Storia di Roma Capitale. L’interazione Stato-Chiesa
Ricordando anni difficili

Nel 1860 l’area più estesa dello Stato Pontificio (Romagna, Marche, Umbria) venne annessa al Regno di Sardegna. Al Pontefice Pio IX[1] rimasero pochi territori e Roma. Con la legge 17 marzo 1861, numero 4.671 (del Regno di Sardegna), venne sancita la nascita del Regno d’Italia. Il Re Vittorio Emanuele II[2] assunse per sé e per i suoi successori il titolo di Re d’Italia. Il 20 settembre del 1870, attraverso una breccia creatasi nelle mura per l’azione dell’artiglieria (a una cinquantina di metri da Porta Pia), un battaglione di fanteria, uno di bersaglieri e alcuni carabinieri, entrarono nell’Urbe. Dal campo pontificio fu esposta la bandiera bianca. L’esercito del Regno d’Italia aveva quindi occupato militarmente Roma. Il Generale Raffaele Cadorna[3], d’intesa con il Governo, ordinò ai soldati di non entrare nella Città Leonina, in Castel Sant’Angelo, e di non posizionarsi sui colli Vaticano e Gianicolo. Alle 17:30 del 20 settembre fu siglata a Villa Albani la resa. Per l’esercito italiano firmò il Capo di Stato Maggiore Domenico Primerano[4], per le truppe pontificie Fortunato Rivalta[5]. Fu presente il Generale Cadorna. Il 2 ottobre del 1870 si svolse una consultazione popolare. Venne chiesto ai Romani di rispondere a questo quesito: «Desideriamo essere uniti al Regno d’Italia, sotto la Monarchia Costituzionale del Re Vittorio Emanuele II e dei suoi successori?». L’indicazione fu per il sì. Tale orientamento si espresse in tal senso anche per la decisione di molti Cattolici di astenersi dal voto. In seguito, con la legge numero 33 del febbraio 1871 Roma divenne, ufficialmente, la nuova capitale del Regno d’Italia.


Le coordinate storiche

Con la legge del 3 febbraio 1871 numerp 33 (Pel trasferimento della Capitale del Regno da Firenze a Roma), l’Urbe divenne la nuova capitale del Regno d’Italia. Tale realtà ebbe delle ripercussioni sul tessuto urbano, e delle conseguenze nell’interazione tra lo Stato e la Santa Sede. Alla vigilia dell’irruzione armata dell’esercito sabaudo, vivevano a Roma circa 250.000 persone. Esisteva quindi un vasto abitato. In quest’area emergevano pure i resti archeologici di antichi splendori, ed erano presenti anche pastori e mandrie. Si trattava quindi di intervenire per adeguare la città al nuovo ruolo di capitale d’Italia.


I primi provvedimenti

Nei primi giorni il Governo provvisorio fu presieduto da Michelangelo Caetani[6]. Poi, Giuseppe Gadda[7] divenne prefetto di Roma (dal 31 agosto 1871 al 30 marzo 1876). Il sindaco dell’Urbe fu all’inizio Francesco Rospigliosi Pallavicini[8] (dal 16 aprile all’ottobre 1871). Nel frattempo si operò per valorizzare il già esistente Palazzo del Quirinale (già residenza dei Papi). Nel 1871 questo notevole complesso divenne la sede ufficiale del Re d’Italia. La prima grande struttura edificata in quel tempo fu il Ministero delle Finanze. Con la morte di Vittorio Emanuele II (1878), il Parlamento decise poi di innalzare un monumento, il «Vittoriano», in memoria del primo Re d’Italia. Nel frattempo, a motivo dello spostamento dell’intera amministrazione centrale, aumentò il numero dei residenti. Ora, il ceto medio della capitale era costituito da funzionari amministrativi, intellettuali, giornalisti, politici, impiegati. In questi anni iniziarono ad assumere le attuali funzioni commerciali Piazza di Spagna, Via del Corso, Via dei Condotti. E si fece pressante l’esigenza di nuove abitazioni.


La figura di Pio IX

Nel 1871 era Pontefice Pio IX. Questo Papa si trovò a gestire una realtà critica. Gli erano stati sottratti territori di sua competenza. Lo Stato Italiano gli concedeva solo «in uso» il Vaticano e Castel Gandolfo. Gli vennero garantite l’inviolabilità e una rendita annua di 3.250.000 lire (Legge delle guarentigie). Erano situazioni difficili da accettare perché stabilivano di fatto una «subordinazione» e, in un certo senso, una «dipendenza». Il Pontefice rifiutò. Ebbe inizio da qui la «Questione romana».


Aspetti di una realtà critica

La situazione che si struttura è molto delicata perché coesistono criticità e segni di edificazione del nuovo. Certamente è una criticità il fatto che il 12 maggio del 1873 venne istituito un tribunale regio per le questioni ecclesiastiche. Lo stesso conferimento di uffici ecclesiastici aveva bisogno del consenso dello Stato. Altra criticità è legata al fatto che Pio IX nel 1874 vietò ai Cattolici la partecipazione alle elezioni politiche del Regno con il decreto Non expedit (Non è conveniente).[9] Però, già nel 1876 venne permessa la partecipazione alle elezioni amministrative. Quindi, qualcuno stava operando in modo discreto per ricucire gli strappi.

Non bisogna poi dimenticare il fatto che molti Cattolici parteciparono comunque al Risorgimento Italiano. Quindi non si può parlare di un’assenza del mondo cattolico (come ha scritto qualcuno) dalle vicende dell’Unificazione. Lo Statuto Albertino venne preparato da un Cattolico. Lo stesso Inno di Mameli fu impostato da un religioso, Padre Atanasio Canata (dei Padri Scolopi). Diversi sistemi pedagogici furono sperimentati da Cattolici fino ad arrivare a coloro che combatterono nelle Guerre d’Indipendenza o che assistettero i feriti. Quindi l’interazione tra i Cattolici e il sistema di governo del nuovo Stato non ebbe una vera e propria cesura.[10]


Dopo la morte di Pio IX

Dopo la morte di Papa Mastai i rapporti tra lo Stato Italiano e la Santa Sede continuarono ad essere regolati per quasi 60 anni dalla Legge delle guarentigie (promulgata il 13 maggio 1871).[11] Ciò permise di affrontare diversi problemi, ma rimasero comunque varie criticità. I rapporti tra il Papa e i governanti del Regno dovettero in più casi seguire una linea indiretta. A Roma, inoltre, molte chiese storiche erano diventate di proprietà statale e lo sono tuttora. Si pensi, a esempio, a San Lorenzo in Lucina, Santi XII Apostoli, Santissimo Nome di Gesù all’Argentina, Santa Croce in Gerusalemme, Santa Maria in Vallicella, Santa Maria sopra Minerva, Sant’Andrea delle Fratte, Santa Sabina all’Aventino.


La situazione con Leone XIII[12]

Il 23 maggio 1887 il Papa sottolineò il suo forte desiderio che venisse «tolto finalmente di mezzo il funesto dissidio col Romano Pontificato», pur ribadendo l’esigenza di una «piena e vera libertà» della Santa Sede. Non si trovò comunque una soluzione. In seguito, con la Lettera Enciclica Rerum Novarum (1891), il Pontefice volle affrontare alcuni significativi temi riguardanti la vita quotidiana dei fedeli. In tal senso il suo orientamento non fu quello di usare toni aspri verso il Regno d’Italia. Ci fu, anzi, una collaborazione. Si può ricordare, a esempio, l’intervento del Papa presso il Re Menelik, tramite Monsignor Kyrillos Makarios[13], per far liberare i prigionieri italiani in Etiopia, dopo la sconfitta di Adua (1896).


Il Pontificato di Pio X[14]

Dal 1904 in poi questo Papa dette ai Vescovi una linea politica. Potevano permettere ai Cattolici di andare a votare, nel caso la loro astensione avesse favorito un candidato socialista nei confronti di un liberale. La partecipazione ufficiosa dei Cattolici alle elezioni politiche divenne un fatto sempre più esteso. Nel 1913, il conte Vincenzo Ottorino Gentiloni[15], direttore dell’Unione elettorale cattolica italiana, concluse una specie di patto con i candidati liberali. Venne promesso l’appoggio del voto cattolico se si fossero impegnati a non votare alcune leggi nel caso fossero state discusse in Parlamento.[16]

Il 2 febbraio del 1906, Pio X condannò la legge francese di separazione Stato-Chiesa con la Lettera Enciclica Vehementer nos, e poi ancora con l’Enciclica Gravissimo officii munere (10 agosto 1906). Venne interdetta la formazione delle «associazioni culturali» previste dallo Stato Francese. Al di là degli attriti con la Francia, si scorge comunque una convinzione: per il Pontefice Stato e Chiesa dovevano collaborare tra loro, nel rispetto reciproco. Tale orientamento riguardò anche l’Italia.


Benedetto XV e la Prima Guerra Mondiale

Benedetto XV[17] dovette affrontare continue criticità. Occorre però ricordare che mise a disposizione anche dello Stato Italiano i diversi organismi di assistenza sociale e sanitaria promossi dal mondo cattolico. Sono pure da ricordare i colloqui segreti, avvenuti a Parigi nel giugno 1919, tra l’Onorevole Vittorio Emanuele Orlando[18] e Monsignor Bonaventura Cerretti[19]. Ebbero per tema il superamento della «Questione Romana». Tali contatti produssero delle prospettive concrete. La «Questione Romana» si poteva risolvere con la creazione di un piccolo Stato Vaticano territoriale, e con la stipulazione di un trattato e di un concordato. Purtroppo, l’intransigente opposizione di Vittorio Emanuele III fece fallire ogni tentativo di soluzione.


La fine della «Questione Romana»

Subito dopo la sua elezione pontificia, Pio XI[20] volle affacciarsi alla loggia esterna della Basilica Vaticana. E benedisse la folla che si era radunata in Piazza San Pietro. Ciò non succedeva dal 1870. In seguito, l’11 febbraio del 1929 vennero firmati i Patti Lateranensi tra la Santa Sede e il Governo Italiano. La «Questione Romana» era risolta. Il Papa ottenne la piena sovranità sulla Città del Vaticano. E riconobbe Roma come capitale dello Stato Italiano.


Il Concordato del 1929

Sul piano storico il Concordato del 1929 risolse molte questioni che erano in sospeso, e soprattutto accentuò il criterio della reciproca collaborazione tra lo Stato Italiano e la Santa Sede. Si può fare un esempio con riferimento alle questioni in sospeso. L’articolo 27 del Concordato afferma nelle prime righe: «Le basiliche della Santa Casa in Loreto, di San Francesco in Assisi e di Sant’Antonio in Padova con gli edifici ed opere annesse, eccettuate quelle di carattere meramente laico, saranno cedute alla Santa Sede e la loro amministrazione spetterà liberamente alla medesima».

Un altro esempio tratto dall’articolo 29 (lettera B): «Sarà riconosciuta la personalità giuridica delle associazioni religiose, con o senza voti, approvate dalla Santa Sede, che abbiano la loro sede principale nel Regno, e siano ivi rappresentate, giuridicamente e di fatto, da persone che abbiano la cittadinanza italiana e siano in Italia domiciliate. Sarà riconosciuta, inoltre, la personalità giuridica delle province religiose italiane, nei limiti del territorio dello Stato e sue colonie, delle associazioni aventi la sede principale all’estero, quando concorrano le stesse condizioni. Sarà riconosciuta altresì la personalità giuridica delle case, quando dalle regole particolari dei singoli ordini sia attribuita alle medesime la capacità di acquistare e possedere. Sarà riconosciuta infine la personalità giuridica alle Case generalizie ed alle Procure delle associazioni religiose, anche estere. Le associazioni o le case religiose, le quali già abbiano la personalità giuridica, la conserveranno».


La revisione del Concordato

Il Concordato del 1929 è stato poi rivisto nel 1984. Quella cattolica non è più la religione di Stato (in sintonia con i principi della Costituzione). L’insegnamento della religione cattolica non è più obbligatorio per gli studenti. Viene introdotto il sistema di finanziamento dell’8x1.000 a favore della Chiesa Cattolica. Nel testo di revisione si affrontano anche altri temi: nomina dei titolari di uffici ecclesiastici, festività religiose riconosciute, assistenza spirituale alla Polizia di Stato, tutela dei beni culturali di interesse religioso e degli archivi e biblioteche ecclesiastiche. Sono state anche definite le condizioni da rispettare per attribuire a un matrimonio religioso gli effetti civili. Infine, la nomina dei Vescovi non necessita dell’approvazione del Governo Italiano.


Una Chiesa sempre in difesa?

Alcuni autori, con riferimento agli anni del Risorgimento, hanno descritto una Chiesa sempre in difesa, arroccata su posizioni intransigenti. Tale schema, però, pare rigido. A esempio non tiene conto dei Cattolici che lavorarono per ristabilire un dialogo tra Chiesa e Stato. Si pensi a San Giovanni Bosco[21] e a diversi Vescovi (a esempio, Monsignor Geremia Bonomelli[22]). Ma esistono anche altri fatti interessanti. La fondazione dell’Azione Cattolica (1867) fu un segnale per muovere il laicato. Pure l’alto numero di nuovi Istituti religiosi (impegnati anche nelle missioni) costituì una risposta concreta alle incertezze di determinate ore storiche. È inoltre da ricordare l’Enciclica di Benedetto XV del 1914, Ad beatissimi apostolorum. Vi è criticato l’integralismo. Con tale espressione s’intendeva quello spirito ecclesiale «oltre le righe» che voleva legare alle istruzioni romane non solo la dottrina della fede, ma anche il governo delle cose sociali. Nel frattempo muoveva i primi passi l’ecumenismo.


In particolare: le scomuniche di Pio IX (e successive)

Pio IX venne criticato anche per le scomuniche comminate a più persone. Anche in questo caso il contributo dello storico deve leggere i fatti senza lasciarsi condizionare da schemi rigidi. Analizzando le molte vicende del tempo, ci si accorge subito che il Papa si trovò davanti a una lunga serie di fatti compiuti. Si pensi ai Vescovi arrestati e detenuti. Alle leggi Siccardi (1850). Ma soprattutto alla legge Rattazzi numero 878 del 29 maggio 1855, e alle leggi «eversive» numero 3.036 del 7 luglio 1866 e numero 3.848 del 15 agosto 1867. È un’ora storica nella quale lo Stato incamera patrimoni di altri (incluse chiese con sepolcri di Santi), e si sente libero di abolire Congregazioni ritenute «inutili». A questo punto che cosa doveva pensare, a esempio, la Santa Sede quando il 13 luglio del 1878 un gruppo di anticlericali tentò di gettare nel Tevere la salma di Pio IX?


Roma Capitale oggi

La realtà odierna di «Roma Capitale» è ormai diventata un fatto che supera le questioni politiche. Sarebbe infatti miope rimanere concentrati solo su alcuni periodi storici. L’Urbe esprime oggi una interculturalità che la pone a un livello superiore rispetto allo stesso ruolo di capitale di uno Stato. Il patrimonio civile e religioso presente nella città non può essere considerato un bene circoscritto, ma è una ricchezza a vantaggio di tutti.


Alcune indicazioni bibliografiche

G. Carocci, Storia d’Italia dall’Unità ad oggi, Feltrinelli, Milano 1975

A. C. Jemolo, Chiesa e Stato in Italia negli ultimi cento anni, Einaudi, Torino 1955.


Note

1 Pio IX (1792-1878; Beato). Il suo Pontificato durò dal 1846 fino alla morte.

2 Vittorio Emanuele II (1820-1878). Fu l’ultimo Re di Sardegna e il primo Re d’Italia.

3 Raffaele Cadorna (1815-1897). Fu al servizio prima del Regno di Sardegna e poi del Regno d’Italia.

4 Domenico Primerano (1829-1911). Militare e politico.

5 Fortunato Rivalta (nato nel 1831).

6 Michelangelo Caetani (1804-1882).

7 Giuseppe Gadda (1822-1901).

8 Francesco Rospigliosi Pallavicini (1828-1887).

9 Confronta anche: F. Tamburini, Il non expedit negli atti della Penitenzieria apostolica, in: «Rivista di Storia della Chiesa in Italia», numero 41, 1987, pagine 128-151.

10 P. L. Guiducci, I giorni della gloria e della sofferenza. Cattolici e Risorgimento Italiano, Elledici, Torino 2011.

11 Legge 13 maggio 1871, numero 214, in materia di «Guarentigie delle prerogative del Sommo Pontefice e della Santa Sede e per le relazioni della Chiesa con lo Stato».

12 Leone XIII (1810-1903). Il suo Pontificato durò dal 1878 fino alla morte.

13 Kyrillos Makarios (1867-1921).

14 Pio X (1835-1914; Santo). Il suo Pontificato durò dal 1903 alla sua morte.

15 Vincenzo Ottorino Gentiloni (1865-1916).

16 Confronta anche: A. Tornielli, La fragile concordia. Stato e Cattolici in centocinquant’anni di storia italiana, Rizzoli, Milano 2011, pagine 88-89.

17 Benedetto XV (1854-1922). Il suo Pontificato durò dal 1914 fino alla sua morte.

18 Vittorio Emanuele Orlando (1860-1952).

19 Bonaventura Cerretti (1872-1933).

20 Pio XI (1857-1939). Il suo Pontificato durò dal 1922 fino alla sua morte.

21 Giovanni Bosco (1815-1888; Santo).

22 Geremia Bonomelli (1831-1914).

(febbraio 2021)

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