Il giardino di Villa Vannucchi
Misteriosi «segni» alchemici e massonici nel giardino di una villa partenopea del Settecento

Vi racconto una storia che si cela dietro ai viali e alla fontana centrale di Villa Vannucchi. Essa s’intreccia con l’alchimia e la massoneria settecentesca che a Napoli e dintorni era molto presente, ma prima d’illustrarvela è doveroso fare una piccola digressione storica sul significato simbolico presente nel giardino.


Il giardino religioso come luogo di meditazione

Senza addentratami troppo nella storia delle diverse società, si può dire che molte culture hanno attribuito al giardino diversi significati spirituali poiché lo consideravano un luogo adatto per ricercare se stessi. Per comodità mi limiterò a evidenziare alcuni significati presenti nei giardini italiani.

Saltando anche un po’ di storia, arrivo direttamente all’Età Cristiana, dove i Padri della Chiesa attribuirono al giardino un’aura di sacralità, infatti, da luogo sacro di natura, presente nelle culture pre-cristiane, divenne paesaggio sacro perché è stato creato da Dio. Mi spiego meglio, molti Ordini religiosi, e indipendentemente dalle loro «regole», costruirono monasteri separandoli da tutto e da tutti perché volevano «ricostruire», nel loro piccolo, l’Eden perduto. Cercavano così di entrare in contatto con Dio sia attraverso la Sua contemplazione religiosa che attraverso il contatto diretto con la natura da Lui creata.

Tale ricerca spirituale trovò una sua naturale posizione anche nel giardino monastico, realizzato nel chiostro; l’ordine e l’equilibrio furono ricreati attraverso la geometrica ripartizione degli spazi ottenuta tracciando una croce, dove ogni quadrato era adibito a una coltura che era scelta secondo precisi significati simbolici, infatti, c’era il frutteto, chiamato appunto «paradiso», le piante officinali, le piante aromatiche, e gli ortaggi. Al centro era posta l’acqua, simbolo per eccellenza di vita, raccolta e distribuita attraverso un pozzo e canalette d’irrigazione. Il chiostro-giardino divenne, quindi, il centro di tutte le attività spirituali e quotidiane del monastero.

La centralità e sacralità del giardino era così forte che alcuni Ordini adibirono un suo lato come luogo di sepoltura dei confratelli, esempi interessanti si ammirano nella Certosa di Padula e nella Certosa di San Martino.

Altro elemento simbolico è il muro il cui compito, oltre che di delimitare l’area, era quello di racchiudere e di nascondere agli occhi non degni l’Eden ricostruito, considerato l’archetipo del Paradiso Terreste e della Gerusalemme Celeste – spesso questi due archetipi si sovrapponevano –. Il giardino chiuso, indipendentemente dal suo significato simbolico, caratterizzerà il giardino all’italiana. Questa nuova visione cristiana del giardino fu ideata dai Padri della Chiesa i quali riadattarono i concetti di Macrocosmo e Microcosmo secondo una nuova visione teologica del Cosmo. In poche parole, l’armonico rapporto tra l’Universo, Macrocosmo, e l’uomo, Microcosmo, rese sacro l’uomo poiché racchiudeva nel corpo e nell’anima tutte le leggi dell’Universo, pertanto, la ricerca degli equilibri tra l’uomo, la natura e il Cosmo divennero indispensabili per vivere in armonia nel e con l’Universo. Tale rapporto tra astrologia, teologia e credenze popolari lo ritroviamo, ma con significati diversi, nel giardino alchemico e massonico.

Durante il Rinascimento, il significato mistico del giardino fu ridimensionato a favore dell’idea di bellezza fine a se stessa ottenuta attraverso una natura perfetta; si unì così alla contemplazione religiosa il piacere estetico. Questa progressiva laicizzazione del giardino iniziò già durante il Trecento, quando i nuovi ceti sociali, ricchi e colti, scelsero di costruire nelle loro lussuose residenze un luogo adatto per la meditazione e la disquisizione filosofica – un’idea su com’era fatto possiamo farcela leggendo il proemio della III giornata del Decamerone.

Da questa nuova idea di giardino nacque quella di delizia, dove la bellezza e la perfezione di una natura umanizzata venivano esaltate attraverso giochi di ombre, di luci e di giochi scenografici, siamo ormai entrati nell’Età Barocca.

A Napoli, purtroppo, esempi di giardino religioso e laico ce ne sono pochissimi perché molti sono stati distrutti o pesantemente modificati, quindi non possiamo ammirare quest’antica arte napoletana che lasciò stupefatto il Re Carlo VIII, quando venne a Napoli nel 1494, tanto che decise di portarsi in Francia i due più celebri giardinieri napoletani, Gerolamo da Napoli e Pacello da Mercogliano. Dalla loro maestria nacque il giardino alla francese che ritornerà in Italia, e a Napoli con i Borboni, durante il Settecento. In seguito verrà «sostituito» da quello all’inglese.

Un’idea, però, di tale arte possiamo farcela ammirando il bellissimo chiostro del monastero di Santa Chiara, perfetto esempio di giardino sia religioso che laico, realizzato secondo questo nuovo gusto estetico.


Il lato alchemico del giardino di Villa Vannucchi

Dopo aver descritto brevemente le caratteristiche del giardino religioso ora veniamo a quello alchemico.

Villa Vannucchi

La Villa Vannucchi-Caramanico; fotografia di Annalaura Uccella, 2014

Viali del giardino

I viali del giardino di Villa Vannucchi; fotografia di Annalaura Uccella, 2014

Viali e fontana del giardino

Viali e fontana del giardino di Villa Vannucchi; fotografia di Annalaura Uccella, 2014

Durante la ricerca su Villa Vannucchi mi sono imbattuta su un’interessante interpretazione storica del suo guardino, che «legge» nelle figure geometriche dei suoi viali e delle fontane i segni di una filosofia alchemica e di una visione massonica del suo primo proprietario, la famiglia Caramanico. Tale interpretazione storica è opinabile ma non per questo non deve essere accennata, poi sarà il lettore a trarne le conclusioni. Personalmente tale lettura storica non mi sconvolge perché sia l’alchimia che la massoneria hanno avuto un indubbio ruolo nella storia sia napoletana che nazionale, cosa sia diventata oggi la massoneria non importa perché non è oggetto di questo racconto. L’alchimia, così come il giardino alchemico, a Napoli era di casa, infatti la città diede i natali e ospitò molti illustri alchemici e massoni, il più famoso tra questi è, senza dubbio, Raimondo di Sangro, settimo principe di San Severo. Tra i suoi molteplici studi ed esperimenti, giusto per citarne alcuni, troviamo il miglioramento chimico della porcellana che contribuì al perfezionamento della sua produzione (la ceramica di Capodimonte ne è un esempio) e inventò il giallo Napoli o giallolino, sostanza artificiale usata per colorare piastrelle o riggiole, marmi artificiali, eccetera. Importante è dire che la massoneria partenopea settecentesca sosteneva l’idea di ricreare un nuovo ordine sociale senza né assolutismo, né dispotismo, pertanto non era ben vista da una fetta dell’alta società religiosa né dallo stesso Re Carlo III di Borbone che, nonostante la sua politica illuminista, temeva una sovversione dell’ordine sociale costituito. Ovviamente tra l’alchimia, con la sua complessa filosofia, e la massoneria si instaurò un intenso legame che continuò nel tempo ed ebbe molti illustri rappresentanti tra le più importanti famiglie nobili napoletane. Come ogni giardino che si rispetti anche quello alchemico, tra il Seicento e il Settecento, ebbe illustri trattatisti e il suo più importante teorizzatore fu il marchese Palombara, alchimista e Rosacroce, vissuto nella Roma del Seicento.

In questi giardini si usava molto l’allegoria mitologica per comunicare complessi messaggi che potevano essere sinteticamente espressi attraverso delle statue o degli affreschi, messaggi compresi, però, solo da chi condivideva la stessa cultura mentre erano incomprensibili a chi non fosse «degno».

Inoltre, il giardino alchemico s’ispirò molto al giardino sacro ma ne mutò i significati dei vari elementi che lo componevano perché erano diverse le visioni del mondo. Gli elementi comuni erano: la concezione come luogo di meditazione, la delimitazione da alte mura che dovevano nasconderlo da occhi indiscreti, in questo caso da chi non fosse «illuminato»; l’acqua era centrale perché simbolo della vita, affiancata dall’albero della «vita», vale a dire quercia, agrifoglio o pioppo, entrambi questi elementi fungevano da centro mistico e servivano a raggiungere il sacro silenzio.

Dal centro veniva tracciata una croce greca inscritta in cerchi: geometrie, alberi e fiori erano scelti e posizionati secondo simbologie ben precise tratte dalle tavole alchemiche, cabalistiche, da mappe astronomiche, astrologiche, da simbologie ermetiche mentre i profumi dovevano aiutare nella meditazione e per cercare la perfetta armonia intellettiva e fisica con la natura attraverso vari percorsi mistico-filosofici tracciati in modo simbolico nel giardino.

Ciò mostra come nell’alchimia ci fosse un pensiero filosofico che cercava di capire le leggi dell’Universo e non solo la ricerca della trasmutazione di metalli vili in oro. L’etichetta di disciplina cialtrona le fu data durante l’Età dei Lumi quando mutò lo studio dei diversi saperi, ciò relegò l’alchimia in un angolino, ma dai suoi esperimenti visionari nasceranno la moderna chimica e la farmacologia.


Il giardino dei Caramanico

Quanto detto finora lo ritroviamo nel parco di Villa Vannucchi considerato un interessante esempio di giardino alchemico-massonico (per evitare confusione chiamerò tale giardino con il nome della prima famiglia che lo realizzò, appunto i Caramanico, poiché gli ultimi proprietari, i Vannucchi, in questa parte della storia poco centrano).

La famiglia d’Aquino di Caramanico, una delle famiglie più illustri e potenti del Regno, originariamente possedeva una seconda residenza costruita da Francesco Caramanico a Portici, ma fu costretta a lasciarla perché fu inglobata nel poderoso progetto della Reggia di Portici, così, per non allontanarsi dal Re Carlo III, il figlio Giacomo decise di costruire la nuova villa di famiglia in San Giorgio a Cremano. Il Re, per appianare ogni eventuale dissapore, decise di risarcire i Caramanico regalando un bellissimo albero di canforo da impiantare nella loro nuova residenza. Tale maestoso albero, raro ed esotico nel Settecento per le sue proprietà mediche e per la sua odorosa canfora, era un dono veramente prezioso tanto che i Caramanico decisero di piantarlo in un lato del giardino ben visibile dalla strada proprio per mostrare a tutti i nobili il loro buon rapporto con la famiglia regnate nonostante il trasloco forzato; il canforo è tutt’oggi visibile.

Molti membri della famiglia Caramanico erano importanti massoni, infatti nel 1773 Francesco Venanzio d’Aquino fondò una nuova loggia chiamata «Lo Zelo» e contemporaneamente ricoprì importanti incarichi politici per volere di Re Carlo III di Borbone.

Accanto al ruolo politico, Francesco ricoprì anche un importante ruolo come mecenate sostenendo molti artisti, filosofi, studiosi di diritto, scienziati, ospitati nelle sue diverse residenze, contribuì molto alla diffusione della cultura illuminata del Regno.


I segni nascosti in un bellissimo giardino

La consuetudine imponeva a chi fosse massone di mostrare la sua affiliazione disseminando le sue residenze di simboli riconoscibili solo ai membri, mentre per gli «altri» dovevano sembrare segni belli e nulla di più, così anche i Caramanico disseminarono di «segni» la loro villa sangiorgese che secondo F. Barbera, grazie al restauro, sono ritornati visibili nel bel motivo ornamentale centrale del giardino. Probabilmente alcuni «segni» erano presenti anche nella dimora ma in seguito vari rifacimenti e restauri sono andati perduti.

Secondo lo studioso, tali segni trarrebbero origine da due disegni ideati dal filosofo e mistico Robert Fludd, ossia il sole, che nella sua filosofia rappresentava il principio della creazione, e il mistico rosa-croce, quindi, secondo tale tesi, dalla loro sovrapposizione si forma la rosa a otto petali visibile intorno all’esedra centrale. Da questo complesso disegno partono o meglio s’irradiano i raggi/viali, tra i quali spicca per grandezza quello principale che, quasi come uno stelo, collega l’esedra/rosa alla villa.

Concludendo, i giardini alchemici settecenteschi partenopei si presentavano come dei complessi cifrari polisemici compresi solo dai membri che li sapevano leggere nelle allegorie, nella metafora e nelle figure retoriche molto presenti nella cultura napoletana sin dal Seicento; un illustre rappresentante di tale cultura è Gian Battista Marino che nel suo Adone elogia la Rosa paragonandola al sole. Inoltre, logge e terrazzi servivano a far comprendere meglio i segni nascosti, oltre che ad ammirare la bellezza del giardino e del panorama. Non tutti i giardini e le ville vesuviane furono abitate da massoni, molti esempi sono «solo» dei «semplici» giardini di delizie in bellissime seconde residenze. Con il passare del tempo e con i normali cambiamenti sociali, politici e culturali anche la massoneria cambiò ruolo e posizione ma ci addentriamo in un altro capitolo della storia che non sarà oggetto di narrazione.

Articolo in media partnership con polveredilapislazzuli.blogspot.it
(settembre 2016)

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