Salvo D’Acquisto. L’ultima scelta
Il contesto storico. La figura del vicebrigadiere Salvo D’Acquisto. Il sacrificio. La memoria

Avvertenza: per ragioni di lunghezza, e in accordo con l'Autore, questo articolo è stato pubblicato privo delle note presenti nel testo originale.

Durante il Secondo Conflitto Mondiale furono numerosissimi gli atti di eroismo compiuti per proteggere i civili inermi, e per salvare i perseguitati. Lo attesta, a esempio, l’elenco di quanti sono stati dichiarati «Giusti tra le Nazioni» per aver difeso gli Ebrei dalle persecuzioni. Esiste comunque anche un elevato numero di persone, civili e militari (Corpo della Regia Guardia di Finanza, Arma dei Carabinieri Reali, Regia Guardia per la Pubblica Sicurezza, Regio Esercito…), sacerdoti e religiosi, che sfidarono i proclami nazisti e le decisioni dei comandi militari per salvare vittime innocenti. Tra queste figure c’è anche un Carabiniere napoletano: il vicebrigadiere Salvo D’Acquisto.

Salvo D’Acquisto

Salvatore (Salvo) D’Acquisto nell'autunno del 1939

Nascita e formazione

Salvo Rosario Antonio D’Acquisto (Napoli 1920) nacque nel quartiere Vomero. La casa stava al terzo piano di un edificio in Via San Gennaro ad Antignano numero 2. Famiglia cattolica. II padre (Salvatore), Palermitano, aveva sposato la Napoletana Ines Marignetti (figlia di Biagio, maresciallo dei Carabinieri). Questa coppia generò in tutto otto figli, cinque dei quali sopravvissero al periodo dell’infanzia (Salvo, Franca, Rosario, Erminia e Alessandro). Salvatore aveva partecipato alla Prima Guerra Mondiale nel Corpo dei Bersaglieri. Al momento della nascita di Salvo lavorava come operaio presso la Società Italiana Ossigeno.

L’infanzia di Salvo venne segnata da una situazione economica familiare non facile. Tale realtà fu legata a difficoltà paterne (grave incidente sul lavoro e conseguenze sulla gamba destra). I genitori, umili di origine ma seri Cristiani, trasmisero ai figli valori-base, e insegnarono a pregare fin da quando erano piccoli. Inoltre, la presenza in casa della nonna materna (Erminia), contribuì all’educazione dei piccoli. Salvo trascorse gli anni della prima formazione scolastica a Napoli. Fu iscritto all’asilo delle Figlie di Maria Ausiliatrice.

Studiò poi (prime tre classi delle elementari) presso l’Istituto Statale «Luigi Vanvitelli». Si recava anche nella chiesa dei Gesuiti (catechismo; serviva Messa). Il 5 giugno del 1927 ricevette la Prima Comunione.

Nel 1929, frequentò la quarta elementare presso l’Istituto Salesiano del Sacro Cuore (quartiere Vomero). Nel 1931 si iscrisse alla Scuola di Avviamento Professionale «Giambattista Della Porta». Un anno più tardi lasciò gli studi professionali e passò al Liceo Ginnasio «Gian Battista Vico» (Salesiani), ove si diplomò. Ebbe come professore di lingua francese e musica Don Pietro Cavalletti. Fu in questi anni che, dopo essere stato iscritto all’Apostolato della preghiera, partecipò attivamente alla vita dei giovani di Azione Cattolica attraverso l’associazione interna all’Istituto Salesiano.


L’umanità di Salvo D’Acquisto

Negli anni della crescita, Salvo D’Acquisto manifestò un’umanità aperta a chi era in difficoltà. Sono diversi gli episodi. Due rimangono significativi. Il primo risale all’inverno del 1932 e ricorda il dono delle scarpe di Salvo a un bambino più povero sullo sfondo di una Napoli di altri tempi.

Nella seconda circostanza, Salvo aveva 16 anni (1936). Si lanciò davanti a un treno per salvare un suo coetaneo in pericolo.

Salvo con la sorella Francesca e un’amica

Salvo con la sorella Francesca (a sinistra) e un’amica, fine anni Trenta

L’esperienza nel mondo del lavoro

Per le difficoltà economiche della famiglia, Salvo si inserì nel mondo del lavoro. Nel 1934 divenne apprendista presso il negozio di un prozio: Giuseppe Pinfildi. Quest’ultimo, nel «Bazar Toledo», offriva ai clienti oggetti di ogni tipo. Vendeva pure delle bambole di stoffa e cartapesta. Anche il giovane D’Acquisto cominciò a fabbricarle nel laboratorio retrostante. Si occupava, in particolare, dell’imbottitura con la paglia. Dopo tre anni, però, dovette lasciare il posto di lavoro per l’improvvisa chiusura dell’impresa, legata a problemi economici.


La testimonianza della madre

Di questi anni uno dei testimoni fu la madre di Salvo: la signora Ines Marignetti. All’età di 81 anni, rimaneva ancora lucida. Una donna serena e forte. Ricordava bene il suo Salvo, ragazzo del ginnasio: «Andava dai Salesiani, non era interno ma esterno. Ci andava la mattina e tornava alla sera: stava tutto il giorno lì, fino alle sette, quando suo padre andava a ritirarlo. Che cosa faceva? Andava a scuola, poi a refezione, poi al doposcuola, e giocava. I Salesiani guardavano i ragazzi giocare, facevano tanti giochi. A lui piaceva molto il pallone: giocava con i preti, loro pure erano giovani, gli piacevano gli sport». «La bontà era una sua particolare virtù; e quando poteva compiere una buona azione, sapeva poi anche essere discreto». «Non conobbe agiatezze, non ebbe perciò tanti vizi o capricci. Vivendo così nel sano ambiente della sua famiglia religiosa e onesta, formò il suo carattere serio e riservato». «A casa fischiava tutto il giorno».


L’arruolamento nell’Arma dei Carabinieri Reali (1940)

Ormai diciottenne, Salvo ricevette la cartolina per la visita di leva. Il 15 giugno 1939 fu esaminato al Distretto Militare di Napoli. Tre mesi dopo, iniziò a frequentare il corso per Carabinieri presso la Scuola Allievi di Roma (15 agosto 1939-15 gennaio 1940). Arruolandosi volontario nell’Arma, Salvo seguì una tradizione di famiglia (vi avevano militato anche il nonno materno, che fu maresciallo maggiore, due zii materni e uno zio da parte di padre). Divenuto Carabiniere, venne assegnato alla Compagnia Comando della Legione Carabinieri di Roma. Dopo il giugno 1940, passò al Nucleo Carabinieri Fabbricazioni di Guerra.


Seconda Guerra Mondiale. In Africa (1940)

Il 28 ottobre del 1940, a quattro mesi dall’ingresso dell’Italia nel Secondo Conflitto Mondiale, anche Salvo fu tra coloro che vennero mobilitati per l’imminente campagna del Nordafrica. Ricevette l’assegnazione alla 608ª Sezione Carabinieri. Questa, era addetta alla sicurezza della divisione aerea «Pegaso» della Regia Aeronautica. Il 15 novembre i vari reparti si imbarcarono per la Libia. Raggiunsero la città di Tripoli una settimana dopo. La 608ª Sezione Carabinieri venne destinata al servizio di sorveglianza dei campi di aviazione che si trovavano in zona. Pur lontano dalla prima linea, Salvo subì un grave incidente (14 febbraio 1941) dovuto al ribaltamento della camionetta sulla quale stava viaggiando. Rimase ferito a una gamba.

Salvo D'Acquisto durante il servizio militare

Salvo D'Acquisto durante il servizio militare, 1941, Museo storico dell'Arma dei Carabinieri (Archivio fotografico)

Dopo le cure (ospedale militare di Bengasi) e un periodo (breve) di convalescenza, riprese servizio. Più grave si rivelò (aprile dello stesso anno) una febbre malarica. Ricoverato nell’ospedale di Derna, fu poi curato a Barce e a Bengasi. Dimesso il 14 agosto del 1941, affrontò una convalescenza non breve. Ritornò in Africa il 19 gennaio 1942.

Pochi giorni più tardi, rimase coinvolto nell’affondamento della nave ove prestava servizio di scorta. L’imbarcazione fu colpita da due siluri. D’Acquisto ebbe la prontezza di tuffarsi subito in mare. Si allontanò dalla nave che, mentre si inabissava, risucchiò uomini e detriti. Grazie a operazioni di soccorso anche Salvo venne recuperato. Al rientro in caserma, Salvo decise (su consiglio del comandante di reparto) di partecipare al corso accelerato per allievi sottoufficiali che si sarebbe svolto a Firenze l’anno successivo.


In Italia (1942)

Rientrato in Italia, il 13 settembre 1942 Salvo venne ammesso alla Scuola di Firenze per allievi sottoufficiali dei Carabinieri, e assegnato alla IV Compagnia. Al termine del corso accelerato, il 15 dicembre dello stesso anno fu nominato vicebrigadiere. Il 22 dicembre ricevette l’assegnazione (ruolo di comandante «pro tempore») alla Stazione dei Carabinieri di Torrimpietra.

Salvo D’Acquisto in abiti civili

Salvo D’Acquisto in abiti civili, 1941

Questa, all’epoca, era una borgata rurale a una trentina di chilometri da Roma. Posizionata lungo la Via Aurelia. La guarnigione aveva giurisdizione su un territorio relativamente vasto. Doveva operare anche nella limitrofa località di Palidoro, in quel tempo frazione di Ladispoli.


Una sottolineatura: fascisti e Carabinieri

Seguendo le vicende di Salvo D’Acquisto nell’Arma dei Carabinieri può essere utile ricordare anche un fatto. L’interazione con gli esponenti del Partito Nazionale Fascista (in precedenza: Fasci Italiani di Combattimento) non ebbe mai un carattere di stretta fiducia. Mentre il Corpo dei Carabinieri Reali venne costituito il 13 luglio 1814, il Fascismo rimaneva di recente fondazione (1919). E durò solo un trentennio. Sul piano cronologico, furono due i principali provvedimenti di Benito Mussolini che riguardarono in fase iniziale (1922) e in quella successiva (1943) i contatti con l’Arma.

1) La prima decisione del Duce (dicembre 1922) fu quella di affiancare ai Carabinieri la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale. Vennero poi sciolti i «Battaglioni mobili»  (1923). In pratica, si volle accentuare la presenza di Milizia e Polizia nelle città, lasciando ai Carabinieri le zone rurali. È evidente nel provvedimento la volontà di indebolire l’Arma.

2) L’altra direttiva del Duce si ebbe l’8 dicembre 1943 quando – nella Repubblica Sociale Italiana – fu deciso di progettare la Guardia Nazionale Repubblicana per sostituire e inglobare i Carabinieri. La Guardia Nazionale Repubblicana non dipendeva dal Ministero della Difesa ma dal Partito Fascista Repubblicano. Le tenenze e le stazioni dell’Arma furono ridotte a «presidi» e «distaccamenti». Anche in questo caso rimane evidente la volontà del Duce di impoverire l’identità dei Carabinieri.

Il 5 agosto del 1944 i vertici tedeschi decisero di sciogliere i reparti dell’Arma operanti nella Repubblica Sociale Italiana.

In tale contesto, esaminando con attenzione il rapporto storico tra Carabinieri e fascisti nel 1943 (e in seguito), si devono evidenziare continue criticità. Da una parte, i membri dell’Arma costituivano dei militari specializzati, con una lunga storia. Dall’altra, nelle formazioni fasciste operavano improvvisati militi in maglioncino nero e testa di morto sul berretto. Avevano in alcuni casi 16-17 anni. E impugnavano un’arma ricevuta dal Partito. Inoltre, i fascisti ritenevano i Carabinieri ancora legati al Re, di scarsa o inesistente fede fascista, assassini di Muti, traditori per aver arrestato a suo tempo Mussolini. Ciò è documentato dai rapporti dell’Ufficio «Situazione» del Comando Generale della Guardia Nazionale Repubblicana. Alla fine, si arrivò all’arresto di diversi Carabinieri.

In tale contesto, nella situazione storica generale, pur con i condizionamenti imposti dal regime fascista, i Carabinieri seppero comunque dimostrare la loro fedeltà allo Stato combattendo in Africa Orientale e Settentrionale, Balcani, Grecia, Russia. Unitamente a ciò, non si possono dimenticare i Carabinieri che difesero gli Ebrei perseguitati, che parteciparono alla Resistenza, che sostennero il Regno del Sud, e che ebbero tra i caduti alle Fosse Ardeatine anche dodici loro membri (24 marzo 1944).


Italia. Luglio 1943

Il 10 luglio 1943 (sbarco degli Alleati in Sicilia), il Comando Generale dei Carabinieri Reali impartì disposizioni sul comportamento da mantenere nell’immediato periodo. I Carabinieri della territoriale dovevano rimanere al loro posto al fianco delle popolazioni. Era loro richiesto di assicurare l’espletamento dei compiti di istituto civili (ordine pubblico e polizia giudiziaria) e militare (protezione impianti industriali e di pubblica utilità). I Carabinieri che erano assegnati alle Unità delle Forze Armate, dovevano seguirne la sorte.

Il 12 luglio, Salvo D’Acquisto venne sostituito al comando della stazione dal maresciallo Alfonso Monteforte (32 anni). Il suo impegno di responsabile del nucleo Carabinieri era durato sette mesi.

Il 19 luglio Roma venne bombardata per la prima volta da bombardieri statunitensi. San Lorenzo fu il quartiere più colpito, ma subirono rovine anche le aree del Tiburtino, Prenestino, Casilino, Labicano, Tuscolano, Nomentano. Pio XII (non era ancora cessato l’allarme) si recò al Piazzale del Verano ove incontrò i residenti, dando anche un primo apporto economico per affrontare i molteplici drammi.

Il 25 luglio, alle ore 2:30, il Gran Consiglio del Fascismo approvò con 19 voti favorevoli, 7 contrari e 1 astenuto, l’ordine del giorno presentato dall’Onorevole Dino Grandi che esautorava Benito Mussolini dalle funzioni di Capo del Governo. In seguito, il Duce, ormai privo del potere, venne fatto arrestare e imprigionare dal Re Vittorio Emanuele III. Il Governo Militare fu affidato al Generale Pietro Badoglio. Non ci furono reazioni da parte della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale. La radio trasmise la notizia alle ore 22:45.


L’annuncio di Badoglio. 8 settembre 1943

In tale contesto generale, l’autorità dello Stato nell’area Torrimpietra/Palidoro era rappresentata nel 1943 dai Carabinieri (Torrimpietra), e da un presidio della Guardia di Finanza (un maresciallo e due finanzieri) che occupava i quattro piani della Torre Perla di Palidoro. I Finanzieri lasciarono poi la postazione.

L’8 settembre del 1943, alle ore 19:45, lo «speaker» (Giovan Battista Arista) annunciò il Generale Badoglio e, poco dopo, la sua voce registrata lesse un comunicato. Il Governo Italiano rendeva nota l’avvenuta resa senza condizioni alle Forze Alleate. Tra le ore 20:30 e le 23, reparti tedeschi della IIa Fallschirmjäger-Division attaccarono e disarmarono formazioni italiane dislocate lungo la costa da Nettunia (Anzio e Nettuno) a Ladispoli, e nei Castelli Romani. Su tali fatti diversi studi storici – in tempi successivi – hanno approfondito la posizione strategica delle truppe tedesche lungo il fronte marino, lo sfollamento forzato della popolazione residente a Ostia e a Fiumicino, il trasferimento dell’aeroporto dell’Idroscalo in Abruzzo, le distruzioni di ponti, ferrovie, stabilimenti balneari, terminali di approdo, torri; le deportazioni di militari e di civili, le rappresaglie.

Il 9 settembre, presso il posto di blocco permanente di Ponte Statua, nei pressi di Palidoro, tenuto da una Compagnia della Divisione «Lupi di Toscana» e dai Carabinieri, avvenne uno scontro armato con una colonna tedesca diretta verso Nord. Otto soldati tedeschi rimasero uccisi.

Il 10 settembre, le forze italiane che difendevano Roma furono costrette ad arrendersi ai soldati della Wehrmacht. Il documento di resa venne firmato dal tenente colonnello Leandro Giaccone. L’accordo prevedeva Roma  «città aperta», ma l’Urbe, in realtà, venne poi occupata dalle truppe tedesche.

Pur in un contesto critico, successivo all’8 settembre del 1943, i Carabinieri rimasero al proprio posto. La situazione era pericolosa. Esisteva una realtà confusa. Incerta. L’assenza di direttive aveva prodotto un disorientamento nelle Forze Armate. Diversi soldati avevano lasciato i reparti. Nel frattempo, la Wehrmacht era in fase di attacco.

La Torre di Palidoro fu una delle tante postazioni rapidamente occupate. Una formazione di paracadutisti installò il proprio Comando (contraddistinto dalla sigla «Dienstelle NL.52261») a Ladispoli. I militari erano agli ordini del tenente Hans Feiten.

L’11 settembre, il Feldmaresciallo Albert Kesselring sottopose il territorio italiano alle leggi di guerra tedesche. La giurisdizione su atti ostili fu affidata alle Forze Armate Germaniche e ai Tribunali Militari del III Reich. Fu proibita qualsiasi forma di sciopero. Organizzatori di scioperi e sabotatori vennero minacciati di fucilazione con giudizio sommario. Al riguardo può essere utile evidenziare il fatto che quanto stabilito da Kesselring stabiliva conseguenze gravissime per chi contrastava l’occupazione tedesca, ma non prevedeva (come sostenuto da qualcuno) come rappresaglia un rapporto di dieci italiani per ogni Tedesco ucciso (applicato a Palidoro).

Il 12 settembre, a Napoli, due Finanzieri, Salvatore Spiridigliozzi e Ludovico Papini, trovati in possesso di armi, furono fucilati in Piazza della Borsa insieme a due marinai, davanti a una folla costretta con la forza ad assistere all’esecuzione.

Nello stesso giorno Salvo D’Acquisto venne inviato dal maresciallo Monteforte a Roma. Urgevano direttive. Che fare con i Tedeschi occupanti? Non ricevette istruzioni precise. Tornò a Torrimpietra ove i Carabinieri vivevano in uno stato di incertezza e di allarme.

Il 18 settembre (di sera), da «Radio Monaco», Benito Mussolini (liberato dai Tedeschi dalla prigionia) rivolse un messaggio agli Italiani. Disse tra l’altro: «Non è il Regime che ha tradito la Monarchia, ma è la Monarchia che ha tradito il Regime, anche se oggi è decaduta nella coscienza e nel cuore del popolo; ed è semplicemente assurdo supporre che ciò possa minimamente compromettere la compagine unitaria del popolo italiano. Quando una Monarchia manca a quelli che sono i suoi compiti, essa perde ogni ragione di vita. Quanto alle tradizioni ce ne sono più di repubblicane che di monarchiche. Più che dai monarchici, la libertà e l’indipendenza dell’Italia furono volute dalla corrente repubblicana e dal suo più puro e grande apostolo Giuseppe Mazzini. Lo Stato che noi vogliamo instaurare sarà nazionale e sociale nel senso più alto della parola, sarà cioè fascista risalendo così alle nostre origini.

Nell’attesa che il movimento si sviluppi sino a diventare irresistibile, i nostri postulati sono i seguenti:

1) Riprendere le armi a fianco della Germania, del Giappone e degli altri alleati. Solo il sangue può cancellare una pagina così obbrobriosa nella storia della Patria.

2) Preparare senza indugio la riorganizzazione delle nostre Forze Armate attorno alle formazioni della Milizia. Solo chi è animato da una fede e combatte per un’idea non misuta l’entità dei sacrifrici.

3) Eliminare i traditori; in particolar modo quelli che sino alle ore 21:30 del 25 luglio militavano, talora da parecchi anni, nel Partito e sono passati nelle file del nemico.

4) Annientare le plutocrazie parassitarie e fare del lavoro finalmente il soggetto dell’economia e la base infrangibile dello Stato.

Camicie nere fedeli di tutta Italia! Io vi chiamo nuovamente al lavoro e alle armi. L’esultanza del nemico per la capitolazione dell’Italia non significa che esso abbia già la vittoria nel pugno, poiché i due grandi Imperi, Germania e Giappone, non capitoleranno mai».

Nel frattempo, a Torrimpietra, il maresciallo Monteforte aveva affidato «pro tempore» a Salvo D’Acquisto il comando, per raggiungere a Roma la famiglia e condurla al sicuro in Ciociaria (era padre di un bambino, Giuseppe).


La possibilità di lasciare Torrimpietra

In tale contesto, occorre ricordare anche un fatto. A Roma, il brigadiere Gaspare Imbergamo, ebbe modo di incontrare Salvo D’Acquisto. Si riporta al riguardo la sua testimonianza: «Lo rividi poi una sola volta nel settembre 1943 […]. Era in divisa; mi trattenni con lui per circa mezz’ora. Analizzammo insieme la situazione di sbandamento che stavamo attraversando e gli prospettai pertanto l’opportunità di lasciare il comando della stazione perché poteva essere accusato di collaborazionismo e di venire con noi che eravamo già confluiti nel cosiddetto Fronte Clandestino.

Egli si rendeva conto della situazione ma, con grande senso di responsabilità, riteneva di non potere abbandonare la popolazione di Torrimpietra, la quale contava molto su di lui».


Ulteriori vicende

Il 20 settembre 1943 Adolf Hitler decise di mutare lo «status» dei 700.000 Italiani «prigionieri di guerra» in Internati Militari («Italienische Militärinternierte»; IMI). Per questa decisione del Führer, gli Italiani nei lager tedeschi non usufruirono dell’assistenza della Croce Rossa Internazionale.

Il 20 settembre, lungo la costa da Ostia al Garigliano ebbe inizio la predisposizione di campi minati. Fino a dicembre furono collocate 250.000 mine anticarro e antiuomo.

Il 21 settembre si verificò l’insurrezione di Matera contro le forze tedesche operanti nell’area. La popolazione, esasperata da saccheggi e soprusi, manifestò un’aperta ribellione. A questo punto, prima di abbandonare la città, i soldati fecero esplodere il Palazzo della Milizia, divenuto ormai una prigione, con al suo interno sedici persone tra civili e militari. Uno solo si salvò.


Torre Perla di Palidoro. 22 settembre 1943

22 settembre 1943. Tardo pomeriggio. Torre Perla di Palidoro. Ispezione tedesca. Secondo piano. I militari individuano una cassa metallica. È chiusa. Tentano di aprirla. La forzano. Esplodono le bombe che racchiudeva. Un soldato rimane ucciso. Due soldati risultano feriti in modo grave. Per il responsabile della postazione scattano due obblighi. Deve avvisare il personale della sanità militare tedesca. E deve informare il capo dei paracadutisti. Ma che riferire a medici e infermieri (sapendo che questi avrebbero poi fatto un rapporto autonomo al Comando di Divisione)? E che comunicare al diretto superiore (sapendo che anche lui avrebbe fatto rapporto gerarchico)? Il Tedesco non poteva ammettere la negligenza, l’imperizia dei propri soldati. Sarebbero stati adottati gravi provvedimenti disciplinari. Attribuì così la responsabilità dell’accaduto a ignoti attentatori. Evidentemente, dato il contesto ambientale, questi potevano essere o Finanzieri (perché occupavano in precedenza la Torre), o partigiani. In tal modo, i soldati della Wehrmacht, con questa versione ufficiale dell’accaduto, si presentavano vittime di un’aggressione alla quale si doveva rispondere secondo la prassi tedesca.

Torre Perla di Palidoro

La Torre Perla di Palidoro

Notte 22/23 settembre. Mattina del 23

Urgeva trovare dei colpevoli. Ed era già trascorso del tempo dall’esplosione nella Torre. Da qui l’esigenza di «concludere». Si pensò ai Finanzieri e al loro maresciallo (oggi indicato per errore con il cognome Passante). Lo si voleva arrestare. Al riguardo è stata registrata una testimonianza. Nell’Archivio Multimediale di Storia del Territorio si trovano varie interviste.

1) Una è stata fatta a Luigi Albertini («L’8 Settembre a Torrimpietra»).

2) Nella seconda parla Carlo Ungari («Il giorno dell’uccisione di Salvo D’Acquisto»). Il 23 settembre si trovava a Palidoro con altre persone. Transitò una camionetta tedesca. I militari chiesero dove stava la Polizia (tacquero sul fatto avvenuto). Gli venne risposto: a Torrimpietra. Poco dopo, a cavallo, arrivò il maresciallo della Finanza con altre quattro persone. Non era informato sul dramma. Una signora lo conosceva. E lo avvertì che i Tedeschi lo stavano cercando. In tal modo il militare evitò la cattura.

3) La terza intervista venne fatta al testimone oculare Gedeone Rossin («L’uccisione di Salvo D’Acquisto»).

4) La quarta a Clara Valentini («Il racconto dei superstiti»).


Mattina 23 settembre. Il fermo di D’Acquisto

Come testimoniato anche da Don Ferdinando Zedda, allora vicario economo presso la parrocchia di Sant’Antonio Abate a Torrimpietra,  tra le 8 e le 9 del mattino, alcuni tedeschi raggiunsero la caserma dei Carabinieri con un sidecar per operare il fermo del comandante. Li affrontò Salvo D’Acquisto (sostituiva il maresciallo Monteforte). Non aveva ancora compiuto 23 anni. I militari della Wehrmacht, in modo ultimativo (anche con percosse), lo trasportarono con la motocarrozzetta al loro Comando. Era situato in quel momento a Palidoro, in locali requisiti.


Una sottolineatura: Tedeschi e Carabinieri

Nel contesto fin qui delineato occorre ricordare un punto. I soldati della Wehrmacht ritenevano i Carabinieri non affidabili per più motivi: 1) l’Arma aveva una storia antecedente l’avvento del regime fascista (non esisteva una «dipendenza»); 2) i Carabinieri giuravano fedeltà al Re, non al Duce; 3) avevano arrestato Mussolini (26 luglio 1943); 4) avevano affrontato i Tedeschi a Roma a Porta San Paolo. Inoltre, sempre nella capitale, un gruppo di Allievi Carabinieri, con il capitano Orlando De Tommaso, aveva combattuto presso il ponte della Magliana contro le forze del III Reich (8-10 settembre 1943). In quella circostanza morirono 28 Carabinieri, altri rimasero uccisi in più zone di Roma negli scontri con i paracadutisti tedeschi. I soldati di Berlino, inoltre, ritenevano i Carabinieri colpevoli di nascondere le armi, di renderle inservibili. Li accusavano di avvertire chi stava per essere arrestato, e di aiutare chi veniva rastrellato a fuggire. Sapevano che i membri dell’Arma non restavano inerti in presenza di fatti sanguinosi riguardanti i civili. Lo confermò anche l’episodio di Fiesole. In tale occasione, tre Carabinieri (Alberto La Rocca, Vittorio Marandola e Fulvio Sbarretti) dimostrarono il loro eroismo. Erano ricercati perché membri della Resistenza. Si trovavano in posizione protetta. Quando seppero, però, che i Tedeschi – non potendoli catturare – avrebbero ucciso per rappresaglia dieci ostaggi, tornarono indietro. Si presentarono. E furono fucilati (12 agosto 1944) salvando i civili.

Il 7 ottobre del 1943, a seguito di ordine di disarmo firmato da Rodolfo Graziani (Ministro della Difesa della Repubblica Sociale Italiana) l’«Obersturmbannfuhrer» Herbert Kappler procedeva al rastrellamento e alla deportazione verso i campi di prigionia di 2.000/2.500 Carabinieri di Roma. Tale fatto fu il prologo alla deportazione di oltre 1.000 Ebrei avvenuta nove giorni dopo.


Mattina 23 settembre. D’Acquisto difende la popolazione

Arrivato a Palidoro, il vicebrigadiere subì maltrattamenti. Per i Tedeschi «non aveva» mantenuto l’ordine pubblico. «Non aveva» tutelato i militari e i civili tedeschi. Adesso, «doveva» rivelare i nominativi degli «attentatori». Salvo sostenne la tesi dell’incidente fortuito. Non c’erano colpevoli. Non fu ascoltato. Si decise per la rappresaglia (ordinanza del feldmaresciallo Kesselring; 11 settembre 1943; punti 1 e 2).


Mattina 23 settembre. Il rastrellamento a Torrimpietra

Mentre Salvo D’Acquisto veniva interrogato a Palidoro, i Tedeschi, come riportato nel rapporto del tenente colonnello comandante Bruto Bixio Bersanetti, raggiunsero nuovamente Torrimpietra per il fermo dei Carabinieri della stazione. Tra questi, erano operativi: Giuseppe De Luca, Salvatore Schembari, Giovanni Di Gati, Caburro, Pettinari, Tempobono, Pertecchia, Dattali e Sodano. Nella stazione non c’era nessuno. Venne impartito allora l’ordine di bloccare le strade intorno a Torrimpietra. Iniziò un rastrellamento. Furono fermati contadini, muratori, negozianti… Gli abitanti reagirono. Si verificarono momenti di disperazione. Tutto inutile. Dopo il fermo di un gruppo di abitanti (tutti maschi) si attesero ordini dal Comando. Le direttive alla fine arrivarono. I prigionieri dovevano essere condotti nella piazzetta del borgo di Palidoro. Qualcuno, urlando, inseguì il camion oltre la curva, ma non riuscì ad andare oltre.


I fermati a Palidoro

I fermati furono trasportati a Palidoro. Fatti scendere nella piazzetta, rimasero in piedi. Interrogati in modo sommario. Controllati a vista dai militari. In un primo momento i rastrellati e la gente del posto sperarono in un mutamento della situazione. Il camion tedesco rimaneva fermo. Il vice maresciallo li aveva difesi. Loro stessi avevano ripetuto di non conoscere gli «attentatori». Forse, chi comandava avrebbe cambiato idea pensando a esempio ad altre punizioni (lavori forzati nelle difese antisbarco). Si attendevano quindi delle direttive certamente dure ma (ci si augurava) non tragiche.


Una situazione divenuta critica

Nella piazzetta di Palidoro Salvo D’Acquisto era controllato da due militari e tenuto separato dal gruppo dei fermati. Privo della giacca. La camicia bianca, macchiata di sangue, aveva uno strappo. Dalla testimonianza oculare di Wanda Baglioni (figlia di Guido Baglioni) si conosce un dettaglio: pur maltrattato (e bastonato), il vicebrigadiere mantenne un contegno calmo. Dignitoso. Intorno alle 12:00, fu dato ordine all’autista del camion tedesco di dirigere l’automezzo in direzione della Torre Perla di Palidoro.

Sono comunque da registrare anche dei fatti collaterali. Giuseppe Carinci (alcune fonti lo nominano Carigi, circa settantenne), spazzino, tentò la fuga e venne ucciso prima della cattura con una raffica di mitra. Ennio Baldassarri (13 anni), il più giovane del gruppo, fu fatto scendere dal camion prima di andare al luogo dell’esecuzione. Al gruppo si aggiunse poi Angelo Amadio. Bloccato a Palidoro. Venne ritenuto un Carabiniere. Era un elettricista delle Ferrovie. Lo dimostrò con la tessera di servizio.


Gli ostaggi

Il gruppo dei condannati (muratori, fabbri, venditori ambulanti, fornai) che, insieme a Salvo D’Acquisto, doveva essere eliminato, era formato da un nucleo di persone che qui di seguito si elenca.

– Angelo Amadio (18 anni);  abitava allora nella zona di Palidoro. Fu l’ultimo testimone del sacrificio del vicebrigadiere;

– Armando Attili, detto Nando, muratore, padre di Attilio. Amico di Salvo D’Acquisto;

– Attilio Attili, muratore, figlio di Armando; Armando e Attilio Attili erano tornati a lavorare insieme come prima della guerra;

– Vittorio Bernardi, detto «Carnera», nato in provincia di Treviso (14 febbraio 1908). Fabbro e muratore. Fu obbligato a scavare con le mani la fossa perché non c’erano pale per tutti. Venne tranquillizzato da Salvo D’Acquisto;

– Enrico Brioschi (36 anni), lavorava come fiduciario del conte Nicolò Carandini, mentre la moglie Elena era guardarobiera. Originario del Piemonte. Era rimasto a custodia del castello di Torre in Pietra. Stava conversando con il capomastro Michele Vuerich. Videro due Tedeschi spingere a pugni e calci il vicebrigadiere D’Acquisto. Poco dopo anche loro furono presi;

– Domenico Castigliano (detto «Mimì»), ferroviere, assegnato alla stazione Torrimpietra-Palidoro; per tutta la vita conservò la foto di Salvo D’Acquisto nel suo portafoglio;

– Rinaldo De Marchi (30 anni), muratore;

– Giuseppe Feltre, muratore;

– Benvenuto Gaiatto (52 anni, di Torrimpietra), padre di quattro figli. Era il più anziano del gruppo;

– Antonio Gianacco, muratore;

– Oreste Mannocci, venditore ambulante di frutta di Santa Marinella;

– Sergio Manzoni, venditore ambulante di frutta di Santa Marinella;

– Vincenzo Meta (27 anni, di Maccarese), muratore. Padre di due bambini. Rientrato da poco da Bologna dopo essere scappato dai Tedeschi. Lavorava con la divisa da soldato perché non aveva altro. Vicino alla sua casa abitava Vincenzo Bauco che rilascerà in seguito una testimonianza;

– Attilio Pitton, muratore, padre di un ragazzo;

– Fortunato Rossin, muratore, fratello di Gedeone, padre di due bambini;

– Gedeone Rossin, muratore, fratello di Fortunato, scapolo;

– Umberto Trevisol (35 anni), muratore, padre di due bambini. Magro, capelli già bianchi;

– Michele Vuerich (39 anni), detto «Mastro Michele», capomastro muratore;

– Ernesto Zuccon, fornaio. Aveva il pane in forno. Fu portato via con il camiciotto bianco infarinato;

– Erminio Carlini;

– Gino Battaglini;

– Tarquinio Boccaccini. Figlio del fattore della tenuta di Torrimpietra, Luigi. Amico di Salvo D’Acquisto.


«Quello che dovevo fare l’ho fatto»

Dietro il camion dei condannati seguiva un plotone di Tedeschi a piedi con pale e picconi.  Arrivati sul luogo dell’esecuzione, vennero fatti scendere. Ricevettero l’ordine di scavare una fossa comune. La dinamica preludeva a una fucilazione. Al termine delle operazioni di scavo (durate alcune ore), D’Acquisto, attraverso un interprete (di bassa statura), chiese di parlare con un sottufficiale tedesco. Si assunse la responsabilità del tragico accaduto alla Torre.

Il militare, però, non volle assumere decisioni. Attese l’arrivo del superiore. Al rientro nella fossa, Salvo fece il punto della situazione ai compagni di sventura. Questa la ricostruzione di Rita Pomponio sulla base delle fonti: «Quello che dovevo fare l’ho fatto. Da ciò che ho detto penso che voi sarete tutti salvi. Forse è soltanto me che uccideranno… del resto, non bisogna avere paura della morte… una volta si nasce e una volta si muore. Io ho fatto tutto quello che potevo per salvarvi. E credo di essere riuscito a smuovere qualcosa. Ma ora dobbiamo aspettare che arrivi l’ufficiale che sta al Comando di Ladispoli.

Questo con cui ho parlato ha detto che lui è soltanto un sottufficiale e non può assumersi nessuna responsabilità. Bisogna vedere cosa decide il loro comandante riguardo alla mia richiesta. Con questa gente non si sa mai quello che pensa».


L’arrivo del tenente tedesco

Il tenente tedesco (quasi sicuramente Hansel Feiten), giunse poco dopo. Secondo la deposizione di uno degli ostaggi sopravvissuti, «forse si era verso le sei del pomeriggio», «quando arrivarono due macchine davanti al casale adiacente la torre. Scesero degli ufficiali». «Scende il Maggiore, un uomo di mezza età piuttosto piccolo, croce di ferro al collo, stivali lucidi, monocolo e frustino».

Un altro degli ostaggi, Vincenzo Meta, ha riferito ciò di cui fu testimone perché si trovava a pochi metri di distanza:

«L’interprete parlottò con il comandante riferendogli presumibilmente che il vicebrigadiere aveva chiesto di conferire con lui. La cosa divenne chiara perché venne fatto cenno con la mano verso Salvo D’Acquisto e subito dopo il Maggiore lo chiamò con un cenno del dito. Salvo, uscito dalla fossa, si avvicinò al comandante, dicendogli tramite l’interprete, come io stesso ho potuto sentire perché il Maggiore si era fermato a 4 o 5 metri da noi: “Se trovate il responsabile dell’atto di sabotaggio lasciate liberi gli ostaggi?”. Alla risposta affermativa del Maggiore, Salvo soggiunse: “Il responsabile sono soltanto io” […]. Alla risposta di Salvo D’Acquisto il comandante tedesco, evidentemente incredulo, agitò a lungo il frustino davanti al viso di Salvo D’Acquisto, quindi lo rimandò nella fossa».


Testimonianze sulla morte di D’Acquisto

Sui fatti di Palidoro esiste pure la testimonianza di Gedeone Rossin. Il filmato che lo riguarda è andato in onda su RAI Storia il 23 settembre 2018. Egli rammenta in particolare il momento nel quale gli ostaggi poterono uscire dalla fossa che avevano scavato per ore. Esiste, poi, anche una secondo racconto. Il sopravvissuto al dramma di Torre di Palidoro ricorda un dato: quando gli ostaggi furono liberati, tutti si allontanarono in fretta. Il vicebrigadiere rimase solo. Dentro la buca. Prima di affrontare la morte, sperimentò l’ora dell’abbandono. In attesa dell’esecuzione rimase accasciato. E in brevi esclamazioni faceva riferimento alla mamma.

Anche Angelo Amadio ha testimoniato sul momento del rilascio: «All’ultimo momento, però, contro ogni nostra aspettativa, fummo tutti rilasciati eccetto il vicebrigadiere D’Acquisto... Ci eravamo già rassegnati al nostro destino, quando il sottufficiale parlamentò con un ufficiale tedesco a mezzo dell’interprete. Cosa disse il D’Acquisto all’ufficiale in parola non c’è dato di conoscere. Sta di fatto che dopo poco fummo tutti rilasciati: io fui l’ultimo ad allontanarmi da detta località».

In tale contesto, il Generale Umberto Rocca ha specificato un fatto. Quando si riuscì a recuperare la salma del vicebrigadiere si vide che lo scheletro era integro. Aveva ricevuto solo un colpo di pistola allo sterno (probabilmente dallo stesso tenente tedesco), e un colpo successivo alla tempia destra.

Il più giovane dei testimoni (Amadio) ha anche ricordato che D’Acquisto davanti a colui che gli stava per sparare con una pistola Luger modello P08 si era toccato con la mano sinistra il petto.

I militari della Wehrmacht, dopo l’esecuzione,  ricoprirono il corpo del Carabiniere con il terriccio, spostandolo con i piedi. Non fu un gesto di rispetto (come qualcuno ha scritto) ma di necessità. I corpi si sarebbero decomposti, mentre i Tedeschi alloggiavano proprio accanto ai giustiziati.

Comunque, il comportamento del condannato a morte aveva colpito gli stessi militari. Alcuni di loro, parlando la sera stessa con la signorina Wanda Baglioni, le riferirono testualmente: «Il vostro brigadiere è morto da eroe. Impassibile anche di fronte alla morte. Si è assunta intera la responsabilità del fatto per salvare la vita ai civili, i quali non facevano altro che piangere e imprecare».


Poteva salvarsi Salvo D’Acquisto?

Negli eventi di Palidoro colpisce il fatto che il vicebrigadiere si preoccupò fin dall’inizio di difendere la gente del luogo senza proteggere se stesso. Dal momento dello scoppio delle bombe a Torre di Palidoro fino al fermo operato dai Tedeschi il tempo fu ridotto. Il fermo di Salvo avvenne a inizio mattina. Malgrado ciò, durante il duro interrogatorio a Palidoro, il giovane militare poteva difendersi in più modi: 1) accusando in modo generico un nucleo di resistenti, e inventando false piste; 2) accusando qualche singolo antifascista non individuato; 3) accusando qualche singolo antitedesco non individuato.

In tale contesto, D’Acquisto non volle inventare delle storie per non gravare sulle criticità già in atto, e perché si era reso conto che i Tedeschi «volevano subito» delle persone da fucilare. Da qui la scelta, come Carabiniere a capo del servizio di ordine pubblico, di assumersi in prima persona la responsabilità dell’accaduto.


Gli eventi successivi (1943-1944)

La salma del giovane vicebrigadiere rimase nella fossa per 19 giorni. In seguito, due donne della zona, Wanda Baglioni e Clara Lambertoni, chiesero al Comando Tedesco il permesso di recuperare le spoglie di Salvo. Fu così possibile raggiungere Torre di Palidoro. In tale occasione il ferroviere Castigliano si tolse la camicia bianca e la avvolse intorno al viso del vicebrigadiere.

La salma venne coperta da un lenzuolo e deposta in una rudimentale bara di tavole di legno.  Erano presenti Wanda Baglioni, Angelo Amodio, Caterina Nasoni, Clara Pesamosca, Domenico Castigliano, Angelo Magaglia, Don Luigi Brancaccio. Si procedette poi a una sepoltura presso il cimitero di Palidoro. Per molti mesi, la tragica vicenda rimase nota a poche persone.

Con un’Italia divisa in due dal fronte di Cassino e le comunicazioni interrotte, la famiglia di Salvo D’Acquisto apprese della sua morte solo un anno dopo, nell’estate del 1944. Francesco Boso, cugino della mamma di Salvo, il 5 luglio del 1944, venuto a conoscenza del dramma, scrisse da Roma al fratello della signora Ines (Oscar; Carabiniere a Salerno) chiedendo di informare con delicatezza i genitori della tragedia.

A questo punto, Salvatore D’Acquisto, il padre di Salvo, volle scrivere (settembre 1944) al Comandante Generale dell’Arma per esprimere la propria sofferenza: «Il 15 settembre 1943, mio figlio Salvo D’Acquisto, Vice Brigadiere dei Carabinieri Reali, effettivo, cadeva in Torrimpietra (Roma) dove prestava servizio, trucidato dalla barbara mitraglia tedesca, per salvare 22 ostaggi civili, che dovevano subire la sua stessa tragica sorte. Finora, malgrado lettere scritte dalla desolata madre e da uno zio, dirette alla Stazione di Torrimpietra, occupata Roma, né quel comandante, né i suoi superiori, si sono curati di rispondere per mettere la famiglia del defunto al corrente della grave disgrazia toccatagli, ed io padre, sarei ancora all’oscuro dell’orribile sciagura, se parenti non mi avessero informato un mese or sono. Quanto ciò sia edificante, lo giudichi Vostra Eccellenza».


La tomba di Salvo D’Acquisto (1947)

Al termine della guerra, nel giugno del 1947, malgrado la contrarietà degli scampati alla strage e degli abitanti di Palidoro, la madre di Salvo si attivò per trasferire il corpo del figlio a Napoli. La salma giunse nella città natale l’8 giugno 1947. Fu trasportata nella camera ardente della caserma del Comando Regionale della Campania. Vi ricevette gli onori dell’Arma. Venne poi nuovamente tumulata il 10 giugno successivo nel Sacrario dei Caduti nel Mausoleo di Posillipo. In seguito, il feretro di Salvo D’Acquisto venne traslato su un affusto di cannone (23 ottobre 1986) nella basilica di Santa Chiara (nella prima cappella a sinistra). Unitamente alla salma, sono conservate nell’edificio di culto tre scatoline contenenti alcuni denti di Salvo, frammenti di ossa e una ciocca di capelli. Esistono anche delle foto della ricognizione canonica (ottobre 1986; fu presente anche la madre del vicebrigadiere). In una immagine si vede il foro di entrata del proiettile nella tempia destra.

13 dei 22 superstiti

13 dei 22 superstiti, pochi giorni dopo il sacrificio di Salvo D'Acquisto, qui ripresi davanti alla Torre di Palidoro

La pensione straordinaria (1959)

Nel 1959 fu deciso di assegnare una pensione straordinaria ai genitori di Salvo D’Acquisto per contribuire a migliorare il loro «status» economico. Il provvedimento si attuò con la legge numero 553 del 21 luglio 1959:  «Pensione straordinaria ai genitori della medaglia d’oro Salvo D’Acquisto». Fu pubblicata sulla «Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana» numero 185 del 3 agosto 1959.

Tale iniziativa si deve, in particolare, a una gentildonna residente a Napoli. Si tratta di Antonietta Gioconda Trimarchi, coniugata con il medico Arturo Curci.

Questa, in più occasioni ricordava l’eroismo di Salvo D’Acquisto e insisteva per far ottenere un apporto economico alla sua famiglia. In tale impegno, fu sostenuta dal figlio, il Professor Glauco Curci, il cui nome è anche legato all’antibiotico Rifadin. Il suo coinvolgimento nella vicenda dei genitori di Salvo rimase nell’ombra per volere della stessa benefattrice. Solo diversi anni dopo, l’Onorevole Professor Ferdinando D’Ambrosio, uno dei protagonisti della vicenda, decise di pubblicare la vera storia su una rivista.


Il processo di beatificazione (1983)

Nel novembre del 1983 fu istruito il processo di beatificazione di Salvo D’Acquisto. La fase diocesana venne aperta presso il tribunale ecclesiastico dell’Ordinariato Militare d’Italia che si fece attore della causa. L’inchiesta ebbe termine nel novembre del 1991. Fu convalidata due anni più tardi. La Positio, in due volumi, fu consegnata alla Congregazione delle Cause dei Santi il 17 gennaio 1996. Tenuto conto di un contesto segnato da due piani distinti, quello del martirio e quello dell’eroicità delle virtù, venne richiesta un’indagine suppletiva.

Si voleva, in tal modo, accertare il martirio per «testimonium caritatis heroicis» («in base all’eroica testimonianza della carità»). Questa forma di martirio è una nuova possibilità concessa da San Giovanni Paolo II. Venne applicata per la prima volta con la canonizzazione del religioso Padre Massimiliano Kolbe (Frati Minori Conventuali). In tale occasione venne rivolta attenzione a una forma di martirio legato agli atti eroici e di pietà operati durante l’occupazione tedesca in Europa.

Nel 1999 venne presentato un terzo volume della Positio. Nel 2007, la Congregazione espresse parere sospensivo sulla possibilità di dichiarare martire D’Acquisto. Però, l’11 luglio del 2017, Papa Francesco ha firmato una Lettera Apostolica in forma di «Motu Proprio», dal titolo: Maiorem hac dilectionem.

ll Pontefice, esprimendo la consapevolezza che «sono degni di speciale considerazione quei Cristiani che, seguendo più da vicino le orme e gli insegnamenti del Signore Gesù, hanno offerto volontariamente e liberamente la vita per gli altri e hanno perseverato fino alla morte in questo proposito», ha introdotto «l’offerta della vita» come «nuova fattispecie dell’iter di beatificazione e canonizzazione, distinta dalle fattispecie sul martirio e sull’eroicità delle virtù». Attualmente, la causa di beatificazione sta seguendo l’orientamento tracciato dal Magistero di Papa Francesco.


San Giovanni Paolo II ricorda D’Acquisto (2001)

Il 9 aprile 1983, il Papa San Giovanni Paolo II visitò la Scuola Allievi Carabinieri (Roma). In tale occasione disse: «Voglio anche dirvi il mio apprezzamento per l’attività da voi esercitata. Sono universalmente note le qualità che vi contraddistinguono: fedeltà allo Stato, dedizione al dovere, spirito di servizio. Sono virtù che rendono giustamente popolare il vostro Corpo, e delle quali dovete sempre dimostrarvi degni testimoni. So, comunque, che già avete avuto modo di comprovarle ampiamente nella lunga e gloriosa storia dell’Arma. Più volte, e anche in anni recenti, i Carabinieri hanno pagato di persona, e con la stessa vita, l’attaccamento al loro ideale, manifestando così un altruismo, una generosità, uno spirito di sacrificio, che ai nostri giorni sembrerebbero cosa rara. Mi piace citare, a questo proposito, l’eroico comportamento del vicebrigadiere Salvo D’Acquisto durante il Secondo Conflitto Mondiale, luminoso esempio di abnegazione e di sacrificio: ma so che molti altri non sono stati e non sono da meno. Questi sono esempi che rifulgono al di sopra di ogni interesse di parte e si impongono non solo al rispetto, ma anche all’ammirazione e alla riconoscenza di tutti. E io oggi vorrei anche farmi interprete di un diffuso sentimento, ringraziando voi e tutti i vostri colleghi per quanto fate, spendendovi instancabilmente in favore di una vita più sicura e più umana nella diletta Nazione Italiana».

Lunedì 26 febbraio 2001 D’Acquisto venne nuovamente ricordato dal Pontefice in un discorso in Vaticano ai Carabinieri del Comando Provinciale di Roma. In quella circostanza, dopo aver ringraziato l’Arma per il servizio svolto anche in occasione dell’Anno Santo (2000), il Papa aggiunse delle sottolineature significative. Disse che i valori dell’Arma «affondano le loro radici in tradizioni umane e cristiane, che richiedono di essere costantemente alimentate mediante l’impegno individuale e comunitario. I credenti sanno di essere chiamati a tale impegno in virtù di quella vocazione alla santità, che è rivolta a tutti. Santità significa, infatti, vivere pienamente le virtù evangeliche nelle concrete situazioni in cui ci si trova.

La storia dell’Arma dei Carabinieri dimostra che si può raggiungere la vetta della santità nell’adempimento fedele e generoso dei doveri del proprio Stato. Penso, qui, al Vostro Collega, il vicebrigadiere Salvo D’Acquisto, medaglia d’oro al valore militare, del quale è in corso la causa di beatificazione».

La Chiesa ha poi, in continue iniziative, ricordato la figura del vicebrigadiere ucciso a Palidoro. Si può qui ricordare a esempio il libro del Vescovo Vincenzo Pelvi dal titolo: Testimoni della Fede nel mondo militare.

La cronaca riporta anche l’udienza di Papa Francesco (6 giugno 2014) ai partecipanti all’incontro dell’Arma dei Carabinieri, nel bicentenario di fondazione. In tale occasione il Pontefice ha detto:

«Cari Carabinieri, la vostra missione si esprime nel servizio al prossimo e vi impegna ogni giorno a corrispondere alla fiducia e alla stima che la gente ripone in voi. Ciò richiede costante disponibilità, pazienza, spirito di sacrificio e senso del dovere. Nel vostro lavoro siete sostenuti da una storia scritta da fedeli servitori dello Stato che hanno onorato la vostra Arma con l’offerta di se stessi… ‒ Questi, ricordiamoli in questo momento, col cuore, con la preghiera e con il silenzio. (silenzio) ‒ … con l’adesione al giuramento prestato e il generoso servizio al popolo.

Pensiamo al servo di Dio Salvo d’Acquisto, che a 23 anni, qui vicino a Roma, a Palidoro, ha spontaneamente offerto la sua giovane esistenza per salvare la vita di persone innocenti dalla brutalità nazista. Nel solco di questa lunga tradizione, proseguite con serenità e generosità il vostro servizio, testimoniando gli ideali che animano voi e le vostre famiglie, che sempre sono al vostro fianco».


La fiction RAI su Salvo D’Acquisto (2003)

Dopo l’uscita di un film sui fatti di Palidoro del 1974 (con Massimo Ranieri), la RAI – nel 2003 – mise in onda una miniserie televisiva sul sacrificio di Salvo D’Acquisto. Regista: Alberto Sironi. Autori del soggetto: Pietro Calderoni, Gualtiero Rosella, Laura Bruni. Autori  della sceneggiatura: Pietro Calderoni, Gualtiero Rosella. Beppe Fiorello interpretò Salvo D’Acquisto. Tale iniziativa, sul piano storico, presenta aspetti da correggere.

1) Il giovane vicebrigadiere non era fidanzato. Interagì con le giovani del suo tempo in una cordialità di rapporti. Rimaneva il desiderio di sposarsi dopo la guerra, ma nel frattempo il suo animo era segnato dai drammi in corso (combattimenti in Italia, bombardamenti, occupazione tedesca, la vicenda Muti). Nel frattempo, manteneva significativi contatti con gli abitanti di Torrimpietra e di Palidoro. Questi, come si usava nei piccoli centri, lo invitavano in casa. Nell’abitazione del casellante Angelo (stazione ferroviaria Torrimpietra-Palidoro) e della moglie Maria, che avevano cinque figlie, conobbe anche la terzogenita Giuliana con la quale ci fu sintonia. Le vicende belliche non consentirono però di attuare progetti concreti. Per tale motivo l’amicizia con la giovane rimase tale.

2) Nella miniserie, la scena di un rapporto sessuale tra D’Acquisto e una presunta fidanzata, fa pensare all’esistere di una relazionalità intima. Ciò è stato inventato dagli autori offuscando la vicenda storica. Dalle testimonianze del tempo si evince che in paese ci si conosceva tutti, e che non risultano impegni amorosi riconducibili alla persona del giovane. Un responsabile di una stazione di Carabinieri, inoltre, era consapevole che il suo comportamento, oltre a essere osservato, era pure un fattore di equilibrio nella zona, specie in tempo di guerra.

Gli scarsi mesi che il vicebrigadiere trascorse a Torrimpietra seguirono abitudini consolidate: lavoro nella stazione (usando gli alloggi interni per dormire e mangiare), collegamenti con i comandi, ascolto trasmissioni radio, vigilanza nel territorio, uscite in paese per interagire con la gente, accettazione di inviti in singole case (presente il capofamiglia). Si ricorda poi, al riguardo, che quando una persona non di Torrimpietra usciva con qualche membro di una specifica famiglia, l’itinerario del percorso era in genere sempre lo stesso. Le giovani dovevano rispettare degli orari, e il capofamiglia seguiva le dinamiche dei propri cari.

3) La miniserie non chiarisce inoltre un fatto importante: per Salvo e per i suoi Carabinieri l’interazione con il personale della stazione ferroviaria era allora molto importante perché i dipendenti delle Ferrovie erano i primi a ricevere in consegna la posta per la caserma dell’Arma. L’amicizia di D’Acquisto con il casellante (Angelo) e con un ferroviere (Domenico Castigliano) si rafforzerà quando anche il ferroviere verrà trasportato sul luogo dell’esecuzione. E sarà, in seguito, proprio questo ferroviere a partecipare con pochi altri all’esumazione della salma del Carabiniere ucciso per trasportarla nel cimitero di Palidoro.

4) Salvo non era un uomo privo di fede. La formazione che ricevette lo educò ai valori umani e cristiani. Egli partecipava alle celebrazioni dell’Eucaristia e si comunicava.

5) I militari tedeschi presenti a Palidoro non facevano parte delle Schutzstaffel (SS). Erano parte di una formazione di paracadutisti con sede a Ladispoli.

6) È stata inventata la scena degli Ebrei che, prima della caduta di Mussolini, si nascondono per evitare di finire nei treni «che deportano gli Ebrei al Nord».

7) In quanto tutore dell’ordine, Salvo non disse di essere il colpevole. Affermò piuttosto di assumersi la responsabilità dell’accaduto.

8) Tra i condannati che raggiunsero la Torre di Palidoro non fu presente un secondo Carabiniere. Il colloquio tra i «due Carabinieri» che scavano la fossa è stato inventato.

9) Nel gruppo dei fermati non c’era un sacerdote. Sia l’arciprete di Palidoro, sia il parroco di Torrimpietra erano in quel momento in altra zona.

10) Non è vero che i Tedeschi dissero a Salvo di non scavare, in considerazione del suo grado. Al contrario, i militari non solo non rispettarono il suo grado ma lo percossero.

11) È frutto di fantasia la figura del podestà fascista che, giunto per impedire la fucilazione degli ostaggi, si allinea alla volontà dei Tedeschi.

12) Nessun abitante di Palidoro e di Torrimpietra poté assistere al dramma in corso presso la Torre di Palidoro. Chiunque si avvicinava era respinto duramente dai militari tedeschi.

13) Salvo D’Acquisto non venne ucciso con i colpi di una mitragliatrice, ma con il colpo di una pistola allo sterno, a cui fece seguito un colpo alla tempia.

14) Finché rimasero i paracadutisti nella Torre a nessuna persona fu permesso di raggiungere il luogo ove era sepolto Salvo.


Il Presidente Mattarella su Salvo D’Acquisto (2020)

Il 15 ottobre del 2020 (1° mandato) il Presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella, ha rilasciato la seguente dichiarazione: «A cento anni dalla nascita del Vice Brigadiere Salvo D’Acquisto ricordiamo con rinnovata ammirazione e commozione lo slancio eroico del giovane Carabiniere che sacrificò la propria vita per difendere e proteggere la comunità che gli era stata affidata.

Fin da giovanissimo nelle fila dell’Arma dei Carabinieri per poter realizzare il suo ideale di giustizia e di dovere verso la Patria, Salvo D’Acquisto non esitò a offrire la propria vita in cambio della liberazione di 22 concittadini inermi destinati al plotone di esecuzione, come accadde ad altri in tanti luoghi divenuti mestamente famosi.

Il 23 settembre del 1943, nei giorni più tragici di un conflitto mondiale che stava lacerando il Paese, il suo sacrificio ha rappresentato l’immagine più luminosa del riscatto di un popolo e di tutti coloro che anche nei giorni più oscuri non avevano mai perso la speranza. La nostra Repubblica trova fondamento su questi eroi e su coloro che hanno sofferto e lottato per la nostra libertà, il bene più prezioso a cui può aspirare un popolo, che va difeso giorno dopo giorno.

Onoriamo oggi e volgiamo lo sguardo alla figura di questo testimone autentico della libertà e del dovere, che per l’impareggiabile altruismo, la fedeltà al giuramento prestato, costituisce uno straordinario esempio e una eredità preziosa per le giovani generazioni».


Alcune annotazioni di sintesi

Con il trascorrere del tempo, diversi autori (Molinari, Gumpel, Arcuri, Fida, Guiducci e altri) hanno manifestato una rinnovata attenzione verso la figura e la vicenda di Salvo D’Acquisto. Si è voluto comprendere meglio il contesto storico, le fonti, i personaggi, e l’episodio sanguinoso avvenuto a Torre Perla di Palidoro. Al riguardo, si riportano qui di seguito alcune annotazioni.


I contesti che non appartengono a D’Acquisto

Per i motivi più diversi, la figura di Salvo D’Acquisto è stata inserita in contesti che non gli appartengono.

1) Da una parte è stato presentato come un eroe della Repubblica Sociale Italiana. Si pensi alle affermazioni dell’Istituto Storico della Fondazione RSI, o a quelle della pubblicazione online TrentinoLibero.org.

2) In altri casi, il vicebrigadiere è fatto conoscere come un membro della Resistenza. L’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia lo ha inserito tra gli uomini della Resistenza.

3) Non sono poi mancati confronti tra la tragica vicenda legata al sacrificio di Salvo D’Acquisto e l’attentato dei partigiani a Roma, in Via Rasella (23 marzo 1944), contro il Polizeiregiment «Bozen»  (a cui seguì l’Eccidio delle Fosse Ardeatine).

4) C’è da aggiungere, infine, che in taluni siti web gli articolisti addirittura informano sulla avvenuta beatificazione del giovane Salvo.


Una presunta diversità dagli altri

Per esaltare l’eroismo di Salvo D’Acquisto si è insistito a presentarlo come una persona «diversa», «superiore». Alcuni autori sono arrivati a forme di esaltazione che sconfinano in descrizioni «fuori dal normale».

Al contrario, dalle lettere alla famiglia, da quelle inviate alla «madrina di guerra» (Maria Calignano, 22 anni), e dalle testimonianze di chi lo conobbe da vicino a Torrimpietra e a Palidoro, emerge una «normalità» che seppe unire la vivacità napoletana alla valutazione ponderata del Carabiniere.

Si pensi, a esempio, alla lettera che Salvo scrisse ai genitori quando festeggiò i 22 anni. Annota che poté usufruire di un permesso dalle 9 del mattino fino a mezzanotte, e che in tale occasione si divertì un mondo.


I comportamenti

La persona e l’animo di Salvo emergono dai suoi comportamenti. Scrive al riguardo un autore (Salvatore Cipolla): «Pur avendo una normale intelligenza non risulta sia stato uno studente di grande profitto. Fu per la sua timidezza? Fu perché, come tutti i ragazzi, preferiva più giocare che studiare? È certo però che da militare i suoi soldi furono divisi tra aiuti alla famiglia e spese per libri. In una lettera dell’ottobre 1940 scriveva: “Per la fine del mese invierò 40 lire (per questo mese non posso inviarvi di più) così comprerete le scarpe a Rosario e andrà anche lui a scuola e fatelo studiare”.

È ancora un semplice Carabiniere in Italia e lo stipendio è modesto. In un’altra del 6 aprile 1942 scrive ai suoi: “Oggi invierò un vaglia di 800 lire (era già in Africa, in zona di operazione) delle quali 100 servono per Franca (la sorella) e 100 per quanto vi dirò”. Prega i genitori di far recapitare un pacco a un collega in licenza che si è impegnato a portarglielo. “Nel pacco dovrete accludere i seguenti oggetti: 1) un volume di temi svolti per le scuole medie, che tratti argomenti letterari e d’attualità; 2) una grammatica italiana; 3) un libro che tratta ampiamente la storia di tutti i tempi; 4) il libro Cuore; 5) tre dentifrici…” e continua con l’elencazione di altri piccoli oggetti utili per la pulizia e l’ordine personale».


Gli eventi accaduti a Palidoro

Con riferimento agli eventi accaduti presso la Torre Perla di Palidoro occorre specificare che ci furono più esecuzioni e non una sola uccisione. Tali fatti riguardarono Salvo D’Acquisto, ma anche Renato Posata (17 anni, studente), Carlo Fumaroli (24 anni, sergente), e Giuseppe Canu (24 anni, aviere).

Si ricorda, al riguardo, che proprio nella mattinata del 23 settembre 1943, a Ladispoli, un rastrellamento tedesco coinvolse uomini di ogni età. I militari, dopo alcune ore, lasciarono liberi gli quelli di età superiore a 40 anni e inferiore a 15. Chi rimase fu reclutato d’autorità nelle forze germaniche. Di questo gruppo facevano parte Renato Posata, Giuseppe Canu e Pietro Fumaroli.

Il 24 settembre gli uomini rastrellati vennero divisi in due gruppi. Un nucleo fu assegnato a Torre di Palidoro per lavori forzati. Nella notte tra il 30 settembre e il 1° ottobre, tre uomini fuggirono.

Per rappresaglia furono uccisi tre membri del gruppo (usando il metodo del sorteggio con un cerino). Fumaroli, Canu e Posata caddero proprio nella fossa scavata in precedenza da Salvo D’Acquisto e dai suoi compagni. I tre corpi, insieme al cadavere di Salvo D’Acquisto, rimasero sepolti nei pressi della Torre di Palidoro fino al 12 ottobre del 1943.

Nella data citata si riuscì a dare una dignitosa sepoltura ai quattro cadaveri. I Tedeschi, infatti, terminati i lavori di difesa costiera, si spostarono altrove. Così, le famiglie Posata e Fumaroli, che avevano saputo della morte dei loro figli,  riuscirono a esumare i quattro cadaveri, a lavarli e a riconoscerli.

Erano presenti l’arciprete di Palidoro (Don Luigi Brancaccio), il ferroviere Domenico Castigliano, il falegname Guido Baglioni e alcune donne impegnate in attività pastorali. La direzione della bonifica di Torre in Pietra fornì le tavole per  costruire le casse, un carretto per il trasporto, alcune lenzuola, pale e badili. Le quattro salme furono sepolte nel piccolo cimitero di Palidoro (Fosso Statua). Vi rimasero per tutta la durata della guerra.


Ricerche su chi ordinò le uccisioni a Torre Palidoro

Da ricerche effettuate, non si trova il nome del responsabile dell’uccisione di D’Acquisto. Dal suo fascicolo non risulta neanche una breve indagine. Si tratta di 14 pagine. Nove sono testimonianze del 1945. Il rimanente è la richiesta di archiviazione di indagini che il 17 ottobre 1996 il procuratore militare avanzò al GIP, e il conseguente decreto di archiviazione di quest’ultimo. Eppure, un’indagine sulle fucilazioni di Posata, Canu e Fumaroli avrebbe condotto al responsabile della morte di Salvo D’Acquisto. Perché? Perché sul loro fascicolo giudiziario è indicato chi li fece uccidere: Hansel Feiten, tenente dei paracadutisti. Lo si può quindi ritenere il responsabile anche della esecuzione di Salvo, una settimana prima, nello stesso luogo di quella dei tre giovani citati.

In tale contesto, la denuncia presentata dalle famiglie Posata, Fumaroli e Canu alla Commissione Alleata per la punizione dei crimini di guerra, non ebbe seguito perché non fu mai individuato il responsabile della rappresaglia, Hansel Feiten. Il cognome Wemgamen o simili (maresciallo che comandava le forze di stanza a Palidoro), neanche è citato negli elenchi delle forze germaniche che operarono in Italia. Nel 1994, i documenti sulle stragi citate vennero rinvenuti casualmente in un armadio con le ante rivolte verso il muro. Il mobile era seminascosto in uno sgabuzzino della cancelleria della Procura Militare citata. Dopo il 1994, e soprattutto dall’inizio degli anni 2000, sono state condotte indagini e celebrati processi (imputati contumaci), relativi ad alcuni degli eccidi più gravi avvenuti nell’Italia Centro-Settentrionale. Molti altri casi, però, non sono mai stati oggetto di indagine. Furono nuovamente archiviati, tra la metà e la fine degli anni Novanta del XX secolo. È tra queste carte che rimangono i fascicoli di Salvo D’Acquisto, di Posata, di Fumaroli e di Canu.


Perché un processo di beatificazione?

Esistono vari fatti che hanno motivato un percorso di possibile beatificazione di Salvo D’Acquisto. Nel periodo in cui il vicebrigadiere operò a Torrimpietra si riscontrano dei dati:

1) Le direttive militari legate all’8 settembre crearono degli oggettivi disorientamenti, anche alla luce del fatto che mutò il comportamento tedesco (gli Italiani erano considerati dei traditori).

2) Più militari lasciarono le loro divise per evitare di trovarsi coinvolti nelle strategie tedesche e nel sostegno alla Repubblica Sociale Italiana. Si ricorda, al riguardo, che il Generale Rodolfo Graziani, tra il 1943 e 1944 firmò diversi bandi di richiamo alle armi delle classi dei nati negli anni 1923, 1924, 1925. Richiamò in seguito le classi 1920, 1921 e 1926 – minacciando di morte i renitenti – e infine anche le classi 1916 e 1917..

3) Le popolazioni residenti in territori ancora sotto il controllo nazista e repubblichino subirono tragedie difficili da scordare. Si pensi, a esempio, all’eccidio di Boves (Cuneo). I Tedeschi massacrarono civili innocenti (19 settembre 1943; e poi tra il 31 dicembre 1943 e il 3 gennaio 1944).

4) Si accentuò la persecuzione antiebraica che condusse alle deportazioni in lager di sterminio.

5) La gente del tempo, specie quella delle campagne, si trovò a gestire una vita quotidiana segnata da privazioni, da povertà e da soprusi.

6) La presenza dei Carabinieri servì a mantenere un equilibrio in realtà instabili, segnate pure da requisizioni e delazioni.

7) In più casi, diversi militari italiani scelsero di sostenere la Resistenza. La loro presenza fu certamente molto utile, a esempio, durante le «Quattro giornate di Napoli» (27-30 settembre 1943). Tale ridistribuzione di energie a favore di una guerra clandestina, lasciò in taluni casi una minore presenza in zone isolate, agricole, poco frequentate.


Il valore di un ventiduenne

È solo studiando tale contesto, in ogni aspetto, che si può comprendere il valore di un ventiduenne (vicino al nuovo compleanno) che pur informato sugli accadimenti del tempo:

1) non volle lasciare abbandonata a se stessa la popolazione a lui affidata;

2) difese in vari modi i Carabinieri che in quel momento comandava;

3) difese l’innocenza degli abitanti del territorio di sua competenza;

4) non difese se stesso con qualche accorgimento improvvisato;

5) assunse in prima persona la responsabilità dei fatti accaduti nella Torre di Palidoro, consentendo la liberazione di 22 ostaggi.

A questo punto, tenendo conto di quanto in precedenza annotato, non è debole affermare che:

1) si è in presenza di una offerta della propria vita «propter caritatem» («a motivo della carità»);

2) si riconosce una speciale configurazione a Cristo, e un corrispondente dono dello Spirito che la sostiene e la rende possibile;

3) si è in presenza di una situazione ove da parte dell’uccisore non vi è nemmeno l’intenzione di agire «in odium fidei», ma semplicemente per una tale mancanza di umanità, che arriva a sfigurare completamente in lui l’immagine di Dio;

4) in tale contesto, la testimonianza dell’offerta della vita per amore è prima di tutto la via per dimostrare che la fede in Cristo ridona all’uomo tutta la sua dignità, capace di dire una parola nuova anche a chi è ormai divenuto insensibile alla stessa percezione della presenza di Dio.


E il cammino continua…

Nel lavoro storico qui presentato occorre, adesso, aggiungere un ultimo tassello. La famiglia di Salvo D’Acquisto ha continuato a mantenere una sua presenza all’interno dell’Arma attraverso Liliana, una nipote del giovane vicebrigadiere ucciso a Palidoro.


Alcune indicazioni bibliografiche

AA.VV., I Carabinieri nella resistenza e nella guerra di liberazione, 1943-1945, a cura di M. Ruzzi, in: «Rivista dell’Istituto Storico della Resistenza di Cuneo», numero 87, Cuneo 2015

M. Arcuri, Salvo D’Acquisto, con dodici lettere autografe, Macchione Editore, Varese 2015

L. Burburan, Salvo D’Acquisto. Quel pomeriggio a Palidoro, Città Nuova, Roma 1984

F. Caruso (a cura), L’eroe di Palidoro: vicebrigadiere dei Carabinieri Salvo D’Acquisto, Istituto Poligrafico dello Stato, Roma 1970

G. Castelli, Storia segreta di Roma Città Aperta, Quattrucci, Roma 1959, pagine 59-78

M. Codi, Salvo D’Acquisto. Storia di una vita donata, Elledici, Torino 1993

Congregatio de Causis Sanctorum, Beatificationis Servi Dei Salvii D’Acquisto [1920-1943] Positio super vita, martyrio et fama martyrii. Positio Suppletiva, Romae, 1999, 43

C. Di Biase, Salvo D’Acquisto. Nel 40º del suo sacrificio 1943-1983, Liguori, Napoli 1983

M. G. Fida, Oltre la storia. Il martire di Palidoro. Memorie del martirio e della morte del vicebrigadiere Salvo D’Acquisto, Nuova Editrice Berti, Piacenza 2011

C. Gentile, I crimini di guerra tedeschi in Italia 1943-1945, Einaudi, Torino 2015

P. L. Guiducci, Salvo D’Acquisto, in: «San Paolino’s Voice», sito online, Roma, 21 luglio 2022

M. Ianniciello (le interviste di), Salvo D’Acquisto, Edizioni Il Papavero, Manocalzati (Avellino) 2013

D. Lombardi, Il mio dovere l’ho fatto. La scelta di un Carabiniere, il dono responsabile di un Cristiano,  Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2014

G. Rimbotti, Salvo D’Acquisto. Un Carabiniere da non dimenticare, Edizioni Paoline, Milano 1992

M. Roncalli, Anniversario. Salvo D’Acquisto, una vita forgiata nella fede, in: «Avvenire», mercoledì 14 ottobre 2020.


Ringraziamenti

Comando Generale della Guardia di Finanza, V Reparto – Ufficio Storico (Roma). Monsignor Roberto Leoni, Cancelliere, Curia Vescovile Diocesi Porto-Santa Rufina (Roma-La Storta). Istituto Luce (Roma). Dottor Saverio Gaeta, vaticanista, autore di una pubblicazione su Salvo D’Acquisto (Roma). Direzione Ecomuseo del Litorale Romano – Cooperativa Ricerca sul Territorio (CRT; Roma). Don Osvaldo Geiser, Parroco chiesa Sant’Antonio Abate, Torrimpietra (Fiumicino). Padre Pascual Cebollada S.J., Postulatore Generale Compagnia di Gesù (Roma). Dottoressa Valeria Torchio, Segreteria Postulazione Generale Compagnia di Gesù (Roma). Signora Claudia Farigu, Edizioni San Paolo, Ufficio Diffusione (Cinisello Balsamo). Dottoressa Roberta Gualdi, Comune di Fiumicino, Sede di Palidoro, Area Servizi al Cittadino e Gestione del Personale, Anagrafe e Stato Civile. Direzione «Il Bollettino Salesiano» (Roma).


Elenco dei criminali nazistifascisti in Italia

Iniziativa della Regione Toscana: 03.PDF (regione.toscana.it).


Episodio di Palidoro, 1° ottobre 1943

Palidoro_1_ottobre_1943.pdf (straginazifasciste.it) – Nome del Compilatore della scheda: Amedeo Osti Guerrazzi.

(settembre 2022)

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