Il Risorgimento e il Neoguelfismo
Il pensiero cattolico contribuì per un certo periodo a mobilitare gli animi verso un’Italia indipendente

Il Risorgimento Italiano, conclusosi con la costituzione di un’Italia unita sotto la sovranità di Vittorio Emanuele II, generò una forte ondata di anticlericalismo a causa della forte contrapposizione creatasi in quel periodo tra il Regno di Sardegna e lo Stato della Chiesa. Eppure, vi fu in quegli anni, un periodo in cui il pensiero cattolico aveva contribuito a mobilitare le coscienze verso la formazione di uno stato italiano indipendente.

Grande influenza nel promuovere il sentimento nazionale italiano ebbe, per esempio, l’opera pubblicata da Silvio Pellico, Le mie prigioni. Sebbene nel suo libro il rivoluzionario avesse non tanto l’obiettivo di scrivere un libro di manifesto contro l’Austria, ma piuttosto quello di dimostrare ai credenti che Dio non abbandonava i fedeli che rimanevano saldi nelle avversità, il volume tuttavia ebbe l’effetto di scuotere profondamente la coscienza dell’Europa e favorì enormemente la causa dei patrioti italiani. Lo stesso Metternich cercò infatti di fermare la diffusione del libro, arrivando persino a chiedere a Carlo Alberto di punire il censore che aveva autorizzato la pubblicazione e cercando (senza successo) di convincere il Papa a mettere il volume nell’Indice dei libri probiti.[1]

Altro grande contributo venne dal libro dell’Abate Vincenzo Gioberti che pubblicò nel 1843 il Primato morale e civile degli Italiani, nel quale proponeva la formazione di una federazione italiana con a capo il Pontefice. Secondo il pensiero dell’Abate, la grandezza italiana derivava dal fatto che questa fosse la sede del Papato, ed era inoltre convinto che il destino del Paese fosse strettamente legato a quello della Chiesa: «L’Italia e la Santa Sede sono certo due cose distinte ed essenzialmente diverse, e farebbe opera assurda, ed anzi empia e sacrilega chi insieme le confondesse, tuttavia un connubio di diciotto secoli le ha talmente congiunte ed affratellate che se altri può essere Cattolico senza essere Italiano […] non si può essere perfetto Italiano da ogni parte, senza essere Cattolico».[2]

A favorire il movimento nazionale e i sostenitori di un programma «neoguelfista» fu anche l’elezione del Papa Pio IX, la cui politica diede una forte spinta alla concessione di riforme moderatamente liberali in tutta la Penisola attraverso una serie di provvedimenti comprendenti: la liberazione di gran parte dei prigionieri politici che affollavano le carceri pontificie, l’insediamento di comitati consultivi laici, la costituzione di una milizia civile, l’atteggiamento più favorevole nei confronti dell’istruzione popolare, la limitazione della censura sulla stampa e la costruzione di linee ferroviarie e telegrafiche. Il Papa cercò inoltre di convincere Carlo Alberto ad aderire ad una lega doganale italiana.[3]

L’entusiasmo generato dalle politiche di Pio IX raggiunse il culmine in seguito all’occupazione austriaca di Ferrara nel 1847, che suscitò le forti rimostranze della Santa Sede. In quell’occasione, il Pontefice ottenne un’enorme ondata di solidarietà proveniente anche da rivoluzionari tutt’altro che clericali: Giuseppe Mazzini gli scrisse una lettera per sollecitarlo a porsi a guida del movimento nazionale, e persino Giuseppe Garibaldi in quell’occasione inviò una lettera all’internunzio apostolico a Rio de Janeiro, Monsignor Gaetano Bedini, in cui scrisse che poneva le proprie armi a servizio del Papa: «Se dunque ponno queste braccia con qualche uso delle armi riuscire ben accette a Sua Santità, noi volentieri le adopereremo in vantaggio di colui che sì bene serve la Chiesa e la Patria».[4]

Nel 1848 una serie di moti rivoluzionari sconvolse la Penisola Italiana: a gennaio una rivoluzione in Sicilia costrinse Ferdinando di Borbone a concedere una costituzione, imitato successivamente anche dallo Stato Pontificio, dal Gran Ducato di Toscana e dal Regno di Sardegna; e slanci rivoluzionari si ebbero anche in febbraio a Parigi e a marzo a Vienna. Quest’ultima rivoluzione ebbe l’effetto di provocare disordini antiaustriaci a Venezia e Milano e, su richiesta di soccorso da parte di quest’ultima città, Carlo Alberto decise di entrare in guerra contro l’Austria.

Di fronte alla Prima Guerra d’Indipendenza Italiana, il Pontefice assunse un atteggiamento ambivalente: mentre, da un lato, sembrò mostrare simpatia verso l’aspirazione dei popoli italiani, dallaltro non era intenzionato a scendere in guerra a fianco del Piemonte («A tutti è noto come io riconosca naturale nell’uomo il sentimento della nazionalità e come sarei lieto se l’Italia potesse risorgere ed essere indipendente, ma non potrò io cooperarvi per mezzo di una guerra della quale, io se non sono aggredito e non è la Religione in pericolo, debbo essere alieno» dichiarò alla Giunta Municipale Romana). A preoccupare Papa Mastai erano infatti le notizie allarmanti che provenivano da Vienna dove venivano diffusi opuscoli fortemente antiromani, si minacciava uno scisma e si accusava il Pontefice di fornire appoggio ai ribelli.[5]

Con l’allocuzione del 29 aprile del 1848, Pio IX si dichiarò perciò estraneo al conflitto e questo pose definitivamente fine all’idillio con cui era stato acclamato nei mesi successivi alla sua elezione: i sommovimenti popolari nello Stato della Chiesa che chiedevano un nuovo Governo e l’entrata in guerra, si spinsero fino all’assassinio del Primo Ministro Pellegrino Rossi e poco tempo dopo il Papa decise di fuggire a Gaeta. La partenza del Pontefice diede origine alla breve esperienza della Repubblica Romana del 1849, contro la quale il Papa auspicò l’intervento militare degli eserciti dell’Austria, della Spagna, di Napoli e della Francia. Saranno i Francesi a porre fine alla Repubblica e a riportare Pio IX sul trono, ponendo definitivamente fine al mito del «Papa liberale».

Questo mito era, in realtà, fondato su diversi equivoci. Il Pontefice, pur avendo effettuato delle riforme moderatamente liberali, non era tuttavia intenzionato a cancellare l’assetto politico dello Stato della Chiesa. Né Pio IX comprese che il ruolo di capo di uno stato potesse essere in contrasto con quello di «Padre comune di tutti i fedeli», e che il potere temporale potesse costituire un intralcio alla missione cristiana. A partire dal 1849, il processo risorgimentale assunse quindi tratti sempre più anticlericali e il Papato venne percepito come un ostacolo all’Unità d’Italia. Tuttavia, è importante notare che, se non mancò l’intenzione di taluni patrioti di effettuare una riforma religiosa per sostituire il Cattolicesimo, la maggior parte degli esponenti politici risorgimentali cercherà, anche dopo l’occupazione dello Stato Pontificio, di trovare un accordo con la Chiesa, cosciente dell’importante peso che questa aveva nel Paese. Fatto che forse in qualche modo conferma quello che scrisse Gioberti che «il Risorgimento Italiano andrà innanzi anche senza il Papa; e anche senza il Papa non lascerà di essere cattolico».


Note

1 Confronta Denis Mack Smith, Il Risorgimento Italiano, Roma-Bari 1999, pagine 74-75.

2 Citato in Giorgio Rumi, Gioberti, Bologna 1999, pagina 28.

3 Confronta Denis Mack Smith, Il Risorgimento Italiano, Roma-Bari 1999, pagine 165-166.

4 Può sembrare paradossale il fatto che Garibaldi possa aver scritto una lettera piena di deferenza verso il Pontefice visto i suoi successivi giudizi anticlericali dove giunse a definire Pio IX «metro cubo di letame» e il clero «atroce nemico del genere umano». La ragione sta nel fatto che l’«Eroe dei due mondi», pur di raggiungere l’Unità italiana, si era detto disposto «a servire il Papa, il duca e il demonio, basta che sia Italiano e ci dia del pane». Confronta Andrea Possieri, Garibaldi, Bologna 2010, pagina 119. Fu l’esperienza della Repubblica Romana a contribuire a far diventare Garibaldi un feroce anticlericale poiché aveva constatato l’avversione del clero, in maggioranza fedele al Papa, e quindi simpatizzante dei Francesi e degli Austriaci che avevano riportato sul trono il Pontefice. Confronta Alfonso Scirocco, Garibaldi, Roma-Bari 2001, pagina 190. Atteggiamenti di deferenza verso la Chiesa furono, tuttavia, assunti da Garibaldi anche durante la «Spedizione dei Mille», consapevole che per ottenere il consenso delle popolazioni meridionali avrebbe dovuto mostrare rispetto verso le loro tradizioni religiose.

5 Confronta Andrea Tornielli, Pio IX, Milano 2004, pagine 257-258 e 269.

(giugno 2017)

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