La Marsigliese
L’Inno Nazionale Francese non era una musica popolare, come vuole la leggenda, e neppure fu composto negli ambienti della Rivoluzione Francese, come narra la tradizione: esso fu invece opera precedente ai tumulti, e venne scritto da un musicista legato alla Corte. Che non era nemmeno francese. Qui di seguito, racconteremo la storia quasi sconosciuta di uno dei più famosi inni nazionali del mondo

Era il 1792 e le truppe francesi stavano marciando per contrastare il passo all’esercito germanico che puntava su Parigi per ristabilire sul trono il Re Luigi XVI, legittimo Sovrano di Francia. Un pastorello, sul ciglio di una strada di campagna, stava fischiettando un motivetto popolare; i soldati lo ascoltarono, ne furono entusiasti e lo impararono a memoria: fu così che nacque la Marsigliese, futuro Inno Nazionale – una musica marziale, orgogliosa, patriottica. Una musica nata proprio da quel popolo che aveva fatto la Rivoluzione. Questo, almeno, è ciò che vuole la leggenda.

Dal punto di vista storiografico, autore della Marsigliese sarebbe stato Claude Joseph Rouget De Lisle, un violinista dilettante, ufficiale dell’esercito, a cui l’inno era stato commissionato dal sindaco di Strasburgo come «canto di guerra» per l’armata del Reno, sul fronte tedesco, proprio nel 1792. L’inno divenne poi la canzone più popolare della Rivoluzione Francese e prese il nome di Marsigliese perché cantata per le strade di Parigi dai volontari provenienti dalla città del Midi. Questo narra la tradizione.

Ma c’è dell’altro, e fa rabbrividire.

Era il 2013 quando il celebre violinista Guido Rimonda, incidendo l’«opera omnia» di Giovan Battista Viotti, s’imbatté nello spartito del Tema e variazioni in Do maggiore per violino e orchestra: le note erano quelle della Marsigliese, dalla prima all’ultima (ovviamente, senza un testo cantato). Il manoscritto era firmato e datato al 1781, ben undici anni prima dell’opera di De Lisle: l’Inno Nazionale Francese si configurerebbe così come un plagio musicale!

Da molti anni si discute sull’origine della celebre musica, perché De Lisle non ne ha firmato lo spartito (com’era invece solito fare) e perché lo avrebbe composto in una sola notte. Alcuni hanno anche attribuito l’opera a Mozart, per via delle somiglianze con un famoso tema del primo tempo del Concerto per pianoforte e orchestra K503, del 1786. La musica dell’inno francese è invece di cinque anni precedente anche rispetto all’opera mozartiana.

Ma chi era Viotti, personaggio ancora semi sconosciuto al grande pubblico?

Violinista e compositore, Giovan Battista Viotti era nato il 23 maggio 1753 a Fontanetto Po, in provincia di Vercelli, al tempo parte del Regno di Sardegna. Il padre era un maniscalco, suonatore di corno. Dopo aver studiato musica a Torino, Viotti si esibì con ottimo successo a Ginevra, Varsavia, Pietroburgo, Mosca, Berlino; visse per molti anni a Parigi dove fu musicista e impresario di Corte, al punto da intrattenere rapporti di amicizia con la stessa Regina Maria Antonietta... quasi paradossale, per l’autore di una musica divenuta poi un simbolo rivoluzionario. «È stato il padre dei violinisti moderni» spiega Rimonda; «diede vita all’arco ancora oggi in uso; sviluppò enormemente la tecnica violinistica proponendo soluzioni inedite e di grande effetto, che costituirono gran parte dell’eredità passata a Paganini; infine, ma non certo meno importante, contribuì grandemente alla creazione della forma sonata, ovvero del vero e proprio concerto romantico». Straordinariamente fecondo, Viotti scrisse 29 concerti per violino e orchestra, di cui il primo è quello in «La maggiore», pubblicato come numero 3, e composto all’età di quattordici anni.

Nel 1792, l’anno in cui la musica della futura Marsigliese gli fu «rubata» da De Lisle, Viotti scappò dalla Francia rivoluzionaria per riparare in Inghilterra, sotto l’accusa di essere un reazionario per via della sua amicizia con la Regina. Le armate francesi entravano anche in Piemonte (terra dalla quale, ironia della sorte, proveniva la celebre canzone rivoluzionaria Carmagnole), iniziando la Guerra delle Alpi terminata con il Trattato di Cherasco che avrebbe costretto la Corte dei Savoia all’esilio, nel dicembre 1798.

Torniamo alla Marsigliese. De Lisle poteva aver ascoltato il Tema e variazioni per violino e orchestra dallo stesso Viotti ai Concerts Spirituels o poteva averlo ricevuto da Pleyel, il celebre violinista ed editore personale di Viotti. De Lisle conosceva bene Pleyel e aveva collaborato con lui nel 1791 stendendo il testo per una marcia militare con musica dello stesso Pleyel: è possibile che l’editore francese, che nel 1792 si trovava a Strasburgo negli stessi giorni in cui De Lisle vi soggiornava, gli abbia consegnato una copia del Tema e variazioni per violino e orchestra affinché lo arricchisse di un testo adatto, come aveva già fatto l’anno precedente. Nel brano di Viotti si avverte l’arrivo della musica romantica: la Marsigliese è musica il cui ritmo di marcia militare veloce coglie in pieno l’afflato rivoluzionario e, fra l’altro, ebbe un effetto non irrilevante imponendo un ritmo di marcia di 120 passi al minuto contro i 60 delle marce precedenti, che fu una risorsa molto importante dell’armata francese; per questo la canzone di Rouget De Lisle fu accolta con entusiasmo dai ceti popolari insorti. Si tratta di un brano assai violento, denso di invettive contri i regimi monarchici, maledizioni, promesse di massacri («Che un sangue impuro / bagni i nostri campi» si invoca più volte). La musica classica non era nuova a questo genere di operazioni, anche perché non esisteva il diritto d’autore: ma la scoperta del plagio sarebbe stato esclusivo oggetto della critica musicale, se questa volta non avesse toccato una melodia che per i Francesi è il simbolo stesso della Nazione – proclamata Inno Nazionale il 14 luglio 1795, bandita da Napoleone nel 1807, la Marsigliese nel 1876 diventerà di nuovo e definitivamente Inno Nazionale Francese.

Nel suo rifugio di Londra, Viotti non rivendicò subito la paternità del suo tema, perché era fortemente compromesso con il regime monarchico francese. Solo nel 1818, dopo la parabola napoleonica, tornò a Parigi, grazie a un altro suo amico nobile: il conte di Provenza, divenuto Re di Francia con il nome di Luigi XVII; ma anche allora rivendicare la paternità dell’opera gli avrebbe causato non pochi problemi. Questo è quanto è possibile ricavare dai documenti dei quali siamo oggi in possesso; le poche voci discordi che si levano contro questa ricostruzione dei fatti sono fondate sulla faziosità, su congetture basate sul nulla, su prove inconsistenti, su notizie false, sull’evidente antipatia personale verso Guido Rimonda (che ho avuto la fortuna di conoscere personalmente), e infatti non hanno trovato posto in nessuna pubblicazione seria, a differenza degli studi rimondiani.

Giovan Battista Viotti morì a Londra il 3 marzo 1824. Oggi torna a «vivere» grazie alla sua riscoperta.


(Per chi desiderasse una buona edizione del Tema e variazioni per violino e orchestra, consiglio la seguente: Giovan Battista Viotti, Violin Concertos Nos. 12 & 25, Tema e Variazioni for violin and orchestra, Guido Rimonda – Camerata Ducale, CD Decca).

(luglio 2019)

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