La questione di Pio XII
Riflessioni sulle motivazioni del Papa riguardo al suo atteggiamento di fronte al nazismo

L’apertura degli archivi della Santa Sede riguardanti gli anni della Seconda Guerra Mondiale ha riacceso il dibattito sulla figura di Papa Pio XII. È assai improbabile che da essi possa saltare fuori qualche documento che ponga fine alla «querelle» tra gli «innocentisti» e i «colpevolisti», ma forse il vero problema risiede appunto nella stessa disputa che intende tratteggiare un giudizio riguardo alla figura del Pontefice, dipingendolo come un eroe antinazista o al contrario come un collaborazionista dei nazisti. Simile attitudine risiede forse nel fatto che il Pontefice oltre che capo di Stato sarebbe – secondo la dottrina cattolica – anche una guida morale essendo il «Vicario di Cristo» e si pretenderebbe quindi da esso un comportamento migliore rispetto ad altre persone comuni o uomini di Governo. Uno storico tuttavia dovrebbe sgombrare dal suo campo questa visione e adottare un atteggiamento «agnostico» per attuare una migliore ricerca. E neppure dovrebbe esprimere un giudizio se il «silenzio» del Pontefice fosse stato immorale o meno, ma piuttosto indagare sulle motivazioni che lo portarono ad agire in quel modo. Nel corso del tempo sono state avanzate diverse ipotesi per spiegare l’atteggiamento del Papa di fronte alle atrocità del Terzo Reich, alcune delle quali però alquanto improbabili.

Tra queste vi sarebbe quella di un presunto filonazismo di Pacelli (ipotesi che, a dire il vero, nessuno storico ritiene attualmente avere un qualche fondamento). Se infatti è vero che il Vaticano dell’epoca non era pregiudizialmente ostile a regimi illiberali che adottassero legislazioni in sintesi con la morale cattolica dell’epoca (come poteva essere, a esempio, il caso della Spagna franchista), ciò non poteva valere per la Germania nazista perché quest’ultima era uno Stato che aveva adottato normative in aperto contrasto con i dogmi cristiani introducendo il razzismo, la sterilizzazione forzata e l’uccisione di malati psichici. Inoltre, il Terzo Reich stava attuando una serie di misure aventi l’obiettivo di scristianizzare la società tedesca (confisca di monasteri, chiusura delle scuole cattoliche, arresti di sacerdoti…) e ciò era motivo di forte preoccupazione per la Santa Sede che difatti vedeva con timore un’eventuale vittoria di Hitler: «Qui non ci si fanno illusioni sulla sorte che sarà riservata alla Chiesa nel caso in cui il successo delle loro forze armate darà ai Tedeschi piena libertà di manovra. Che il regime hitleriano mostri poco riguardo verso i valori cristiani nel Reich, in Vaticano è considerato indicativo dei provvedimenti radicali che sarebbero presi all’indomani della vittoria» comunicava l’Ambasciatore Francese Leon Bérard al Ministro degli Esteri di Vichy nel gennaio del ’42.

Un’altra motivazione assai poco probabile sarebbe quella dell’antisemitismo. Sebbene sia indubitabile che Pio XII fosse affetto dal tradizionale antigiudaismo che pervase la Chiesa per secoli, e che il Vaticano dell’epoca non dovette guardare con sfavore l’introduzione di una normativa antisemita di stampo religioso che limitasse le attività dei Giudei, la Chiesa però era contraria all’eliminazione fisica di questi ultimi, e si hanno prove di come il Papa stesso incoraggiasse l’aiuto agli Israeliti.[1] Gli interventi della Santa Sede per aiutare questi ultimi (invio di passaporti e denaro, nascondiglio in monasteri e conventi, interventi diplomatici volti a fermare le deportazioni…) confermano questo.

Molti storici hanno sostenuto che il timore per l’avanzata del comunismo spinse il Papa a vedere nel regime nazista un argine contro il dilagare del bolscevismo, e proprio la paura di indebolire il fronte tedesco indusse il Pontefice a tacere. Tuttavia, pur essendo autentico il terrore del Papa per l’espansione in Europa dell’Unione Sovietica di Stalin che aveva introdotto delle feroci persecuzioni antireligiose in nome dell’ateismo di Stato, è difficile pensare che Pio XII potesse vedere nel nazismo un baluardo contro il comunismo dato che, come detto poc’anzi, la Santa Sede nutriva un’uguale apprensione per un’eventuale vittoria nazista, e considerava entrambi i regimi un pericolo per la sopravvivenza del Cristianesimo: «È chiarissimo al Papa come non si possa pensare a un uso strumentale del nazismo quale antemurale della civiltà occidentale contro il comunismo, come intendono invece a Madrid, e Franco tra questi: il nazismo, come il comunismo, è un naturalismo ateo, nemico dei valori cristiani e spirituali, del quale c’è da augurarsi solo la scomparsa» annotò Domingo de las Bàrcenas, Ambasciatore di Spagna presso il Vaticano, in seguito a un’udienza avuta con il Papa il 16 marzo 1943.[2]

Quali possono essere dunque le ragioni che indussero Pio XII a tacere di fronte alle atrocità naziste? Per spiegare il suo atteggiamento è necessario tenere conto di diversi fattori. In primo luogo vi fu certamente il timore che una denuncia pubblica avrebbe potuto scatenare delle rappresaglie contro i Cattolici e le persone che si intendeva difendere: «Noi dovremmo dire parole di fuoco contro simili cose, e solo ci trattiene dal farlo il sapere che renderemmo le condizioni di quegli infelici, se parlassimo, ancora più dure» ebbe a dichiarare Pacelli durante un’udienza con l’Ambasciatore Italiano Dino Alfieri nel maggio del 1940 in riferimento ai massacri che i Tedeschi stavano commettendo in Polonia.[3]

In secondo luogo, lo scoppio del conflitto indusse la Santa Sede a mantenere una posizione di neutralità tra i contendenti, convinta che questa le avrebbe permesso di poter svolgere il ruolo di mediatrice nelle eventuali trattative di pace tra i belligeranti e di prestare maggiormente soccorso alle popolazioni vittime della guerra. Tale atteggiamento fu ulteriormente confermato sia dal fatto che in entrambi i fronti militavano masse di Cattolici, sia perché in tutti e due gli schieramenti combattevano degli Stati anticristiani, come per l’appunto erano la Germania nazista e l’Unione Sovietica.[4]

È inoltre possibile che il Pontefice temesse che un pubblico pronunciamento contro la Germania avrebbe potuto portare a numerose defezioni di fedeli tedeschi, che avrebbero abbandonato la Chiesa incolpandola di aver «pugnalato alla schiena» la loro patria: il 6 ottobre 1942, il diplomatico americano Harold Tittmann informò il Dipartimento di Stato di aver raccolto l’impressione che la reticenza del Papa a un pubblico pronunciamento fosse dovuta anche al «timore che se egli lo fa ora, il popolo tedesco, nell’amarezza della disfatta, lo rimprovererà più tardi di avervi contribuito, sia pure indirettamente».

Queste considerazioni aiutano a spiegare il comportamento del Pontefice durante il conflitto. In definitiva, questi decise di tenere di fronte alla guerra un atteggiamento improntato ufficialmente all’imparzialità[5], evitando denunce specifiche e rilasciando dichiarazioni generali e di principio.[6] Non è dato sapere se tale atteggiamento fu quello più congruo da adottare per evitare mali peggiori (lo stesso Pontefice pare avere avuto a volte dei dubbi su questo)[7], e molto probabilmente questo quesito è destinato a rimanere senza una risposta certa.


Note

1 A esempio, in una lettera del 30 aprile 1942 indirizzata al Vescovo di Berlino, Konrad von Preysing, Pio XII scrisse: «Ci ha recato grande consolazione nel sentire che i Cattolici, e proprio i Cattolici Berlinesi, hanno recato soccorso ai cosiddetti non-ariani nella loro afflizione. In questo senso noi esprimiamo un sentimento di paterno riconoscimento e di intima compassione per il prelato Lichtenberg». Il presbitero Bernhard Lichtenberg venne arrestato nel 1941 per aver pubblicamente pregato per gli Ebrei nel Duomo di Berlino, e morirà nel ‘43 durante la deportazione verso il campo di concentramento di Dachau.

2 Durante l’incontro con l’Ambasciatore Spagnolo, Pio XII affermò anche che «il comunismo non è l’unico nemico della Cristianità [e che] la persecuzione nazista, obbediente a dogmi fondamentali del regime, è più pericolosa di qualsiasi altra persecuzione precedente».

3 Si noti che la Santa Sede riteneva che la stessa opera di salvataggio degli Israeliti avrebbe dovuto essere effettuata senza pubblicità per evitare rappresaglie tedesche. L’Ambasciatore Inglese presso la Santa Sede, Francis d’Arcy Osborne, inviò il 31 ottobre 1943 un dispaccio che riferiva: «Non appena seppe degli arresti di Ebrei a Roma, il Cardinale Segretario di Stato diresse e formulò all’Ambasciatore Tedesco una [sorta] di protesta. L’Ambasciatore si mosse immediatamente… L’intervento vaticano sembra quindi aver avuto efficacia nel salvare un certo numero di queste sfortunate persone. Ho chiesto di sapere se potevo riferire queste cose e mi è stato detto che avrei potuto farlo ma esclusivamente per nostra conoscenza e non per darne pubblica informazione, poiché qualsiasi nuova pubblicazione di informazioni avrebbe probabilmente portato a nuove persecuzioni». Anche Myron Taylor, l’uomo di collegamento tra Roosevelt e Pio XII, riferì nel marzo del ’45 la conversazione di un membro del suo staff con il Cardinale Tardini, che raccontò che durante l’occupazione nazista di Roma migliaia di Ebrei vennero accolti in monasteri e conventi: «Monsignor Tardini ha concluso i propri commenti sottolineando che la Santa Sede è ovviamente molto ansiosa di non dare alcuna pubblicità a tale informazione per timore che causi misure di rappresaglia contro il clero e la comunità dei Cattolici nei territori controllati dai Tedeschi».

4 Se agli Alleati il Vaticano rimarcò il fatto di non poter denunciare pubblicamente i crimini nazisti per mantenere la neutralità («Egli [Pio XII] ha detto che non avrebbe potuto, parlando di queste atrocità, menzionare i nazisti senza menzionare egualmente i bolscevichi, e che a suo avviso ciò non sarebbe senza dubbio piaciuto agli Alleati» informava un rapporto di Tittmann del 3 gennaio 1943), ai diplomatici dell’Asse – al contrario – fece presente di non poter denunciare i crimini del comunismo per lo stesso motivo («Se la Santa Sede ricordasse pubblicamente gli errori e gli orrori del comunismo, non potrebbe dimenticare le aberrazioni e le persecuzioni del nazismo» dichiarò il Cardinale Domenico Tardini all’Ambasciatore Italiano Bernardo Attolico nel settembre del 1941).

5 Non bisogna tuttavia dimenticare le attività sottobanco svolte dal Papa: a esempio, i suoi contatti con la Resistenza Tedesca che lo portarono a fare da tramite tra questa e gli Inglesi per un complotto avente l’obiettivo di spodestare Hitler, e l’avviso al Belgio e all’Olanda dei piani di guerra nazisti per l’Europa dell’Ovest sono atti che andavano contro alla sua ufficiale posizione di neutralità nel conflitto.

6 Un esempio di ciò lo si può vedere nell’invasione della Polonia: sebbene Pio XII non ebbe a denunciare pubblicamente l’aggressione tedesca, nell’enciclica Summi Pontificatus erano presenti parole di elogio e solidarietà nei confronti dei Polacchi: «Il sangue di innumerevoli esseri umani, anche non combattenti, eleva uno straziante lamento specialmente sopra una diletta Nazione, quale è la Polonia, che per la sua fedeltà verso la Chiesa, per i suoi meriti nella difesa della civiltà cristiana, scritti a caratteri indelebili nei fasti della storia, ha diritto alla simpatia umana e fraterna del mondo, e attende, fiduciosa nella potente intercessione di Maria “Soccorso dei Cristiani” l’ora di una risurrezione corrispondente ai principi della giustizia e della vera pace». Se è pur vero, come fanno notare i critici, che la Germania non venne esplicitamente nominata, non sorprende che tale enciclica venne di fatto interpretata all’epoca come un attacco alle politiche hitleriane dato che era stato il Terzo Reich a occupare Varsavia e a porre fine all’indipendenza polacca.

7 Il Vescovo Angelo Giuseppe Roncalli, futuro Papa Giovanni XXIII, annottò sul suo diario una frase del Pontefice con cui ebbe un’udienza il 10 ottobre 1941, che gli domandò «se il suo silenzio circa il contegno del nazismo non è giudicato male». La questione se una protesta pubblica avrebbe avuto efficacia o meno nel fermare il genocidio degli Ebrei è una questione che è (e probabilmente rimarrà) ancora aperta. Personalmente ritengo dubbio che un pubblico pronunciamento avrebbe potuto avere una qualche efficacia nel fermare Hitler: la scomunica non impedì a Napoleone Bonaparte di fare prigioniero Papa Pio VII o a Vittorio Emanuele II di occupare lo Stato Pontificio. Del resto, nonostante il divieto di fare parte del Partito Nazista introdotto dalle autorità ecclesiastiche all’inizio degli anni Trenta, molti fedeli voteranno ugualmente per Hitler andando contro alle indicazioni dei Vescovi: «Una penosa constatazione per il clero è che, oltre i sei milioni circa di Cattolici che votarono per il Centro e per il Partito Popolare Bavarese, restano ancora certamente altri sei o sette milioni di Cattolici che parteciparono alle urne… questi sei o sette milioni di votanti cattolici si ritiene abbiano votato in gran parte per i nazional-socialisti, nonostante le norme disciplinari emanate dall’Episcopato a riguardo di questo partito. Questo ingente numero di trasgressori dà molto a pensare circa l’efficacia pratica delle ingiunzioni episcopali per un popolo così fanatizzato dalle nuove idee» comunicava il nunzio Cesare Orsenigo in un dispaccio del 7 marzo 1933. Neppure le denunce di Radio Vaticana sulla persecuzione della Chiesa in Germania riuscirono a mutare l’atteggiamento di ostilità del regime nazista nei riguardi di quest’ultima, anzi le minacciose proteste da parte tedesca indussero il Pontefice a emanare, nell’aprile del 1941, l’ordine di interrompere le trasmissioni che parlassero della situazione religiosa nei territori del Terzo Reich poiché – come ebbe a spiegare all’Ambasciatore Inglese Osborne – non si poteva ignorare «il fatto che i Cattolici Tedeschi e i religiosi erano esposti a gravi rappresaglie da parte del Governo Tedesco».


Bibliografia

Giovanni Miccoli, I dilemmi e i silenzi di Pio XII, Rizzoli, Milano, 2000

Andrea Tornielli, Pio XII. Un uomo sul trono di Pietro, Mondadori, Milano, 2007

Pier Luigi Guiducci, Il Terzo Reich contro Pio XII, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2013

David Kertzer, Un Papa in guerra. La storia segreta di Mussolini, Hitler e Pio XII, Garzanti, Milano, 2022.

(ottobre 2022)

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