Luca Giordano e la chiesa della Madonna del Monte Carmelo
Storia di un grande pittore e di una piccola chiesa

Luca Giordano, apprezzato pittore internazionale, ha lasciato ovunque capolavori inestimabili ma a San Giorgio a Cremano ha lasciato qualcosa di diverso, una masseria e soprattutto una chiesa che testimonia la sua incrollabile devozione verso la Madonna del Carmine. Andiamo a scoprire la storia di questo grande pittore e di una piccola chiesa.

Luca Giordano

Luca Giordano

Come Luca Giordano è arrivato a costruire una chiesetta a San Giorgio a Cremano

Pubblico la storia di una piccola chiesa dedicata al culto della Madonna del Monte Carmelo, ma per noi Napoletani è la Madonna del Carmine, non amiamo molto le formalità. Questa chiesa, oggi parrocchia, è stata voluta e costruita dal grande pittore Luca Giordano (Napoli 1634-ivi 1705). Egli, nel 1664, acquistò una masseria a San Giorgio a Cremano che a quei tempi non era proprio una grande città ma un tramite tra Napoli, Portici e il Vesuvio.

Luca Giordano, già apprezzato e famoso pittore, ebbe tra i suoi numerosi committenti anche i membri della Corte Spagnola e lo stesso Re Carlo II di Spagna che, in occasione delle sue nozze nel 1680, commissionò all’artista, in veste di scenografo, l’allestimento teatrale de Il Gran Tamerlano; per questo lavoro il Giordano non chiese nessuna ricompensa ma assicurò a suo fratello Nicola il mantenimento della sua alta carica all’interno dell’amministrazione regia, così il fratello, nel 1664, lo ringraziò donandogli cinque moggi di terreno in una zona chiamata alle Novelle, secondo l’antica toponomastica sangiorgese e riportata fedelmente nella Carta Topografica del duca di Noja del 1775.

Il Giordano, da bravo amministratore di se stesso, comprò l’intero fondo poiché era una zona votata alla produzione di vino e frutta.

Il 1664 fu un anno ricco di soddisfazioni per Luca e la sua famiglia perché suo figlio Lorenzo si laureò in diritto civile e in breve tempo divenne giudice della Vicaria. Ma questa elezione scatenò furiose critiche e da più parti si levavano critiche nei confronti di Lorenzo accusato di non essere proprio preparato e competente e che tale carica fu ottenuta grazie all’abilità diplomatica, e non solo di pennello, del padre Luca: abilità, riconosciuta da molti suoi contemporanei, che gli permise di sistemare tutta la sua numerosa prole, ebbe ben 10 tra figli e figlie.

Indipendentemente dalle feroci critiche, il Giordano, per la grazia ricevuta, volle rendere omaggio alla Madonna del Carmine dedicandole una piccola chiesetta costruita sui suoi possedimenti sangiorgesi. Fu eretta nel 1690, rispecchiando la tipica pianta da cappella di campagna, è lunga circa 13 metri e larga poco più di 5 metri.


La chiesa e la taverna, un insolito duo

Grazie alla Pianta del duca di Noja possiamo vedere dov’era situata la masseria del Giordano (oggi Villa Marulli dal nome degli ultimi proprietari).

Da una perizia fatta da alcuni suoi coloni, sappiamo che nelle sue terre si produceva frutta e vino, quest’ultimo ottenuto da una pregiata varietà di Lacrime in cui si «maritavano» le viti dell’uva aianica ai pioppi, secondo la consuetudine dei coloni vesuviani. I suoi terreni erano delimitati da due principali strade che portavano al Vesuvio, lungo una di esse costruì la chiesa e l’osteria, poste una di fronte all’altra per garantire ai viaggiatori un nutrimento dell’anima e del corpo. Alla casa padronale si accedeva percorrendo una piccola strada.

Come accennato poc’anzi, il Giordano costruì la chiesa per devozione e le assicurò una rendita annua di 54 ducati garantita sia dai proventi del fondo sia dai guadagni della sua osteria chiamata «Il Cantarone». Qua è opportuno fermarsi e accennare brevemente ai diversi significati che la radice «cantar-» può avere spostando «semplicemente» l’accento.

Mi spiego meglio.

Se si pronuncia «cantàr-o», dall’arabo «quinar», il riferimento è all’unità di misura di peso, o capacità, usato nel commercio all’ingrosso, corrispondenti al nostro «quintale», se, invece, si pronuncia «càntar-o» («kantharos»), si indica il calice a due manici ed è uno dei tanti attributi di Bacco/Dioniso. Alla radice «cantar» è legato un suffisso accrescitivo («cantar-one»): ciò permette di dare due letture diverse, se il riferimento è all’unità di misura, l’allusione è all’abbondanza e alla ricchezza prodotta da quest’attività commerciale; se al calice, è un chiaro riferimento al vino che si serviva al suo interno. C’è una terza lettura, sicuramente più goliardica e attinente al carattere solare dell’artista, pronunciare il nome della taverna secondo il dialetto napoletano, «o’ càntar» («il càntaro») è l’antico vaso da notte, il riferimento, quindi, è all’abbondante bisogno fisiologico che interessa chi beve molto. Quest’ultima lettura non è da escludere né deve sorprendere perché a Napoli, presso la casa d’infanzia dell’artista in Via San Biagio dei Librari, c’erano ben due taverne chiamate la «Taverna del Pisciaturo» e un’altra «Chiavica della Sellara».


Che cosa rimane oggi del passaggio di Luca Giordano a San Giorgio a Cremano

Chiesa della Madonna del Carmine

La chiesa della Madonna del Carmine a San Giorgio a Cremano (Italia), che si apre sull'omonima Piazza Del Pittore

La piccola chiesa dedicata alla Madonna del Carmine e la masseria sono le uniche testimonianze sopravvissute al tempo del passaggio di Luca Giordano a San Giorgio a Cremano.

Come su accennato, la masseria del Giordano sorgeva in una zona isolata di San Giorgio a Cremano ma era costeggiata da una delle strade principali che portavano al Vesuvio, tale lontananza dal centro abitato e la natura giuridica di chiesetta privata causarono la sua esclusione dalle visite pastorali fino a quando nel 1743 il Cardinale Spinelli decise di ufficializzarla, di farla uscire dall’ombra e regolamentarla perché non esisteva allora, come oggi, nessun documento che attestasse l’avvenuta consacrazione su richiesta del pittore Luca Giordano.

Ciò si può spiegare considerando la fama del pittore e i suoi buoni rapporti e conoscenze con e nella Curia Arcivescovile di Napoli, ciò gli evitò, quasi sicuramente, il normale iter burocratico per consacrarla ma il Cardinale Spinelli, non avendo trovato nessun documento, nella sua visita non poté far altro che confermare i divieti tipici delle chiese non consacrate come: la possibilità di celebrare Messa solo dopo quella celebrata nella chiesa principale, su una mensa consacrata trasportabile, niente confessioni, niente battesimi e non doveva offrire asilo politico a chi si rifugiava al suo interno.

La sua menzione in un atto ufficiale permise di avviare la pratica per farla rientrare negli edifici d’interesse della Curia, difatti dopo il 1743 la cappella sarà sempre inserita nelle visite pastorali permettendo di ricostruire la sua storia e soprattutto sarà consacrata. Nelle successive visite, datate 1780 e 1784, emergono altri aspetti interessanti come la volontà testamentaria del pittore, rispettata dai suoi eredi, di mantenere aperta la chiesa tanto da diventare il fulcro di una nascente comunità molto legata al culto della Madonna del Carmine e disposta a pregarla anche in una chiesetta fatiscente. La sua ufficializzazione come nuova chiesa avvenne, però, nel 1818, finalmente si potevano celebrare tutte le funzioni religiose senza nessuna limitazione.

Leggendo le varie visite pastorali emerge una curiosità di tipo topografico, la zona, che in passato era conosciuta alle Novelle, dopo il soggiorno di Luca Giordano, iniziò ad essere chiamata al Pittore (o’ Pittor) come tutt’oggi è conosciuta dai Sangiorgesi.

Il podere fu di proprietà dei Giordano fino al 1869 quando vendettero, come si legge da un atto notarile, i terreni e la taverna, ad un certo Signor Giuseppe Salvo mentre la cappella fu affidata ad un certo Padre Felice.

La masseria, oggi conosciuta come Villa Marulli, dopo la vendita da parte della famiglia Giordano, ebbe numerosi proprietari e subì varie modifiche. L’ultima, in ordine d’importanza, avvenne durante il XVIII secolo quando fu trasformata in villa residenziale. Nonostante la sua importanza storica e culturale, la villa fu riadattata in manicomio. Chiusi i manicomi, dopo il 1978, la villa non fu restaurata ma trasformata in un condominio e della sua originaria bellezza rimangono solo sporadici frammenti.

Stessa sorte per la taverna «Il Cantarone», dopo la sua chiusura causata dall’apertura di una nuova strada che portava al Vesuvio, l’attuale Via Palmiro Togliatti, è stata inglobata in una nuova abitazione.

La chiesa esiste ancora, anzi, nel 1936 divenne parrocchia e fu leggermente ampliata con la costruzione del campanile e della sacrestia.

Un cimelio fotografico datato 1940 mostra come si presentava al suo interno prima di un profondo restauro avvenuto nella seconda metà del ’900, c’erano una balaustra di marmo, tre altari – uno principale che ospitava ed ospita tutt’ora la statua lignea della Madonna del Carmine, menzionata già nelle ultime visite pastorali, due altari che ospitavano le perdute tele di San Giuseppe e di San Francesco di Paola – e un piccolo pulpito.

Chiesa della Madonna del Carmine, interno

Una rara foto dell'interno della chiesa della Madonna del Carmine a San Giorgio a Cremano (Italia), datata agli anni Trenta del Novecento, prima dell'ultimo radicale restauro

Chiesa della Madonna del Carmine, interno2

L'interno della chiesa della Madonna del Carmine a San Giorgio a Cremano (Italia), com'è oggi

Dopo il 1965, per rispettare i nuovi dettami stabiliti dal Concilio Vaticano II (dal 1962 al 1965), furono rimossi tutti gli ostacoli architettonici interni, infatti oggi la chiesa si presenta più semplice.

A questo rinnovamento interno vanno aggiunti i numerosi furti subiti nel tempo come: le due tele, il pulpito, le balaustre e parte delle tarsìe marmoree dell’altare principale. È doveroso dire che l’attuale parroco sta facendo molto per preservarla e restituirla, almeno in parte, ai suoi antichi splendori, grazie ai recenti restauri della mensa sacra e dell’altare principale.


Tele o non tele del Giordano, questo è il dilemma

È un dubbio amletico che tutt’oggi alberga nei cuori di chi abita nella zona del Pittore, ossia le perdute tele, rubate tra gli anni ’80 e 90’ del Novecento, furono dipinte da Luca Giordano o sono «croste» moderne? Il dibattito è ancora aperto.

C’è chi sostiene che esse furono realizzate dall’artista durante i suoi brevi soggiorni nella sua villa e il loro furto è stato un duro colpo per la comunità e per l’arte. Altri sostengono che esse sono delle «croste» moderne realizzate da semplici fedeli e il loro furto non ha arrecato nessun danno al mondo dell’arte. Uno dei sostenitori di quest’ultima tesi è il parroco che denunciò il furto alle autorità competenti definendole, appunto, delle «croste». Ad accrescere il dubbio c’è anche la difficoltà di capire i soggetti raffigurati nelle due perdute tele, forse sono il San Giuseppe e il San Francesco di Paola menzionati nelle varie visite pastorali, forse altri Santi. Per ora, non avendo trovato nessuna documentazione soddisfacente, non posso rispondere a quest’ultima domanda ma sull’eventuale paternità delle opere espongo una mia personalissima tesi.

Parto da un presupposto, nelle ormai famose visite pastorali, solitamente molto dettagliate, queste tele sono descritte ma mai attribuite esplicitamente al Giordano.

Premesso ciò, la mia riflessione è la seguente: Luca Giordano, pittore famosissimo già in vita, sicuramente realizzò delle opere per la sua chiesetta ma, presumibilmente, i suoi eredi le vendettero per far cassa e sfruttare la notorietà del loro avo. Con l’andare del tempo, questi spazi furono occupati da dipinti realizzati da artisti così sconosciuti che la comunità, erroneamente, li attribuì all’artista solo perché si trovavano nella sua cappella, errore riportato tacitamente nelle varie visite pastorali, erronea attribuzione che persiste tutt’oggi nella comunità del Pittore.

Evidenzio un dato che considero importante, la chiesa ha alle spalle più di due secoli di storia e sicuramente le due tele rubate non sono opere di artisti contemporanei, se non altro i nomi degli autori sarebbero emersi durante le mie ricerche perché conosciuti dalla comunità, ma di artisti attivi dopo la morte del Giordano e secondo il mio parere non sono «croste» ma opere realizzate da artisti «minori» attivi tra il Settecento e l’Ottocento che potevano dirci tanto sull’arte locale. Sono state sfortunate, nessuno le ha considerate degne di attenzione, solo i ladri hanno visto qualcosa di buono tant’è che sono sparite. Purtroppo non ho trovato nulla, né una foto né un testimone attendibile, che mi aiutasse a capire come fossero queste due perdute tele ma non dispero.

Con il mistero sulle tele ho finito di raccontarvi la storia di questa piccola chiesa e di Luca Giordano a San Giorgio a Cremano.

Articolo in media partnership con polveredilapislazzuli.blogspot.it
(aprile 2017)

Tag: Annalaura Uccella, Luca Giordano, chiesa della Madonna del Monte Carmelo, San Giorgio a Cremano, Italia, Seicento, pittura, Madonna del Carmine, Carlo II di Spagna, Il Gran Tamerlano, Carta Topografica, duca di Noja, 1664, Villa Marulli, Vesuvio, Il Cantarone, tele del Giordano, càntaro.