Il comunismo secondo Dostoevskij e Turgenev
Nella seconda metà dell’Ottocento, due intellettuali russi denunciano gli errori e gli orrori di una élite sempre più orientata verso il socialismo e la rivoluzione; mezzo secolo dopo, ciò che avevano preannunciato diverrà realtà, e sarà la tragedia

Gli intellettuali russi, nella seconda metà dell’Ottocento, si staccano sempre più dal popolo e, sotto la spinta del radicalismo e del nichilismo, si spingono verso l’errore del socialismo. Sono l’espressione di una società che sta conoscendo rapide e profonde trasformazioni, una modernizzazione a tappe forzate e con molte contraddizioni e violenti travagli, ostacolata, talvolta bloccata, da un regime anacronistico (la politica di liberalizzazione non suscita una benevola gratitudine, ma risveglia maggiori appetiti e costringe lo Zar a dure repressioni).

Questo percorso è chiaramente descritto dagli scrittori più rappresentativi della letteratura russa del tempo, a cominciare da Fëdor Dostoevskij (1821-1881), profondo psicologo, «ossessionato» dall’idea di Dio. Le sue opere esplorano tutti i meandri della psiche umana, svelano le inquietudini e le contraddizioni, pongono i problemi della libertà morale, sullo sfondo di una realtà specificamente russa. Una cruda descrizione – in questo senso – della società del suo tempo si ha soprattutto nei Demoni (1870) e nei Fratelli Karamazov (1879-1880).

A generare i demoni, i giovani nichilisti attirati dal caos e dal bisogno di corruzione, sono stati i padri, ossia la generazione di idealisti degli anni Quaranta. Come i padri sono stati permissivi, tolleranti, incapaci di scorgere il pericolo nelle idee che propagandavano attraverso il rifiuto della fede e la diffusione di brandelli della cultura occidentale, così i figli sono diventati cinici, opportunisti, privi di ideali, senza una cultura occidentale e senza più quella ortodossa. I figli si sono trovati con l’esempio di chi abiurava la religione e propugnava il radicalismo politico e lo hanno fatto loro. Dalle parole ingenue ma non troppo innocenti dei padri sono passati alle azioni, privi di scrupoli perché, come dirà Ivan Karamazov, «se Dio non esiste, allora tutto è lecito» (queste riflessioni sono di un’attualità sconcertante: oggi, l’Occidente ricco e nichilista, sembra stia percorrendo la stessa strada).

Ivan Turgenev (1818-1883), divenuto Francese d’adozione, nel romanzo Padri e figli (1861) descrive il conflitto di due generazioni e un tipo di giovane nichilista che rifiuta la società esistente, come se ne trovano alla vigilia dell’abolizione del servaggio. Il primo diffondersi delle idee rivoluzionarie in Russia è visto con amarezza perché i rivoluzionari finiscono forzatamente per avere le stesse tare della società che essi vorrebbero trasformare: il radicalismo e il nichilismo non portano ad una società più giusta. Il terrorista Scigalev, in una riunione con i suoi compagni di lotta, rivela che la loro rivoluzione produrrà effetti perfettamente antitetici rispetto a quelli sperati e promessi: «Ora che tutti, finalmente, ci accingiamo ad agire, è indispensabile fissare le linee della futura forma sociale. Io propongo il mio sistema di ordinamento del mondo. Inoltre dichiaro fin da ora che il mio sistema non è finito. Mi sono confuso tra i miei propri dati, e la mia conclusione è in netta contraddizione con l’idea iniziale dalla quale sono partito. Partendo da una libertà assoluta concludo con un assoluto dispotismo. Ma aggiungerò che al di fuori della mia conclusione della formula sociale non ce ne può essere nessun’altra» (questa è una definizione illuminante di quello che il comunismo sarebbe stato: il comunismo non poteva che produrre esattamente il contrario di quello che prometteva).

Un altro personaggio, Piotr Verchovenskij, preannuncia le forme che il terrorismo di Stato assumerà nel sistema comunista: «Il sistema approva lo spionaggio. Ogni membro della società vigila sull’altro ed è tenuto a denunciarlo. Ciascuno appartiene a tutti e tutti appartengono a ciascuno. Tutti sono schiavi e nella schiavitù sono uguali. Nei casi estremi calunnia e omicidio, ma soprattutto l’uguaglianza. Diffonderemo pettegolezzi e calunnie. Occorrono anche convulsioni. Una volta ogni trent’anni si scatena una convulsione e tutti cominciano a un tratto a divorarsi l’un l’altro, però solo fino a un certo punto, unicamente per divorare la noia».

E lo stesso Verchovenskij prevede la presenza degli «intellettuali organici» e coglie con chiarezza le caratteristiche di una società comunista: «Non occorrono persone con doti superiori. Le persone con doti superiori hanno sempre corrotto più che giovato. Esse verranno scacciate e soppresse. A Cicerone si taglia la lingua, a Copernico si cavano gli occhi, Shakespeare viene lapidato. Gli schiavi devono essere uguali. Senza dispotismo non c’è ancora stata né libertà né uguaglianza, ma in un gregge ci deve essere l’uguaglianza. Tutto allo stesso denominatore. Piena obbedienza, completa assenza di personalità: non abbiamo bisogno di nient’altro».

Queste riflessioni di Turgenev sembrano l’ombra di un sogno che, come una cruda premonizione, rivela la disumanità e la ferocia del socialismo reale, cinquant’anni prima che si realizzi.

(febbraio 2016)

Tag: Simone Valtorta, Russia, comunismo, Dostoevskij, Turgenev, Ottocento, socialismo, rivoluzione, Demoni, Fratelli Karamazov, Padri e figli, nichilismo, Piotr Verchovenskij, terrorismo di Stato, spionaggio, intellettuali organici.