Nikolaj Bucharin, il grande rivoluzionario
Un agitatore «impegnato» che aveva sintetizzato nei suoi scritti utopismo e terrore

Nikolaj Bucharin fu quello che si può definire secondo la terminologia leninista, il rivoluzionario di professione. Non solo dedicò tutta la sua vita allo scopo, ma vi si impegnò non con atteggiamenti da sovversivo solitario, bensì come componente «organico» di un partito. All’età di diciassette anni partecipò ai moti studenteschi della rivoluzione del 1905, e aderì subito dopo al gruppo bolscevico del Partito Operaio Socialdemocratico Russo. Diversamente da molti bolscevichi apparteneva ad una famiglia di ceto medio, ma il suo impegno e la sua dedizione al partito fu decisamente notevole. Come molti altri dirigenti comunisti non condivise l’armistizio di Brest Litovsk, ma ciò non lo mise comunque in contrasto con Lenin che sapeva maggiormente dosare lo spirito rivoluzionario con le esigenze pratiche della conservazione del potere. Negli anni fra il 1918 e il 1921 centinaia di migliaia di contadini e di cosacchi finirono davanti al plotone di esecuzione, una repressione che potrebbe essere considerata tranquillamente superiore a quella zarista nel corso dell’ultimo secolo, ma per i grandi leader sovietici come per i comunisti di tutto il mondo questi dati rappresentavano ben poco rispetto all’obiettivo paradisiaco che si erano dati.

Bucharin oltre che come uomo d’azione, si distinse anche come giornalista e saggista, sempre su posizioni estremiste, realizzando opere pesantemente polemiche sul socialista rivoluzionario Kautsky e la comunista non strettamente leninista Rosa Luxemburg, ma il leader russo è ricordato soprattutto per un’opera che ebbe una discreta notorietà, l’Abc del comunismo. Scritta nel periodo della nascita della Terza Internazionale e fortemente pubblicizzata da questa, come molti altri scritti marxisti in quegli anni non brillava assolutamente per originalità, ribadiva concetti ovvii, adoperando un linguaggio estremamente cauto e ripetitivo. Tale caratteristica non lo pose al riparo da contrasti con gli altri grandi dirigenti comunisti. Bucharin sostenne Stalin contro Trotsky, si espresse a favore di un programma meno estremista in materia di rivoluzione internazionale e a sostegno delle minime libertà economiche accordate ai contadini degli anni della Nep, ma una volta eliminata la «Sinistra» del partito divenne oggetto di pesanti critiche. Venne processato e costretto con gli altri imputati ad ammettere in maniera umiliante di aver lavorato per la controrivoluzione, di essere stato una spia per conto dei servizi segreti inglesi, tedeschi e giapponesi, di aver partecipato ad atti terroristici contro alcune strutture industriali, ferroviarie e agli assassinii di diversi leader fra i quali Kirov, Menginski, Kuibyscev e Gorky, nonché tentato di uccidere Lenin, senza che tale ammissione gli consentisse di sfuggire alla pena capitale nel 1937. Gli organi ufficiali del Partito Comunista coniarono per Bucharin e gli altri imputati numerosi epiteti fra i quali «mostri», «maledetto incrocio tra un maiale e una volpe», «uno dei più vigliacchi gesuiti e dei più sleali farisei che la storia ricorda», «miserabili lacchè dei fascisti», «pigmei controrivoluzionari».

L’Abc del comunismo venne scritto nel 1920, e come si può facilmente intuire dal titolo, fu realizzato come un corso base standardizzato per i comunisti nel mondo. Non contiene alcuna innovazione rispetto agli altri scritti marxisti, è comunque interessante ricordare un passaggio tipico di un utopismo talmente evidente da poter apparire come ingenuo: «Il denaro non avrà più nessun valore… Tutti i prodotti saranno in tale abbondanza che ognuno potrà prendere quanto gli occorre. Ma non avranno gli uomini interesse a prendere più di quanto essi hanno bisogno? Certo che no, ognuno prenderà dai depositi comuni soltanto ciò che gli occorrerà e niente di più». Nello stesso capitolo dell’opera, si afferma non solo che nella nuova società sarà eliminata ogni forma di parassitismo, ma spariranno «le eredità del passato, come l’ozio, la negligenza, gli istinti antisociali». Gli uomini affrancati dall’abbondanza potranno poi «dedicare una gran parte di tempo al loro sviluppo spirituale. La civiltà umana raggiungerà un grado mai sognato». Colpisce non solo il richiamo ai valori spirituali ovviamente inconsueto in un comunista, ma il fatto che tali affermazioni siano state scritte in un periodo in cui le città russe si svuotavano a causa della carestia, in cui operai e contadini protestavano contro le durissime misure imposte dal regime, e in cui i cittadini costretti all’inattività, dovevano rifornirsi attraverso mense collettive di infimo livello.

La visione della situazione della società russa del momento è decisamente lontana dalla realtà e piuttosto forzata. «In Russia più che negli altri Paesi i partiti piccolo borghesi solevano nascondersi dietro la maschera socialista, come i partiti dei “socialisti popolari”, dei “socialisti rivoluzionari” ed in parte dei menscevichi. Va notato che i “social rivoluzionari” poggiano soprattutto sui medi e grandi contadini».

La nuova società comunista secondo Bucharin sopprimerà qualsiasi forma di libertà, ma si suppone (come già aveva scritto Lenin) che in qualche modo gli esseri umani saranno naturalmente portati a modificare i loro comportamenti sulla base della volontà dello Stato. Sembra in un certo senso una estensione della teoria dei riflessi di Pavlov, se si sottopone un cane ad un trattamento forzato, alla fine il cane eviterà i comportamenti considerati negativi anche senza punizione. «Poiché tutti saranno abituati al lavoro collettivo fin dall’infanzia e tutti comprenderanno che questo lavoro è necessario e che la vita è molto più facile se tutto si svolge secondo un piano sistematico, non vi sarà nessuno che si rifiuterà di lavorare secondo le disposizioni di questi uffici di organizzazione».

In maniera abbastanza ambigua si sostiene che nella società in cui tutto è disposto dall’alto, «negli uffici di organizzazione vi saranno oggi queste, domani quelle persone. La burocrazia scomparirà». È un concetto ripreso da Lenin, che nelle Tesi d’Aprile aveva scritto che il nuovo Stato avrebbe abolito l’esercito, la polizia e la burocrazia, ovviamente si trattava di affermazioni che non trovavano alcun fondamento nella realtà.

L’utopismo di Bucharin non prevedeva una società idilliaca che si reggesse sulla buona volontà degli individui, ma come negli scritti di Robespierre, un regno della virtù fondato sul terrore. «Il dominio del proletariato dovrà assumere la forma della dittatura. Sotto il nome di “dittatura” s’intende un rigido sistema di governo e la massima risolutezza nella repressione dei nemici». Si specificava che il nuovo Stato introduceva una forma di trattamento diverso a seconda della classe di appartenenza dei cittadini, e che la dittatura del proletariato «nei casi estremi non deve nemmeno rifuggire dal terrorismo».

In un’opera di due anni prima, Programma della Rivoluzione Mondiale, Bucharin aveva scritto concetti non molto diversi sulla gestione dello Stato da parte del proletariato: «Dittatura significa un potere di ferro, un potere che non mostra alcuna pietà nei confronti dei nemici… La classe lavoratrice è costretta a usare la forza contro la borghesia anche dopo che questa sia stata rovesciata… Più precaria e circondata da nemici è la posizione dei lavoratori, più spietato sarà il governo operaio, più pesante sarà la mano degli operai rivoluzionari e degli elementi più poveri dei contadini, più energica sarà la dittatura. Il governo dello Stato nelle mani della classe operaia è un’ascia tenuta contro la borghesia».

I rivoluzionari di professione sarebbero stati gli eletti, incaricati a traghettare la società verso la Terra Promessa, ma come era prevedibile, ciascuno di questi si sentiva più ispirato degli altri e autorizzato ad eliminare i concorrenti, cosa di cui lo stesso Bucharin rimase vittima. Gli altri grandi leader della rivoluzione bolscevica, avevano anch’essi oscillato fra estremismo e realismo politico. Trotsky aveva inizialmente aderito al gruppo menscevico meno settario e contrario alla rigida disciplina di partito, ma successivamente si oppose alla politica moderata della Nep. Zinoviev e Kamenev furono alleati di Stalin dopo la morte di Lenin nel 1924, alleati di Trotsky l’anno successivo, espulsi dal partito e riammessi dopo pubblica autocritica nel 1928. Le loro ritrattazioni non servirono a essere riabilitati, i due furono fucilati nel 1937. Particolare significativo, negli anni successivi venne praticamente eliminata tutta la famiglia di Kamenev, compreso il figlio diciassettenne. Lo stesso Stalin seguì una politica relativamente moderata dopo la morte di Lenin, appoggiandosi alla maggioranza del partito contraria a nuove misure restrittive che favorivano lo scontro sociale, ma eliminato Trotsky ne riprese il programma con la collettivizzazione delle campagne, programma che significava in pratica la reintroduzione della servitù della gleba. Una situazione simile si aveva nell’organizzazione comunista a livello mondiale. La disciplina di partito e la rigidità ideologica furono gli elementi base del movimento comunista e della Terza Internazionale, ma ciò non impediva ondeggiamenti pesanti sulla tattica da applicare. I contadini furono in maniera alternata considerati al di sotto del proletariato e alleati degli operai, i socialisti vennero considerati socialtraditori nel 1920 per essere riabilitati l’anno successivo, ed infine ritornare ad essere oggetto di disprezzo negli anni successivi fino al 1934.

Trotsky, Zinoviev e Kamenev erano tutti e tre di famiglia ebraica, questione adoperata dai nazisti per incolpare gli Ebrei di propensione verso il comunismo, e successivamente nel 1953 pretesto che in qualche modo contribuì alla purga antigiudaica in Russia. Particolare interessante, il Partito Comunista Italiano negli anni di Berlinguer decise di rivalutare Bucharin, che venne definitivamente riabilitato da Gorbaciov nel 1988.

(giugno 2014)

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