Storia della storiografia del Risorgimento Italiano
Come gli studi storiografici sul Risorgimento Italiano furono pesantemente influenzati dalle correnti ideologiche dei diversi studiosi che se ne occuparono

Sin dai primi decenni del XX secolo, la ricerca storiografica inerente il periodo risorgimentale italiano è stata affidata a intellettuali, politici e pubblicisti che ne hanno contrassegnato il carattere non propriamente scientifico, ma ne sono derivate delle analisi dettate dalle contingenze e ideologie politiche che andarono a proiettarsi sul passato. In tempi cronologici diversi, le ricerche e le interpretazioni sul Risorgimento hanno messo in rilievo due diverse visioni su come sia avvenuta la costituzione dell’unità italiana; da una parte vennero svolte analisi che misero in rilievo il ruolo giocato dalla Casa dei Savoia, dall’altra parte un’altra corrente mise in evidenza il ruolo determinante svolto dai democratici filo mazziniani.

Le prime opere storiche sul Risorgimento furono di carattere prettamente pubblicistico e vennero scritte nei primi decenni del Novecento. Un’opera emblematica fu quella scritta dal nazionalista Alfredo Oriani, intitolata​ La lotta politica in Italia, pubblicata postuma nel 1913, dato che Oriani era morto nel 1909. Come già si può dedurre dal titolo, il saggio di Oriani metteva in evidenza l’ideologia di stampo nazionalista che fu il motore per il compimento del processo unitario. Per Oriani il processo unificatore rimase incompiuto sotto il punto di vista politico perché l’egemonia del partito liberale di Cavour, influenzato dalla Casa Sabauda, aveva dissipato tramite la cattiva gestione politica dell’annessione del Regno delle Due Sicilie l’ideale unitario di stampo mazziniano.

Qualche anno dopo, l’intellettuale e organizzatore culturale Piero Gobetti pubblicò ben due saggi sul periodo risorgimentale:​ Rivoluzione Liberale nel 1924 e ​Risorgimento senza eroi, pubblicato postumo nel 1926. Come si può evincere già dal titolo del secondo saggio, il giudizio storico sul processo unificatore fu sprezzante. Per Gobetti l’élite culturale e politica che diede attuazione al processo unificatore non riuscì a farsi portatrice di una concezione modernizzante nelle masse italiane: «​Il Risorgimento Italiano è la lotta di un uomo e di pochi isolati contro la cattiva letteratura di un popolo dominato dalla miseria. La Storia civile della Penisola pare talvolta il soliloquio di Cavour, che da una materia ancora informe un dieci anni di diplomazia cerca di trarre gli elementi della vita economica moderna e i quadri dello Stato laico. Il nebuloso messianico di Mazzini, l’entusiasmo di Garibaldi, l’enfasi dei tribuni furono le forze che favorirono un equilibrio provvisorio. Tutto questo è materia incomposta e vi affiorano i più profondi vizi della razza: una diversione rispetto a Cavour. Egli è lo spirito provvidenziale, l’originalità del Risorgimento» (Gobetti, Risorgimento senza eroi).

A latere dell’attività degli intellettuali in quegli anni si sviluppò una storiografia risorgimentale basata sull’analisi dei documenti. Tra chi si occupò di tale disciplina furono quattro intellettuali che determinarono le linee guida per quanto riguarda la metodologia storiografica per lo studio del Risorgimento. Questi studiosi erano: Benedetto Croce, Gaetano Salvemini, Giovanni Gentile e Gioacchino Volpe.

Il primo di questi, Benedetto Croce, scrisse due saggi afferenti al Risorgimento: ​ Storia d’Italia dal 1871 al 1915, pubblicato nel 1928 e​ Storia d’Europa nel secolo decimonono nel 1932, in cui il processo unitario viene inquadrato all’interno del contesto europeo, dove le idee liberali si sono potute affermare grazie alle Rivoluzioni in Inghilterra e in Francia, che si propagarono in Italia a seguito delle campagne napoleoniche: «Alla fine dell’avventura napoleonica... in tutti i popoli si accendono speranze e si levarono richieste di indipendenza e libertà» (Storia d’Italia dal 1871 al 1915).

La dicotomia tra i due gruppi dirigenti che guidarono l’unità italiana, da una parte i democratici rappresentati nell’immaginario collettivo da Garibaldi e Bertani e dall’altra i moderati liberali di Cavour, fu per Croce il valore aggiunto all’unità italiana sia dal punto di vista militare che ideologico: «Se per la storia politica si potesse parlare di capolavori come per le opere nell’arte, il processo di indipendenza, libertà e unità italiana meriterebbe di essere detto il capolavoro dei movimenti liberal nazionali del secolo decimonono; tanto ammirevole si vede in esso la competenza dei vari elementi, il rispetto dell’antico e l’innovatore profondo, la prudenza sagace degli uomini sia di Stato e l’impeto rivoluzionario dei volontari; l’ardimento e la moderazione; tanto flessibile e coerente la logicità onde si volse e pervenne al suo fine» (Storia d’Europa nel secolo decimonono).

Gaetano Salvemini invece si concentrò sul pensiero politico degli intellettuali del Risorgimento, come Mazzini e Cattaneo, con i saggi ​Il pensiero religioso, politico, sociale di Giuseppe Mazzini pubblicato nel 1905, e Le più ​belle pagine di Cattaneo. Secondo Salvemini, Cattaneo era stato fautore di una unificazione italiana che avrebbe dovuto escludere la Casa Sabauda, accusata di non avere nessun interesse per dirimere le questioni sociali. Stesso percorso che fece anche Giovanni Gentile con autori come Vittorio Alfieri, Vincenzo Cuoco, Vincenzo Gioberti, Silvio Spaventa e Alessandro Manzoni. Nel 1923 Gentile diede alle stampe un saggio sul ​pensiero politico di Mazzini, intitolato I profeti del Risorgimento Italiano, dove all’incipit figurava la dedica a Benito Mussolini: «A Benito Mussolini Italiano di razza degno di ascoltare la voce dei profeti della nuova Italia», che equivaleva, per Gentile, a fare di Mussolini l’attuatore materiale delle idee mazziniane: «​Mazzini profeta del moto del Risorgimento è per i molteplici aspetti della sua dottrina, maestro dell’odierno fascismo».

Lo storico e accademico Gioacchino Volpe, formatosi all’Università di Pisa e laureatosi in Storia Medievale, tra le due guerre mondiali concentrò i suoi studi sulle vicende risorgimentali, con le opere L’Italia in cammino del 1927 e L’Italia moderna del 1943. Volpe diede una lettura del «cammino unificatore» come quello di un movimento dove la classe borghese fautrice dell’unità d’Italia aveva il suo precursore nella stessa classe borghese che si costituì nell’Italia medievale comunale: «Si venisse favorendo la coscienza di un popolo italiano come spirituale unità, si venivano logorando moralmente i piccoli Stati di origini feudali o comunale o teocratica e maturando la pervicacia che solo nell’unità v’era scampo dall’assalto della nuova Europa espansiva e conquistatrice» (L’Italia in cammino).

La coscienza unitaria trova il suo primo punto di approdo nel Settecento, perché in quel contesto si originò una idealità unitaria e nazionale. Per Volpe, come tra l’altro per Gentile, il Risorgimento Italiano fu reso possibile da un’élite «socievolmente, e politicamente variegata», definendola come una vera e propria «»avanguardia politica», definita «​la vera aristocrazia morale della Nazione», il cui lavoro venne dissolto dall’Italia liberale giolittiana, per poi rinascere per una vera ripresa grazie al fascismo, dove l’élite d’avanguardia era stata inglobata all’interno del nuovo Stato.

Da questi quattro storici si costruì in maniera del tutto spontanea una generazione di analisti del Risorgimento suddivisibili in tre categorie: la prima di queste era quella di chi propugnava di interpretare la storia risorgimentale tramite lo studio della storia delle idee e delle organizzazioni politiche liberali. Uno dei maggiori esponenti di questa corrente fu Adolfo Omodeo che scrisse un’importante biografia su Cavour, intitolata L’opera politica del conte Cavour. Un’altra categoria di storici si occupò dei problemi sociali durante il Risorgimento. In questo ambito furono fondamentali le opere divulgative di Nello Rosselli, allievo di Gioacchino Volpe, ma ideologicamente lontano dal suo professore. Morì nel 1937 assassinato in Francia insieme a suo fratello Carlo per mano di un’organizzazione fascista su decisione del Generale Roatta vicino a Galeazzo Ciano. Nei suoi studi, Rosselli individuò nelle associazioni mazziniane in Romagna, Liguria e Toscana l’apogeo del socialismo italiano, con i saggi ​Mazzini e Bakunin, dodici anni di movimento operaio in Italia (1860-1872) e ​ Carlo Pisacane nel Risorgimento Italiano.

Con la conclusione del Secondo Conflitto Mondiale e la conseguente caduta del regime totalitario in Italia, il binomio Risorgimento-fascismo perse di significato. Un contributo notevole a questa destrutturazione si ebbe dopo la pubblicazione postuma dei Quaderni dal carcere di Antonio Gramsci, in particolare del volume intitolato Il Risorgimento pubblicato nel 1949, in cui il processo unificatore venne definito come «una rivoluzione passiva», dove l’elitarismo borghese aveva attuato un’unificazione tralasciando completamente la classe popolare-contadina, non attuando le riforme fondamentali per lo sviluppo socio-economico. Sulla stessa linea di Gramsci fu lo storico marxista Sereni che nel 1957 pubblicò il saggio ​Il capitalismo nelle campagne 1860-1900. Sereni analizzò la struttura sociale post-unitaria, in cui individuò le vecchie tradizioni culturali nella struttura sociale. L’analisi di Sereni scatenò un ampio ventaglio di polemiche tra gli accademici. Uno di questi fu Rosario Romeo, che nel 1963 pubblicò il saggio Risorgimento e Capitalismo, dove ritenne che le analisi di Gramsci e Sereni sul Risorgimento non fossero suffragate da dati empirici, ma condotte esclusivamente sulla base della loro ideologia di stampo meccanicista-marxista. Le riforme che si sarebbero dovute attuare come la distribuzione del latifondo alla massa contadina, avrebbero aumentato il deficit finanziario del nuovo Stato.

Negli anni Settanta-Ottanta si sviluppò una storiografia risorgimentale incentrata sull’analisi della storia sociale che analizzava le varie strutture amministrative e sociali dell’Italia post-unitaria, dal periodo che andava dal 1815 al 1859, come l’opera di S. J. Woolf, ​ Il Risorgimento Italiano pubblicata nel 1981 e l’opera magna ​Storia dell’Italia moderna di Giorgio Candeloro nei volumi dal I al V sul periodo risorgimentale. Questa nuova metodologia riguardò le vicissitudini risorgimentali togliendo l’aura romantica che animò le singole azioni degli individui.

Dalla prima metà degli anni Novanta, proprio sulla scorta degli studi sulla società dell’Ottocento e sull’analisi delle organizzazioni dei movimenti risorgimentali, ripresero gli studi biografici sui maggiori esponenti del Risorgimento.

Una di queste opere fu il saggio della storica Lucy Riall che nel 2007 scrisse una biografia su Garibaldi. Lo studio sull’eroe dei due mondi si incentrò sul suo epistolario e sugli articoli della stampa italiana e internazionale su Garibaldi. La Riall teorizzò che Garibaldi fu un «mito» creato «ad hoc» tramite la stampa, grazie anche all’amicizia di Garibaldi con numerosi intellettuali dell’epoca, tra tutti Alexandre Dumas che tramite la sua biografia su Garibaldi creò un’immagine epica ed eroica del Nizzardo, influenzando l’immaginario collettivo europeo.

Nel 2011, in occasione del 150° anno dell’unità italiana si è sviluppata una pubblicistica incentrata sul «revisionismo storico», tramite la pubblicazione di diversi saggi, quali: Risorgimento dimenticato di Lorenzo del Boca, ​Gli ultimi giorni di Gaeta di Gigi Fiore. Questi saggi contraddistinti da una scarsa documentazione cercarono di identificare la Monarchia dei Borbone nel Mezzogiorno preunitario come un’amministrazione statale votata allo sviluppo economico e sociale, identificando il Regno di Sardegna come uno Stato invasore che procurò al Sud Italia arretratezza materiale e culturale.

L’unità d’Italia fu un avvenimento che ristrutturò tutti i rapporti geopolitici della Penisola. Le contingenze e le cause ideologiche che influenzarono i diversi momenti di tale processo furono molto frammentarie, e a volte non connesse tra loro, né dal punto di vista politico che sotto l’aspetto militare. Solamente un’analisi storica scevra da elementi ideologici di qualsiasi genere può analizzare con obiettività questo periodo storico così complesso.

(novembre 2020)

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