Militari tedeschi e civili italiani nelle ultime settimane della Seconda Guerra Mondiale
Non sempre i «cattivi» lo sono fino in fondo

Nella primavera del 1945, la strenua resistenza fatta dai Tedeschi lungo la Linea Gotica (in tedesco «Gotenstellung»), cioè la difesa fortificata che andava da Massa Carrara a Pesaro, sotto il comando di Albert Kesserling contro l’avanzata dei meglio armati Inglesi guidati da Harold Alexander sull’Appennino Tosco-Emiliano, finì in una vera e propria «débâcle». Lo scompiglio che si propagò nelle truppe teutoniche fu seriamente catastrofico. E la disorganizzazione si evidenziò in maggior misura anche perché pochi giorni prima un aereo da caccia inglese aveva sganciato una bomba che, con una millimetrica precisione (che, a definire prodigiosa, per quei tempi, è sicuramente riduttivo), colpì il centro della strada passante a fianco della sagrestia della parrocchia della chiesa di Cassana e diretta verso la campagna. Infatti, ne distrusse solamente l’ala occidentale, quella che, appunto, ospitava il centralino coordinatore dei movimenti dei militari tedeschi e dei loro mezzi nell’Emilia Orientale e nella Romagna. Insomma, il pilota inglese aveva eliminato semplicemente ciò che era in più, senza esagerare! (Fra parentesi, si potrebbe aggiungere che il pilota inglese aveva avuto tutto il tempo che gli serviva per mirare bene, giacché non aveva assolutamente da temere nessuna reazione da parte dei Tedeschi, che ormai non possedevano più nemmeno gli occhi per piangere; figurarsi se potevano mettersi a sparare… magari con una Luger – sic! – contro i caccia che pattugliavano il cielo della zona).

La conseguenza della confusione che ne nacque fu che i Tedeschi si trovarono allo sbando e, privi di ordini dall’alto, iniziarono a dirigersi verso Nord, seguendo le indicazioni fornite dallo scritto in nero su fondo giallo (ZUM PO = verso il Po) delle tabelle a freccia, disseminate lungo tutte le strade e nella campagna ferrarese. Quasi tutti, a gruppi e male in arnese, andavano a piedi; si spostavano, cioè, come si dice, con il «cavallo di San Francesco», attraversando le campagne e guadando od oltrepassando a nuoto i canali che, per esigenze di irrigazione, numerosi costellano la provincia di Ferrara; i più fortunati si spostavano su improbabili carretti trainati da smunti cavalli, da muli o da asini spelacchiati; di mezzi militari, nemmeno l’ombra. Ah, dimenticavo! Si vedevano solamente soldati semplici, forse qualche caporale o poco più: dei militari superiori, dei pezzi grossi e dei gerarchi, nemmeno l’ombra! Insomma, tutti verso il Po, dove era previsto che si dovesse scatenare la grande controffensiva, quella da ricordare nella storia. Niente di tutto questo, il tutto finì in nulla di fatto: i Tedeschi si trovarono davanti al Po, nessuna truppa amica li stava aspettando, nessun ufficiale si prendeva la briga di organizzarli. Le prospettive di cui disponevano erano le seguenti: o affidarsi alla bontà della gente del posto, che disarmati li avrebbe consegnati alle autorità inglesi prossime ad arrivare, oppure trovare un qualche mezzo per attraversare la calma ma possente corrente del «grande Fiume» che, imperturbabile, seguitava il suo cammino verso il Mare Adriatico. Riconosciamolo, il Po non è né il Rio delle Amazzoni né il Mississippi, però, non essendo possibile attraversarlo a guado, per chi non sappia nuotare bene o, peggio, per chi non lo sappia proprio fare, si tratta di un’impresa da Indiana Jones. Tutto sommato, chi scelse la prima soluzione al suo dilemma lo fece positivamente, perché il risultato fu quello presunto: furono presi come prigionieri, come previsto in questi casi; per gli altri le cose si svolsero vantaggiosamente per qualcuno, miserevolmente per altri. In effetti, chi giungeva sulla sponda del Fiume, con la minaccia delle armi, sequestrava ciò che trovava, malgrado le reazioni velenose dei proprietari: i primi furono i più fortunati, giacché trovarono barche, barchine, barchette, barconi, chiatte; gli altri dovettero accontentarsi di assi di legno, tronchi, addirittura mastelli da bucato (sic). Di questi, qualcuno ce la fece, altri, impacciati dai vestiti che tenevano addosso e poco pratici del nuoto, finirono a fondo per risalire, più avanti, a galla, con il ventre rigonfio per il gas di putrefazione e per prendere il lento moto della corrente verso il mare. Stando a quanto dicevano i nostri «grandi», cioè i più anziani (i giovani o erano in contumacia con gruppi di partigiani, o se ne stavano alla larga, oppure ancora al lavoro per il servizio TODT che dalle nostre parti, fra l’altro, assicurava che fossero scavate fosse lungo le strade per consentire agli autisti di salvare la pelle dalle mitragliere degli aerei nemici – e non certo i mezzi che guidavano –), fu un periodo di «pesca miracolosa» per molte persone, poiché, prendendo nella rete i cadaveri, si recuperavano le anguille che si pascevano delle loro interiora, diventando belle, grosse e lucenti… E le vendevano…naturalmente senza svelare mai né il luogo in cui erano state pescate, e tanto meno il metodo: «segreto professionale», dicevano.

Un pomeriggio, noi bambini eravamo a giocare con una palla di stracci (e anche di grazia) in uno dei cortili del caseggiato che costituiva il nostro rione, quando sentimmo scariche di mitragliatrice seguite dal rumore emesso dai motori a pistoni di un paio di aerei da caccia, con il rombo che variava secondo le loro evoluzioni in cielo. Ci guardammo in volto l’un l’altro, per sapere se qualcuno di noi avesse inteso che cosa stesse succedendo, poi, alzando lo sguardo al cielo, vedemmo le sagome di due aerei da caccia che sfrecciavano a bassissima quota sopra di noi e che poi si allontanavano, riprendendo quota. Sicuramente, il loro obiettivo era un qualcosa o un qualcuno che stavano inseguendo. L’avevano centrato oppure era sfuggito al loro attacco? Senza dubbio, nel secondo caso, sarebbero ritornati per tentare di por termine alla loro opera.

Intanto, un autoblindo a quattro ruote gommate, di colore quasi nero, con la caratteristica croce tedesca poco visibile sotto lo strato di melma che lo ricopriva, entrò lungo le stradine del caseggiato, slittando in curva e sollevando grandi nubi di polvere e s’infilò fra le case delle famiglie Zanella e Dolcetti per fermarsi infine sotto l’ombra protettrice di alcuni grandi alberi di robinia. Ne scesero due militari tedeschi, un ufficiale e un soldato semplice, che fecero capire ai compaesani (che intanto si erano avvicinati incuriositi), un po’ a gesti e un po’ con qualche parola in uno stentato italiano, che l’avevano scampata bella, essendo riusciti ad arrivare fino lì indenni. I due aerei passarono a bassa quota sopra il caseggiato da Ovest verso Est e poi da Sud verso Nord, per avere il sole alle spalle, ma inutilmente: l’autoblindo era perfettamente invisibile sotto la cortina vegetale. E dopo alcuni passaggi, nonostante la loro volontà di non perdere la preda, ai piloti non restò altro da fare che mollare la presa e tornare al loro consueto controllo dall’alto con le classiche pive nel sacco.

I militari, in un primo momento intimiditi, presero coraggio e, non avendo visto nessuno con intenzioni ostili, avevano capito che non s’intendeva far loro del male (del resto fino a qualche tempo prima essi non erano nemici, bensì alleati; ora, dopo il famoso 8 settembre, erano diventati nemici che, però, se ne stavano andando, per cui, come si dice, «al nemico che fugge, ponti d’oro»).

I due militari mangiarono quel pochissimo che avevano con sé, mentre qualcuno (soprattutto le donne), impietosito dall’aspetto malandato di due giovani affamati, offrì ancora qualcosa, insieme con un po’ di «clinton», vino a bassissima gradazione, che si ricavava da una varietà d’uva coltivabile con poca fatica anche nell’orto. Era un aiuto dato col cuore di povera gente, che, per sopravvivere, doveva sottostare alla ferrea legge della «borsa nera».

Verso sera, però, sorse un problema, molto grave. I Tedeschi avevano dichiarato che era veramente impossibile per loro procedere con l’autoblindo; del resto tutti se ne erano resi conto, con quanto era successo poche ore prima, ma c’era un «ma»: non volevano che il mezzo cadesse intatto e funzionante nelle mani del nemico, che si sapeva essere già arrivato a Poggio Renatico, a poco più di una decina di chilometri di distanza in linea d’aria. Pertanto, l’unica soluzione valida era quella di bruciare il mezzo lì dove adesso stava al sicuro. Gli astanti restarono perplessi e impietriti, poiché l’incendio del mezzo comportava sicuramente anche l’incendio delle case presso di cui era posteggiato. Poi ci fu una rumorosa alzata di scudi da parte dei paesani, con i membri delle famiglie più direttamente interessati inginocchiati e piangenti, che li pregavano di non commettere il disastro, mentre tutti gli altri avevano iniziato a rumoreggiare con una certa violenza. L’ufficiale fece l’atto di estrarre la Luger d’ordinanza (forse la famosa P08: noi bambini ne sapevamo di più dei nostri genitori), ma capì che così facendo le cose si sarebbero tragicamente complicate; si rese conto, infatti, che così comportandosi, forse gli sarebbe stato impedito di rivedere la sua amata Germania. Del resto il soldato semplice gli fece capire che era meglio evitare la mala parata.

E allora, che fare? I paesani proposero di portare l’autoblindo in campagna, dove il suo incendio non avrebbe combinato danni a nessuno. Già, con «quelli» che continuavano a controllare la zona dall’alto? Del resto, si era costatato che solo per un colpo di fortuna i Tedeschi erano riusciti a nascondere l’autoblindo e a mettere al sicuro la propria incolumità: muoversi si sarebbe dimostrato un vero e proprio suicidio!

E allora, perché non andarci di notte, sicuri che gli aerei sarebbero stati a dormire? Be’, sì, però ci si era dimenticati che di notte – tutte le notti – passava «Pippo», che, non appena vedeva un lumicino, ne registrava la posizione, e raggiuntala si alleggeriva di un bel grappolo di bombe. Si diceva che non era difficile che Pippo bombardasse anche qualche… povera lucciola in cerca di compagnia! Pertanto, missione impossibile! (Per chi non ha vissuto in quel periodo, sembra opportuno chiarire: chi era Pippo? Era il nome dato dalla gente ad aerei da caccia notturna che solitari, passando a volo radente per non incappare nei tiri della contraerea, bombardavano o mitragliavano ovunque avessero individuato un bersaglio. Si trattava di bimotori Beaufighter, accompagnati, in seguito, da Mosquito).

Noi bambini seguivamo seri quei discorsi dei grandi, che sembravano non portare da nessuna parte. E allora i grandi, anche a scanso di eventuali pericoli, ci fecero togliere il disturbo, perché era compito loro quello di dirimere la questione e poi perché per noi era giunta l’ora di andare a dormire, essendo ormai la sera tarda.

Il giorno successivo, una colonna di fumo nero si alzava dalla zona, dove oggi sono la centrale geotermica e la piccola e media industria, mentre a quei tempi era una campagna meravigliosa, ricca di cocomeri e di noci, che ci attiravano irresistibilmente, con grande disappunto del proprietario, che li coltivava per altri scopi. Quel fumo diceva che qualcosa bruciava e, interrogati i grandi, sapemmo com’era stato risolto il problema. Non potendo andare di giorno e nemmeno di notte, per le ragioni riportate, si era pensato di organizzare un gruppo che accompagnasse passo passo l’autoblindo verso il suo sacrificio al di fuori della portata della gente, senza mai accendere pile, accendini o altro per illuminare il cammino. Cosa che si fece puntualmente: due di fianco al mezzo, due davanti, pilotarono i militari che raggiunsero il luogo adatto senza difficoltà alcuna. Incendiarono l’autoblindo e, dopo aver salutato e ringraziato i nostri, si allontanarono nella notte, verso il loro destino.

Alla fine, dunque, i due tedeschi, non si sa se perché impauriti dalla reazione dei nostri compaesani, ma forse indotti a una forma comportamentale dettata dal buon senso e, perché no?, da un barlume di umanità che quasi sempre alloggia in ognuno di noi, hanno fatto una cosa meritevole; e il risultato ha lasciato il segno nel cuore di tutti noi: non sempre i «cattivi» lo sono fino in fondo: qualcosa può sempre affiorare a dimostrare che si può essere brutali e feroci, ma non a questo punto!

(giugno 2019)

Tag: Mario Zaniboni, Seconda Guerra Mondiale, Linea Gotica, ritirata dei Tedeschi in Italia, primavera del 1945, Luger, Pippo, testimonianza sulla Seconda Guerra Mondiale, Albert Kesselring, Harold Alexander, Seconda Guerra Mondiale in Italia, non sempre i cattivi lo sono fino in fondo.