Gli Italiani che si schierarono dalla «parte sbagliata»
Una tesi opinabile in chiave filosofica e scientifica

L’analisi storiografica e la speculazione politica insistono spesso e volentieri sulla scelta di quanti, civili o militari che fossero, si schierarono con la Repubblica Sociale Italiana a seguito dell’8 settembre 1943 e degli eventi immediatamente successivi: una scelta che a loro giudizio deve ritenersi «sbagliata», essendo stata tale, ben prima di questi eventi, la «parte» fascista nel suo complesso etico, economico e giuridico. Si tratta di interpretazioni diffuse che prescindono da taluni correttivi revisionisti più recenti, generalmente marginali, e confermano l’assunto fatto proprio dalle maggiori vulgate.

Risulta sempre utile, per non dire indispensabile, intendersi sul significato delle parole, ed allora giova rammentare come un testo di riferimento quale la Grande Enciclopedia De Agostini definisca lo sbaglio alla stregua di un’azione o di un giudizio «espressi in modo non conforme a verità ed esattezza». In conseguenza, primo referente dello sbagliare è quello di «commettere uno o più errori, materiali o morali». Del pari, la stessa fonte intende per parte «ciascuno degli elementi che concorrono alla formazione del tutto» specificando che, in una lettura logicamente estensiva, questa definizione può essere riferita anche alle singole persone od ai loro aggregati.

Laddove si assuma che una scelta idonea ad evitare l’errore presume la conoscenza di «verità ed esattezza», non è difficile convenire con Roberto Vivarelli, uno storico che visse in prima persona l’esperienza della Repubblica Sociale Italiana, anche sul piano militare, quanto sia azzardato definire senz’altro «sbagliata» la decisione di chi scelse di battersi nel suo campo, e specularmente «corretta» quella opposta, basandosi su giudizi formulati a posteriori, e quindi, condizionati dall’evolversi delle situazioni, dagli interessi in giuoco, e dalle successive pregiudiziali politiche.

Dal canto suo, il concetto di «parte» relativo all’Italia del 1943 deve essere quanto meno approfondito. Non esistevano soltanto la Repubblica Sociale da un lato, con il cosiddetto Regno del Sud e le formazioni partigiane dall’altro, perché la stragrande maggioranza aveva preferito una terza opzione, quella dell’attendismo. In tale ottica, è congruo chiedersi se la parte giusta, alla luce dei numeri e della loro valenza «democratica» o presunta tale, non fosse stata quella di chi aveva preferito il disimpegno: se non altro, per l’incapacità o l’impossibilità di discernere, tra le forze in campo, quella da preferire.

In conseguenza, alla definizione semantica di «parte sbagliata» corrisponde un riferimento che, per usare una felice espressione coniata da Giovanni Sartori, può essere definito «deviante ad effetto descrittivo». Ciò, sia sul piano logico che su quello storico: da una parte perché, in presenza di tre opzioni, quelle viziate da errore avrebbero dovuto essere almeno due, e dall’altra, perché il giudizio a priori sarebbe stato dogmatico, ed in quanto tale non oggettivo, nella stessa misura in cui il giudizio a posteriori assume caratteri empiricamente strumentali.

Si può obiettare che dopo l’8 settembre sarebbe stato logico prevedere l’evoluzione delle cose, quanto meno alla luce delle condizioni militari, ma l’affermazione è opinabile perché presume una valutazione pragmatica priva di correlazioni con le matrici idealistiche a cui era stata improntata la cultura italiana dal Risorgimento in poi, fino al Ventennio, e se si vuole, avulsa dalle loro pregiudiziali etiche; senza dire che la congiuntura bellica, per quanto assai precaria, non era ancora compromessa in termini compiutamente irreversibili.

L’assunto nulla toglie all’impegno per le opposte concezioni di patria che aveva promosso un confronto destinato a tradursi in guerra civile, se non addirittura di religione, nel senso fideistico attribuito da Benedetto Croce alle forze che in questa, come in altre fattispecie, si fronteggiano con l’azione in campi opposti. Tuttavia, l’attribuzione di «parte sbagliata» ad una di esse, sebbene questa fosse suffragata da diffuse adesioni volontarie (alcune delle quali precedenti la stessa costituzione della Repubblica Sociale Italiana), prescinde da quelle premesse idealistiche, o se si preferisce, dalle pregiudiziali etiche di cui si è detto, e sembra obbedire ad una logica tesa a giustificare la scelta attendista ed a squalificare in modo acritico la parte destinata a soccombere ed a pagare lo «sbaglio» col sacrificio di innumerevoli vite, anche e soprattutto a guerra finita (in deroga alla legge positiva e prima ancora, al diritto naturale).

Le parti schierate in campo, quasi a suffragare l’ipotesi di una guerra totale, si macchiarono di parecchi delitti contro l’umanità. Furono tali le stragi tedesche, a cominciare da quella emblematica di Marzabotto, le cui dimensioni divennero criminali, tanto più che andarono ben oltre i limiti giuridici di rappresaglie inutili anche sul piano militare, perché il loro effetto più significativo, alla resa dei conti, non era quello di precludere azioni partigiane militarmente marginali ma di incrementare le adesioni alla Resistenza. D’altronde, la «parte giusta» non sarebbe stata da meno, come attestano, fra le tante scelleratezze, l’assassinio di prigionieri che avevano deposto le armi ed il disegno di pulizia etnica attuato con le foibe in Venezia Giulia, Istria e Dalmazia ad opera di comunisti slavi ed italiani sin dalla «prima ondata» del 1943, e soprattutto dal maggio 1945 in poi.

Non a caso, la storiografia più matura, superate le vecchie pregiudiziali marxiste come quelle di Roberto Battaglia, di Giorgio Candeloro e della loro scuola, è praticamente unanime nel testimoniare come il contributo militare alla Resistenza sia stato garantito per almeno quattro quinti dalle forze del Partito Comunista Italiano, che non avevano fatto mistero dell’intento di trasformare l’Italia in una democrazia popolare di stampo sovietico. Ne consegue, paradossalmente, che agli Alleati deve essere riconosciuto il ruolo di «liberatori» perché, al di là delle uccisioni indiscriminate dopo lo sbarco in Sicilia, degli stupri di massa e di altre angherie a danno degli Italiani, impedirono che quella trasformazione andasse a buon fine.

Parecchi anni più tardi, il distacco dalla «parte giusta» sarebbe diventato sempre più avvertibile e si sarebbe tradotto, fra l’altro, in qualche suicidio eccellente nelle file della Resistenza, quasi a sottolineare il disagio che aveva finito per travolgere tragicamente gli spiriti migliori, delusi dal trauma dell’impossibile palingenesi sognata all’atto delle scelte.

Pensiamo al caso di Francesco Montanari, comandante partigiano della Romagna, che negli anni Novanta pose fine ai propri giorni dandosi fuoco in segno di protesta contro il pervicace silenzio su tanti delitti e contro le degenerazioni di una società che aveva tradito le grandi speranze di mezzo secolo prima, fino al punto di affermare che sarebbe stato quasi meglio se il «parto» resistenziale si fosse tradotto in «aborto».

Parimenti, pensiamo al caso di Ljubiscia Veselinovic, figura di spicco del movimento partigiano jugoslavo, che si era tolto la vita già da tempo, preso dallo sconforto di dover constatare come la nuova classe dirigente del suo Paese avesse dato pubblico scandalo, facendo della corruzione generalizzata, del mercimonio e di rinnovate forme di violenza, gli strumenti prioritari di governo.

Le conclusioni sono di tutta evidenza. Oggi, insistere sull’affermazione che una delle parti fosse «sbagliata» può concedersi nell’esclusiva ottica di una polemica accettabile a patto che non intenda motivare la propria «conventio ad excludendum» sulla base di un assunto filosofico o scientifico, essendone palese il fondamento esclusivamente politico. Cosa che sottintende, fra l’altro, come le prospettive di una reale «conciliazione» e di un nuovo contesto di cooperazione nel comune interesse nazionale siano subordinate ad una più matura consapevolezza critica delle scelte storiche e delle concezioni da cui vennero motivate.

(dicembre 2013)

Tag: Carlo Cesare Montani, Seconda Guerra Mondiale, Italia, Repubblica Sociale Italiana, Resistenza, partigiani, Roberto Vivarelli, Regno del Sud, Benedetto Croce, Partito Comunista Italiano, Marzabotto, foibe, Alleati, Francesco Montanari, Ljubiscia Veselinovic.