Bus de la Lum
Gli eccidi partigiani sull’Altipiano del Cansiglio nel ricordo di Don Corinno Mares Parroco di Tambre d’Alpago (Belluno) e in altre testimonianze storiche

Le stragi compiute durante l’ultimo periodo della Seconda Guerra Mondiale nella Foresta del Cansiglio, e in particolare nei Comuni dell’Altipiano omonimo, sono note sin dalla fine del conflitto, grazie a una diffusa tradizione orale pervenuta intatta sino ai nostri giorni, e successivamente corroborata dalle pur difficili prospezioni nel «Bus de la Lum», la grande foiba profonda 180 metri che insiste in agro di Tambre. Tuttavia, l’informazione è sempre stata carente, e soltanto in tempi ancora recenti il velo di colpevole silenzio ha cominciato a cadere per iniziativa di una coraggiosa storiografia, con particolare riguardo alle memorie di Antonio Serena, poi parlamentare della Repubblica, e alle opere di Marco Pirina[1], compianto Presidente e co-fondatore del Centro Studi di Pordenone «Silentes Loquimur».

Le prime notizie del Bus de la Lum e delle tragedie che vi furono consumate si diffusero in un contesto meno ristretto sino a ottenere una vera e propria risonanza nazionale durante gli anni Ottanta, quando si allentarono le reticenze e diventarono di pubblico dominio le testimonianze di Don Corinno Mares, parroco di Tambre, che fu noto anche nella qualità di pranoterapeuta, ma soprattutto per avere partecipato, e non solo spiritualmente, al grande dramma della guerra civile, particolarmente violenta sull’Altipiano del Cansiglio: una zona di accesso non facile, dove le stesse vie di fuga avevano carattere precario. Don Corinno aveva vissuto in zona sin dagli anni terribili del conflitto ed era particolarmente informato sui delitti contro l’umanità che vi erano stati commessi.

Il Bus de la Lum («Buco della Luce») è una foiba molto particolare con discesa verticale quasi rettilinea, e anche per questo esplorata relativamente poco, a opera di vere e proprie prospezioni effettuate da alpinisti o speleologi provetti. Il suo nome, secondo la versione più accreditata, deriva dal fatto che, volgendo lo sguardo all’inghiottitoio dal fondo dell’abisso, si vede chiaramente la luce allo sbocco superiore della foiba, teatro delle orribili esecuzioni compiutevi dai partigiani durante gli anni Quaranta.

Tra le più agghiaccianti vi fu quella di una signora veneziana, Marianna Dal Bo De Pieri, moglie di un milite della Guardia Nazionale Repubblicana ugualmente scomparso in quella stagione senza «pietas», madre di due bambini piccoli e in attesa del terzo, sequestrata con la falsa accusa di essere una spia, tenuta prigioniera per vari giorni durante i quali venne terribilmente seviziata, e infine fatta precipitare nella voragine. In effetti, molte esecuzioni furono contraddistinte da una preparazione sadica: tra le «specialità» dei partigiani c’era quella di costringere i morituri a bere olio di macchina usato, con quali sofferenze è logico immaginare, prima della morte paradossalmente «liberatrice» dalle sevizie e dalle torture.

Parlando con lo straordinario Don Corinno, chi scrive ebbe modo di metterlo al corrente su quanto era accaduto in Istria, con specifico riferimento alla tragica storia del padre, un onesto lavoratore civile prelevato dalla propria casa di Rovigno, torturato e gettato nella foiba di Vines presso Albona (Pola). Fu allora che il sacerdote volle rendersi testimone dell’analoga tragedia che si era consumata sul Cansiglio, dove tante persone erano state uccise dai partigiani italiani (con particolare riguardo a quelli della Divisione «Nino Nannetti» operante nella zona) ed erano crudelmente scomparse nell’abisso del Bus; in loro memoria, il parroco aveva fatto erigere nei pressi dell’inghiottitoio una grande Croce (27 agosto 1987) tuttora presente a titolo di perenne monito: ciò, incontrando tante difficoltà, in specie di natura «politica». Poi si sarebbe saputo che anche suo fratello, disperso in quegli anni plumbei, era stato eliminato «in odium fidei», e probabilmente gettato nel Bus.

Le ricorrenze annuali della suddetta data consentono di partecipare non senza emozione alla cerimonia commemorativa presso la Croce, presenti molte persone, tra cui diversi congiunti delle Vittime: tutti assai commossi e attenti alla celebrazione della Messa e alla benedizione. Non sono pochi coloro che tornano più volte in Cansiglio partecipando alle iniziative in Ricordo delle Vittime e al saluto con cui gli ex combattenti onorano i Commilitoni infoibati e ne tramandano il Ricordo a giovani e meno giovani.

Don Corinno era sempre prodigo di accoglienze umane e di cure, e propenso a stabilire un rapporto di fiducia molto amichevole e confidenziale. Fra le tante anime da recuperare, aveva incontrato un vecchio partigiano trasferito a Milano, di cui conosceva nome e cognome: questi lo aveva chiamato a tarda sera, e dopo un colloquio comprensibilmente angoscioso gli aveva confidato di aver gettato personalmente nel Bus un centinaio di Vittime, ma aggiungendo che «tutti gli assassinati saranno stati circa 500». Era una confessione a dir poco raccapricciante, tanto da suscitare uno spontaneo richiamo a quella proposta da Alessandro Manzoni nella vicenda dell’Innominato.

Ormai da anni, Don Corinno è tornato alla Casa del Padre (aprile 2006). Ebbene, ora è possibile se non anche doveroso dare pubblica testimonianza delle sue parole per fare maggior luce su quella terribile strage altrimenti sconosciuta ai più, per inquadrare la tragedia in un contesto oggettivo, e nello stesso tempo per rendere omaggio a tutti i Martiri del Bus e consentire a chiunque di elevare una preghiera «ad memoriam».

Sulla «foiba» del Cansiglio le polemiche hanno finito per proliferare, tanto che il parroco di Tambre fu pure denunciato da un altro partigiano, con l’accusa di avere diffuso notizie false e tendenziose. Non ebbe conseguenze giudiziarie: del resto, l’utilizzo del Bus come strumento di morte violenta agevolato dalla conseguente scomparsa delle Vittime era già noto dal dopoguerra, e in particolare dal 1949, quando lo speleologo Silvano Mosetti aveva effettuato le prime prospezioni trovando parecchi reperti umani, ma senza la possibilità di procedere ulteriormente per la notevole presenza di residuati bellici e per altri problemi tecnici. Poi, uno specifico servizio sulla tragedia occorsa in agro di Tambre venne proposto dal «Messaggero Veneto» in data 25 luglio 1966, individuando nuovamente (sia pure con una stima necessariamente di massima) in circa 500 il numero dei Martiri soppressi nella voragine, senza dire del «Giornale» diretto da Indro Montanelli che nel 1992 dedicò loro una serie di servizi a firma di Beppe Gualazzini, con ulteriori dettagli sul dramma del Bus, cui nel medesimo anno si sarebbe riferito l’Onorevole Alessio Butti in un’interrogazione parlamentare del 25 maggio, avente lo scopo di accertare se il Governo non ritenesse congruo promuovere una campagna di esumazioni dal Bus, dopo quelle sempre episodiche effettuate in precedenza, onde assicurare degna sepoltura alle Spoglie mortali che giacevano – e giacciono ancora – sul fondo della voragine.

Pochi anni orsono, l’Onorevole Antonio Serena è tornato sull’argomento con la «lettera aperta» scritta al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione del «Giorno del Ricordo» (2015) dopo l’ennesimo attacco vandalico – di quale provenienza è facile immaginare – al monumento funerario eretto nel contiguo Comune di Caneva in memoria dei Caduti. Nella fattispecie, l’estensore del documento, dopo essersi richiamato alle attenzioni riservate al dramma delle Foibe da altri Presidenti, quali Francesco Cossiga, Oscar Luigi Scalfaro e Carlo Azeglio Ciampi, auspicava analoghe iniziative da parte del Quirinale[2] onde contribuire alla prevenzione di probabili ulteriori espressioni di un odio quanto meno anacronistico.

Ne emerge come la tragedia delle foibe, che ha avuto il suo epicentro sull’Altipiano Carsico, in Istria e in Dalmazia, abbia colpito in modo significativo anche altrove, con analogo contorno di conati negazionisti assai pervicaci, e inaccettabili sia moralmente che giuridicamente: in aggiunta alle tante Vittime del Bus, si possono ricordare quelle del Friuli Occidentale (agro di Spilimbergo e Travesio), degli altri comprensori bellunesi (Foiba di Monte Prese), delle Prealpi Vicentine (territorio di Tonezza), e via dicendo.

Ciò, con una differenza di base: mentre le Vittime uccise nelle zone del confine orientale caddero a iniziativa precipua di partigiani slavi, seppure con qualche triste aiuto italiano, i Caduti in zone diverse, e in particolare nel Veneto, scomparvero per la sola iniziativa di altri Italiani. Per l’appunto, è quanto accadde in Cansiglio e nel Bus de la Lum.

Del resto, è noto che la guerra civile ebbe momenti durissimi, davvero spietati e particolarmente cruenti quasi dovunque: ecco un buon motivo in più, a tre quarti di secolo da quei fatti, per auspicare, quantunque ardua, una vera conciliazione nello spirito cristiano, idonea a trascendere permanenti difficoltà e ricorrenti contrasti, e a rendere attuale il monito del Vescovo di Trieste e Capodistria Monsignor Antonio Santin, colpito a sangue dai partigiani, quando si diceva certo che le vie dell’iniquità non possono e non debbono durare in eterno.


Note

1 La bibliografia circa il Bus de la Lum è tuttora piuttosto scarsa: tra le opere più significative, confronta Marco Pirina, Guerra sulle montagne, volume I (Udine-Belluno), Centro Studi Silentes Loquimur, Pordenone 2001, 172 pagine; Silvano Mosetti, Bus de la Lum foiba infame e discussa, Phasar Editori, Firenze 2007, 184 pagine; Antonio Serena, I fantasmi del Cansiglio – Eccidi partigiani nel Trevigiano (1944-1945), Edizioni Mursia, Milano 2011, 390 pagine. Per il resto, la disponibilità informativa si riduce a molti apporti giornalistici, generalmente a carattere divulgativo e talvolta ripetitivi anche per il numero delle Vittime recuperate, pari a un totale di 94: più specificamente, 26 nelle prime prospezioni e 68 in quelle del 1992, le cui Spoglie vennero inumate a Caneva. A quest’ultimo riguardo, per completezza d’informazione si deve aggiungere che secondo Pierpaolo Brascancin, ricercatore dell’Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nel Vittoriese, le Vittime uccise nel Bus sarebbero state una quindicina: cifra, con tutta evidenza, anche statisticamente sottostimata.

2 Ultimo intervento in ordine di tempo è stato quello del Presidente della Regione Veneto Luca Zaia, che il 25 aprile 2019, in occasione delle celebrazioni per la festa nazionale della liberazione tenutesi a Vittorio Veneto, ebbe a rinnovare l’invito al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella affinché mettesse in programma una visita al Bus accogliendo istanze formulate anche in precedenti circostanze. Al momento, tale invito è in lista d’attesa.

(marzo 2020)

Tag: Francesco Tromba, vittime delle foibe, Antonio Serena, Marco Pirina, Don Corinno Mares, Marianna Dal Bo De Pieri, Nino Nannetti, Alessandro Manzoni, Silvano Mosetti, foiba del Bus de la Lum, Indro Montanelli, Beppe Gualazzini, Alessio Butti, Sergio Mattarella, Francesco Cossiga, Oscar Luigi Scalfaro, Carlo Azeglio Ciampi, Monsignor Antonio Santin, Pierpaolo Brescancin, Luca Zaia, Bus de la Lum .