La mancata crescita del comunismo in Gran Bretagna
Come le peculiarità dell’economia e della società inglesi dell’Ottocento impedirono lo sviluppo di un movimento politico o ideologico di stampo comunista

Potrebbe stupire qualcuno il fatto che, mentre nell’Europa dell’Ottocento e del primo Novecento si siano formati gruppi e partiti di indirizzo comunista che ebbero una certa presa sulle popolazioni (anche in Nazioni «avanzate» come la Francia e la Germania), nella Gran Bretagna, chiusa nel suo «splendido» isolamento, per non parlare degli Stati Uniti, non si sia mai sviluppato nulla di simile.

Eppure, i presupposti c’erano. In Inghilterra, la nascente industrializzazione, già alla fine del XVIII e all’inizio del XIX secolo aveva provocato profondi cambiamenti nella struttura sociale, creando una società di massa con caratteri omogenei ma al tempo stesso accentuando gli squilibri nelle diverse aree geografiche del Paese. Questo portò al sorgere di movimenti spontanei di protesta e di ribellione: con l’avvento e il perfezionamento delle macchine, molti artigiani furono rovinati e declassati allo «status» di salariati; la fuga dalla campagna verso i centri industriali rompeva le tradizionali strutture della società. Le spaventose condizioni delle abitazioni, l’assenza di protezioni sanitarie, la mancanza quasi totale di una legislazione in difesa dei lavoratori, un salario insufficiente ad assicurare la soddisfazione dei bisogni primari erano tutti fattori che determinavano una situazione di estrema miseria dei lavoratori nei centri industriali. Da qui si passò alle distruzioni e ai saccheggi di fabbriche in massa: questi giunsero al loro culmine in Inghilterra nel 1811 tanto che, l’anno successivo, venne emanata una legge che condannava alla pena di morte i colpevoli della distruzione delle fabbriche. Fuori dal territorio britannico, possiamo ricordare in Francia la rivolta dei tessitori di seta a Lione nel 1831-1838 e quella dei tessitori affamati in Slesia nel 1844: era infatti soprattutto nell’industria tessile che l’introduzione delle macchine privava di guadagno quelli che prima erano occupati prevalentemente nella produzione di tessuti fatti in casa.

Ma il sistema democratico-parlamentare inglese aveva in sé la capacità di rispondere positivamente a questi cambiamenti e di incanalarli entro l’esperienza democratica. Ai movimenti di protesta, invece, mancava un programma organico capace di perseguire la trasformazione delle strutture sociali: erano proteste che si dirigevano verso quello che era manifesto e che sembrava, in modo immediato, ostacolare il benessere. Erano tentativi orientati verso il passato, senza offrire un impulso efficace mirante alla formazione di un movimento operaio nel senso moderno, e l’unico loro apporto positivo consisteva nel fatto che favorivano nei lavoratori la disposizione alla coalizione e a un impegno comune.

Quando la protesta cominciò a indirizzarsi non più contro i fattori immediatamente visibili, ma contro l’ordinamento giuridico sul quale poggiava il sistema capitalistico inglese, si ebbe un certo progresso. Così il proletariato inglese lottava per il ristabilimento dell’ordinamento artigiano elisabettiano che aveva stabilito degli articoli in difesa degli apprendisti e che più tardi era stato abrogato; anche in Germania, nella rivoluzione del 1848 ci si era battuti per il ristabilimento dell’antico ordinamento corporativo che, con la nascente industria, aveva incominciato a scomparire. Tuttavia, anche questi movimenti erano orientati piuttosto verso il passato che non verso il futuro.

La prima organizzazione proletaria significativa fu il movimento cartista, costituito in Inghilterra tra il 1837 e il 1848: composto principalmente da proletari, avanzava richieste dettate dalle necessità del proletariato come la fissazione per legge della durata massima della giornata lavorativa. Invece Robert Owen (1771-1858) cercò all’inizio di migliorare le condizioni di lavoro nella propria azienda; poi tentò di persuadere i responsabili del Governo a introdurre delle riforme per migliorare la condizione dei lavoratori (riduzione della giornata lavorativa a 10 ore e proibizione del lavoro per i bambini sotto i 10 anni). Dal 1817 costituì cooperative di lavoro e di consumo, comprendenti 1.200 persone, nelle quali il lavoro, i prodotti e i beni sarebbero stati comuni sotto una direzione rappresentativa. Nel 1819, comperati dei terreni negli Stati Uniti, secondo tale modello vi costituì la colonia «New Harmony». Da allora, il suo sistema venne chiamato «socialismo». Dopo il fallimento di questa colonia, nel 1832 tornò in Inghilterra per organizzare, sempre secondo le sue idee, una Banca del Lavoro, ma anche questa fallì. Poiché la produzione industriale provocava sfruttamento, Owen sosteneva che era necessario sostituire il denaro con un pagamento a base di «tempo di lavoro». Queste forme cooperative inizieranno a funzionare quando incominceranno a pensare di realizzare un profitto, abbandonando le idee di Owen.

Sia il movimento cartista che i tentativi utopici di Robert Owen, appartenevano comunque ancora alla preistoria del movimento operaio che, in Inghilterra, si presentava prevalentemente come apolitico e puramente sindacale, con un orientamento prettamente pragmatico. Esso si distingueva da altri tipi di movimento operaio per il riconoscimento del sistema democratico-parlamentare come fondamento per la difesa degli interessi della classe operaia: la concordia di classe prese il posto dell’ostilità sociale, e l’iniziale programma economico anticapitalistico fu via via soppiantato dalla decisa accettazione dell’economia di mercato. L’antagonismo di classe, in nessun periodo (nemmeno in quello cartista) ha prodotto una coscienza rivoluzionaria di classe.

Queste peculiarità sono riconducibili a due fattori. Da una parte, stava la situazione economica dell’Inghilterra, estremamente positiva: nel 1833 il Parlamento approvò il Factory Act, la prima legge sul lavoro nelle fabbriche (ispirata da Owen) che tutelava il lavoro femminile, proibiva la manodopera minorile e limitava la giornata lavorativa dei ragazzi, regolamentava le misure protettive per chi lavorava nelle industrie in cui si manipolavano sostanze dannose per la salute, aumentava la presenza femminile nell’industria tessile e aumentava i salari. Negli anni 1850-1880 vi era stato un grande progresso economico e sociale: dal 1842 al 1883 la rete ferroviaria del Regno Unito era passata da 1.857 a 18.668 miglia, il traffico navale nei porti era aumentato da 935.000 a 65.000.000 di tonnellate, il commercio di importazione ed esportazione contava 103 milioni di pounds circa nel 1843 e 732 milioni nel 1883; di conseguenza la manodopera era ricercatissima e gli imprenditori erano assai ben disposti a far partecipare gli operai in misura maggiore al profitto, sia per attrarre e conservare gli operai, sia per ottenere una maggiore produttività. Nello stesso tempo, se già nel 1825 nascevano le associazioni operaie, lo Stato iniziò a interessarsi all’istruzione dal 1839 (fino ad allora era stata lasciata al controllo di strutture private e della Chiesa Anglicana), nel 1842 proibì il lavoro femminile in miniera, nel 1868 allargò la base elettorale, 15 anni dopo varò leggi per la previdenza sociale, nel 1891 fu introdotto il riposo festivo e vi furono interventi legislativi per la tutela dei salari, nel 1918 il suffragio universale venne esteso a tutti gli uomini (alle donne lo sarà nel 1929). Dall’altra parte, nella lotta tra i due grandi partiti che si disputavano il potere (i Tories, conservatori di orientamento agrario, e i Whigs, liberali rappresentanti degli imprenditori), la classe operaia diveniva facilmente ago della bilancia: per esempio, la legislazione assai progredita per la protezione del lavoro deve la sua origine al rancore dei Tories contro i fabbricanti liberali.

Questo spiega perché, alla base di queste prime esperienze, non vi era il proletariato poverissimo determinato dalla rivoluzione industriale, ma gruppi di lavoratori piuttosto qualificati – ammessi a godere dei benefici economici derivanti dal boom di quegli anni – nei quali sopravviveva una coscienza di corporazioni e che si rivoltavano contro la prospettiva della proletarizzazione orientata verso una nuova coscienza di classe. Gli scioperi dei lavoratori della seta a Lione nel 1831 furono organizzati dai «subconcracteurs», i quali disponevano di macchine proprie e di operai dipendenti; anche i primi germi di associazioni sindacali si trovavano in quei rami professionali nei quali i salari erano più alti e venivano meno di altri toccati dalla rivoluzione industriale, quali i tipografi, gli armatori, i fabbricanti di sigari e via dicendo. Governanti, intellettuali, imprenditori e altri esponenti della borghesia diedero prova, già negli anni Trenta e Quaranta, di sensibilità per le rivendicazioni politiche ed economiche dei lavoratori.

Il movimento operaio inglese traeva dunque le sue origini non dal basso ma dalla «aristocrazia operaia» (concetto elaborato nella forma originale da Engels e Lenin) che giocò, per molto tempo, un ruolo determinante e svolse un ruolo da intermediario tra i teorici borghesi e le masse operaie. Bisognerà aspettare molto tardi per trovare un certo orientamento marxista: il primo tentativo di fondare un partito marxista in Inghilterra fu fatto negli anni ’80 da Henri Mayers Hyndman (1842-1921), ma non ebbe grande successo; al contrario, un certo successo ebbe il «Fabianismo» («The Fabian Society») fondato nel 1884 da un gruppo di intellettuali a Londra, tra i quali emergevano Bernard Shaw e Sidney Webb. In opposizione a Marx, essi propugnavano un’evoluzione sociale piuttosto che una rivoluzione: consideravano lo Stato non come strumento di dominazione di classe, ma come apparato da usare in vista della promozione del benessere («welfare-state»); si consideravano eredi della tradizione di Bentham di promuovere «la massima felicità del massimo numero di uomini».

È importante notare che il clima di libertà che si respirava in Inghilterra e la situazione di benessere economico che vi si godeva, aveva reso l’Inghilterra la «patria» ideale per molti rifugiati europei, perseguitati politici, pensatori. Qui tutti avevano trovato rifugio e possibilità di scrivere e pubblicare il proprio pensiero.

Per tutti questi elementi, il sistema politico inglese rimase come al di fuori delle spinte rivoluzionarie, sovversive, di forte contrasto politico e sociale, come invece avveniva su tutto il Continente, e questo avrebbe avuto una grande valenza positiva sull’Europa – in particolar modo nella stagione dei totalitarismi – rappresentando il sogno della democrazia.

(maggio 2021)

Tag: Simone Valtorta, comunismo in Gran Bretagna, economia e società inglese nell’Ottocento, rivoluzione industriale, distruzioni di fabbriche, rivolta dei tessitori di seta a Lione, industria tessile, rivoluzione industriale, movimento cartista, Robert Owen, New Harmony, socialismo, Banca del Lavoro, tempo di lavoro, Factory Act, legge sul lavoro nelle fabbriche, Tories, Whigs, legislazione per la protezione del lavoro, aristocrazia operaia, Henri Mayers Hyndman, Fabianismo, The Fabian Society, Bernard Shaw, Sidney Webb, Marx, Bentham, marxismo in Gran Bretagna.