Maria Antonietta
La tragedia di una donna che fu Regina di Francia

La fine dell’Antico Regime iniziò a compiersi con la Rivoluzione borghese e proseguì con il Terrore giacobino, anche se il tentativo di restaurare il vecchio ordine sociale, compiuto nel Congresso di Vienna, avrebbe lasciato una traccia molto importante in tutta la storia dell’Ottocento. Momento simbolico di quella fine fu il gesto di Luigi XVI all’atto del tragico distacco dalla Regina e dai figli per avviarsi al patibolo: il Sovrano chiese di non vendicarlo, ma di perdonare i suoi carnefici. Lo stesso avrebbe fatto la Regina, alcuni mesi più tardi, fino al punto di chiedere scusa al boia per avergli pestato involontariamente un piede durante i preparativi dell’esecuzione: sembrano dettagli, ma è bene porli in evidenza perché compendiano, pur nella loro semplicità, una svolta epocale nella storia di Francia e d’Europa.

Dopo la lunga esperienza napoleonica, l’Antico Regime avrebbe esercitato il forte colpo di coda della Restaurazione e del «terrore bianco» che la tenne a battesimo, ma il corso degli eventi ha messo in luce, prima con la caduta di Carlo X e poi con quella degli ultimi assolutismi, che tornare indietro è sempre arduo, e generalmente impossibile. A più forte ragione, in un mondo che aveva fatto sue le nuove idee, diffuse per ogni dove dall’Imperatore trionfante e dai suoi eserciti, e destinate ad aprire i nuovi orizzonti delle nazionalità.

Luigi XVI, la Regina «austriaca», i loro figli ed il variopinto ambiente di Corte furono personaggi, a volte pittoreschi ed infine tragici, di un’altra stagione ormai obsoleta, chiamati a svolgere un ruolo troppo grande, mentre si susseguivano avvenimenti epocali. In effetti, la realtà storica è notevolmente complessa, a cominciare dalla discussa figura di Maria Antonietta d’Asburgo, con cui si apre quella serie dei tanti drammi che avrebbero coinvolto la Casa Regnante di Vienna fino a cancellarne il trono: dopo di lei, sarebbero scomparsi nel sangue Massimiliano, Rodolfo, Elisabetta, Francesco Ferdinando, quasi a sottolineare l’ipotesi di una maledizione o, quanto meno, della nemesi di carducciana memoria.

Maria Antonietta

Élisabeth Vigée-Le Brun, Ritratto di Maria Antonietta con la rosa, 1783, Palazzo di Versailles (Francia)

Il dramma personale di Antonietta ebbe inizio sin da ragazza, quando venne costretta dalla ragion di stato a lasciare il suo ambiente viennese per una Francia sconosciuta che si sarebbe rivelata terribilmente diversa sin dal primo impatto, allorché le fu imposto di abbandonare i suoi abiti e di vestire secondo la moda vigente a Parigi. È la storia romantica di una donna sola, troppo giovane per la responsabilità di cui le veniva fatto carico, alla ricerca di un amore che non avrebbe trovato nel pur affettuoso consorte, né tanto meno nel popolo.

La Monarchia Borbonica trovò modo di riscattare il proprio ruolo nel momento più difficile, anche se il governo di Luigi XVI si era già impegnato in tentativi di riforme, in opere pubbliche ed in aperture verso il nuovo, sia pure in buona misura velleitarie, per l’opposizione della nobiltà e del clero. Lo fece il Sovrano, con il comportamento regale manifestato proprio nella tragedia, e con un nobile proclama alla nazione, e lo fece la Regina, affrontando con straordinaria dignità un processo farsesco ed un lungo supplizio spirituale culminato nel momento in cui il figlio venne strappato a forza dalle sue braccia: non a caso, quando la carretta mosse per condurla alla morte, sfilò attraverso una folla silenziosa, diversa da quella che aveva oltraggiato a ripetizione una lunga teoria di condannati alla ghigliottina.

Non sorprende che, a distanza di quasi un secolo e mezzo dall’avvento definitivo delle istituzioni repubblicane, sulla semplice lastra di marmo che custodisce le spoglie della Regina nell’abbazia di Saint Denis venga posta regolarmente una rosa e che il movimento legittimista francese abbia conservato fino ad oggi l’uso di celebrare annualmente un rito funebre in memoria dei Reali nella chiesa di Saint-Germain l’Auxerrois. Più che nei pur grandi predecessori, ed a più forte ragione nei successori Luigi XVIII e Carlo X, il solo ricordo veramente struggente della Monarchia Francese, certo meno amata e meno popolare di Napoleone, resta legato a quel tragico 1793, alla dignità del «cittadino Capeto» nell’affrontare il sacrificio estremo, alla nobile e straziante sofferenza della Regina.

Antonietta non aveva avuto vita facile nemmeno a Corte, luogo di intrighi e di leggerezze, fino ad essere coinvolta sia pure marginalmente e senza colpe nel cosiddetto scandalo della collana; ma soprattutto, aveva pagato duramente la sua estraneità e la provenienza da un mondo simile soltanto in apparenza, ma assai diverso: quello di Vienna era familiare e quasi austero, per l’energico impulso di Maria Teresa, mentre quello di Parigi concedeva molto allo sfarzo ed alla «grandeur» per non dire dell’atmosfera disinibita se non anche libertina che vi aveva messo antiche radici.

Per dirla in tutta sintesi, Antonietta fu Regina di Francia, ma donna infelice, anche a prescindere da una condanna capitale sopraggiunta quando aveva appena 38 anni: forse, il suo destino era stato segnato fin dalla nascita, avvenuta il 2 novembre, nel giorno dei defunti.

La sua partecipazione alla grande storia è quasi ininfluente, ma la sua presenza nell’inconscio collettivo rimane costante, anche se ormai sono passati oltre due secoli da quando il boia venne nella sua cella per tagliarle i capelli e farle indossare l’abito dei condannati. La storia diventa grande anche quando muove da caratteri individuali per assumere quelli di un’ampia partecipazione collettiva, che si espresse all’indomani della Rivoluzione quando fu costruita la «Cappella Espiatoria» ma che continua ai giorni nostri, se non altro nella rosa di Saint Denis.

Nel 1815, al nuovo Sovrano Luigi XVIII, il vecchio conte di Provenza, fu possibile affermare che la Camera dei Deputati era davvero «introvabile» in quanto composta quasi integralmente da ultrarealisti, mentre l’opposizione, come avrebbe raccontato Royer-Collard, era talmente numerosa da potersi riunire su un divano. All’epoca, erano passati poco più di venti anni dal «regicidio» e dall’esecuzione della Regina; l’astro napoleonico era tramontato come una meteora; e l’Antico Regime sembrava splendere di rinnovato fulgore. Le cose sarebbero andate ben diversamente: senza ghigliottina, ma con l’esilio definitivo di Carlo X, il retrivo conte d’Artois, e dei suoi successori.

Come aveva scritto Thomas Gray nella celebre Elegia di un cimitero di campagna, i sentieri della gloria conducono solo alla tomba.

(settembre 2016)

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