Alle radici dell’Unità nazionale
Antonio Panizzi, uomo d’azione nell’Europa delle Nazioni

Oggi che il continente europeo sta vivendo una crisi di fiducia, mi sono sorpresa a ripensare i padri fondatori dell’Idea moderna d’Europa, a partire dal XIX secolo. L’Idea di Nazione e l’Idea d’Europa anche nel XIX secolo non furono necessariamente incongruenti.

Tra gli Italiani Giuseppe Mazzini parlò di «Giovine Europa» e di «Giovane Italia»; Cavour costruì l’Italia, così come la conosciamo oggi, col preciso intento d’inserirla nel Continente.

Prima di lui Antonio Panizzi, autentico artefice dell’unità nazionale, operò, con la sua influenza culturale ed al tempo stesso politica, da Londra, per un’Italia in Europa.

Egli, divenuto da fuoriuscito un protestante, ebbe modo di mettere lo Stivale, vista l’influente posizione che a Londra riuscì a raggiungere, al centro degli interessi europei, facendosi carico di decisivi rapporti con la nomenclatura britannica. Ciò è quanto mi prefiggo, con questo breve articolo, di definire.

L’illustre storico americano Roland Sarti, uno dei principali studiosi dell’opera di Giuseppe Mazzini, interpellato sull’intreccio esistente tra politica e questione religiosa nel XIX secolo, ha riferito che esistono a Londra molti documenti sui rapporti tra mondo protestante e Risorgimento, ma non d’impronta strettamente politica.[1]

Louis Fagan, direttore del British Museum, che collaborò a lungo con Antonio Panizzi, dopo la morte di quest’ultimo scrisse alcune note biografiche sull’illustre patriota di Reggio Emilia, in cui possiamo tranquillamente rinvenire notizie che promettono, se ben colte, interessanti osservazioni politiche. Se documenti in senso stretto non ci sono, c’è comunque la possibilità di ricostruire una disamina accurata dei singoli legami personali che fecero, questi sì, da collante a molte vicende.

Nello scrivere la breve notizia biografica, Louis Fagan «non ebbe già in animo di raccontare la vita del Panizzi, ma volle soltanto ricordare i fatti principali che lo costrinsero ad abbandonare il suo Paese, e che lo condussero ad occupare in quella grande istituzione, che fu il Museo Britannico, il posto eminente di direttore in capo. […]

Panizzi nacque a Brescello, nel Ducato di Modena, il 16 settembre 1797.[2]

Studiò fino al suo diciassettesimo anno nel Liceo di Reggio, e passò a seguitare i suoi studi nell’Università di Parma. I luoghi della sua infanzia e giovinezza sono il cuore dell’Italia rivoluzionaria. Qui nacque il Tricolore, qui si respirò l’Idea di Nazione. Nel 1818 Panizzi lasciò l’Università dopo aver ottenuta la Laurea in Dottore in Legge; e seguitò, praticamente, a perfezionarsi nei rami superiori della professione legale.

Era quella l’epoca dei fermenti popolari, quando l’amor di patria accendeva […] un desiderio ardente di libertà. Ed Egli non fu tra gli ultimi a prendere parte ai movimenti rivoluzionari promossi dai Carbonari ai quali apparteneva fin da studente.

I tentativi del 1820 a Napoli e del 1821 nel Milanese ed in Piemonte furono violentemente repressi. La parte presa dal Panizzi in quei movimenti, fatta nota alle autorità modenesi dalla imprudente debolezza di uno dei cospiratori, lo costrinse a mettersi prontamente al sicuro. Egli perciò lasciò Brescello e si recò a Cremona per non essere arrestato. In quella città ricevette intimazione di comparire dinanzi al Commissario di Polizia, e fu dall’Uffizio di quel funzionario che egli si salvò, fuggendo rapidamente. Il suo processo fu continuato in contumacia, ed il 6 ottobre 1823 Antonio Panizzi era condannato alla pena di morte ed alla confisca dei beni. Si rifugiò perciò a Lugano. Passò a Ginevra, ma neanche qui fu lasciato tranquillo. I rappresentanti dell’Austria, della Francia e della Sardegna domandarono l’espulsione dal suolo svizzero dei rifugiati politici italiani, fra i quali era il Panizzi. Risolvettero costoro di recarsi in Inghilterra, desiderando passar per la Francia; ma incerti dell’accoglienza che loro sarebbe stata fatta, mandarono un certo signor Aubrey Bezzi come esploratore. Questi fu arrestato e accuratamente perquisito.

Poiché nulla di quanto portava Panizzi era tale da dar sospetto, lo lasciarono libero con ordine di tornare indietro; sicché i profughi suoi compagni decisero di prendere la via del Reno e dei Paesi Bassi, giungendo così in Inghilterra nel maggio del 1823.

Il Panizzi restò a Londra qualche mese e poi si trasferì a Liverpool, ove fu ricevuto con grande amorevolezza e trattato come un figlio dal dottor Shephard, lo scrittore della vita di Poggio Bracciolini, e da William Roscoe, biografo di Leone X, all’uno e all’altro presentato dal suo amico Ugo Foscolo. Visse il Panizzi quasi cinque anni in Liverpool, accolto con piacere nelle migliori società, insegnando la sua lingua e traendo dalle lezioni di che vivere».[3]

Può lasciare perplessi l’idea che illustri letterati e politici d’oltremanica fossero così prodighi di cure ed attenzioni verso i profughi politici italiani. Solo amore per la nostra cultura e storia? Certamente l’Europa amava in questo senso l’Italia. Ma certamente l’interesse politico non va trascurato. Mettere le mani sul Mediterraneo era ambizione comune. Roma intesa come potere spirituale e temporale insieme, faceva gola ai più, soprattutto nel mondo protestante. Come «avvicinarsi» ad un mondo ostile se non attraverso quei giovani protagonisti delle lettere, arti ed idee che in Europa potevano fare la differenza?

L’idea di modernità imperversava. Per modernità s’intendeva la possibilità di cambiare rotta, di fare del continente un pilastro fondato sulle nuove idee economiche e politiche. Le Nazioni presenti e future venivano intese spesso in quest’ottica, ed ogni ceto e contesto sociale doveva fare i conti con l’impellenza delle novità che, quasi come nubi impetuose, si muovevano sul Continente.

«Quando nel 1828 fu fondata sotto gli auspici di Lord Brougham l’Università di Londra, quell’illustre giureconsulto invitò il Panizzi ad insegnarvi Lingua e Letteratura Italiana. Egli, dopo aver esitato qualche tempo, benché dolente di dover lasciare la piacevole società in mezzo alla quale viveva, accettò la cattedra offertagli.

Nel 1831 la protezione di Lord Brougham, allora Lord Cancelliere, non abbandonò il Panizzi, che fu nominato assistente bibliotecario nel dipartimento dei libri stampati nel Museo Britannico. Eccolo dunque in condizione di spiegare pienamente la sua energia e di mostrare, con la scelta degli acquisti bibliografici, la sua profonda conoscenza della materia. La libreria del Museo Britannico era, a quei tempi, in uno stato deplorevolissimo, quantunque ricca di molti volumi, le deficienze in molti rami dello scibile. Nel 1835 e nel 1836 fu nominata dalla Camera dei Comuni una commissione d’inchiesta sullo stato del Museo Britannico. Il Panizzi fu udito come testimone e non lasciò sfuggire tale occasione per esporre liberamente ai Commissari le sue opinioni. Suggerì provvedimenti utilissimi, ed ebbe incarico di visitare nel continente le Biblioteche straniere. Poté perciò raccogliere una grande quantità di fatti che aiutarono assai l’inchiesta, e così in poco tempo, avendo convinto se stesso e gli altri che la Biblioteca del Museo poteva essere assai meglio ordinata, espose le condizioni in cui essa si trovava e quelle in cui avrebbe dovuto invece trovarsi.

Quest’inchiesta generò radicali cambiamenti nel sistema di direzione, e fu il primo passo ai fondamentali mutamenti che dovevano poi aver luogo nella grande istituzione, e che lo condussero al suo maggiore svolgimento. Era necessario un uomo giovane ed energico alla testa del dipartimento dei libri a stampa, e quando il signor Baber, l’antico bibliotecario, nel giugno 1837 rassegnò le sue dimissioni, il Panizzi fu destinato a succedergli. In tale ufficio trovò campo ampissimo a spiegare la sua energica volontà. I libri stampati furono tolti da Montague House e portati in una nuova libreria al pianterreno dell’ala Nord, nelle nuove costruzioni; i molti cataloghi del suo ufficio, ordinati in epoche anteriori su metodi diversi, furono riveduti ed unificati su di un metodo generale, e la libreria fu ampliata e ordinata in proporzioni assai più vaste di prima. Il servizio della sala di lettura fu sottoposto a revisione nel duplice scopo di rimuovere i libri più letti e di aumentare la riserva della collezione».[4]

Antonio Panizzi, in questa sua instancabile corsa a ricostruire la Biblioteca londinese, in realtà si fece paladino, per l’Europa, degli stessi principi politici che la Londra del tempo caldeggiava. Londra era frequentata da eminenti personalità di tutto il continente, compresi Sovrani Europei d’Antico Regime. Tra questi il singolare Duca Lucchese Carlo Ludovico di Borbone, amante dell’arte e delle lettere, paladino lui stesso di un rinnovamento spirituale in senso protestante e soprattutto cultore di un nuovo modo d’intendere le Nazioni, senza tuttavia mai mostrarsi davvero capace di «ribellarsi» al sistema.

Con lui il Panizzi divenne amico al punto da promettergli nel 1839 di raggiungere la città di Lucca per riordinargli la biblioteca. Dove era finita la straordinaria opposizione dei Paesi Europei d’Antico Regime, come ad esempio il Piemonte, se Carlo Alberto lasciò a Panizzi in quell’occasione un lasciapassare britannico per permettergli in incognito di visitare Torino e tutto il Nord d’Italia? Questo compare nelle lettere.[5]

Era divenuto Panizzi così innocuo? Niente affatto. Anche perché il governatore di Genova, contrario evidentemente alle «progressiste idee» di Carlo Alberto, «progressiste solo in privato», fece arrestare Antonio Panizzi una volta che questi raggiunse Genova, dopo aver visitato indisturbato Torino. Quanti erano i Re Piemontesi? – si chiese Giuseppe Mazzini, in una lettera alla madre. – Uno oppure due?

Antonio Panizzi evidentemente non si aspettava questa poco calorosa accoglienza in Genova e la sua «imprudenza» fu in realtà unicamente sinonimo di fratture politiche dentro lo Stato Sabaudo. Raggiunse perciò in quella circostanza in tutta fretta Londra, abbandonando definitivamente in senso fisico l’Italia, senza volersi più muovere per il futuro dal Museo Britannico. Il viaggio che Panizzi per l’occasione avrebbe voluto intraprendere nello Stivale, complessivamente ci appare molto articolato. Doveva infatti visitare non solo Lucca ma Reggio Emilia, allora territorio in pieno clima rivoluzionario. Il che fa supporre che le sue ambizioni letterarie volessero in qualche modo ripercorrere quelle politiche. Se entriamo nel merito delle corrispondenze di Panizzi con i più importanti patrioti, ricercati dalle polizie del Continente, ci accorgiamo che le velleità letterarie di Panizzi nascosero proposte politiche.

«Nel 1845 Antonio Panizzi presentò ai Trustees (direttori) un rapporto nel quale erano additate le grandi deficienze della Biblioteca Britannica. Questo rapporto esaminato ed approvato dai Trustees fu, nel dicembre dello stesso anno, presentato ai Lords del Tesoro ed alla Camera dei Comuni, che ne ordinò la stampa con decisione del 27 marzo 1846. Il rapporto del Panizzi portò i suoi effetti: ed una somma di 10.000 sterline fu stanziata nel bilancio per l’acquisto di libri a stampa. In tal modo le lacune poterono essere colmate. Dopo due anni, la condizione delle pubbliche finanze non permise di mantenere intera la cifra stanziata, e per conseguenza fu ridotta; ma la riduzione sarebbe avvenuta anche senza questa causa, giacché la mancanza di spazio impediva nuovi acquisti. Però nel 1856, quando il Panizzi divenne bibliotecario in capo, la somma fu aumentata di nuovo».

La prodigalità britannica nei suoi confronti non venne mai meno. Panizzi fu stimato per la sua capacità d’inserirsi nel contesto britannico a pieno titolo, sposandone la causa, ma nel contempo per il suo voler fare del Museo il trampolino di lancio verso il Paese di origine, così travagliato politicamente. La madre di Giuseppe Mazzini, Maria, nelle lettere al figlio, taccia Panizzi di servilismo verso il mondo britannico. Si trattò in effetti di una presa d’atto da parte del patriota emiliano del nuovo corso europeo, con lungimiranza e concretezza. Mazzini non ottenne le stesse attenzioni perché non volle mai piegarsi ai suoi ideali repubblicani e di libertà senza condizioni. In questo i due uomini, che pure collaborarono, furono molto distanti. In questo Panizzi si avvicina al realismo di Cavour. Ma Panizzi non lavorò per il Piemonte, bensì per i patrioti di tutto lo Stivale. Le sue corrispondenze ne fanno fede. Abbracciò la volontà dello Stato Pontificio, almeno fino al 1848, di farsi da portavoce delle nuove istanze di libertà. Proseguì, dopo che i Cattolici liberali persero la leadership, sostenendo Napoleone III. Una sua lettera del 1874, scritta al suo amico d’infanzia Raffaelli a Castelnuovo Garfagnana, lo conferma.[6] Parlò infatti all’amico dei Savoia come degli «intrusi del Quirinale». Il modo «improvvisato» ed «estemporaneo» in cui le vicende italiane si svolsero nel 1860 lo esposero certamente a pubblico ludibrio, vista la sua intermediazione datata con Londra e la indubitabile franchezza. Non doveva aver avuto sempre vita facile a Londra, soprattutto agli inizi. La fiducia aveva dovuto meritarsela, a caro prezzo, come tutti i fuoriusciti come lui.

«Gli sforzi del Panizzi» – scrisse infatti Louis Fagan – «non furono applauditi da coloro ai quali maggiormente tendeva a fare onore. [Anche in ambito accademico] il fatto della revisione ed ordinamento degli antichi cataloghi fu molto discusso; alcuni dicevano essere meglio lasciar le cose com’erano; altri si opponevano al disegno col quale era stato stabilito di pubblicare il nuovo catalogo; altri non volevano che si comprassero libri oltre quelli che esistevano; e quelli poi che non sapevano nulla di nulla, più ostinatamente di tutti si opponevano a tutto. Era naturale che da un tale attrito di opinioni nascesse qualche cosa, e ne nacque infatti una commissione d’inchiesta, creata dalla Camera dei Comuni, per verificare le condizioni ed il servizio del Museo Britannico. La commissione si riunì la prima volta il 10 di luglio del 1847. Il Panizzi non si lasciò sfuggire l’occasione per sfidare chiunque disapprovasse il suo modo di amministrare gli affari del Dipartimento a lui affidato; anzi, davanti ai Commissari, con le sue chiare giustificazioni, seppe prevenire le accuse. La sfida fu pienamente accettata dai suoi avversari, e il Panizzi ebbe tutto l’agio, durante diciotto giorni di esame, di spiegare ogni sua ragione, di giustificare ogni suo atto, con piena soddisfazione dei Commissari. E questi non furono i soli a dichiararsi appagati, ma il pubblico tutto; tanto che i nemici del Panizzi, pieni di confusione, non osarono più, da quel tempo, profferir verbo sul conto suo». Ma in Italia accadde lo stesso? Nel Parlamento Subalpino per le forze politiche che sostennero l’opera di Cavour, tutta improntata a fare, in un primo momento, del Piemonte il baricentro della politica nello Stivale, un personaggio come Antonio Panizzi dovette sicuramente rappresentare una figura scomoda. Ed il percorso accidentato successivo agli accordi di Plombieres, cui ho fatto cenno, non migliorò affatto la situazione. Nonostante ciò Vittorio Emanuele II, nel 1869, non potette esimersi dal nominare Antonio Panizzi senatore «ad honorem» del Regno. Ciò a conferma del ruolo decisivo che egli ricoprì nelle vicende d’Italia.

Ai tempi della sua meritoria opera al British, «quando il bisogno di spazio per la collezione si fece ogni giorno più evidente; e dopo che vari progetti furono presentati e rigettati, ne fu adottato uno proposto proprio dal Panizzi. Egli proponeva la costruzione della nuova sala di lettura, circondata dalle librerie, nel quadrilatero del Museo Britannico».[7]

Sempre pronto dunque alle sfide che solo in superficie erano culturali, ma investivano in realtà una sua indubitabile influenza politica. Non poteva lasciarsi sfuggire lo scettro di nume tutelare della questione italiana. La descrizione della sua particolare personalità, proposta dal Fagan, ben sottolinea quest’aspetto: «Nel maggio 1857 l’opera era compiuta. Il successo fu maggiore di quello preveduto e desiderato. Il busto di Antonio Panizzi, eseguito dal Marrocchetti, fu collocato all’ingresso di quella immensa sala di lettura che poteva contenere 302 lettori, come memoria grata del Dipartimento dei libri stampati. Il 6 marzo 1856 Panizzi fu nominato direttore generale del Museo Britannico. La stessa energia e la stessa abilità, che lo avevano accompagnato in tutti i suoi precedenti impieghi, non lo abbandonarono neanche in questo. Nel luglio 1866 lasciò il Museo Britannico, ed il 27 dello stesso mese vi fu discussione in Parlamento sulla sua dimissione. Il signor Disraeli, ora Lord Beaconsfield, parlò con lode del Panizzi, in seguito a che questa deliberazione fu adottata: “Considerati i lunghi e valevoli servigi resi dal signor Panizzi, non solo per i suoi assidui lavori come bibliotecario in capo, ma anche come architetto della nuova sala di lettura, i Trustees raccomandano che gli sia concesso il riposo con tutto lo stipendio (1.400 sterline) avendo egli adempiuto per trentaquattro anni ai suoi doveri”.

Il Lord Cancelliere con queste parole celebrò il letterato ed il politico, l’uomo di lettere e l’uomo di Stato.[8] Non a caso il 27 luglio 1869 il suo nome fu iscritto come Sir Anthony Panizzi K.C.B.,[9] onore che a nessun Italiano spettò prima di lui. Questa è stata la sua carriera ufficiale.

Antonio Panizzi morì in casa propria, a Londra 31 Bloonsbury Square, l’8 di aprile 1879. Il Panizzi era uomo inflessibile riguardo alla disciplina ma anche gentile coi suoi subordinati. L’Italia può essere fiera di questo suo figlio. Egli non la dimenticò mai, ed anzi non poco contribuì ai sentimenti benevoli dell’Inghilterra verso la sua Patria. Il Re d’Italia Vittorio Emanuele II, quando era principe di Piemonte, recatosi a Londra, volle vederlo e lo fece invitare a recarsi da lui. L’Imperatore dei Francesi Napoleone III lo visitava spesso ed anche se negli ultimi anni Panizzi vivesse molto a sé, pure non fu mai abbandonato dai suoi grandi e potenti amici. Il signor Gladstone, che fu molto afflitto dalla sua morte, era stato chiamato presso di lui il venerdì prima che morisse. La sua corrispondenza mostrerà assai meglio di quel che io abbia saputo fare in quale stima fu tenuto il Panizzi dai suoi amici, ed il posto importante che quest’uomo ha meritatamente occupato nel nostro secolo».[10]

Panizzi da un documento del 1874 da me rintracciato nell’Archivio di Stato di Lucca ed indirizzato al dottor Raffaelli di Castelnuovo Garfagnana, di cui fu compagno di studi in gioventù, risultava afflitto da ciò che era accaduto in quel 1870. Chiamò i Savoia «intrusi del Quirinale», forse perché la Questione Romana lo aveva profondamente avvilito e coinvolto. Lui che aveva cercato in ogni modo per l’Italia un reale inserimento in Europa. Lui che aveva visto, magari non con totale lungimiranza, in Napoleone III un possibile «riscatto» italico. Egli aveva dovuto sopportare l’umiliazione di una rocambolesca Unità compromissoria, foriera, e lo sappiamo oggi più di ieri, di spiacevoli conseguenze. I Napoleonidi non rappresentarono una reale possibilità di riscatto per la Penisola come avrebbe voluto Panizzi. E se Giovanni Gentile in «Archivio di Corsica»[11] sostenne che avrebbe lui stesso, rintracciando le lettere di Nicola Cattaneo dei Cattaneo di Corsica[12], cugini dell’Imperatore, riscritto la storia del nostro Paese, allora l’amarezza di Panizzi si fa sempre più comprensibile. Dov’era quel Vaticano «progressista» che voleva osare, forse solo a parole? Ma soprattutto dov’erano quegli Italiani che dell’Unità avevano fatto una bandiera senza avere la forza e la coerenza necessarie per sostenerla? Dobbiamo ripensare Antonio Panizzi, io credo, nel bene e nel male. Un «laico» divenuto di fatto protestante ma col cuore rivolto alla «tradizione cattolica». Un ringraziamento particolare mi sento al riguardo di poter fare al dottor Roberto Marcuccio, responsabile del Centro Panizzi di Reggio Emilia, per la sua generosa disponibilità accordatami durante le ricerche che ho intrapreso sul «valoroso»[13] patriota emiliano.


Note

1 Ho interpellato l’illustre professore via e-mail ed egli ha gentilmente definito le sue perplessità sulla difficoltà a gestire il grande patrimonio complessivo delle lettere e/o corrispondenze.

2 Modena faceva parte allora della Repubblica Cisalpina.

3 Louis Fagan, Lettere ad Antonio Panizzi…, Londra 1979.

4 Ibidem.

5 Ivi.

6 Archivio di Stato di Lucca, Fondo Cerù, rif. Raffaelli.

7 Il 5 maggio 1852 questo progetto fu presentato ai Trustees, ed approvato dopo lunga discussione e ripetuti esami. Nel maggio del 1854 fu dato principio alle fondamenta; nel settembre dello stesso anno si poneva la prima pietra; il percorso di Panizzi fu dunque particolarmente accidentato, anche se andò a buon fine.

8 Rimando ad una successiva pubblicazione del Fagan sul ruolo politico di Panizzi, che ben evidenzia un percorso solo in apparenza «sotterraneo».

9 Ossia Knight Commander of the Bath, Commendatore dell’Ordine del Regno.

10 Londra, 25 agosto 1879, Louis Fagan.

11 «Archivio di Corsica», rivista cessata nel 1926.

12 Deceduto in Sant’Alessio di Lucca nel 1875.

13 Antonio Panizzi. Là dove il valore si misura attraverso l’impegno e la determinazione che lo contraddistinsero.

(aprile 2014)

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