La persecuzione religiosa di Krusciov
Con la morte di Stalin la repressione contro le religioni si fece meno dura, ma rimase una costante sotto la dittatura di Krusciov

La maggior parte degli storici che tratta dei crimini compiuti nell’ex Unione Sovietica si concentra prevalentemente sui periodi di Lenin e Stalin. Ciò è dovuto molto probabilmente al fatto che, dopo la morte del leader georgiano, la repressione si fece meno dura e, complice la consapevolezza che un conflitto nucleare non avrebbe visto vincitori, i dirigenti sovietici abbandonarono l’idea di un conflitto diretto con il «mondo imperialista». Non si può però dimenticare che anche dopo il 1953 la «Guerra Fredda» con gli Stati Uniti era ben lontana dall’essersi conclusa e che l’URSS continuava ad essere uno Stato dittatoriale poggiato su basi comuniste, come è dimostrato anche dalla persecuzione che continuarono a subire le religioni.

Se difatti la morte di Stalin nel 1953 parve segnare un periodo di maggiore libertà per i fedeli, provata dalla moltiplicazione degli appelli alla riapertura del luoghi di culto (che effettivamente passarono da circa 500 nel 1952 ai 16.000 del 1954), e se fiorirono ovunque delle organizzazioni religiose semiclandestine, è vero però che questo clima meno oppressivo durerà solo fino al 1958[1].

Nonostante il nuovo leader Nikita Krusciov, salito al potere dopo essersi sbarazzato dei suoi avversari politici, avesse lanciato nel 1957 messaggi di tolleranza religiosa, si era però dichiarato convinto che «l’istruzione pubblica, la diffusione delle scienze, le leggi della natura non lasciano alcun posto a Dio». Dal 1958 aumentò le pressioni contro le religioni facendo chiudere (tramite principalmente misure amministrative) migliaia di chiese ortodosse oltreché numerosi seminari, monasteri e moschee e facendo rinnovare la propaganda antireligiosa attraverso la scuola, la radio e la stampa (da 107 pubblicazioni ateistiche del 1917 si passò a 336 nel 1963, con oltre cinque milioni di esemplari). Lo Stato iniziò ad organizzare delle cerimonie laiche per la nascita, il matrimonio e la sepoltura dei morti per scimmiottare i riti della Chiesa, e le feste religiose come il Natale e la Pasqua vennero sempre più disturbate da giovani aderenti alle organizzazioni comuniste. Lo stesso Krusciov ebbe a dichiarare durante il Natale del 1962 che la religione andava liquidata in un lasso di tempo corrispondente a quindici o vent’anni. Nonostante alcuni atti di resistenza, i vertici della Chiesa Ortodossa, strettamente controllati dal regime, percorreranno presto la strada dell’acquiescenza (percorso che già molti settori avevano intrapreso dopo il «concordato» con Stalin nel 1943): con il Concilio del 1961 si decretò una riforma che estromise i sacerdoti dalla gestione parrocchiale confinandoli unicamente alla vita liturgica; mettendo perciò le chiese in mano a comitati laici influenzabili dal potere civile. Questa operazione facilitò il controllo dell’attività dei sacerdoti da parte dello Stato, la rimozione dei preti scomodi e la chiusura delle chiese[2].

Da parte della Santa Sede non vi era stato nessun sostanziale cambiamento riguardo all’atteggiamento tenuto verso l’Unione Sovietica dopo la morte di Stalin, anche se in questo periodo partirono dalla Russia segnali favorevoli verso il Vaticano per l’apertura di relazioni diplomatiche. Questi approcci erano tuttavia stati giudicati negativamente dalla Curia Ecclesiastica e, del resto, per Mosca, la distensione con il Vaticano serviva unicamente ad ottenere buoni rapporti con l’Italia e il mondo cattolico all’estero (molto influente negli Stati Occidentali), senza per questo modificare la sua politica interna di repressione verso le religioni: agli inizi del 1960 a circa 150 Vescovi Cattolici dell’Est veniva impedito di svolgere l’esercizio del loro ministero. Una svolta delle relazioni si ebbe dopo la salita al soglio pontificio di Papa Giovanni XXIII che decise di mutare la politica dello scontro aperto, convinto che la via delle relazioni dirette sarebbe stata più opportuna per la Chiesa. Diverse furono le motivazioni che spinsero Papa Roncalli a questa scelta: il desiderio di alleviare le condizioni dei Cattolici dell’Europa dell’Est, la volontà di stabilire dei rapporti con il patriarcato russo e l’intenzione di contribuire alla distensione internazionale[3].

Si ebbe perciò negli anni Sessanta una ripresa delle relazioni tra il Vaticano e Mosca (si pensi al messaggio di auguri da parte del leader sovietico al pontefice per il suo ottantesimo anniversario) e, grazie anche alla mediazione della diplomazia italiana, si ebbe un miglioramento dei contatti tra la Chiesa e l’URSS. Il papa intervenne in occasione della crisi dei missili di Cuba nel 1962 pregando i Governi affinché facessero «tutto il possibile per salvare la pace». Intervento molto apprezzato da Krusciov che, stando al messaggio che inviò al Pontefice, gli permise di ritirare i missili «senza perdere la faccia». Per il suo impegno in quella occasione il Papa ricevette il Premo per la Pace dalla Fondazione Internazionale Balzan, riunitasi a Zurigo nel 1963, con l’approvazione dei quattro delegati sovietici presenti. Successivamente, il Papa concesse un’udienza (che fece molto scalpore) al suocero e alla figlia di Kruscev, il giornalista Alexis Abjubei e Rada Krusciova.

I nuovi rapporti con il comunismo si rifletteranno anche durante i lavori del Concilio Vaticano II. Roncalli con l’enciclica Pacem in terris dell’11 aprile 1963 invitò a distinguere «l’errore dall’errante» e anche Paolo VI con l’enciclica Ecclesiam suam invitava la Chiesa a venire al dialogo col mondo. Il problema del comunismo venne trattato all’epoca delle discussioni conciliari sotto il tema del più vasto problema dell’ateismo moderno, cosa che scontentò i fautori di una condanna esplicita di questa ideologia: oltre 200 emendamenti furono presentati per il testo sull’ateismo moderno per chiedere una condanna formale, ma non furono presi in considerazione dalla commissione incaricata di redigere lo schema. La Gaudium et spes, adottata il 7 dicembre 1965, affrontò la questione senza però mai nominare o condannare esplicitamente il comunismo (rinviando in nota alle precedenti condanne del magistero pontificio, in particolare all’enciclica Divini Redemptoris di Papa Pio XI): «Tra le forme di ateismo moderno non va trascurata quella che si aspetta la liberazione dell’uomo soprattutto dalla sua liberazione economica e sociale. La religione sarebbe di ostacolo, per natura sua, a tale liberazione, in quanto, elevando la speranza dell’uomo verso il miraggio di una vita futura, la distoglierebbe dall’edificazione della città terrena… La Chiesa, fedele ai suoi doveri verso Dio e verso gli uomini, non può fare a meno di riprovare, come ha fatto in passato, con tutta fermezza e con dolore, quelle dottrine e quelle azioni funeste che contrastano con la ragione e con l’esperienza comune degli uomini e che degradano l’uomo dalla sua innata grandezza»[4].

La «svolta» vaticana riuscì ad ottenere dei timidi risultati in materia della libertà religiosa come la liberazione del primate ucraino Josif Slipyj che venne tolto dal carcere di Potma e spedito in Italia. Nel complesso, tuttavia, il nuovo corso seguito dalla Santa Sede non riuscì a modificare l’atteggiamento di ostilità tenuto dall’Unione Sovietica verso la religione. Nonostante questo, la politica dell’«Ostpolitik», volta a cercare la via del dialogo piuttosto che lo scontro aperto, venne portata avanti anche dal successore di Roncalli, Papa Paolo VI, e sarà abbandonata solamente con la salita al Soglio Pontificio di Giovanni Paolo II.


Note

1 Confronta A. Graziosi, L’Urss dal trionfo al degrado, Bologna 2008, pagina 165.

2 Confronta A. Riccardi, Il Vaticano e Mosca, Bari 1992, pagine 206-215.

3 Confronta A. Riccardi, Il Vaticano e Mosca, pagine 204-206 e 254.

4 Sul nuovo corso della Chiesa verso il comunismo si veda P. Chenaux, L’ultima eresia. La Chiesa Cattolica e il comunismo in Europa da Lenin a Giovanni Paolo II, Urbino 2011, pagine 180-196.

(giugno 2016)

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