Storia dell’esercito del Regno di Sardegna dal 1831 al 1860
Innovazioni in preparazione a una guerra futura: verso un esercito di professionisti

Dopo il periodo napoleonico e il ritorno dei Savoia alla guida del Regno di Sardegna, l’esercito piemontese era costituito da 10 brigate in cinque divisioni. Ogni divisione era costituita da due brigate, ciascuna brigata era composta da due reggimenti, divisi a loro volta in tre battaglioni, composti da due batterie d’artiglieria, un reggimento di cavalleria e una compagnia di bersaglieri. Completamente riformato nel 1831 su proposta del nuovo Sovrano Carlo Alberto. Le modifiche riguardavano, in modo particolare, il riordino del servizio di leva in cui veniva stabilita la durata in due anni consecutivi, e una volta terminati, il contingente sarebbe stato collocato in congedo limitato per la durata di otto anni, inquadrato nella milizia di riserva. L’anno successivo venne applicata un’ulteriore modifica. La durata della leva venne accorciata a 14 mesi, dove due mesi erano destinati all’addestramento delle reclute. Una volta terminata la leva, il contingente veniva messo in congedo limitato per sette anni. Il fine di tale riforma era quello di creare un esercito a larga parte costituito da soldati professionisti, il cui numero totale sarebbe stato di 16.000 professionisti, e i restanti 8.000 soldati di leva, suddivisi rispettivamente in prima e seconda classe, di cui quest’ultima veniva suddivisa ulteriormente in sette classi di 56.000 riservisti, da utilizzare in corso di un conflitto bellico; il totale dell’esercito piemontese sarebbe stato di 80.000 uomini, tra la truppa e gli ufficiali. Le modifiche strutturali riguardarono anche anche l’organizzazione dell’organico: gli ufficiali di complemento venivano ridotti di numero. Vennero inquadrati al massimo quattro capitani e quattro tenenti in due battaglioni di ogni reggimento, per poi ridursi a due capitani e due tenenti in un solo battaglione del reggimento, per poi ridursi progressivamente fino a un ufficiale subalterno ogni quattro battaglioni[1]. Il nuovo esercito di professionisti sarebbe stato così costituito da ufficiali di carriera e da quattro quinti delle truppe di riserva. Il Sovrano stesso descrisse la riforma dell’esercito come «simile a un sistema prussiano ma perfezionato». In realtà la riforma era un mix tra il modello di carriera francese e di leva prussiano.

Il sistema di reclutamento prussiano sceglieva i militari di truppa tra i sudditi che erano scapoli o tra i più abbienti, così che chi avesse perso la vita nel campo di battaglia non avrebbe lasciato in miseria la sua famiglia. Invece, il sistema francese fondava la propria composizione sul volontarismo delle truppe, mosse dal principio etico comune della Repubblica[2].

In caso di guerra, con la chiamata dei riservisti, ogni campagna sarebbe andata ad aumentare fino alle 250 unità (dalle 100 in tempo di pace), con i battaglioni composti da quattro compagnie per un totale di 1.000 uomini, oltre la creazione di 20 nuovi battaglioni. In ogni divisione di linea venne aggiunta una compagnia di bersaglieri. La cavalleria era costituita da quattro compagnie appiedate e due a cavallo, con un armamento di otto pezzi di calibro che andavano dalle sei alle otto libre. La cavalleria era composta da 120.000 uomini, di cui 40.000 avevano una funzione burocratica e non operativa. La cavalleria era composta da sei reggimenti divisi in 36 squadroni di cavalleria pesante con 150 cavalli.

Dopo la sconfitta di Novara avvenuta il 26 marzo del 1849, l’esercito piemontese necessitò di un riordinamento strutturale. La causa della sconfitta nella Prima Guerra d’Indipendenza era dovuta al numero esiguo dell’esercito del Regno del Piemonte, rispetto a quello austriaco[3]. Il 4 novembre del 1849 Vittorio Emanuele II nominò Ministro della Guerra il Generale Eugenio Bava, che appena insediatosi al Ministero della Guerra dovette subito scontrarsi con il Primo Ministro Massimo D’Azeglio, e con il Generale Alfonso La Marmora. La polemica verteva esclusivamente sul diniego, da parte di Bava, di non creare altri reggimenti dei bersaglieri. La Marmora, tramite la sua influenza, riuscì a far convergere dalla sua parte diversi Generali Piemontesi. A quel punto Bava decise di dimettersi, e al suo posto, su pressione di D’Azeglio, il 7 novembre del 1849 venne nominato lo stesso La Marmora[4], ruolo che ricoprì fino al 20 gennaio del 1860. Appena insediatosi come Ministro, La Marmora decise di inviare in Austria e in Prussia due suoi collaboratori: il maggiore Giuseppe Govone e il capitano Thaon de Revel, che avrebbero dovuto studiare la costituzione dei due eserciti, all’epoca considerati i più efficienti in Europa, ed eseguire delle relazioni per lo Stato Maggiore. La Marmora decise di istituire diverse commissioni con compiti specifici: una creata nel maggio del 1860 aveva il compito di analizzare tutte le fortificazioni con il confine austriaco, una seconda doveva elaborare una riorganizzazione generale dell’organico, una terza doveva analizzare quali erano le zone territoriali strategiche sia per l’attacco che per la difesa in caso di un eventuale conflitto bellico contro l’Austria[5].

Per avere un esercito efficiente era fondamentale un’ottima formazione della categoria dei quadri, per questo vennero istituite diverse scuole, la prima venne fondata nel 1850 a Ivrea per la formazione di sottufficiali e militari di truppa. Dua anni più tardi, nel 1852, venne creata la Scuola di Cavalleria di Pinerolo. Per la formazione degli ufficiali d’artiglieria venne creata la Scuola d’Artiglieria e del Genio a Torino. Nelle scuole riservate agli ufficiali vennero installate delle biblioteche, questo perché, secondo La Marmora, la classe ufficiale doveva possedere anche un’adeguata cultura nelle discipline umanistiche. Per quanto concerne l’organico, una delle prime riforme fu quella riservata alla cavalleria pesante. I sei reggimenti, vennero ridotti a quattro, composti a loro volta da quattro squadroni, per un totale di 16 contro i 36 prima della riforma Cadorna. In questo modo si sarebbe omologato il numero dei reggimenti della cavalleria pesante a quello della cavalleria leggera, che rimase invariata rispetto alla riforma apportata da Carlo Alberto, ovvero cinque reggimenti da quattro squadroni. L’unica modifica apportata alla cavalleria leggera fu nell’adozione delle armi di ordinanza del moschetto e della pistola, oltre alla preesistente sciabola. L’obiettivo della riforma della cavalleria pesante era di renderla più leggera e duttile, adatta alla geomorfologia del Lombardo-Veneto.

In rapporto all’artiglieria, considerata la migliore arma d’Europa, il dilemma tra lo Stato Maggiore si concentrò su come impostarla: se renderla potente, adatta per ampi scenari di battaglia, oppure più agile e mobile. Un’altra questione era incentrata se le batterie dei reggimenti avrebbero dovuto avere esclusivamente una tipologia di cannoni, oppure adottarne di due tipi diversi.

La decisione finale di La Marmora, fu di avere un’artiglieria mista, adatta per i grandi scontri campali e allo stesso tempo agevole nei terreni prealpini e collinari. Le batterie si sarebbero dovute dotare di sei pezzi di artiglieria da otto a 16 calibri, di cui due pezzi riservati al tiro curvo da 12 e 15 centimetri. La Marmora decise di definire il criterio dell’avanzamento di carriera degli ufficiali, che fino a quel momento era incentrato su nomine di anzianità. Il 25 maggio del 1852 venne varato un provvedimento che prevedeva che l’avanzamento, riservato esclusivamente agli ufficiali, doveva avvenire esclusivamente per merito e non per anzianità di servizio. La modifica più importante e dibattuta, fu quella relativa al reclutamento. L’obiettivo che si era dato La Marmora era quello di costituire un esercito fondato più sulle qualità militari di ogni arma, che sulla quantità. I rapporti di Thaon de Revel e di Govone misero in evidenza che l’ordinamento organico degli eserciti prussiani e austriaci era fondato sui cosiddetti «eserciti di caserma», ovvero con una leva molto lunga nel tempo. La Marmora decise di effettuare un arruolamento scaglionato che andava da quattro fino a sei anni di permanenza, in modo da avere sempre disponibile un numero di militari di truppa già formato e pronto in caso di un eventuale conflitto armato. Il 3 febbraio del 1851, La Marmora presentò in Senato il disegno di legge che fu subito oggetto di discussioni anche molto forti, soprattutto da parte dell’opposizione della sinistra democratica. Il dibattito era incentrato su quali fossero le procedure per l’arruolamento, come sarebbero dovute essere composte le commissioni di arruolamento e quali erano i casi di esonero dalla leva. Si decise di costituire una commissione «ad hoc», che dopo molti mesi presentò una relazione.

Contemporaneamente la discussione si aprì alla Camera. Il 24 maggio del 1852 un’altra commissione venne istituita, e dopo un mese presentò una relazione finale che era del tutto simile a quella presentata al Senato. Il 14 marzo del 1853 la legge fu votata e approvata alla Camera, e lo stesso avvenne il 20 marzo al Senato. In conclusione, la riforma voluta da La Marmora fu a metà tra l’esercito fondato sulla qualità e quello sulla quantità. La riforma prevedeva quattro anni di ferma per la fanteria, cinque per i bersaglieri e l’artiglieria e sei per la cavalleria. Invariato rimaneva il tempo di permanenza del congedo limitato e le classi di riserva di tutte le armi alla riforma di Carlo Alberto.

L’esercito si andava così a costituire da cinque contingenti attivi e da altri cinque di riserva, e ulteriori sei classi di riserva. Chi aveva dei problemi fisici e chi dimostrava di avere dei figli a carico veniva esentato dal servizio di leva obbligatorio.

Durante la Guerra di Crimea, La Marmora si rese conto che le riserve sarebbero dovute aumentare di numero. Presentò al Governo, allora presieduto da Cavour, una riforma temporanea che prevedeva l’arruolamento tra gli attivi di tutte e cinque le classi in riserva per sopperire al numero altissimo di perdite[6]. La proposta venne discussa alla Camera, e ovviamente i democratici gridarono a un intento di «militarizzazione dello Stato» da parte della maggioranza di governo. Il 17 giugno Cavour, prendendo la parola alla Camera, sostenne che l’aumento dei contingenti di leva era fondamentale per l’esito della spedizione italiana della guerra in corso e anche per il futuro, perché tutti gli eserciti europei tendevano a un aumento del loro organico. Uno di questi contingenti sarebbe dovuto essere formato da volontari, composto da circa 8.000 uomini, la futura Guardia Nazionale. La Legge venne approvata con 74 voti favorevoli e 32 contrari.

Dopo l’annessione della Toscana e dei Ducati di Parma e Modena, all’esercito del Piemonte oltre alle cinque divisioni, se ne aggiunsero altre tre lombarde, tre emiliane e due toscane. Gli ufficiali, durante la Seconda Guerra d’Indipendenza, seppur Lombardi, avevano militato tra le truppe austriache. Il 21 gennaio del 1860 Cavour ritornò alla Presidenza del Consiglio, dopo una pausa di sette mesi. In Inghilterra vide la vittoria dei Weighs con l’elezione di Palmerston, liberale, vicino alla posizioni di Cavour e quindi favorevole alla causa italiana. Fanti venne nominato Ministro delle Guerra. In questo modo, diede atto a delle riforme dell’esercito. I reparti toscani ed emiliani vennero omologati al modello piemontese. Gli ufficiali, sottufficiali e i militari di truppa, per la durata di cinque anni, dovevano essere trasferiti rispetto al loro reparto originario, questo proprio per creare un’omologazione di tipo socio-culturale sull’organico del neonato esercito. A livello tattico-strategico, Fanti cercò di costituire l’esercito sul modello di quello francese, fondato sulla capacità e qualità in tutti i campi militari, invece che fondato sulla quantità delle truppe[7].

Il 25 marzo del 1860, con un decreto del Ministro della Guerra, venne dato un nuovo ordinamento dell’esercito del Regno di Sardegna. Si vennero così a costituire cinque comandi militari suddivisi in 13 divisioni operative, che in un’eventualità di guerra sarebbero state trasformate in corpi d’armata. Le brigate vennero denominate con il nome della città d’origine. La struttura dell’esercito sardo rimase invariata fino al 1861, dopo che era stato annesso il Regno delle Due Sicilie.


Note

1 Il nerbo degli ufficiali di complemento venne del tutto eliminato. L’obiettivo di questa modifica era di far dirigere le operazioni belliche a una classe di ufficiali prettamente formata professionalmente, e che proveniva dalle famiglie dell’aristocrazia piemontese. Si andava a eliminare quel principio francese messo a punto dall’esercito rivoluzionario, in cui la classe borghese costituiva il corpo dei quadri dell’esercito: storico.org/ottocento_romanticismo/grande_armee

2 Piero Pieri, nella Storia Militare d’Italia così descrive l’esercito piemontese, avanti la Prima Guerra d’Indipendenza: «Non era un vero esercito di professionisti, né soltanto un esercito di riservisti; cumulava più i danni che i vantaggi dei due sistemi. Soprattutto un fatto era grave: i riservisti non rappresentavano nemmeno la metà degli elementi idonei alla loro classe, ne sarebbe derivato che un uomo di 27 o 28 anni sarebbe stato chiamato a combattere la guerra grossa...».

3 Radetzky aveva dichiarato che per vincere la guerra era stato determinante il maggior numero di soldati a disposizione dell’Austria.

4 Nominato Generale nel 1848, a livello politico godeva dei favori sia della sinistra democratica che dei moderati-liberali, Cavour in primis.

5 La commissione stabilì che i capisaldi strategici difensivi erano la Roccaforte di Alessandria, Casale Monferrato, e la base operativa si sarebbe dovuta concentrare tra il Po e il Tanaro.

6 Nella spedizione 13.000 uomini morirono a causa di un’epidemia di colera e quelli guariti erano inabili al combattimento.

7 L’esercito che era fondato sulla quantità era adatto per gli Stati che avevano una lunga tradizione storica istituzionale e militare, come la Prussia e la Russia.

(ottobre 2020)

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