Le denunce pubbliche della Chiesa durante l’Olocausto
Un breve sunto sulle aperte condanne del genocidio nazista da parte dei Vescovi di varie Nazioni

Si sente spesso affermare che i Nazisti attuarono la «Soluzione Finale» degli Ebrei senza che avvenissero proteste o denunce pubbliche da parte dei vari prelati della Chiesa, che decisero di rimanere in silenzio di fronte all’Olocausto. In realtà, non mancarono in quelli anni prese di posizione pubbliche contro i rastrellamenti e le uccisioni degli Israeliti.

Occorre fare un paio di chiarimenti riguardo alle posizioni della Chiesa Cattolica di fronte allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale e alla Shoah. Il primo è che essa non fu un blocco monolite e gli atteggiamenti del clero variarono molto da Stato a Stato poiché, generalmente, i prelati delle rispettive Nazioni scelsero di appoggiare lo sforzo bellico del loro Paese[1]. In secondo luogo, l’atteggiamento verso gli Ebrei da parte della Chiesa era in genere venato da un antisemitismo religioso che poteva portare anche a vedere non di cattivo occhio alcune misure discriminatorie contro i Giudei,[2] ma d’altro canto, il clero cattolico era contrario a un antisemitismo di stampo razziale come quello propugnato dai Nazisti, e neppure approvava l’eliminazione fisica degli Ebrei.

Il Pontefice Pio XII è stato giudicato in maniera critica da parte di una certa storiografia per il suo atteggiamento di fronte alla Shoah: pur riconoscendo che questi offrì aiuto e protezione a molti Ebrei, gli si contesta una mancata condanna pubblica del genocidio nazista.[3] Un cenno a esso il Pontefice lo pronunciò nel famoso radiomessaggio del dicembre 1942 durante il quale denunciò l’uccisone di «centinaia di migliaia di persone che, senza veruna colpa propria, talora solo per ragioni di nazionalità e stirpe, sono condannate alla morte o al progressivo deperimento». Sebbene questo discorso venisse criticato dagli Alleati perché troppo ambiguo, i Nazisti lo giudicarono un attacco diretto contro la loro politica.[4] Radio Vaticana nel luglio del ’43 avrebbe inoltre lanciato un appello nel quale affermava che: «Chi fa distinzione tra gli Ebrei e gli altri uomini pecca d’infedeltà verso Dio ed è in conflitto con i suoi comandamenti». Una dura protesta contro un’ordinanza della Repubblica Sociale Italiana che prevedeva la deportazione degli Ebrei in campi di concentramento provenne anche da un articolo del 3 dicembre del 1943 dal giornale della Santa Sede, l’«Osservatore Romano», che denunciava come l’ordine colpisse individui «estranei a qualsiasi colpa… fanciulli, donne, vecchi, malati: i più esposti alle privazioni che un simile provvedimento reca con sé».

Nei Paesi Alleati, liberi dall’occupazione tedesca, le gerarchie cattoliche non ebbero problemi a denunciare apertamente il genocidio degli Ebrei. A Londra, il Cardinale Arthur Hinsley affermò dal pulpito della cattedrale l’8 dicembre 1942: «La Polonia è stata testimone di atti di odio razziale così feroce che essa sembra sia stata diabolicamente selezionata per diventare un enorme cimitero della popolazione ebraica in Europa», e anche i Vescovi Americani denunciarono pubblicamente le persecuzioni antigiudaiche nel novembre dello stesso anno: «[In Polonia] si è proceduto a un premeditato e sistematico stermino del popolo di questo Paese. La stessa tecnica diabolica viene ora applicata nell’accumulare indegne crudeltà contro gli Ebrei nei territori occupati».

Più complessa è invece la situazione delle gerarchie ecclesiastiche nei Paesi occupati dall’Asse che variavano da reticenze nel denunciare lo sterminio dei Giudei a coraggiose prese di posizione contro il genocidio. In Olanda, nell’agosto del 1942, i Vescovi condannarono apertamente le deportazioni: «Il nostro è un tempo di grandi tribolazioni, tra le quali le più gravi sono il triste destino degli Ebrei e la condizione di coloro che vengono mandati ai lavori forzati… Preghiamo Dio e con l’intercessione di Maria… che Egli possa dare forza al popolo di Israele così grandemente provato dai tormenti e dalla persecuzione» dichiarò l’Arcivescovo di Utrecht, Johannes De Jong. Coraggiose denunce si ebbero anche in Francia da parte di diversi prelati: nell’agosto del ’42 il Vescovo di Tolosa, Jules-Gérard Saliege, dispose una lettura in tutti i pulpiti della sua diocesi dove si affermava che: «Anche gli Ebrei sono uomini! Anche le Ebree sono donne!... Essi appartengono alla razza umana, sono i nostri fratelli e le nostre sorelle! Nessun Cristiano lo dimentichi!»; in modo simile il Vescovo Pierre Théas di Montauban esortò i Cattolici ad aiutare i Giudei e condannò «lo sradicamento di uomini e donne, trattati come animali selvatici». In Croazia, l’Arcivescovo di Zagabria e primate nazionale, Alojie Stepinac – prelato controverso per via della sua posizione riguardo lo Stato Croato degli Ustascia[5] – ebbe a denunciare durante la guerra in vari sermoni il razzismo e proclamò che «non è lecito sterminare zingari ed Ebrei perché si ritiene appartengano a una razza inferiore».

In Ungheria si registrarono alcune coraggiose ma individuali prediche da parte di alcuni Vescovi contro le deportazioni («Le leggi di Dio tutelano i diritti di ogni uomo, anche dei negri e degli Ebrei» disse, ad esempio, il Vescovo Hamvas di Csnanàd), mentre il primate Justinian Serédi fece pubblicare nel ’44 (e poi ritirare) una pastorale che, se da un lato conteneva passaggi dai forti contenuti antigiudaici in cui parlava dell’«influenza nociva degli Ebrei» nella vita ungherese, dall’altro metteva in guardia «contro le sofferenze inflitte a nostri compatrioti ungheresi e a fedeli della nostra Chiesa Cattolica, per il solo fatto della loro origine». Nella Slovacchia, governata all’epoca – con grande disappunto della Santa Sede – da un prelato, Monsignor Josef Tiso, nell’aprile del ’42, mentre si stavano svolgendo le deportazioni, i Vescovi pubblicarono una dichiarazione collettiva che, pur contenendo passi antisemiti di stampo religioso, ribadiva che gli Israeliti erano «gente come noi e dunque devono essere trattati umanamente». In Germania, alcuni presuli denunciarono apertamente lo stermino razziale negli anni del conflitto («Nessuno può prendersi la proprietà o la vita di una persona solo perché appartiene a una razza diversa» dichiarò il Vescovo di Colonia, Josef Frings), mentre nel ’43 i Vescovi pubblicarono una lettera pastorale contenente un generico pronunciamento riguardo la Shoah dove si condannava l’uccisione di persone «appartenenti a una razza diversa dalla propria».

L’efficacia di queste proteste è a tutt’oggi oggetto di dibattito. Mentre gli storici critici sostengono che molte di queste prediche avrebbero potuto essere meno tardive, più numerose o esplicite (specialmente per quanto riguarda Pio XII), i favorevoli ne sottolineano invece il coraggio nel denunciare la persecuzione razziale. Anche l’efficacia di un pronunciamento pubblico è ancora oggi oggetto di discussioni: avrebbe consentito di bloccare i rastrellamenti o quantomeno di aumentare il numero di salvataggi degli Ebrei? O avrebbe solo accelerato lo sterminio e scatenato feroci rappresaglie? Entrambe le tesi possono portare prove a loro sostegno.[6]

Mi limito a una sola considerazione. L’unico metodo efficace per porre termino al genocidio è stata la sconfitta definitiva del Terzo Reich da parte degli Alleati.[7] Se a volte si verificarono delle sospensioni o dei rallentamenti nei rastrellamenti e nelle deportazioni, ciò rappresentava solamente una proroga per i Nazisti: una volta vinta la guerra, Hitler e i suoi accoliti avrebbero infatti pensato a completare definitivamente la Soluzione Finale e a «regolare i conti» con i nemici del Nazismo.[8]


Bibliografia

Antonhy Rhodes, Il Vaticano e le dittature. 1922-1945, Mursia, Milano, 1973

Giovanni Miccoli, I dilemmi e i silenzi di Pio XII, Rizzoli, Milano, 2000

Michael Phayer, Il Papa e il diavolo, Newton Compton Editori, Roma, 2008

Michael Burleigh, In nome di Dio, Rizzoli Editore, Bergamo, 2007

Martin Gilbert, I giusti. Gli eroi sconosciuti dell’Olocausto, Città Nuova, Roma, 2007.


Note

1 Un fatto simile accadde pure nella Prima Guerra Mondiale dove generalmente i prelati di vari Paesi benedirono lo sforzo bellico della loro Nazione.

2 Nel ’43 il Gesuita Padre Tacchi Venturi – in una relazione inviata al Cardinale Maglione riguardo all’abrogazione della legislazione razziale in Italia – riferì che questa conteneva «disposizioni che vanno abrogate, ma ne contiene pure altre meritevoli di conferma».

3 Il Vaticano all’epoca decise di tenere un atteggiamento di neutralità. Tale comportamento fu dovuto – oltre alla sua tradizionale politica – anche al fatto che, a partire dal ’41, si trovarono a fronteggiarsi in due campi contrapposti la Germania Nazista e l’Unione Sovietica, due dittature che stavano attuando, pur con modalità diverse, una persecuzione contro la Chiesa. Eloquente quello che disse Monsignor Domenico Tardini all’Ambasciatore Italiano Bernardo Attolico che chiedeva alla Santa Sede di benedire l’attacco tedesco all’Unione Sovietica: «Il comunismo è veramente ateo e condannabile, ma condannabilissimo è anche il nazismo… Se la Santa Sede ricordasse pubblicamente gli errori e gli orrori del comunismo, non potrebbe dimenticare le aberrazioni e le persecuzioni del nazismo».

4 «In una maniera mai conosciuta prima il Papa ha rifiutato il Nuovo Ordine Europeo del Nazionalsocialismo… Qui sta virtualmente accusando il popolo tedesco di ingiustizia verso gli Ebrei, e si rende portavoce dei criminali di guerra ebraici» commentò il messaggio l’Ufficio Principale di Sicurezza del Reich.

5 I critici del prelato di Zagabria evidenziano le attestazioni di apprezzamento che Stepinac fece verso lo Stato instaurato dagli Ustascia che aveva dichiarato la Croazia indipendente da Belgrado e introdotto una legislazione filo cattolica; per contro, i difensori sottolineano i suoi interventi per salvare Ebrei e Serbi dal genocidio.

6 Per una breve sintesi dei pro e dei contro riguardo a una protesta pubblica del Pontefice rimando al mio pezzo Il «silenzio» di Pio XII di fronte all’Olocausto.

7 L’accusa di essere rimasti in silenzio di fronte all’Olocausto è stata rivolta pure agli Alleati. In realtà, in una dichiarazione congiunta del 17 dicembre 1942, Inghilterra, USA e URSS denunciarono pubblicamente il fatto che le autorità tedesche stavano «portando a effetto la più volte ripetuta intenzione di Hitler di sterminare il popolo ebreo in Europa». L’atteggiamento degli Alleati riguardo alla Shoah è stato anch’esso fonte di dibattito tra gli storici tra chi sottolinea che fu solo grazie alla vittoria militare alleata che il genocidio nazista ebbe fine, e chi invece contesta che si sarebbe potuto fare di più per aiutare gli Ebrei, come bombardare le linee ferroviarie che portavano ai campi o aprire le porte a un numero maggiore di profughi.

8 Il timore di eventuali risvolti negativi della popolazione o dell’esercito durante il periodo bellico costrinse i gerarchi nazisti a rimandare a dopo la guerra alcuni loro obiettivi come la lotta definitiva contro le Chiese o la vendetta contro le persone che si erano coraggiosamente opposte alle loro politiche criminali come il Vescovo Von Galen o l’ufficiale Albert Battel.

(marzo 2022)

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