Dmitrij Šostakovič, il comunista che contestava Stalin (e che piaceva al regime)
Un compositore coraggioso, costretto a scontrarsi tra l’ideale comunista e la realizzazione pratica di questo ideale nell’Unione Sovietica

Si dice che l’uomo è un «animale politico», intendendo con questo che l’attività politica è una parte essenziale della vita umana. Questo è tanto più vero se pensiamo alla società urbana moderna, con tutte le sue leggi e le persone preposte a legiferare per il bene della collettività, perché la vita sia regolata e ognuno possa realizzare se stesso e collaborare alla crescita della società.

Purtroppo, spesso la politica diventa non una strada per il progresso individuale e collettivo, ma come un’imposizione spalmata su ogni aspetto della vita umana, che impone non solo che cosa fare e come farlo, ma anche che cosa pensare: un macigno che soffoca la libertà individuale, impedisce la realizzazione personale e condanna la Nazione al ristagno economico e culturale.

Questo è vero soprattutto pensando alle grandi dittature del secolo scorso, dove uno sparuto gruppo di persone decideva come dovesse svolgersi la vita politica, economica e persino culturale di un intero popolo: che cosa si dovesse leggere, scrivere, quale musica si dovesse comporre ed eseguire. Il comunismo russo, in particolare, esercitò una forza coercitiva superiore persino a quella operata dal nazismo tedesco: la vicenda che riporteremo ora ne è un esempio emblematico.

Dmitrij Šostakovič, nato nel 1906 e morto nel 1975, viene considerato l’ultimo compositore «classico» del Novecento («classico» nel senso di tonale, tradizionale), ma questa è una definizione che gli va un po’ stretta.

Tutta la sua vita è sotto il segno di un travagliato rapporto col regime comunista, salito al potere nel 1917: Šostakovič è un attivista comunista fino al midollo, crede in quest’ideologia in maniera ardente e, a differenza di una folta schiera di artisti e intellettuali (che, dopo aver abbracciato con entusiasmo il comunismo, finiranno, spesso nel giro di pochi anni, a comprenderne la reale natura), rimarrà fermo nelle sue idee fino alla fine; nonostante questo, o forse proprio per questo, è anche un fiero oppositore dell’Unione Sovietica e di Stalin. Le sue opere sono piene di drammaticità, tragicità, critica, ironia che sembra un ghigno, perché il compositore rimane amaramente deluso nei confronti del «socialismo reale» dell’Unione Sovietica: vuol essere la coscienza critica del comunismo, la voce che denuncia la feroce dittatura che annienta l’uomo. Questo gli causa grandissimi problemi col regime comunista, e una carriera profondamente danneggiata; tuttora rimane misconosciuto al grande pubblico (la riscoperta è recente, circa un paio di decenni) perché i comunisti russi non l’hanno mai considerato organico con le direttive del Partito, gli anticomunisti l’hanno considerato un comunista ortodosso, e pur essendo un compositore innovativo è stato considerato conservatore e retrivo (per esempio, dalla scuola di Vienna).

Viene nominato compositore ufficiale del regime, che vuole arte che sia adatta al realismo socialista, semplice e comprensibile, per infervorare il popolo: in pratica, gli viene chiesto di fare musica come nell’Ottocento, non innovativa; una musica di scarso valore artistico perché anacronistica, prodotta da una società e da una cultura ormai estranee a quelle del nuovo Stato. Inizialmente Šostakovič non si piega, e le sue prime opere appartengono a una fase musicale piuttosto avanzata; ma dopo aver rischiato di rimanere vittima delle «purghe staliniane», sarà costretto a cedere. La sua musica finisce così per raccontare uno dei periodi più drammatici del Novecento: la Rivoluzione d’Ottobre, le Guerre Mondiali, lo Stalinismo. Le sue opere sono celebrative solo in apparenza: in esse, non verrà mai meno la contestazione del regime.

Šostakovič è il compositore che si è dedicato di più al genere sinfonico: sono ben 15 le sinfonie che portano la sua firma! Se la prima è ancora una composizione giovanile e accademica, le altre sono delle cantate, oppure opere celebrative, giochi musicali allegri e frizzanti, o ancora opere tragiche.

La Sinfonia numero 5, intitolata Risposta a una giusta critica, è considerata una delle più conosciute, e contiene già una violenta contestazione. È il 1937, e ricorre il 20° anniversario dalla Rivoluzione d’Ottobre. Stalin, che ha criticato aspramente Šostakovič per la Sinfonia numero 4, arrivando addirittura a chiederne il ritiro, tuttavia gli si rivolge chiedendogli di comporre una sinfonia semplice e chiara, per edificare il popolo in senso comunista. Il compositore scrive allora una sinfonia tonale, tradizionale, di semplice ascolto, che possa piacere a tutti, ma in realtà ha inserito in essa un messaggio opposto alle intenzioni del regime: nella partitura c’è tutta la tristezza e l’orrore per le purghe staliniane, i gulag, i milioni di morti – fa capire che quello attuato nell’Unione Sovietica è un comunismo che tradisce i propri ideali. Spiegherà in seguito di aver messo le parti ottimistiche e celebrative per non essere assassinato.

La Sinfonia numero 6 è del 1939, e ha il compito di galvanizzare i soldati con un coro dell’Armata Rossa. Šostakovič compone un’opera di soli 30 minuti, tra l’altro il primo movimento dura 23 minuti ed è tristissimo, elegiaco, sfiora il tragico con una musica che richiama alla mente la steppa vuota, sconfinata, spazzata da venti freddi, il secondo e il terzo movimento sono invece ironici, graffianti.

Nella partitura della Sinfonia numero 7, Leningrado, incentrata sull’epica resistenza dell’Armata Rossa contro i Tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale, i nazisti sono in realtà le truppe di Stalin.

La Sinfonia numero 9 è stata composta nel 1945 per celebrare la vittoria dell’Unione Sovietica nella Seconda Guerra Mondiale. Šostakovič compone un’opera breve con un organico di tipo mozartiano (quindi solare e positivo) ma tutt’altro che celebrativa e senza alcun coro dell’Armata Rossa. Viene accusato di prendere in giro il comunismo, persino dalla carta stampata: ma lui sa che il vero comunismo – quello che lui considera tale – è stato realizzato solo nel sogno e nell’idealità dell’arte, non nel mondo reale.

La Sinfonia numero 10, del 1953, invece di essere un’opera di cordoglio per la morte di Stalin, è una musica di pianto e di dolore per l’oppressione del popolo russo.

In tutte le opere di Šostakovič vibra il contrasto tra la ricerca della realizzazione degli ideali e il mondo reale che non la permette: il comunismo realizzato in Unione Sovietica viene presentato come un’autentica tragedia!

(settembre 2020)

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