Lo Statuto Albertino
Un primo passo verso la Costituzione in un’Italia ancora divisa

Specialmente in questo momento di accesa discussione politica, si ritiene opportuna una riflessione sul significato della parola «Costituzione» partendo da quello che, ancor prima dell’Italia unita, fu, in germe, il primo tentativo, da parte di un Sovrano Sabaudo, di limitare i propri poteri rendendo quindi rappresentativa la propria monarchia con uno Statuto.

Facendo un passo indietro non possiamo, comunque, non considerare che fu un lungo percorso quello che condusse molte monarchie, fra il ’700 e l’ ’800, verso il riconoscimento di istanze e fermenti di quel periodo che portarono poi, quasi a «effetto domino», alla concessione di Costituzioni che, di conseguenza, segnarono la fine dell’assolutismo regio; anche il periodo della Restaurazione solo per poco poté fermare la forza propulsiva che, partendo dai riconoscimenti dei diritti umani sull’onda della Rivoluzione Americana e i mutamenti avvenuti in Inghilterra, che poi avevano fatto anche da spinta per la Rivoluzione Francese, ormai aveva permeato l’Europa; la borghesia aspirava a partecipare al potere e al governo della società e dello stato e solo attraverso organi rappresentativi, avrebbe potuto farlo.

In Piemonte, l’unico territorio non occupato allora in Italia e dove regnava la Monarchia Sabauda, da tempo serpeggiavano idee liberali e riformiste che poi sfociarono nel 1821 nei primi tentativi insurrezionali e indipendentisti che diedero luogo ad una vera e propria rivolta il cui scopo era non solo quello ottenere una Costituzione dal Sovrano allora in carica Vittorio Emanuele I, ma spingere lo stesso Re ad unificare l’Italia, liberandola dal dominio austriaco, almeno per quanto riguardava il Lombardo-Veneto, ma questi primi moti fallirono e anche se la «reggenza» temporanea di Carlo Alberto, figlio di Vittorio Emanuele (che aveva nel frattempo abdicato in favore del fratello Carlo Felice), aveva dato qualche speranza ai riformisti con alcune concessioni, si dovettero attendere ancora diversi anni prima che questi vedessero riconosciute le istanze per cui tanto si combatteva.

I moti del 1848 che, dopo quelli del 1821, caratterizzeranno la cosiddetta «primavera dei popoli», furono un’ondata rivoluzionaria che sconvolse l’Europa e in Italia fu la rivolta siciliana del 12 gennaio 1848 a dare il via ad altri moti come quello avvenuto il 27 gennaio di quell’anno a Napoli che costrinse Ferdinando II di Borbone a concedere una Costituzione, promulgata poi l’11 febbraio; lo stesso giorno Leopoldo II di Toscana la concedeva ai suoi sudditi. Sull’onda di questi Sovrani, pressato dalle richieste delle classi borghesi, dopo aver già preso provvedimenti di stampo liberale come l’emanazione di Codici civili e penali, una riforma che disciplinasse la Censura (permettendo anche la pubblicazione di giornali politici) e aver creato una Corte di Revisione che assicurasse una certa uniformità giurisdizionale allo stato, Carlo Alberto di Savoia, nel frattempo divenuto Re di Sardegna e Principe di Piemonte, incaricò il Consiglio di Conferenza di redigere uno Statuto cercando di individuare, fra quelli europei, il modello costituzionale che maggiormente si potesse adattare al Regno di Sardegna (quello orleanista del 1830 e quello belga del 1831 si rivelarono i più congeniali) e così il 4 marzo 1848 fu proclamato lo Statuto Albertino che poi il 17 marzo 1861, con la fondazione del Regno d’Italia, ne divenne la Carta fondamentale.

Quella di Carlo Alberto era una Costituzione ottriata e cioè concessa al popolo per la volontà del Sovrano e frutto di un tacito patto fra governante e governati ma essendo flessibile avrebbe potuto prevedere modifiche e integrazioni e quindi differisce dalla attuale, resa poi «rigida» per evitare ciò che accadde nel Ventennio fascista. Ora il Re, sempre a capo comunque di una Monarchia ereditaria, esercitava il potere esecutivo attraverso i Ministri, convocava e scioglieva le Camere e aveva il potere di sanzionare le leggi; Carlo Alberto fece in modo che il proprio Governo avesse la fiducia del Parlamento (Senato di nomina regia e Camera dei Deputati eletta su base censitaria) ma modificandolo nel caso in cui questa fosse venuta a mancare. Per quanto riguarda il Potere Giudiziario, esso era sempre espressione della volontà del Re ma vi erano anche garanzie per il popolo come il rispetto per le sentenze dei giudici, la pubblicità delle udienze e dei dibattimenti e poi la creazione della Corte di Cassazione.

Ma perché è importante per un popolo avere una Costituzione? Il motivo principale è che attraverso essa il potere politico in uno stato tende così a strutturarsi e a darsi un insieme di regole fondamentali; però le Costituzioni non sono tutte uguali dato che ognuna rispecchia l’«humus» profondo di una società organizzata che «demanda» a un potere politico che ne «declini» le proprie regole in base a fattori molteplici che fanno naturalmente anche riferimento alla storia del territorio, all’economia, alla religione.

L’evoluzione verso forme di governo che prevedessero una «rappresentatività» dei cittadini di uno stato attraverso la creazione di organi legislativi o giudiziari e, quindi, «bypassassando» gli assolutismi regi, non può non rispecchiare nell’Ottocento il pensiero di un Montesquieu, le riflessioni filosofiche di un Rousseau o le teorie del giusnaturalismo, dato che il «diritto giusto» deve essere il prodotto di un atto collettivo, un «contratto sociale» col quale ciascuno cede al corpo comune i propri diritti naturali e individuali rinunciando a vivere secondo le leggi della propria natura empirica. Sappiamo comunque che anche al giorno d’oggi lo stato perfetto non esiste ed è condizionato da molteplici fattori che quasi sempre hanno a che fare con la natura umana e tutti quei «paletti» che spesso la volontà popolare (nelle democrazie) cerca di frapporre fra un ideale di autodeterminazione e il compromesso col bene comune sono il «limes» che stabilisce la presa di coscienza che senza princìpi stabili e riconosciuti, senza il rispetto di norme che sanciscano i diritti fondamentali della persona, senza organi preposti alla tutela di questi e leggi tese al progressivo miglioramento delle istituzioni di un Paese, non potremmo considerarci società civili, resta comunque indiscutibile che sono le Costituzioni le strutture portanti su cui edificare stati che garantiscano la certezza dei diritti, l’inderogabilità dei doveri, la corretta funzionalità degli apparati amministrativi e un’equilibrata divisione dei poteri.

(gennaio 2017)

Tag: Marina Ardita, 4 marzo 1848, Statuto, Costituzione, Monarchia, Restaurazione, Carlo Alberto, assolutismo, rivoluzione, diritto, ottriata, Rousseau, giusnaturalismo, Ottocento, Statuto Albertino, 1848, Italia, Risorgimento.