Profili di uomini della Resistenza
Testimonianze per il 70° Anniversario della Liberazione

Il prossimo 25 aprile ricorrerà il 70° Anniversario della Liberazione Nazionale dalle forze nazifasciste di stanza in Italia durante il Secondo Conflitto Mondiale, momento che segnò il percorso successivo della nostra storia. La pacificazione reale delle forze in campo indubbiamente non ci fu ed ancora oggi assistiamo a dibattiti più politici che storici sui reali accadimenti. Voglio qui prescindere da ogni considerazione politica e limitarmi a registrare e raccontare alcuni profili di personaggi rilevanti, sul piano storico, che si prodigarono per far riaccendere nel nostro Paese la speranza in un futuro democratico. Vissero nella mia città, Lucca, duramente provata a lungo dalla Linea Gotica e dunque dal Fronte.

Furono uomini legati a contesti politici diversi, sia Cattolici che laici, che fecero della speranza vero motivo d’azione, superando spesso anche quelle barriere ideologiche ed ideali che certamente non li accomunavano.

L’abito morale spetta indubbiamente a Don Arturo Paoli. Egli si prodigò nella resistenza apuana e lucchese. Nato nel 1912 e tutt’ora vivente, le sue note biografiche parlano da sole.

Presbitero, religioso e missionario, appartiene alla Congregazione dei Piccoli Fratelli del Vangelo. È stato proclamato «Giusto tra le Nazioni» per il suo impegno a favore degli Ebrei perseguitati durante la Seconda Guerra Mondiale. Frequentò la Facoltà di Lettere a Pisa, laureandosi all’Università Cattolica di Milano nel 1936. Entrò da adulto in Seminario, nel 1937, e prestò servizio nell’Azione Cattolica Italiana scontrandosi con i metodi e l’ideologia dell’allora Presidente Nazionale Luigi Gedda. Nel 1954 fu nominato cappellano degli emigranti in Argentina, per poi entrare nella Congregazione religiosa ispirata da Charles de Foucauld e fondata da René Voillaume. Ha vissuto poi in Algeria, rientrando in Italia nel 1957 dove, in Sardegna, a Birdua, avviò una nuova Fraternità di solidarietà con i lavoratori della miniera di zinco di Monte Agruxau. Il suo rientro in Italia non fu ben visto dalle autorità vaticane, che temevano una radicalizzazione della sua critica tra potere civile ed ecclesiastico. Si trasferì dunque in Argentina e nel periodo critico della dittatura militare fu accusato d’essere un trafficante d’armi con il Cile di Salvator Allende ed inserito per tale motivo in una lista di persone da eliminare.

Lui, in quel momento in Venezuela, non rientrò in Argentina perché avvertito del pericolo. Cinque suoi confratelli furono tra i «desaparecidos» eliminati in quel Paese.

Successivo fu il suo trasferimento in Brasile, fino al 1980, quando è rientrato definitivamente in Italia, vivendo nella Comunità religiosa di Spello.

Dal 2006 vive a Lucca ed ha ricevuto proprio quell’anno dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi la Medaglia d’Oro al Valore Civile.

Affidiamoci alle sue parole per comprenderne il percorso umano e religioso: «Sono nato in mezzo ai rumori di guerra del 1912 e mi viene, come ricordo dell’infanzia, l’immagine di mia madre che si alza da tavola, mi prende per mano e mi conduce nella vicina Piazza della Misericordia (in città a Lucca) per assistere al passaggio di un drappello di reduci dal fronte. Mi è restata l’immagine di uomini bendati, mal vestiti, zoppicanti. La prima adolescenza fu aggredita da immagini di violenza, di quei saggi di guerra civile che ho raccontato nei miei scritti. Sono stato ordinato sacerdote nel 1940, quando la storia si apriva ad una guerra che ha accatastato tanti cadaveri quanti nessun’altra, né prima né dopo, almeno finora, sperando che non avvenga l’apocalisse totale. Da Piccolo Fratello sono stato inviato in Algeria, nel pieno della guerra per l’indipendenza. Un fratello della mia comunità viene ucciso mentre attraversa una linea di fuoco alla guida di un camion. Voglio cominciare con questi accenni per presentarmi paradossalmente come uomo di pace e dirvi, con tutta schiettezza, che il tema della pace è stato il filo conduttore di tutta la mia vita. Non credo inutile cominciare da questa dichiarazione, perché in molti può sorgere la domanda perché uomini di Chiesa, cioè testimoni di valori che sembrano essere fuori ed al di sopra della mischia, possano partecipare attivamente ad iniziative nelle quali l’amore e la violenza, la giustizia e la vendetta personale, la dignità della persona e la sua strumentalizzazione appaiono elementi così intrecciati fra loro e confusi, che parrebbe impossibile estrarre, da questo amalgama, dei valori allo stato puro. Di fatto bisogna riconoscere che la storia è il luogo della tentazione».

L’ambiguità della storia permette molti trapassi, motivazione che spinse molti membri del clero lucchese a partecipare alla Resistenza, così come del clero italiano. Come Don Aldo Mei, il prete lucchese che, prelevato dalla sua chiesa mentre diceva Messa, durante la Seconda Guerra Mondiale, venne fucilato per aver dato asilo ad alcuni Ebrei perseguitati. Ed altri ancora.

La guerra è la variabile che ruppe i rapporti tra gli Italiani ed il fascismo, e dunque anche tra gli Italiani ed il clero, che, in prevalenza, scelse di giocare una partita autonoma, assistendo la popolazione, le migliaia di sfollati che, in provincia di Lucca, ripararono sulle colline, nascondendo i ricercati, e quindi i renitenti e gli Ebrei.

L’attivismo ecclesiale si integrò con l’azione dell’antifascismo cittadino legandosi ad un network clandestino di assistenza agli Ebrei organizzato da Giorgio Nissim, che spaziò in tutta l’Italia Centrale, da Assisi sino a Genova, con un suo centro logistico-organizzativo a Firenze, grazie all’opera del Cardinale Elia Dalla Costa, almeno fino al 1943, e poi lo trasferì proprio a Lucca. L’Arcivescovo Torrini in quel periodo fu un protagonista e spinse molti suoi sacerdoti a dare una mano, accettando che nei monasteri si rompesse la regola della clausura per dare rifugio ai ricercati. Quattro sacerdoti – Don Arturo Paoli citato, Don Guido Staderini, Don Renzo Tambellini e Don Sirio Niccolai – fecero vita comune presso i locali dell’ex Seminario in Via dell’Orto Botanico, dove ospitarono anche le riunioni clandestine del Comitato Nazionale di Liberazione di Lucca.

Ma non solo dei religiosi si prodigheranno per difendere la popolazione e custodire quei valori di libertà che l’occupazione delle forze naziste aveva rigenerato. Tra questi i laici Carlo Del Bianco e Ernst Erbestein, come figure diverse e rappresentative del contesto lucchese.

Carlo Del Bianco nacque a Lucca il 13 gennaio del 1913 in un’agiata famiglia cittadina. Figlio unico, frequentò il prestigioso Liceo Classico Niccolò Machiavelli, che durante il Ducato, nella Lucca indipendente, era stato Università cittadina. Egli era tuttavia uno spirito insofferente e forse in quel contesto l’unico ad aver letto qualcosa di Marx ed Arturo Labriola. Iscrittosi alla facoltà di Lettere dell’Università di Pisa, si laureò a Firenze nel 1938 con una tesi in filosofia della scienza. Giovane professore nel medesimo Liceo dove aveva studiato, dopo l’8 settembre 1943 organizzò con Don Arturo Paoli una piccola formazione partigiana, probabilmente la prima della provincia di Lucca, che non ebbe mai però un ruolo operativo. Preso in ogni caso nel mirino dalle forze nazifasciste, Carlo Del Bianco fu allontanato da Lucca e si diresse nel Nord, in direzione di Venezia. Dopo alterne vicende, su un convoglio diretto a Rovigo, con un salto rovinoso cadde dal treno, per fuggire, e perse l’uso delle gambe, che gli vennero amputate. Morì di lì a breve, in ospedale a Rovigo. Era il 1944.

Lo stadio cittadino era stato inaugurato da poco: anno 1937. Al Porta Elisa (questo il nome dello stadio) durante il campionato di calcio di serie A, un allenatore aveva compiuto il miracolo di portare una piccola squadra di provincia a competere con le grandi. L’allenatore in questione era Ernst Erbestein, tra i migliori tecnici europei del suo tempo, di origine ungherese e di fede ebraica. Scrisse di lui il giornalista Massimo Novelli: «Un uomo calcisticamente preparatissimo, con una profonda cultura e una grossa intelligenza calcistica che lo portava a studiare e ad attuare innovazioni tecniche e sistemi di preparazione a quei tempi sconosciuti in Italia». Nel 1938 Erbestein si trasferì a Torino e a causa delle leggi razziali fu costretto a cambiare il cognome in Egri. Ma in Italia le difficoltà di vita peggiorarono per gli Ebrei e il tecnico e la sua famiglia, tra cui la figlia Susanna, poi celebre danzatrice e coreografa, se ne andarono in semiclandestinità in giro per l’Europa, scansando fortunosamente persecuzioni e deportazioni. Nel dopoguerra Erbestein sarà l’allenatore del grande Torino, consegnato alla leggenda calcistica e non solo dal tragico incidente di Superga del 1949.

Nel periodo lucchese il tecnico di origini ungheresi aveva potuto conoscere ed apprezzare le qualità di un giovane professionista del pallone: il Faentino Bruno Neri, mediano sinistro proveniente dalla Fiorentina, della cui promozione in serie A era stato tra i principali artefici, nel 1933 campione del mondo universitario. Neri fu convocato in Nazionale proprio nel 1936, quando giocava nella Lucchese. Seguirà l’allenatore Erbestein a Torino. Con la fine della guerra terminò non solo la sua vicenda calcistica ma anche quella umana. Aveva aderito alle forze partigiane nel 1944. Fu il vicecomandante della formazione Ravenna col nome di Benni e perse la vita in un’imboscata il 10 luglio 1944 sull’Appennino Tosco-Emiliano, all’Eremo di Gamogna, sopra Marradi. L’influenza umana e politica di Erbestein avevano in lui lasciato il segno.

Nella stessa squadra cittadina lucchese altre due figure emersero durante la Resistenza, entrambe legate nella loro formazione antifascista a Erbestein: il centromediano Bruno Scher e il portiere Aldo Olivieri.

Il primo, istriano d’origine, non poteva passare inosservato. Dopo aver indossato per tre anni la maglia del Lecce nella serie cadetta e per un anno quella del Bari in serie A, era in predicato per passare ad una società importante, una del Nord, l’Ambrosiana Inter. Anche il C. T. della Nazionale, Vittorio Pozzo, lo aveva notato. Ma avendo Scher posizioni marxiste dovette rinunciare ad una brillante carriera e dirigersi a Lucca dove conobbe l’allenatore Erbestein. Per consentirgli di proseguire la promettente carriera calcistica gli fu suggerito qualche anno dopo da un membro del Partito Fascista cittadino lucchese di italianizzare il suo cognome da Scher a Scheri. Siamo nell’anno calcistico 1938-1939, oramai non è più legato ufficialmente a Erbestein, che si è trasferito a Torino. Non è dato sapere se fosse ancora in relazione diretta con lui, se eventuali contatti avessero ulteriormente appesantito la sua condizione, sta di fatto che Scher non volle saperne di rinunciare al cognome ed alle proprie origini, facendo le valige e trasferendosi, prima al Sud, poi nella terra d’origine, finendo dunque la sua carriera calcistica confuso nel girone C.

Altra figura di spicco: Aldo Olivieri, «Gatto magico», portiere del Verona, della Lucchese, del Torino, della Nazionale mondiale del 1938, è stato un’altra creatura di Erbestein, che volle con sé per oltre un decennio: a lui l’estremo difensore rimase sempre legatissimo, al punto da chiamare la figlia Susanna, facendole frequentare la scuola di danza classica. Il fascismo non lesinò riconoscimenti a «Gatto magico», ma Olivieri non aderì al Regime. Non fu neppure un antifascista militante, cercando di dissimulare, come lui stesso ebbe ad affermare, per potere vivere in anni difficili una condizione complicata, soprattutto nel suo caso, data la sua esposizione mediatica.

Le vicende che ho descritto mettono in luce le complesse dinamiche di quel periodo per chi fu particolarmente esposto e non in linea col regime fascista. Nella città di Lucca, probabilmente anche per la sua posizione geografica di demarcazione tra Centro e Nord Italia, pur tuttavia bianca per definizione, queste situazioni, seppur «nascoste» furono ben presenti. Tale condizione cittadina culminò nel passaggio della Linea Gotica, momento decisivo ma anche assolutamente destabilizzante. Le esperienze di vita dei personaggi sono certamente un invito a riflettere su una stagione ormai lontana, ma rappresentativa della nostra Storia Nazionale.

Una Resistenza, la loro, non necessariamente militante, o quantomeno non sempre classificabile come tale. Fu più sostanziale che formale, legata a quei valori di Libertà che la costruzione lenta e graduale di un tessuto democratico durante il XIX secolo avevano forgiato.

(maggio 2015)

Tag: Elena Pierotti, Seconda Guerra Mondiale, Italiani, Italia, partigiani, Lucca, Resistenza, uomini della Resistenza, lotta partigiana, Linea Gotica, Don Arturo Paoli, Don Aldo Mei, Giorgio Nissim, Don Guido Staderini, Don Renzo Tambellini, Don Sirio Niccolai, Carlo Del Bianco, Ernst Erbestein, Bruno Neri, Bruno Scher, Aldo Olivieri, Vittorio Pozzo.