Arnaldo Harzarich: un Eroe dimenticato
Alla scoperta di un alto contributo di civiltà e pietà cristiana nei difficili recuperi dalle foibe: spunti di riflessione a 16 anni dalla Legge istitutiva del Ricordo (30 marzo 2004)

L’agghiacciante realtà storica delle foibe istriane, con buona pace dei negazionisti, dei giustificazionisti e dei loro corifei, è comprovata in maniera inconfutabile dalle prospezioni compiute in tante voragini che avevano inghiottito, per mano dei comunisti di Tito, un elevato numero di Italiani, uccisi al termine di un vero e proprio calvario costellato di sevizie e di torture. In questo ambito, l’opera di maggiore ampiezza, caratterizzata dalla discesa in una quindicina di foibe e dal recupero di circa 250 Vittime (di cui 204 identificate), è quella che si deve al Maresciallo Arnaldo Harzarich, Caposquadra dei Vigili del Fuoco di Pola, al quale venne affidato il difficile e rischioso incarico.

Dopo l’armistizio del settembre 1943, il repentino disfacimento dell’esercito italiano, eliso solo in parte da alti episodi di fedeltà alla bandiera e all’onore militare, ebbe caratteri di maggiore ampiezza sul fronte orientale, dove le bande di Tito sfruttarono al massimo le quattro settimane precedenti il duro ritorno della Wehrmacht e delle prime unità di combattimento inquadrate nella Repubblica Sociale Italiana. Non senza la frequente delazione di soggetti locali, i partigiani si produssero in una lunga serie di azioni terroristiche, culminate in quella che, con un termine storiografico piuttosto approssimativo, sarebbe stata definita la «prima ondata» di infoibamenti (in effetti, i delitti commessi a danno degli Italiani continuarono anche dopo la momentanea «riconquista» dell’Istria[1] tramite lo stillicidio di una lunga serie di colpi di mano prevalentemente notturni, in specie nelle campagne e nei piccoli centri).

L’utilizzo delle voragini naturali per farvi scomparire sbrigativamente le Vittime intendeva perseguire un duplice obiettivo: quello di promuovere il terrore e di preparare la pulizia etnica a danno degli Italiani[2], stante la consapevolezza di potersi salvare soltanto con la fuga; e nello stesso tempo, quello di nascondere la prova di efferatezze inimmaginabili, in palese contrasto con la stessa normativa internazionale bellica che i partigiani, in quanto guerriglieri senza divisa, potevano tranquillamente ignorare pur esponendosi a ovvie contromisure estreme.

La possibilità di recuperare i Martiri delle foibe, sia pure in misura largamente minoritaria, parve perseguibile in una logica prioritaria di «pietas» finalizzata a dare onorata sepoltura a chi aveva incontrato un destino così orribile e una tragica morte non sempre immediata, in specie negli anfratti meno profondi; contestualmente, permise di far conoscere al mondo quali abissi di perversione avessero caratterizzato l’assassinio di tanti uomini e donne, e persino di minori, su cui incombeva un torto fondamentale: quello di essere Italiani e Cristiani.

Il compito ingrato di procedere ai recuperi venne affidato in Istria ai Vigili del Fuoco di Pola e, in particolare, alla squadra diretta dal Maresciallo Arnaldo Harzarich[3] che si avvalse di mezzi limitati, ma nello stesso tempo, di un esemplare coraggio, da ricordare a imperituro onore del Capo e degli altri cinque componenti (Giordano Bilucaglia, Mario de Angelini, Giovanni Dellore, Giuseppe Prinz, Mario Valente): anzitutto, per essere scesi in tortuose cavità di foibe dal fondo orribilmente oscuro e di profondità che non di rado si spingevano fino a 200 metri; poi, per avere affrontato il complesso impegno di riportare in superficie tanti cadaveri in uno stato di avanzata decomposizione; infine, per avere fronteggiato la minaccia costante delle bande partigiane che non avevano fatto mistero del disegno di infoibare anche i Vigili, e nei cui confronti la presenza di modeste unità militari a protezione della squadra operante nel sottosuolo non costituiva davvero un deterrente apprezzabile.

Harzarich fu l’anima dell’iniziativa, che si protrasse dall’ottobre 1943 al febbraio 1945, quando gli eventi bellici impedirono la prosecuzione dei recuperi, destinati a cessare repentinamente anche se la «seconda ondata», assai più massiccia e non meno lunga, avrebbe avuto inizio appena finita la guerra. Esiste una testimonianza imperdibile di questa missione del Maresciallo, che egli rese ufficialmente agli Alleati – con dovizia di particolari – durante il periodo in cui, terminati i 40 giorni di occupazione slavo-comunista, avrebbero gestito l’amministrazione militare di Pola. Giova aggiungere che gli interlocutori lo ritennero un teste di sicura e totale affidabilità.

Le prospezioni nelle foibe istriane dopo la «prima ondata» furono 44, con un massimo di sette in quella di Vines e un’esperienza particolarmente dura a Cregli, dove Harzarich rimase impigliato in una strettoia da cui riuscì a liberarsi dopo alcune ore di drammatici tentativi, durante i quali, come racconta nel suo Rapporto, «il manto nero della morte» stava per avvolgerlo. Soltanto 17 discese furono finalizzate a recuperi di salme, mentre altre ebbero carattere preliminare, senza dire di quelle in cui la pietosa opera venne impedita da insormontabili difficoltà tecniche. L’ultima, a 16 mesi dall’inizio, avvenne a San Lorenzo del Pasenatico, da dove vennero estratti due scheletri, perché la lunga permanenza sul fondo della foiba aveva ridotto le Vittime a un povero mucchio di ossa.

Fra i tanti cadaveri identificati, la squadra dei Vigili del Fuoco di Pola provvide a riportare alla luce, dalla foiba di Villa Surani, quello di Norma Cossetto, la cui descrizione da parte di Harzarich è tremenda: tanti particolari sulle condizioni della giovane Vittima, poi assurta a simbolo del martirio di un intero popolo (e decorata di Medaglia d’Oro al Valore «ad memoriam» dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi), provengono proprio dalla descrizione del Maresciallo, e in quanto tali debbono ritenersi a più forte ragione autentici e oggettivi.

Dalla testimonianza resa al Governo Militare Alleato di Pola prima del trasferimento della città alla Jugoslavia a seguito del trattato di pace (1947), Arnaldo Harzarich, già provato fisicamente e moralmente per le ripetute discese nelle foibe e per le visioni allucinanti che lo accompagnarono durante tutta la vita, avrebbe mutuato, paradossalmente, non già gli onori del caso ma una lunga serie di vicissitudini negative: il trasferimento in Trentino-Alto Adige voluto dai superiori per garantirne la sicurezza; la costante minaccia dell’OZNA, la famigerata polizia politica jugoslava, che avrebbe tentato di ucciderlo tramite un sicario persino a Bressanone; e l’accusa del tutto infondata di avere ordito rastrellamenti di partigiani e conseguenti esecuzioni, solo perché la sua squadra si era giovata della necessaria copertura da parte di un piccolo gruppo di militari (tale accusa gli sarebbe costata, fra l’altro, un ulteriore trasferimento).

Resta il fatto che, nonostante un impegno ai limiti dell’impossibile, reso ancora più arduo dai modesti mezzi tecnici dell’epoca, le Vittime riportate alla luce per una degna sepoltura furono una piccola minoranza rispetto al totale della stessa «prima ondata» e che in parecchi casi non fu possibile nemmeno l’identificazione dei Martiri da parte dei congiunti, stante il rapido processo di decomposizione. Ciò non riduce minimamente i meriti della «Squadra Harzarich» e della sua capacità di operare al meglio in un contesto idoneo agli speleologi piuttosto che ai Vigili del Fuoco; e ribadisce l’opportunità di rammentare il suo contributo alla migliore conoscenza di una grande tragedia storica, anche nell’ambito delle iniziative per il Ricordo istituzionale, statuito con la Legge 30 marzo 2004 numero 92.

In tempi largamente successivi, ulteriori dettagli allucinanti circa la tragedia della morte in foiba vennero proposti a seguito delle prospezioni effettuate da un ufficiale degli Alpini, Mario Maffi, che ne ha lasciato descrizioni strazianti[4] come quelle dei resti di un bambino o di uno scheletro appoggiato alla parete della foiba, quasi a sottolineare il dramma di un’atroce agonia (confermata dalle testimonianze contadine circa le urla che si udivano provenire dalle voragini anche per qualche giorno); ma l’opera di Harzarich e dei suoi uomini è rimasta fondamentale, se non altro perché in tempi successivi i recuperi divennero impossibili a causa della decomposizione, e prima ancora per la preclusione della Jugoslavia e della sua polizia politica (quasi tutte le foibe erano state trasferite sotto la sovranità della Repubblica Federativa che aveva tutto l’interesse a nascondere ulteriori prove del suo delitto contro l’umanità).

Il Maresciallo è stato un Eroe largamente sconosciuto (al pari di coloro che effettuarono operazioni analoghe ma quantitativamente minoritarie nelle foibe del Carso Triestino) e a più forte ragione degno di essere additato alla consapevole attenzione di tutti gli Italiani di buona volontà, avendo rischiato la vita, assieme ai suoi commilitoni, sia nelle foibe sia per l’odio davvero ancestrale nutrito nei suoi confronti da chi aveva negato, in nome di un ideale perverso, i valori di civiltà e di cristiana pietà sempre presenti nel cuore dei giusti.

Soltanto nel 2012 è stato finalmente onorato, assieme ai Martiri delle foibe, con un Monumento eretto a Pagnacco (Udine) a cura della famiglia e delle Istituzioni locali, che intende cancellare un silenzio protrattosi colpevolmente per due terzi di secolo e proporre alla memoria collettiva l’esempio di un Uomo che è stato campione di generoso altruismo, di autentica cooperazione e di senso etico della vita. Un esempio tanto più nobile e prescrittivo in tempi come quelli attuali, caratterizzati dal successo apparente del relativismo e dell’iniquità, ma nello stesso tempo da un tangibile ritorno ai valori non negoziabili (primo fra tutti il diritto alla vita) e, quindi, assoluti.


Note

1 L’azione militare di rastrellamento e di eliminazione delle sacche resistenziali venne compiuta a opera principale della Divisione tedesca «Prinz Eugen» che ebbe inizio nello scorcio finale di settembre e si concluse ai primi di ottobre, quando ebbero luogo non pochi infoibamenti accelerati dalla fretta con cui le forze partigiane non trovarono altro sistema per risolvere il problema dei prigionieri.

2 La tesi della pulizia etnica, non condivisa da una parte della storiografia, peraltro non maggioritaria, venne ammessa senza mezzi termini, anche a guerra finita, dai massimi collaboratori del Maresciallo Tito, quali il suo braccio destro Edvard Kardelj e l’ideologo Milovan Gilas.

3 Arnaldo Harzarich (Pola 1903-Merano 1973), decorato di Medaglia d’Oro al Valor Civile per la pietosa opera di recuperi dalle foibe che lo ha consegnato alla memoria storica, ebbe vita difficile sia nel periodo specifico, sia in seguito, per l’ostracismo espresso dai partigiani nei suoi confronti. Egli stesso ebbe a puntualizzare nelle sue memorie come fosse stato oggetto di ripetuti attentati (sull’argomento, la fonte più esaustiva è quella di Guido Rumici, Infoibati: i nomi, i luoghi, i testimoni, i documenti, Edizioni Mursia, Milano 2002, 498 pagine).

4 Sull’argomento, per una coinvolgente descrizione delle foibe a una dozzina d’anni dai fatti, si veda: Mario Maffi, 1957: un Alpino alla scoperta delle foibe, Casa Editrice Gaspari, Udine 2013, 128 pagine.

(marzo 2020)

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