismo orientale in un luogo non naturale. Pietro non ha bisogno di imporre con la forza le sue riforme che non sono altro che un ritorno alla natura originaria del suo popolo.

Contrariamente a Rousseau, che vedeva negativamente lo stesso processo di europeizzazione intrapreso da Pietro, Montesquieu guarda con favore il carattere riformista dello Zar, rimproverando il modo tirannico con cui ha applicato le riforme (ancora più ingiustificato secondo la sua teoria del clima) e la permanenza del dispotismo.

A metà strada tra il mito pietrino propagandato da Voltaire e il giudizio negativo di Montesquieu e Rousseau, si collocano gli articoli dedicati alla Russia all’interno dell’Encyclopédie. Gli articoli che hanno come soggetto la Russia sono 341 e 223 e sono quelli che, sebbene abbiamo un altro soggetto, si riferiscono comunque alla Russia. Molti sono gli autori che hanno contribuito alla realizzazione di questi 564 articoli, ma i contributi maggiori si devono al cavaliere de Jacourt, autore di più della metà degli articoli (238), tra cui Russie, e a Diderot, autore di 35 articoli. Nessuno degli autori può essere considerato uno specialista in materia, poiché nel periodo tra la pubblicazione del primo volume fino all'uscita degli ultimi (1751-1765) nessuno di loro aveva compiuto un viaggio in Russia, dunque, le loro argomentazioni sono basate esclusivamente sulle fonti che avevano a disposizione (tra le quali spiccano l’Histoire di Voltaire e l’Esprit di Montesquieu). Se ci focalizziamo sulle considerazioni su Pietro il Grande, vediamo che gli enciclopedisti riprendono il leitmotiv di Voltaire: la Russia prima di Pietro è uno Stato sostanzialmente senza storia e quel poco di storia russa precedente descritta, appare come il risultato del dispotismo zarista. Nonostante la Russia non sia citata come esempio nell'articolo Despotisme, ci sono quattro riferimenti contenuti in diversi articoli che le attribuiscono caratteri dispotici, anche se non vengono mai descritte in concreto le istituzioni o i meccanismi amministrativi che dovrebbero giustificare questi giudizi. Il primo riferimento lo si trova nell'articolo Femme, dove parlando delle donne al potere si dice che «l’exemple de l’Angleterre & de la Moscovie fait bien voir que les femmes peuvent réussir également, & dans le gouvérnement modéré, & dans le gouvernement despotique»[7]. Il secondo si trova nella conclusione dell'articolo Monarchie, dove Jacourt scrive che «la monarchie de Russie est un pur despotisme»[8]. Il terzo riferimento allude a Pietro il Grande, incapace secondo Jacourt di «modérer son despotisme»[9], come anche il quarto che descrive l'Impero Russo sotto lo Zar riformatore ancora «despotique»[10]. Ma allora l'opera di Pietro il Grande non ha cambiato niente? La Russia è sempre vista come uno Stato barbaro, governato da un regime dispotico? Quello di Pietro nell'Encyclopédie appare sì un dispotismo, ma un dispotismo civilizzatore: con l'avvento del nuovo Zar si inaugura un modello paradossale di despota che civilizza il suo popolo usando egli stesso metodi barbari. Nonostante i grandi progressi intrapresi dal «grand homme» [«grande uomo»] abbiano fatto fare alla Russia un salto più avanti in cinquant'anni che nell'arco di tre secoli (paragone che ricorre anche in Voltaire), i cambiamenti introdotti da Pietro non hanno ancora affondato bene le «racines» [«radici»], e il Paese rischia di sprofondare nella barbarie. La nuova Russia è la creazione della sola volontà dello Zar: le riforme sono state imposte con ritmi che non corrispondevano ai ritmi naturali del popolo russo. Pietro ha voluto piegare il popolo alla sua volontà imponendo il progresso, che per questo motivo rischia di fermarsi, se non retrocedere, dopo la sua morte. In conclusione l'Encyclopédie propaga la figura di Pietro come spartiacque nella storia russa: lo Zar viene omaggiato per aver voluto apprendere la civiltà dell'Occidente e averla data al suo popolo; è con lui che la Russia cessa di essere asiatica e si affaccia alla realtà europea per diventarne uno dei protagonisti. Dall'altro canto però all'interno dell'opera c'è una forte critica ai metodi usati dallo Zar per raggiungere i suoi obiettivi e in generale si è scettici sulla reale efficacia del dispotismo illuminato. Da una parte, dunque, l'Encyclopédie contribuisce a diffondere l'immagine volteriana di Pietro come Zar demiurgo, dall'altra sottolinea gli aspetti critici della sua politica e della sua personalità che erano già stati evidenziati da Rousseau e Montesquieu.

Come si è visto, non ci fu un consenso totale e univoco negli Illuministi sulla valutazione della figura di Pietro. Nella storiografia tradizionale si è abituati a vedere l'immagine europea della Russia distinta tra la visione settecentesca dei Lumi e quella ottocentesca del Romanticismo: se nella prima visione si guardava alla Russia come una terra che marciava a tappe forzate verso una rapida civilizzazione ad opera di Sovrani illuminati , nella seconda si riflette sul fatto che l'Impero Russo abbia fallito il processo di avvicinamento all'Europa. Secondo questo schema, nella visione illuminista settecentesca la Russia è percepita come una «tabula rasa», una terra dalle possibilità sconfinate nella quale è ancora possibile costruire un Paese nuovo (perché ritenuto senza storia) senza i vizi della società occidentale; mentre nell'immagine romantica ottocentesca è avvenuto il disincanto dal «mirage russe» [«miraggio russo»]. Questo disincanto romantico fu probabilmente il riflesso della reazione russa alla Rivoluzione Francese, alla quale Caterina rispose con una netta contrapposizione, vietando la diffusione, diventata troppo pericolosa, della cultura francese, anche delle opere di Voltaire, che tanto ammirava l’Imperatrice e tanto era ammirato da questa. La trattazione ha mostrato come questo schema sia limitato: le voci critiche sulla Russia erano presenti nel dibattito illuminista, senza che la loro presenza debba mettere in discussione che ci fu realmente la nascita di un mito pietrino e un'attenzione particolare alle vicende russe in Francia che può essere chiamata russo-mania. Soprattutto a partire dal 1756, anno in cui si stabilì una grande colonia russa a Parigi, fino al 1789, i contatti fra i due Paesi s'intensificarono: studenti e aristocratici russi venivano in Francia per studio o per diletto, artisti e letterati francesi si mettevano al servizio della Corte Russa. Si era affascinati dalla Russia, un Paese che stava uscendo dalla barbarie per diventare un protagonista della realtà europea e si era anche fieri che la Francia fosse stato scelto come modello di civiltà da imitare. Anche il numero dei libri pubblicati in Francia sulla Russia, le opere teatrali con soggetti russi, e la popolarità che ricevevano, soprattutto per un'attrazione per gli aspetti esotici evocati della natura mista, sono testimoni di un forte interesse per questa nuova realtà che si affacciava in Europa. Nonostante ciò la Russia restava sempre un Paese poco e innanzitutto mal conosciuto, ed è per questo motivo che si afferma con facilità il mito di uno Zar che crea dal nulla il suo Stato. Ciò che accomuna tutti gli intellettuali illuministi è proprio questa convinzione nel ritenere Pietro una figura che, nel bene o nel male a seconda dei pareri, abbia segnato un cambiamento nella storia, non solo russa, ma anche europea.


Note

1 Strada, Vittorio, EuroRussia. Letteratura e cultura da Pietro alla rivoluzione, Bari, Laterza, 2005, pagina XIII.

2 Voltaire, Oeuvres de Voltaire. 24, Histoire de Charles XII / avec préfaces, avertissements, notes, etc. par M. Beuchot, Paris, Werdet et Lequien fils, 1829, pagine 50-62. [«La brutalità nei suoi piaceri, la ferocia nei suoi costumi, la barbarie nelle sue vendette, si mescolano a tante virtù. Educò i suoi popoli, ed era lui stesso selvaggio»].

3 Lortholary, Albert, Le mirage russe en France au XVIIIe siècle, Paris, Éditions Contemporaines, 1951 pagina 58.

4 Rousseau, Jean-Jacques, Considérations sur le gouvernement de Pologne, Collection complète des œuvres de J. J. Rousseau, s.n., 1782, Tome premier: Contenant les ouvrages de Politique (pagine 415-540). [«Malgrado l’esperienza assai sorprendente che i Russi fecero in Polonia niente li farà cambiare idea. Loro guarderanno sempre gli uomini liberi come loro guardano se stessi, ovvero come degli uomini nulli, sui quali solo due strumenti hanno presa, ovvero l’argento e il knout (bastone)»].

5 Montesquieu, De l'Esprit des Lois, Livre XIV, Chapitre II, Paris, èdition Garnier, 1777.
http://fr.wikisource.org/wiki/Esprit_des_lois_(1777)/L14/C2 [«Devi scorticare un Moscovita per fargli provare una sensazione»].

6 Montesquieu, De l'Esprit des Lois, Livre XIX, Chapitre XIV, Paris, èdition Garnier, 1777.
http://fr.wikisource.org/wiki/Esprit_des_lois_(1777)/L19/C14 [«estranei al clima, & sono Stati nati dalla miscela di popoli & dalle conquiste»].

7 Diderot, Denis e d'Alambert, Jean le Rond, Encyclopédie, ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers, Parigi, edizione originale messa a disposizione da Wikisource, volume 6, voce Femme.
http://fr.wikisource.org/wiki/L%E2%80%99Encyclop%C3%A9die/Volume_6#FEMME [«L’esempio dell’Inghilterra e della Moscovia fa ben vedere che le donne posso riuscire ugualmente, sia in un Governo moderato, sia in un Governo dispotico»].

8 Diderot, Denis e d'Alambert, Jean le Rond, Encyclopédie, ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers, Parigi, edizione originale messa a disposizione da Wikisource, volume 10, voce Monarchie.
http://fr.wikisource.org/wiki/L%E2%80%99Encyclop%C3%A9die/Volume_10#MONARCHIE [«La monarchia russa è un puro dispotismo»].

9 Diderot, Denis e d'Alambert, Jean le Rond, Encyclopédie, ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers, Parigi, edizione originale messa a disposizione da Wikisource, volume 12, voce Pétersbourg.
http://fr.wikisource.org/wiki/L%E2%80%99Encyclop%C3%A9die/Volume_12#PETERSBOURG [«moderare il proprio dispotismo»].

10 Diderot, Denis e d'Alambert, Jean le Rond, Encyclopédie, ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers, Parigi, edizione originale messa a disposizione da Wikisource, volume 14, voce Russie.
http://fr.wikisource.org/wiki/L%E2%80%99Encyclop%C3%A9die/Volume_14#RUSSIE


Bibliografia critica

Adamovsky, Ezequiel, Euro-Orientalism-Liberal Ideology and the Image of Russia in France (c. 1740-1880), Oxford, Peter Lang, 2006

Belissa, Marc, La Russie mise en Lumières. Représentatione et débats autour de la Russie dans la France de XVIIIe siècle, Paris, Kimé, 2010

Groh, Dieter, La Russia e l'autocoscienza d'Europa, Torino, Einaudi, 1980

Hughes, Lindsey, Russia in the age of Peter the Great, New Haven London, Yale university press, 1998

Kljucevskij, Vasilij Osipovic, Pietro il Grande, Bari, Laterza, 1986

Lortholary, Albert, Le mirage russe en France au XVIIIe siècle, Paris, Éditions Contemporaines, 1951

Strada, Vittorio, EuroRussia. Letteratura e cultura da Pietro alla rivoluzione, Bari, Laterza, 2005

Wolff, Larry, Inventing Eastern Europe. The map of Civilization on the Mind of the Enlightenment, Stanford (California), Stanford University Press, 1994.

(ottobre 2014)

Tag: Serena Manucci, Russia, Zar Pietro il Grande, Settecento, illuministi, Francia, Voltaire, Montesquieu, Rousseau, Diderot, Enciclopedia.