Agostino Straulino
Settantacinque anni dopo le grandi imprese della Marina Militare Italiana a Gibilterra ed Algeri: omaggio alla gloria militare ed ai meriti sportivi del Comandante ed Ammiraglio Dalmata

La «guerra del sangue contro l’oro» combattuta con straordinario valore italiano negli anni Quaranta del secolo scorso ha permesso di scrivere pagine eroiche senza pari: cosa tanto più degna di apprezzamento e di onore, in quanto espressa nella buona, e soprattutto nell’avversa fortuna, come sta scritto a futura memoria nel monumento di El Alamein.

Fra le gesta più gloriose di quel tempo irripetibile anche dal punto di vista etico, e dell’imperativo comune che sottintendeva, è giusto ricordare, ricorrendo il 75° anniversario, le imprese compiute dalla Marina Italiana – e più specificamente dalla Decima Mas – a Gibilterra ed Algeri (1942) dove si distinsero uomini come le Medaglie d’Oro Lido Visintini, Salvatore Todaro e Mario Arillo, in cui il forte agire seppe coniugarsi egregiamente col nobile sentire, e che il nemico stesso non avrebbe mancato di apprezzare ed onorare.

Nell’ambito di queste azioni ai limiti dell’impossibile, una citazione speciale compete al reparto dei «Nuotatori d’Assalto» che furono capaci, coi loro «siluri» umani, di affondare oltre 11.000 tonnellate di naviglio degli Alleati nelle due incursioni compiute fra luglio e settembre penetrando nella munita rada di Gibilterra[1], e circa 20.000 nell’impresa di Algeri, consumata in una sola notte.

È congruo ricordare che la «filosofia» di questo gruppo, decorato con 29 Medaglie d’Oro al Valor Militare, 104 d’Argento e 33 di Bronzo, era molto semplice: «Non importa affondare una nave nemica, che si può anche ricostruire; importa dimostrare al nemico che vi sono Italiani capaci di morire gettandosi con un carico esplosivo contro le fiancate del naviglio avversario». In ogni caso, anche dal punto di vista dei danni inferti agli Alleati, grande rilievo fu assunto in modo specifico dall’impresa del 14 luglio 1941, quando una squadra di dodici Nuotatori agli ordini del Comandante Eugenio Wolk riuscì a penetrare nella rada di Gibilterra ed a mettere fuori combattimento, in una sola notte, ben quattro navi nemiche.

A tali operazioni prese parte, assieme ai compagni d’avventura[2], un giovane ufficiale nativo di Lussino: il Tenente di Vascello Agostino Straulino, all’epoca ventisettenne, che per quegli episodi di ardimento e di valore venne decorato con due Medaglie al Valore e che dopo la guerra, non senza essersi distinto con rischi altrettanto pesanti nella bonifica del porto di Taranto ingombro di relitti e di residuati bellici[3], sarebbe assurto alle massime glorie sportive nel campo della vela.

Ciò, grazie all’oro olimpico di Helsinki (1952), a tre ori nei campionati mondiali, ed un altissimo numero di vittorie a livello europeo e nazionale, senza contare altri due argenti olimpici conquistati a Torquay (1948) ed a Melbourne (1956).

Straulino, che in tempi successivi fu Comandante della prestigiosa Amerigo Vespucci, autentico fiore all’occhiello della flotta, chiudendo la carriera col grado di Ammiraglio, è stato un Eroe della Marina troppo spesso dimenticato, al pari degli altri di cui si è detto; un patriota consapevole che nelle sue azioni non si combatteva per il prestigio personale ma per la vittoria e la vita della Patria, e che nelle regate internazionali non «correva una persona» né tanto meno una barca, ma l’Italia. Eletto esempio di cooperazione, e di autentico spirito di squadra, negli anni della gloria sportiva volle donare ai suoi equipaggi, che del resto stravedevano per lui, le testimonianze ed i trofei di tanti successi.

Figlio dell’Irredenta (era nato nel 1914 quando Lussino – non facendo mistero della propria italianità – era ancora austro-ungarica ma non nascondeva un’antica vocazione occidentale), aveva nel suo DNA lo spirito di quell’Adriatico romano e veneziano che avrebbe visto le gesta, fra i tanti, di Gabriele d’Annunzio, Luigi Rizzo, Nazario Sauro, ed a cui sarebbe rimasto fedele per la vita ed oltre la vita.

Il «mago del vento», come era stato appropriatamente definito per la sua straordinaria capacità di interpretare al meglio le condizioni meteo (cui non era estranea la tradizione marinara del Carnaro non meno dell’esperienza militare), coniugava competenza e lealtà con l’antico amore per il mare, palestra di esperienze umane e civili uniche.

Alle Olimpiadi inglesi del 1948 era stato «derubato» della medaglia d’oro perché apparteneva ad uno stato reduce dalla sconfitta ed in quanto tale ingiustamente e consapevolmente penalizzato dai padroni di casa, ma aveva preso atto del verdetto con una straordinaria dignità e con una pazienza civile che nel suo caso fu veramente la «virtù dei forti».

Oggi, l’Italia avverte in modo sempre più stringente la mancanza di uomini siffatti, in cui il valore si unisce alla schiettezza ed alla semplicità, e naturalmente, allo spirito di corpo. Uomini in grado di testimoniare, senza dubbi e senza resipiscenze, un esempio ed una lezione di vita, di cui è cosa buona e giusta lasciare un’adeguata traccia, a futura memoria.

A Gibilterra, ad Algeri e nelle innumerevoli competizioni sportive cui prese parte successivamente, il Comandante ebbe un pensiero fisso: l’Italia. E nel 2004, quando è «andato avanti» dopo una lunga vita nobilmente spesa nel campo dell’onore, volle essere sepolto, non certo a caso, nella sua Lussino, dove riposa in faccia al Golfo del Carnaro che aveva tanto amato: vigile Ombra sulle sorti dell’Amarissimo, messaggio di fede e sprone alla speranza.


Note

1 Il gruppo, dopo un viaggio avventuroso verso la Spagna, si era insediato nella contigua Algesiras dove aveva preso dimora a Villa Carmela, una residenza sul mare che divenne il punto base per gli allenamenti e per le azioni contro il nemico.

2 Della squadra fece parte, tra gli altri, la Medaglia d’Oro al Valor Militare Luigi Ferraro (1914-2006) che sarebbe passato alla storia della Marina Militare Italiana per avere compiuto il maggior volume di affondamenti; ed anche perché fu l’unico ufficiale della Repubblica Sociale Italiana (cui aveva aderito dopo l’8 settembre 1943) ad essere onorato, nel momento della scomparsa, col funerale di stato.

3 Durante i lavori di bonifica portuale a Taranto, le cui acque erano infestate anche da residuati di natura chimica, Straulino perse la vista e rimase momentaneamente cieco. Poi, ebbe un faticoso recupero ed una riduzione permanente delle facoltà visive, che peraltro non fu di impedimento alla sua prestigiosa carriera militare e sportiva.

(ottobre 2017)

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