Una spia internazionale a servizio della causa italiana vicina a chi voleva una comunione federale della Penisola
Tante battaglie, nessuna ideologia

I buchi neri sul personaggio sono tanti, ma io nella descrizione mi limiterò ai fatti certi, ai documenti in nostro possesso. E poi descriverò le dinamiche servendomi di collegamenti a fatti, situazioni e personaggi. Nord e Sud dell’Italia accomunati da uno stesso destino: una Unità Nazionale poco limpida.

1820. Pieve Fosciana, Garfagnana. Nasce in una famiglia patrizia di antica nobiltà un bambino, Ermete Pierotti. Sono in undici fratelli. Famiglie che facevano della figliolanza motivo di orgoglio dinastico ma soprattutto ragione di fede.

La famiglia viveva nel palazzo dove oggi ha sede il Comune di Pieve Fosciana, nell’antico borgo, che affonda le sue radici nel più profondo Medioevo, quello matildico, quello di Pagano da Corsena, quello del Bec, che ho descritto diverse volte e pubblicato in rete.[1]

Nel 1834 a Pieve Fosciana, quando Ermete ha dunque 14 anni, ci saranno moti rivoluzionari importanti, organizzati dal figlio di Ciro Menotti, Achille, dalla di lui madre e vedova di Ciro, Polissena, ma soprattutto dai fratelli Fabrizi, che erano cugini dei citati Pierotti. Originari di Molazzana ma ormai residenti a Modena, furono con la loro Lega Italica e con la loro vicinanza a Giuseppe Mazzini, l’anima dei moti. C’erano poi i fratelli e cugini Pierotti. Due Francesco, nome che in famiglia si ripeteva spesso. Uno era medico, l’altro avvocato.

Finirono tutti agli arresti ed espatriarono in quel di Borgo a Mozzano e Barga, nella Media Valle del Serchio, che era sotto il Duca Carlo Ludovico di Borbone-Parma; Pieve Fosciana è oggi definita città del tricolore perché qui sventolò il primo tricolore ancora conservato dai cugini Barghigiani. Il Duca Carlo Ludovico era uno pseudoriformato, uno che aveva agganci solidi a Londra, che proteggeva i patrioti fuggiaschi nel suo Ducato, che si era messo in testa, come scrisse suo cugino Carlo Alberto di Savoia nel 1830, di diventare il Re d’Italia. In effetti i due cugini collaborarono a lungo in tale progetto che era federale, non certo unitario come Mazzini auspicava. Tanto meno repubblicano. Tuttavia erano tra di loro sempre in un rapporto di amore/odio, pronti a farsi le scarpe. I documenti che ho rintracciato parlano chiaro in proposito. Molti articoli e pubblicazioni che ho rilasciato lo attestano.[2] Francesco e Franceschino con Polissena, vedova di Ciro Menotti, e il loro figlio sono a Lucca nel 1840, protetti dal Duca Borbonico Carlo Ludovico e ancora in combutta nelle frange mazziniane. Paolo Fabrizi, che si muove spesso tra Livorno e Malta, aspettava Pierotti in porto a Livorno quell’anno. Non sappiamo bene per quale motivo.[3]

Ermete Pierotti viene inviato dalla famiglia a studiare a Modena come molti di loro, in Accademia. E diventa ingegnere idraulico. Col grado prima di tenente e poi di capitano viene spedito a Genova, entra a far parte dell’esercito sabaudo di stanza a Genova, ed è considerato uno dei suoi più valenti ingegneri.

Nel 1848 troviamo la sua partecipazione alla Prima Guerra d’Indipendenza: «Delle compagnie modenesi erano capi Tani, Guidagli ed Ermete Pierotti; non si conosce bene quale parte abbiano avuto nella campagna; furono presto fuse in una sola compagnia che, al comando del capitano Pierotti, si trovò a Peschiera agli ordini del comandante il battaglione sardo. Appaiono ufficiali di queste compagnie i tenenti Brocchi e Montanari e i sottotenenti Ferdinando Monzani e Lorenzo Miotti, che poi passeranno nell’esercito regolare (meno il Montanari)».[4]

Una domanda sorge spontanea. Perché finire a Genova in un esercito straniero? All’epoca poteva rappresentare qualcosa di singolare visto che questi Stati di antico regime si mostravano sempre l’un contro l’altro armati. Uno straniero come Ermete, cattolico liberale, ma non troppo, avrebbe dovuto essere respinto dall’esercito sabaudo.

Le risposte ci sono. La famiglia di Ermete aveva comunione diretta con gli ambienti sabaudi. Una cugina di Ermete in Castiglione Garfagnana, Chiara Pierotti, qualche anno dopo sposerà un importante nobile piemontese. Si trattava della famiglia Ponzone Incisa Beccaria di Alessandria che diverrà in seguito solo Incisa Beccaria.

Erano in comunione con i più importanti ambienti sabaudi, di origini aleramiche. Legati non solo a Casa Savoia dunque, ma a tutta la nomenclatura padana. Alcuni nomi sono i Negri di Sanfront, i Cavour, i Rege de Gifflenga, i Pollion. Famiglie che frequenteranno e con cui avranno situazioni politiche precise. Dunque Ermete non è a Genova per caso.

Nel 1848 egli, dopo aver partecipato alla Guerra d’Indipendenza, sarà accusato di furto nell’esercito e subirà un processo, venendo espulso dall’esercito medesimo. Il processo si terrà il 20 settembre 1849 ma Ermete è già fuggito in Palestina il 15 di agosto di quell’anno. Gli hanno verosimilmente dato il tempo di fuggire. Ermete oggi è considerato in mezza Europa un «grand’uomo» del XIX secolo, basta andare in rete. Mentre a esempio a Pieve Fosciana, sua terra natale, nella storia del paese su wikipedia non viene neppure menzionato. Il fatto che sia morto a Parigi nel 1880 ma anche no visto che alcune sue carte le troviamo pubblicate nel 1888, quasi dieci anni dopo la morte, fa pensare che il personaggio fosse «scomodo» per qualcuno. Ermete ha fatto una vita da «milionario». Per più di venti anni. Chi pagava? Sicuramente non bastarono i soldi sottratti, forse, all’esercito sabaudo. Pagato da più persone? Le continue accuse circa il furto gli piovono addosso soprattutto negli anni più maturi della sua vita, quando ormai i giochi internazionali erano fatti. Forse ormai Ermete aveva svolto un compito preciso. Ed era possibile screditarlo. Tuttavia non fa neppure un giorno di galera.

Perché sostengo questo?

Ermete non era a Genova quel 15 di agosto 1849, ma fu intercettato a La Spezia. Sicuramente il suo itinerario, la sua meta non erano Genova ma molto più probabilmente Livorno, luogo dove sia i fratelli Fabrizi suoi cugini che i restanti nativi di Pieve Fosciana e Lucca avevano ampie frequentazioni, come appare dai documenti.[5]

Dunque poteva anche, vista la vicinanza dei luoghi, fare una scappatina a casa, ma in realtà fu Genova il luogo dove si recò e da dove fuggì.

Qui Ermete trovò ad attenderlo verosimilmente Carlo di Pollion, frequentazione di famiglia, e futuro Ammiraglio della marina sabauda.

All’epoca di stanza proprio a Genova. La fuga di Ermete vide sicuramente il suo zampino. Nessun intraprendente fuggiasco avrebbe potuto portare a termine la sua impresa senza un valido aiuto in uno Stato d’antico regime. E Carlo Pollion, futuro Ammiraglio Persano, ne aveva i requisiti, soprattutto perché quando molti anni dopo dovette subire il fatidico processo per la disfatta di Lissa, si fece processare proprio a Lucca, dove in primo grado ottenne l’assoluzione. I Rege de Gifflenga, suoi cugini materni, erano frequentazione dei Pierotti come pare dalle carte rintracciate.

Ermete Pierotti è considerato da mezza Europa come un grand’uomo dell’Ottocento, eppure a Pieve Fosciana dove è nato non viene mai menzionato. Di lui non un rigo di fatto in Italia. Sembra quasi che abbia svolto un lavoro sporco per conto dei Savoiardi. Poi, meglio dimenticarsi. Strano come dicano che sia morto nel 1880 mentre ancora nel 1888 sono stati pubblicati disegni da lui fatti. Mai pubblicati in precedenza. A quando risalivano? Era completamente sparito dal 1880 al 1888?

Queste ultime le parole di un amico che ha letto alcuni articoli sul personaggio che recentemente ho pubblicato. Da chi veniva finanziato Ermete?

Si finanziava da solo?

Sulle possibilità economiche non è dato sapere. Tuttavia alcuni indizi farebbero pensare che si trattasse di una famiglia particolarmente abbiente. Nel 1828 un medico, Francesco, appartenente ai Pierotti di Pieve Fosciana se ne andò a Palagano, in provincia di Modena, e qui comprò, almeno questo ufficialmente, dai conti Sabbatini di Modena un castello a pianta circolare costruito ai primi del Seicento e ancora oggi perfettamente conservato, che attualmente è di proprietà del Comune di Palagano. Con quale denaro un medico condotto poteva acquistare un castello? I conti Sabbatini, che avevano, pare, apparenti origini ebraiche, ma dovremmo appurare meglio quanto in rete viene descritto, erano comunque legati alla Curia Modenese. L’aver dato il castello in maniera simbolica e non per vil denaro avrebbe dovuto preludere a dei corposi rapporti tra gli stessi e i Pierotti menzionati. Cosa che non mi sento di escludere. Arcivescovi e prelati in quel di Modena.

Tante domande meritano una risposta. Perché il denaro che Ermete pare avesse sottratto all’esercito sabaudo non sarebbe bastato di certo. Condusse vita da milionario, facendo, prima di approdare in Palestina, un «gran tour» in Grecia.

A lungo presumibilmente in molti pagarono Ermete. Possiamo supporre che non fosse affatto estraneo alle vicende in Palestina, dove, primo, scoprì le fondamenta della Biblioteca di Alessandria d’Egitto; cosa eccezionale mai ricordata. Poi fu accolto a braccia aperte dal Pascià che ne fece il più importante ingegnere idraulico del Paese, commissionandogli la costruzione di quello che è ancora l’acquedotto di Gerusalemme.

Ermete aveva con sé delle carte, se ne procurò altre e iniziò a visitare i cunicoli del Tempio, inoltrandosi al punto tale da ricostruire fedelmente le cartine geografiche giuste. Ancora oggi gli esperti che con i raggi laser studiano i cunicoli del Tempio hanno ritrovato minuziosamente intatte le conclusioni dei lavori effettuati da Ermete. Una coincidenza?

Ermete nato in Toscana finisce a fare il soldato nel Regno di Sardegna. Consideriamo i Savoiardi. Alleati. La comunione dei cugini di Ermete sia con i Bonaparte che con altre figure come appare dagli scritti che ho potuto consultare in rete.

La Francia sembra sua patria elettiva, senz’altro seconda patria. Qui è sepolto e qui stava in comunione con alcune persone di cui è bene specificare.

Perché descrivere solo le contraddizioni, il fatto che Ermete fosse divenuto una spia russa, come sostiene anche una pubblicazione tedesca recente, il fatto che non fossero limpidi i suoi spostamenti? Onorificenze comunque fuori dalla patria di origine, ma in Italia?

Ermete era intimo di Alessandro Negri di Sanfront. Nato a Ponzone nel 1804 e deceduto a Chiavari nel 1884, è stato quest’ultimo un importante ufficiale e politico italiano. La sua onorevole carriera sia militare che politica e la sua amicizia con Cavour sono facilmente documentabili. Troviamo lettere di Ermete al Negri quando il Negri era a capo dell’Istituto Geografico Italiano. I rapporti col Negri erano per Ermete rapporti di famiglia.

A Castiglione Garfagnana, non lontano da Pieve Fosciana, dove Ermete era nato, troviamo una famiglia nobile che porta lo stesso cognome di Ermete: i Pierotti di Castiglione. Ancora qui troviamo il loro palazzo che è sito dentro le medievali mura dello splendido borgo che è sempre rimasto lucchese nel corso dei secoli, nonostante che il territorio fosse finito in mani estensi.

Una marchesa appartenente a questa famiglia, Chiara Pierotti, nel XIX secolo andò sposa in Piemonte ad Alessandria ai Ponzone Beccaria Incisa. Erano una nobilissima famiglia di origini aleramiche che aveva stretti rapporti sia con i Rege de Gifflenga che con i Negri di Sanfront. E qui entrano in gioco apparentamenti stretti.

Vogliamo chiamarle coincidenze, poi lasciamo al lettore il beneplacito del dubbio.

Alessandro Negri di Sanfront era figlio di Giacinta dei conti Rege de Gifflenga. Originari di Vercelli dove lo storico palazzo è stato recentemente ristrutturato. Inutile dire che Vercelli fu terra aleramica. Qui la madre di Federico II, Costanza d’Altavilla, visse a lungo anche col figlio, futuro Imperatore Federico II. Aveva sì origini normanne ma al contempo aleramiche. Vercelli è sempre stata terra di «frontiera». Qui troviamo sempre una nutrita comunità ebraica.

Casualità ha voluto che una mia zia mi abbia consegnato dopo la morte di mio padre uno stato di famiglia perché chiedevo dei miei nonni di cui non conoscevo molto. E così ho potuto scoprire che il quadrisavolo di mio padre si chiamava Lorenzo, era di Lucca, nato nel 1867 e deceduto nel 1854. Sono andata in rete a cercare. Per racconti sentiti oralmente aveva avuto a che fare con quel mondo giacobino che a Lucca si era particolarmente rinvigorito dopo la calata di Elisa Bonaparte in città. Il dottor Tori, ex direttore dell’Archivio di Stato di Lucca, cita nella sua pubblicazione sulla Lucca giacobina, senza precisare molto, che un Lorenzo Pierotti aveva chiesto in Lucca un sussidio al Direttorio, ottenendolo. Certo i miei studi per la tesi di laurea su Padre Gioacchino Prosperi, invischiato col Duca Borbonico Carlo Ludovico di Borbone-Parma qualche anno dopo in viaggi córsi di predicazioni mai andate a buon fine qualche dubbio me lo avevano lasciato. Peraltro il Duca in Benabbio, dove proprio i cugini di mio padre avevano proprietà, aveva ospitato da documenti d’archivio gli stessi Bonaparte rifugiati mazziniani nel 1834 e 1837, rispettivamente i figli di Luciano Bonaparte con certezza e pare anche il futuro Napoleone III.

A questo punto mi sono posta alcune domande. Perché tanti silenzi? Ho rintracciato le loro lettere alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze e ho pubblicato tutto in rete.[6]

Una lettera di Lorenzo Pierotti è datata 1° gennaio 1815. Lorenzo scrive da Empoli all’Abate Ranieri Zucchelli di Pisa. È suo amico, forse hanno studiato insieme. A ogni modo il contenuto della lettera è preciso. Lorenzo fa da intermediario in Piemonte in quella data col conte Fabrizio Lazzari con una lettera che proviene dalla collezione di Pelagio Palagi, l’architetto canoviano che ha ristrutturato qualche anno dopo tutta Torino, compresa la palazzina di Stupinigi. Perché Lorenzo era così vicino ai patrioti piemontesi che in quel momento tifavano Napoleone Bonaparte, quasi in partenza dall’Isola d’Elba e in comunione col figliastro Eugene che era stato Vicerè a Milano?

Perché il sostegno piemontese è evidente, anche Fabrizio Lazzari è nipote per parte materna di Alessandro Rege de Gifflenga, il più importante Generale Napoleonico del Regno Sabaudo, colto a carteggiare a lungo proprio col Viceré presente a Milano.

Qualcuno potrebbe obiettare che quel Lorenzo non è lo stesso che chiede un sussidio al Direttorio. Anche se si tratta dello stesso periodo storico. Qui sta l’inghippo. Ma io posso tranquillamente sostenere che non potevano essere così tanti i cattolici liberali omonimi in combutta con gli ambienti giacobini. Che il Lorenzo della lettera rintracciata è così vicino a Fabrizio Lazzari al punto da dire all’amico ripetutamente di non preoccuparsi. Perché il suo intervento se non dovesse andare a buon fine verrà ripetuto, non nascondendo sicuramente la sua familiarità col Lazzari. E ho subito pensato, singolarità, i cugini lucchesi del Lorenzo Lucchese si chiamano giusto appunto Lazzari. Come non poterlo pensare?

Ma soprattutto veniamo ai Rege de Gifflenga. Che ritornano nella vita lucchese ripetutamente.

Gli studi che ho condotto spesso riconducono a rapporti stretti dei Pierotti Lucchesi non solo con la Media Vale del Serchio ma anche con la Garfagnana. Non posso dimostrare che la Chiara Pierotti di Castiglione sia in rapporti di parentela con Lorenzo, sicuramente lo è con Ermete Pierotti. Quando questi finisce come ufficiale in Piemonte, frequenta i Negri di Sanfront, frequenta dunque gli stessi ambienti dei Ponzone Incisa Beccaria. Ed Ermete con Castiglione aveva legami.

Tra i congiunti dei Rege de Gifflenga anche Carlo di Pollion, futuro Ammiraglio Persano, figlio di una Rege de Gifflenga. Quando Ermete fuggì da Genova nel 1849, il Persano era lì di stanza. Fuga peraltro come ho potuto descrivere del tutto rocambolesca. Il Pollion si fece poi processare qualche anno dopo per le questioni di Lissa una prima volta proprio a Lucca, e qui venne in prima istanza assolto. Vogliamo chiamarla coincidenza? La richiesta di farsi processare qui partì dal Persano. I cugini Pierotti di Ermete dopo i moti di Pieve Fosciana del 1834 si rifugiarono nel 1840 dal Duca Borbonico Carlo Ludovico in Lucca insieme al figlio di Ciro Menotti e alla di lui madre perché qui tramavano con i fratelli Fabrizi loro cugini. Erano accesi mazziniani. Il figlio di Lorenzo, Cesare, fu anche lui un acceso mazziniano. Addirittura fece parte degli Amici del Popolo di Domenico Guerrazzi e nel 1848 rimase invischiato a Firenze in situazioni poco limpide senza mai subire un processo. È deceduto a Sant’Alessio di Lucca nel 1901. Ormai novantaquattrenne.

Chiamiamole coincidenze. I Rege de Gifflenga e i Sanfront famiglie entrambe aleramiche come gli Incisa Ponzone Beccaria. Stesso retroterra culturale. L’amico più caro del personaggio della mia tesi è Gioacchino De Agostini. Visse a lungo in Vercelli nel Risorgimento. Qui ha diretto i più importanti giornali cittadini e viene considerato non a torto l’antesignano del moderno giornalismo piemontese. Anche lui come il personaggio della tesi, Padre Prosperi, dimenticato dal tempo giustiziere e come tale talvolta spietato, per dirla col suo biografo, lo storico Luigi Venturini. Padre Prosperi era in comunione anche parentale con i miei nonni. Stesso ambiente culturale, e di provenienza.

Il nostro Ermete dunque, come Padre Prosperi, non era un cane sciolto. E nemmeno un illustre sconosciuto. Quando nel 1870 condanna il potere temporale dei Papi ed elogia Sua Maestà Vittorio Emanuele II che di fatto lo aveva espulso dall’esercito sabaudo, lo fa con cognizione di causa. Ha abbracciato come i suoi fidi cugini la causa italiana ma non il voltafaccia di chi in Vaticano si era speso per una nuova e più moderna Costituzione della Chiesa. La visione morale e civile di Ermete non è, paradossalmente, molto lontana dalla visione morale e civile del «giansenista» Padre Gioacchino Prosperi.

Ermete finì addirittura nella Comune Parigina dopo il 1870. Parigi era ormai la sua patria elettiva. Dopo aver vissuto dappertutto, dopo gli aiuti ricevuti a Londra dal Reverendo Bonney, membro della Royal Society; dopo aver lavorato per il Pascià in Palestina nella costruzione dell’acquedotto palestinese, da celebre ingegnere idraulico qual era; dopo essersi speso nella scoperta delle fondamenta della biblioteca di Alessandria; dopo aver scandagliato e in maniera adeguata i cunicoli del Tempio; dopo aver servito sempre in Palestina la causa dei Francescani, peraltro suoi vicini di casa a pieve Fosciana (l’abitazione di Pierotti era l’ex Comune con annesso il convento francescano a pochi metri); dopo aver finanziato in Egitto quell’esploratore Miani che una volta non ricevuti più i fondi lo aveva tradito mettendolo in difficoltà. Dopo aver visitato tutta la Grecia e territori ellenici; e aver frequentato forse per la causa ortodossa lo Zar a Pietroburgo,[7] ma con qualche particolare ombra; visse e morì a Parigi e l’Italia era divenuta per lui solo luogo di sporadici rientri. Rileggere le sue carte è un modo per rispolverare vecchie situazioni e forse vecchi rancori.

Magari la questione e il personaggio, apparentemente controversi, in realtà sono più semplice da definire di quanto si possa immaginare. Nella sua pubblicazione del 1866 sul Potere temporale dei Papi al cospetto del tribunale della Verità che ho citato, Ermete Pierotti cita il Cardinale Bartolomeo Pacca e la volontà del Cardinale, deceduto nel 1842 e che riposa nella chiesa romana dei Chierici Regolari Lucchesi, di smantellare il potere temporale dei Papi. Sono gli anni in cui in Inghilterra si forma il Movimento di Oxford e in cui una parte della Chiesa voleva riscrivere una pagina nuova sia liturgica che politica.

Queste le testuali parole del dottor Ermete Pierotti: «Uno dei più energici difensori della Santa Sede, cioè il Segretario di Stato di Pio VI, il cardinale Pacca, il medesimo che nel 1807 redigette la bolla di scomunica contro Napoleone I, scriverà che i Papi, sbarazzati dal pesante impaccio del principato temporale, il quale li obbliga ben spesso a sacrificare una gran parte di tempo prezioso a degli affari mondani, potrebbero rivolgere tutti i loro pensieri al governo spirituale della Chiesa, permettendo di fatto la creazione di un clero non tentato dai beni materiali».

Queste frasi sono di fatto contenute anche nel libro dello storico Luigi Venturini nel 1926, quando ci presenta la singolare figura di un religioso lucchese, Padre Gioacchino Prosperi, anche lui rosminiano e cattolico liberale, di cui mi sono a lungo occupata[8] che sostiene velatamente le stesse frasi del dottor Ermete Pierotti, come ho potuto pubblicamente definire.

Semplicemente nel 1866 i giochi non erano ancora definitivamente fatti. Solo il 1870 segnerà la «debacle» per una Chiesa più «laica» e non più legata all’antico regime.

Ermete ne è cosciente e sta alacremente lavorando per questo. Come suo cugino Giuseppe, lo scultore e pittore di Castelnuovo Garfagnana che in quel periodo aveva a Oxford scolpito il busto marmoreo di una figura inglese essenziale, che aveva visto in suo nipote Lord Henry Holland la massima espressione di una collaborazione fattuale e attiva sia con i Bonaparte che con le forze cattolico liberali: Sir Charles Fox, zio dello stesso Holland.

La riprova di quanto asserisco sta nei rapporti tra lo stesso Cardinale Bartolomeo Pacca e un’altra figura essenziale nelle dinamiche politiche e della Chiesa dei primi anni del XIX secolo: il Cardinale Giovanni Battista Caprara Montecuccoli di Bologna, deceduto nel 1810, che aveva rappresentato per Canova e Napoleone una valvola di sfogo importante, una visione della Chiesa quasi «giansenista», capace di ridare lustro a uno spazio più religioso che politico al Vaticano. Una comunione che probabilmente veniva da lontano. Bartolomeo Pacca di madre faceva Malaspina, la dinastia medievale lunigianese che aveva legami profondi con la terra garfagnina da cui Ermete proveniva.

Ma andrei oltre e passerei al Caprara Montecuccoli. Ci ricorda da vicino il Montecuccoli del Frignano che nel Seicento era stato a servizio del Duca d’Este e che in Garfagnana perciò aveva operato. Una recente pubblicazione di Italo Pierotti sul Segretario personale del Montecuccoli del Seicento vede nell’Abate Giovanni Pierelli di Trassilico intorno al 1630 un uomo di grande ingegno, con una cultura vastissima, entrato nelle grazie di Raimondo Montecuccoli, a sua volta a servizio degli Este.[9] Dobbiamo spingerci a credere quanto asserisce Monsignor Silvano Razzi, sempre a inizio Seiciento, un Padre Camaldolese presente alla Corte degli Estensi a Ferrara e che ricordava la comunione tra Matilde di Canossa e i Soffredinghi originari delle terre garfagnine e della Lucchesia, nella sua pubblicazione sulla Vita di Matilde di quel periodo?

Non possiamo confutarlo, sta di fatto che il linguaggio di Ermete e dei prelati menzionati non si discosta affatto dagli ambienti, luoghi e situazioni ricordate. Nel Settecento poi lo storico Antonio Muratori di Modena collaborerà a lungo con i Chierici Regolari Lucchesi vicini alla figura dello stesso Padre Prosperi e che col suo fido collaboratore Monsignor Pacchi di Castelnuovo Garfagnana, sepolto nella chiesa dei Chierici Regolari Lucchesi, definisce nel medesimo modo. Pacchi nelle sue Dissertazioni ripete quasi in modo certosino quanto anche Ermete scrive nel testo citato.

Fino sicuramente al 1850 e, stando alle parole di Ermete Pierotti, anche ben oltre, si poterono contemplare diverse soluzioni della situazione politica italiana. Situazioni che non furono più contemplate una volta che tra Stato e Chiesa salì un muro insormontabile. Da definire ancora smussando i luoghi comuni.

Note

1 www.storico.org, articoli di Elena Pierotti su Matilde e sul Bec.

2 Sempre articoli su www.storico.org ma anche la pubblicazione su Michele Parma del Dottor Giulio Quirico, vedere in appendice le note che ho rilasciato su Carlo Ludovico, Edizione Ladolfi Novara 2020.

3 Risorgimento in Penombra, Elena Pierotti, A Viva Voce.

4 Terza campagna del 1848 da Storia dell’Arma del genio, volume I, Biblioteca Militare.

5 Miei articoli comparsi su www.storico.org, A viva voce, Il sud on line.

6 www.storico.org, A Viva voce e Il sud On line. Rintracciabili le pubblicazioni alla voce «Elena Pierotti».

7 Ermete progettò la cattedrale ortodossa di Alessandria d’Egitto.

8 Luigi Venturini, Di Gioacchino Prosperi e del suo libro sulla Corsica, Milano, Edizioni Thyrrenia 1926, e ancora Gioacchino Prosperi, La Corsica e i miei viaggi in quell’Isola, Fabiani Bastia, 1844. Elena Pierotti, Padre Gioacchino Prosperi. Dalle Amicizie Cristiane ai Valori Rosminiani, Università di Pisa A.A. 2009-2010.

9 Italo Pierotti, Un Garfagnino alla Corte dell’Imperatore, Edizioni Effegi 2016.

(marzo 2023)

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