Un chierico regolare nella Lucca del Seicento
Tra erudizione e fede, alcune riflessioni sul «secolo di ferro»

Gli studi storici che si occupano di storia della Chiesa spesso affrontano dinamiche complesse senza riuscire a cogliere quelle sfumature che solo un’osservazione dall’interno, defilata, permetterebbe di chiarire. Come non ricordare le celebri figure di don Abbondio e fra’ Cristoforo nei Promessi sposi, così magistralmente tratteggiate? Alessandro Manzoni ebbe con la città di Lucca un rapporto privilegiato non solo perché la figlia Vittoria sposò Giovan Battista Giorgini; in molti non ne sono a conoscenza, ma la presenza del Manzoni è precedente al matrimonio della figlia, avendo egli in città i cugini, conti Bianucci, che assiduamente frequentò.

Intendo perciò ridare alla luce alcune vicende di un singolare e bizzarro personaggio, nato nella città toscana il 4 luglio 1618 ed ivi deceduto novantaseienne, nel 1714, che vestì l’abito talare a quindici anni e che fece il suo noviziato in Roma, nell’antica casa di Santa Maria in Portico. Fu nell’Ordine lettore di filosofia e teologia, prima in Roma, poi in Lucca. Nella città toscana fu Procuratore e Rettore della Casa, per qualche tempo Vicario Generale. Egli appartenne ad una di quelle famiglie «d’arme e d’altare» legate allo stesso entourage che Manzoni conobbe e che richiama in qualche modo i singolari personaggi del Seicento magistralmente fotografati dal grande scrittore.

Il religioso si chiamava padre Bernardino Pierotti. Apparteneva ad una famiglia aristocratica di origini longobarde che ha sempre avuto politicamente con la città di Lucca un rapporto privilegiato. L’Ordine dei Chierici Regolari della Madre di Dio, cui padre Bernardino ed altri membri della sua famiglia (sepolti peraltro in Santa Maria Corte Orlandini a Lucca, chiesa dell’Ordine) appartennero sin dal principio, fu fondato nel 1576 da Giovanni Leonardi. L’Ordine si pose da subito, come scopo precipuo, quello di gestire il delicato momento storico scaturito dalla Riforma Protestante, valorizzando l’intero patrimonio teologico e culturale che la Chiesa Romana aveva da sempre sostenuto. Padre Bernardino, per un certo periodo Rettore nella sua città dell’Ordine approvato da Papa Clemente VIII, si adoperò in ogni modo in un’opera di erudizione piuttosto importante: reperiva testi antichi ed opere più recenti, che destinava agli archivi dell’Ordine. Si narra che lo stesso Antonio Muratori, in occasione di una sua visita agli archivi cittadini, abbia messo in rilievo pubblicamente l’opera meritoria del religioso lucchese, di cui si avvalse con entusiasmo. L’Ordine dei Chierici Regolari della Madre di Dio in alcuni periodi si unì con quello degli Scolopi ed ebbe un ruolo significativo in città nel campo dell’istruzione.

Ma la singolarità, eccentricità e, se vogliamo, la caparbietà del personaggio affonda le sue radici nel difficile momento storico che tutta la Cristianità stava vivendo nel Seicento, contrassegnato peraltro da una fortissima crisi economica, tale da indurre le principali potenze europee a fare dei conflitti l’unica arma vincente della loro strategia politica.

L’Ordine celebra il personaggio all’interno di una sua pubblicazione[1] che in qualche modo tratteggia i caratteri profondi della società italiana del periodo. Il San Filippo Neri di Lucca, così fu chiamato il religioso, pose zelo nell’osservanza dei precetti al punto da «consumarlo sin nelle viscere». Prosegue la descrizione dell’Ordine sul personaggio: «Non lasciava mai neanche in campagna la sua ora d’Orazione di ogni mattina, la Lezione spirituale del dopo pranzo, le litanie della Madonna […]. Si può dire che la sua vita fosse un continuo digiuno, e se ne stava le intere mattinate fino all’ora di pranzo in Confessionario o con gli esercizi più faticosi».

Suggestiva la descrizione sia sull’intervento del religioso presso zelanti nobildonne cittadine (viene citata in proposito Giulia Maria Franciotta Guinigi) che la raccomandazione dei suoi superiori quando, ormai novantenne, volendo fargli consumare del cioccolato, spesso con diniego del religioso medesimo, non ci riuscivano.

Non intendo certamente dubitare della veridicità di questa descrizione. Ma, se vogliamo anche prescindere dalla stessa, peraltro datata, una cosa resta certa: chiunque, anche i religiosi di origine aristocratica, in quel secolo furono costretti a camminare «come tanti vasi di coccio in mezzo a vasi di ferro».

Il «secolo di ferro» fu per il nostro Paese un’epoca complessa e la città di Lucca ne è fulgido esempio. Dopo aver conosciuto momenti di gloria nel Medioevo, già a partire dal Cinquecento era dovuta ricorrere a diversi espedienti, come ci ricorda opportunamente il professore e storico lucchese del XX secolo Guglielmo Lera, peraltro vicino, non solo geograficamente, alla famiglia di padre Bernardino, per garantirsi la sopravvivenza politica[2]. Non ultimo mercificare e sostenere gli stessi capitali cittadini rimasti nelle mani di coloro i quali, convertitisi al protestantesimo, e per questo fuggiti un po’ in tutta Europa, fecero confluire nella città d’origine, pare attraverso «singolari» partite di giro, gli stessi capitali. In una parola tutto questo per ovviare ad un depauperamento vertiginoso della città e per garantire in qualche modo agli stessi esiliati gli interessi nella patria d’origine.

Il clima non era certamente dei migliori ed un po’ come nella nostra epoca, si sopperiva alle difficoltà del momento esorcizzando fatti e situazioni: padre Bernardino unì, accanto alla sua meritoria attività di erudito, una precisa volontà missionaria. Viene ricordato infatti per aver convertito due musulmani che transitavano in città: volontariamente il primo, dopo vari tentativi, perché la conversione non andò subito a buon fine, il secondo. Ciò rappresentò per la compagine cittadina quasi un «segno del destino», la possibilità di convivere, anche attraverso precisi espedienti, con un più generale senso di sconforto, se vogliamo, che i tempi prospettavano.

Ma per comprendere ancor più da vicino che cosa doveva significare vivere nel «secolo di ferro» per una città che non aveva certamente un esercito, per di più in difficoltà finanziarie, ci viene incontro una pubblicazione del 2009 che celebra non solo le difficoltà specifiche del contesto lucchese, ma più in generale la condizione giuridica di un paese in declino[3]. Attraverso un’indagine volta alla ricostruzione della famiglia nella Lucca del Seicento, ove il coinvolgimento familiare nell’esercizio delle funzioni dello Stato faceva sì che la vita pubblica della città si confondesse con i ritmi, le pulsioni e le esigenze delle grandi casate cittadine, è possibile quantificare quanto la famiglia fosse il centro attorno al quale ruotava e si plasmava tutta l’organizzazione politica della Repubblica. Se di fatto in queste famiglie «d’arme e d’altare» pubblico e privato coincidevano, non possiamo ignorare quanto la formazione di religiosi come padre Bernardino fosse condizionata dai bisogni, le esigenze della famiglia d’origine e, più in generale, dalla realtà politica cittadina. I contesti politici della Penisola erano variegati, ma la matrice di fondo comune: contrassegnata dal ripristino giuridico per eccellenza del fedecommesso e del maggiorascato, che fecero da sfondo quali strumenti per la tutela della corporazione familiare.

Nella descrizione del religioso pubblicata dall’Ordine non emerge certamente il vissuto più profondo e la devozione più radicata all’ambito cittadino e familiare del nostro se non sotto forma, io credo, di caparbietà nella ricerca sia dei documenti che di una devozione a tutto tondo, tanto genuina quanto costruita in un percorso di vita in cui si era sempre, comunque, «vasi di coccio». Ritengo tuttavia significativa l’esperienza più generale che da tale descrizione scaturisce, sia sul piano emotivo che sociale.

Sin dai primi anni del XVII secolo si prese coscienza che esistono periodi nella vita sociale in cui sorgono difficoltà nelle strutture e nello svolgimento della vita collettiva che ne ostacolano il progredire. È noto che durante il Seicento la monarchia spagnola si scontrava con difficoltà finanziarie e doveva affrontare gravi problemi economici che derivavano dalla crescita quotidiana dei prezzi. Le inadeguate misure che spesso furono prese per arginare la situazione intralciarono il ristabilimento di una crisi. Parliamo di crisi sociale avvertendo nel XVII secolo un’alterazione dei valori e dei corrispondenti modelli di comportamento. Per ristabilire una situazione di pace civile si creò una vasta operazione sociale volta a contenere le forze che minacciavano di sconvolgere l’ordine tradizionale. I principi fondamentali su cui si poggiava la società del Seicento finirono per dominare anche le attività economiche. Scopo prioritario divenne il privilegiare con ogni sorta di vantaggi i notabili al fine di mantenere l’ordine. Nel Seicento la nobiltà recuperò un ruolo importante, su base economico-sociale. La Chiesa, e l’esempio di padre Bernardino lo attesta, introdusse nel suo codice morale modi di comportamento celebrati dagli interessi aristocratici. Nel romanzo manzoniano, cui ho fatto cenno, emerge la frantumazione dei valori nei quali il Seicento aveva creduto, preparandosi così il terreno ad un Illuminismo che, tuttavia, non perderà di fatto, nel profondo, i valori cristiani.


Note

1 Raccolta di P. Carlantonio Erra milanese della medesima congregazione (Chierici Regolari della Madre di Dio) dedicate all’eminentissimo principe Flavio Chigi Diacono cardinale di Santa Maria in Portico. Tomo secondo. Roma, 4 marzo 1860.

2 Breve storia dell’emigrazione lucchese, a cura del professor Guglielmo Lera, pubblicazione dell’Associazione Lucchesi nel Mondo.

3 Chiara Galligani, L’ordine delle famiglie, ETS, Pisa 2009.

(agosto 2011)

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