Galileo Galilei e la nascita della scienza moderna
Un uomo geniale ma purtroppo, come spesso accade, vittima di invidie, maldicenze e gelosie

Potrà stupire qualcuno pensare che il Seicento, ovvero il secolo del bizzarro, dell’irrazionale, della superstizione, dell’oscurantismo sia anche il secolo che ha visto il fiorire della scienza tipicamente moderna, empirica, cioè basata sull’osservazione diretta del reale. Sono tre i requisiti per poter definire scientifica una teoria su un determinato fenomeno:

1) deve essere esprimibile con una formula matematica;

2) deve essere osservabile in modo diretto e più di una volta;

3) deve essere riproducibile in laboratorio.

Se una teoria non soddisfa uno di questi tre postulati, potrà essere vera, ma non potrà fregiarsi dell’etichetta di «scientifica». (Ci sono teorie accreditate che, in base a quanto detto, non sono scientifiche, come ad esempio quella che descrive le reazioni nucleari che permettono al sole di splendere – non viene soddisfatto il terzo requisito: non è possibile riprodurre il sole in laboratorio – o la teoria evoluzionistica – che non soddisfa nessuno dei tre requisiti sopra menzionati).

A stabilire gli assiomi sopra riportati della ricerca scientifica è Galileo Galilei, un autentico genio. Nato a Pisa nel 1564, figlio di Vincenzo (un noto musicista), nella sua vita si occupa di astronomia, di fisica, di matematica; inventa il telescopio, scopre i satelliti di Giove, le fasi di Venere, i mari della luna, le macchie solari, conduce esperimenti sulla caduta dei gravi. Propone l’importanza dell’esperimento scientificamente programmato: «provando e riprovando» è appunto il motto che i suoi discepoli dell’Accademia del Cimento (Viviani, Borelli, Magalotti, Redi e Torricelli) faranno proprio, con ottimi risultati.

Ritratto di Galileo Galilei

Justus Sustermans, Ritratto di Galileo Galilei, 1636, National Maritime Museum, Greenwich, Londra (Inghilterra)

Galileo ha appena 19 anni quando giunge a intuire l’isocronismo dei movimenti del pendolo. Il fatto è notissimo: nel 1583, osservando il moto pendolare della lampada nel Duomo di Pisa, capisce che il tempo impiegato dalla lampada per una oscillazione è sempre uguale, anche quando le oscillazioni diminuiscono di ampiezza. Naturalmente, vuole sperimentare in modo scientifico la sua ipotesi: cronometra quindi i tempi delle oscillazioni di un moto pendolare (per cronometrare i tempi, non potendo ovviamente usare un orologio, li determina pesando la quantità di acqua che esce da un grande vaso attraverso uno stretto foro durante un’oscillazione). L’esperimento conferma la sua ipotesi: la durata di una oscillazione in un moto pendolare è sempre costante qualunque sia l’ampiezza dell’inclinazione, mentre è proporzionale alla lunghezza del pendolo (non dipende invece dalla sostanza e dal peso del pendolo); un pendolo lungo 70 centimetri compie 71 oscillazioni semplici in un minuto, frequenza che corrisponde a quella di un polso normale; un pendolo lungo 50 centimetri compie 85 oscillazioni semplici, e un pendolo lungo 100 centimetri compie 60 oscillazioni semplici al minuto. Galileo cerca subito di sfruttare l’isocronismo con applicazioni pratiche, che siano utili all’uomo: lo usa nella misurazione della frequenza del polso, degli intervalli musicali e di altri brevi intervalli di tempo. Costruisce anche uno scappamento d’orologio a pendolo, costituito da un’ancora e da una ruota coi denti inclinati.

Nel 1586 inventa la bilancetta idrostatica, cosiddetta perché pesa corpi immersi nell’acqua, e la presenta nel breve scritto La bilancetta.

Nel 1589 Galileo ottiene la cattedra di matematica a Pisa, un incarico mal retribuito e di scarso prestigio perché la matematica viene considerata decisamente inferiore a discipline accademiche quali la filosofia, la teologia o il diritto. Ben presto, però, le sue lezioni vengono seguite da un grandissimo numero di studenti, provenienti da ogni parte d’Europa. Tanta affluenza dipende dal fatto che il giovane scienziato ha un metodo d’insegnamento assolutamente nuovo.

Il costume degli scienziati del tempo è di studiare, discutere e ragionare non per capire o scoprire i vari fenomeni fisici, ma per dimostrare che tutto quello che ha affermato «lui» corrisponde a verità: e il «lui» in questione è Aristotele, vissuto in Grecia 2.000 anni prima, grandissimo filosofo ed anche grande scienziato... che però, in fatto di teorie fisiche, è incappato in notevoli errori; purtroppo, la sua autorità è così grande che ogni sua teoria viene creduta vera anche quando si dimostra falsa. La possibilità di fare esperimenti non viene neppur presa in considerazione: si passano intere giornate in lunghissimi discorsi per sostenere pareri discordi sulla questione se un pesce vivo pesi di più di un pesce morto, quando per trovare la risposta sarebbe sufficiente prendere un pesce vivo e pesarlo, poi ucciderlo e pesarlo di nuovo (si troverebbe così che i due pesi sono uguali).

Questo è, per l’appunto, il metodo d’insegnamento di Galileo: al contrario di tutti gli altri docenti, egli vuole che gli allievi si rendano conto personalmente della verità delle leggi di fisica che va enunciando. Per fare della vera scienza non basta enunciare delle ipotesi, bisogna dimostrarle con l’esperienza; piuttosto che formulare idee stravaganti, dichiara che è meglio «profferire quella savia e modesta parola: “non lo so”». Va più oltre ancora: non esita ad uscire dalle aule universitarie per accompagnare i suoi studenti dove è possibile compiere dei chiari esperimenti.

Così, per ricercare le leggi che regolano la caduta dei gravi, Galileo compie ripetuti esperimenti dall’alto del campanile di Pisa. Tali esperienze mettono in luce un nuovo principio della fisica, e cioè che due corpi lasciati cadere contemporaneamente giungono al suolo nello stesso momento, purché abbiano pesi specifici non troppo diversi; nel vuoto, invece, i corpi di peso e sostanza completamente diversi cadono tutti con la medesima velocità. Illustrando ai colleghi le leggi della caduta dei gravi, per poter misurare più facilmente la velocità di caduta, si serve di un piano inclinato lungo il quale i corpi cadono più lentamente, pur obbedendo alle stesse leggi della caduta libera. Galileo trova anche, tra le altre cose, che la velocità aumenta con l’aumentare del tempo di caduta. Le sue ricerche dimostrano inoltre che un corpo continua a rimanere nel suo stato di quiete o di moto fin tanto che non intervenga una causa esterna a modificarlo: è il noto principio d’inerzia, secondo il quale, una volta che il sistema planetario è posto in moto, non occorre più alcuna forza per mantenere in movimento i singoli pianeti. Il piccolo trattato in forma dialogica De motu antiquiora, del 1590, descrive alcune ricerche sulla caduta dei gravi. La scoperta di Galileo fa nascere un affascinante problema: per quale causa i pianeti si scostano continuamente dalla traiettoria rettilinea e ruotano intorno al sole? Il problema prospettato da Galileo sarà poi risolto da Newton.

Purtroppo, mentre si sta attirando l’ammirazione di un numero sempre maggiore di discepoli, Galileo deve accorgersi con dolore di aver suscitato l’invidia e la gelosia di quasi tutti i suoi colleghi dell’Università. Molti di essi stanno anzi già brigando perché al giovane scienziato venga tolta la cattedra. Galileo deve convincersi che Pisa non è più l’ambiente adatto per potersi dedicare con serenità agli studi.

Un uomo di genio come lui non ha motivo di disperare: nel 1592 viene invitato dal Senato della Repubblica Veneziana ad occupare la cattedra di matematica presso l’Università di Padova. In questa città, che vanta un clima di relativa tolleranza intellettuale e un’apertura cosmopolitica senza paragoni nell’Italia del tempo (favorita dal Governo della Serenissima), e dove si vede circondato da una sincera ammirazione, Galileo riprende con entusiasmo le sue ricerche scientifiche; compone tra il 1593 e il 1599 Le Meccaniche (un trattatello che svolge alcune teorie sulle macchine semplici e vari problemi di statica, forse per delle lezioni private che sta tenendo) e nel 1606 Le operazioni del compasso geometrico e militare (la spiegazione dell’uso di uno strumento di sua invenzione, una specie di regolo calcolatore). Il suo più grande sogno rimane però quello di riuscire a dare una soluzione definitiva ad un enorme problema: ha ragione l’antico astronomo Tolomeo a sostenere che la Terra sia il centro dell’Universo e tutti gli altri corpi celesti girino attorno ad essa, oppure è nella verità lo scienziato polacco Nicolò Copernico che ritiene che sia il sole a star fermo e siano la Terra e gli altri pianeti a girargli attorno? Galileo sa che i calcoli matematici non bastano per dimostrare quale delle due tesi sia quella giusta: ci vogliono le prove! E per trovarle, non vi è che un modo: scrutare l’immensità del cielo con un qualche mezzo non ancora esistente.

L’anno 1609 non è soltanto uno dei più importanti per la vita del grande scienziato pisano, è anche una data memorabile della storia dell’astronomia: è infatti in quest’anno che Galileo inventa il telescopio, un ottimo strumento che rende finalmente possibile l’esplorazione del cielo! Lui stesso racconta: «Sono dieci mesi circa [sta scrivendo nel 1610], che pervenne a’ nostri orecchi un certo grido, esser stato fabbricato da un tale Fiamingo un occhiale, per mezzo del quale gli oggetti, benché assai distanti dall’occhio, si vedevano distintamente come se fossero vicini […] Finalmente, non perdonando a fatica né a spesa alcuna, pervenni a tal segno che ne fabbricai uno così eccellente che le cose vedute con quello apparivano quasi mille volte maggiori, e più che trenta volte più prossime, che vedute dall’occhio libero...». Il «tale Fiamingo» di cui si parla pare essere stato l’Olandese Hans Lippershey, che nel 1608 ha realizzato uno strumento adatto ad ingrandire gli oggetti lontani; ma il cannocchiale dell’Olandese è molto meno potente e dà una visione molto più confusa dello strumento costruito da Galileo. Sono meriti dello scienziato pisano, quindi, sia il miglioramento che l’utilizzazione del cannocchiale, senza contare che questi per primo capisce l’importanza scientifica di una simile invenzione.

Cannocchiale galileiano (dettaglio)

Cannocchiale galileiano (dettaglio) conservato al Museo nazionale della scienza e della tecnologia «Leonardo da Vinci», Milano (Italia)

Le scoperte che il grande scienziato va man mano facendo con questo strumento si rivelano davvero strabilianti: la Via Lattea, sempre creduta una leggera nebbiolina nell’oscurità del cielo, appare invece composta da miriadi di stelle; la luna, ritenuta un corpo celeste risplendente di luce propria, risulta invece un corpo opaco, simile al nostro pianeta, e inoltre non è liscio e senza macchie, come pretendeva Aristotele, ma ha delle macchie che derivano dall’ombra proiettata dalle sue montagne (rilievi di cui riesce anche a determinare l’altezza). Nel 1610 osserva, in vicinanza del pianeta Giove, dapprima tre, poi quattro piccoli astri che ritiene satelliti del grosso pianeta, sconfessando Aristotele e Tolomeo che avevano decretato che solo la Terra era centro di movimenti celesti; inoltre scopre che il pianeta Venere presenta delle fasi simili a quelle della luna, l’anello di Saturno e le macchie solari: con l’osservazione di queste macchie che giorno per giorno appaiono sempre più spostate sul disco solare, deduce che anche il grande astro ruota su se stesso. L’Istoria e dimostrazioni intorno alle macchie solari e loro accidenti, del 1613, raccoglie tre lettere che trattano delle macchie solari; qui viene abbracciato apertamente ed inequivocabilmente il sistema copernicano.

Come frutto di tali studi e di così strepitose scoperte, Galileo pubblica grandi opere: nel 1610 il Sidereus Nuncius (Messaggero delle Stelle), nel 1623 il Saggiatore e nel 1632 il Dialogo sopra i due massimi sistemi (cioè quello tolemaico e quello copernicano). Tra le altre opere ricordiamo il Discorso al serenissimo Don Cosimo II del 1612 (vi sono dimostrati i principi dell’idrostatica secondo Aristotele), la Lettera a G. Baliani del 1614 (Galileo rivela che l’aria pesa e descrive il metodo per determinare il peso stesso), e i Discorsi e dimostrazioni matematiche, attorno a due nuove scienze attinenti alla meccanica ed i movimenti locali del 1638 (in cui espone, con metodo scientifico, geniali teorie su numerosissimi fenomeni fisici). In queste opere, Galileo si rivela uno dei migliori prosatori del Seicento, anche per il tentativo di creare un linguaggio scientifico in italiano in quanto la scienza deve diventare patrimonio di tutti, anche di chi non conosce il latino pur essendo dotato di intelligenza e curiosità. Nel frattempo ha portato a termine altre realizzazioni: sono dell’anno 1624 l’invenzione e il perfezionamento del microscopio, spaziando così dall’«infinitamente grande» all’«infinitamente piccolo» (definizioni mie).

Sebbene convalidate da prove ed anche dalle osservazioni di due astronomi gesuiti forniti di un proprio telescopio, le teorie scientifiche di Galileo sono troppo sbalorditive per essere accettate con facilità: egli deve purtroppo accorgersi di non essere affatto compreso; all’incomprensione si aggiunge anche la condanna. Vediamo, nei dettagli, come si dipana il «caso Galileo».

Galileo davanti al Santo Uffizio

Joseph Nicolas Robert-Fleury, Galileo davanti al Santo Uffizio, XIX secolo

Il 26 febbraio 1616, due giorni dopo la condanna della teoria copernicana, il Cardinale Roberto Bellarmino a Roma comunica a Galileo di abbandonare «l’opinione che il sole stia al centro del mondo immobile e che la Terra si muova» e di non aderirvi in alcun modo, né di insegnarla e difenderla a voce o con gli scritti. Per scrivere il Dialogo sopra i due massimi sistemi, lo scienziato pisano si impegna quindi ad avere l’imprimatur (l’autorizzazione alla pubblicazione) dalla Congregazione dell’Indice ed a presentare in modo imparziale i due sistemi cosmologici, quello tolemaico e quello copernicano (in realtà, però, sarà il sistema copernicano ad uscire vincitore). Il Dialogo si articola in quattro giornate di discussione e intenso confronto metodologico tra il nobile fiorentino Filippo Salviati, portavoce del pensiero dell’autore, il patrizio veneziano Giovan Francesco Sagredo nel cui palazzo sul Canal Grande si svolgono le giornate di discussione (entrambi sono stati discepoli di Galileo a Padova e suoi cari amici) e Simplicio, dal nome di un commentatore di Aristotele vissuto nella prima metà del VI secolo, che dovrebbe raffigurare il tipo dello studioso accademico e di tradizione aristotelica, un personaggio che incarna il principio di autorità e il conservatorismo culturale. Simplicio, sostenitore della teoria tolemaica, è ritratto come un sempliciotto presuntuoso e inesorabilmente schernito («Intanto io voglio dire che ebbi a smascellare dalle risa quando m’incontrai in Messer Simplicio», scrive uno degli amici di Galileo), uno scherno che si sottintende a tutti gli oppositori del copernicanesimo; e qualcuno insinua che la figura di Simplicio intenda addirittura satireggiare il Papa Urbano VIII (al secolo Maffeo Barberini, amico e ammiratore di Galileo), perché verso la fine del Dialogo lo scienziato pisano, probabilmente senza rendersi conto di fare una follia, mette in bocca a Simplicio un argomento particolarmente caro al Papa, e cioè che, per quanto stringenti possano essere gli argomenti a favore di un sistema, rimane impossibile per la mente umana raggiungere la certezza completa, perché Dio, nella sua onnipotenza, può aver ottenuto gli stessi risultati in un altro modo. Si può aggiungere che la situazione militare nella Guerra dei Trent’Anni si sta deteriorando per le forze cattoliche e si stanno alzando voci che insinuano che il Papa sia «morbido» verso l’eresia – solo una posizione intransigente sulla questione del copernicanesimo potrebbe mettere fine a tutte queste accuse.

Il 22 giugno del 1633, nel convento della Minerva a Roma, Galileo viene condannato dal Tribunale del Sant’Ufficio perché «giudicato vehementemente sospetto d’eresia, cioè d’haver tenuto e creduto che il sole sia al centro del mondo et imobile e che la Terra non sia al centro e che si muova». Quindi legge e fa propria questa dichiarazione: «Con cuor sincero e fede non finta abiuro, maledico e detesto li suddetti errori et heresie, e generalmente ogni et qualunque altro errore, heresia e setta contrari alla Santa Chiesa». (È invece un’invenzione del Settecento che Galileo, dopo la ritrattazione, abbia esclamato, riferendosi alla Terra: «Eppur si muove!»). Amareggiato e avvilito, si ritira nella sua villa di Arcetri, presso Firenze, dove può ricevere visite e proseguire il suo lavoro scientifico.

Resta da capire come si sia arrivati a questo. La teoria eliocentrica proposta da Nicolò Copernico data al 1543, ma viene presentata, per non irritare quanti aderiscono ad opinioni contrarie, non come qualcosa di reale, ma come qualcosa che serve unicamente per fare calcoli. Invece Galileo fin dal 1612 sostiene che oggetto della ricerca scientifica è la «vera costituzione dell’Universo, poiché tale costituzione è, ed è in un modo solo, vero, reale, e impossibile ad esser altramente» e che le dimostrazioni scientifiche non possono essere fondate sulla Sacra Scrittura perché essa insegna «come si va in Cielo, non come va il cielo»: in materia scientifica la Bibbia dice pochissime cose e per lo più si adatta al modo di parlare comune perché il suo scopo non è di far conoscere le verità scientifiche, ma le verità di fede necessarie alla salvezza. Si tratta di un ragionamento teologico ineccepibile. Oltretutto, Galileo rimane fermamente convinto che poiché la scienza e la fede derivano da un’unica fonte, che è Dio, possono entrambe portarci, sia pure per vie diverse, a quell’unica fonte (e non possono contraddirsi). Già Sant’Agostino, comunque, aveva detto nella sua De Genesi ad litteram che «non si legge nel Vangelo che il Signore avrebbe detto: “Vi manderò il Paraclito [lo Spirito Santo] che vi insegnerà come vanno il sole e la luna”. Voleva formare dei Cristiani, non dei matematici»; questa tradizione viene poi ripresa da San Tommaso d’Aquino e confermata da alcuni autori dei secoli XIV-XVI. Anche il famoso passo di Giosuè 10, 12: «Oh sole, fermati su Gabaon, / e tu, oh luna, nella valle di Aialon» è da intendersi come una libera drammatizzazione poetica per indicare il «giorno più lungo» della battaglia (cioè il desiderio epico di trionfo, realizzato perché il Signore guida le armate d’Israele), non come un’enunciazione scientifica; nella terminologia biblica il verbo «damam» («stare fermo») si riferisce non all’arresto del corso del sole e della luna, ma della loro luminosità con un oscuramento atmosferico: secondo questa accezione, la traduzione letterale sarebbe: «Oscurati, oh sole, su Gabaon, / e tu, luna, cessa di risplendere sulla valle di Aialon». Il Concilio Vaticano II, dopo tre secoli di discussioni sul rapporto tra conoscenza scientifica ed interpretazione della Bibbia, afferma che Dio nella Scrittura rivela la «verità in vista della nostra salvezza» (Dei Verbum, 11) e spiega che il fraintendimento che sta alla base del «caso Galileo» deriva da «certi atteggiamenti mentali, che talvolta non mancano nemmeno tra i Cristiani, derivati dal non aver sufficientemente percepito la legittima autonomia della scienza, e che, suscitando contese e controversie, trascinarono molti spiriti a tal punto da ritenere che scienza e fede si oppongano tra loro» (Gaudium et spes, 36).

Nel 1638 il grande scienziato viene colpito da una terribile sventura: i suoi occhi, che hanno visto per primi i segreti del cielo, non vedono più. La cecità non gli impedisce tuttavia di proseguire gli studi: aiutato da alcuni suoi fedeli discepoli, può ancora dedicarsi alle ricerche scientifiche.

Nel gennaio del 1642, quando lo coglie la morte, ben pochi sono in grado di comprendere l’enorme importanza delle sue scoperte scientifiche (di cui in questo articolo abbiamo elencato solo le principali, e i principali suoi scritti). Ma, presto o tardi, la verità s’impone: le esatte teorie del grande scienziato italiano finiscono per essere accettate universalmente. Solo allora a Galileo viene tributato quel giusto riconoscimento che, in vita, gli è sempre stato negato. Con lui muove i primi passi un nuovo tipo di scienza: la scienza moderna!

(novembre 2016)

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