Un Primo Risorgimento da riscrivere
Giovanni Gentile in «Archivio di Corsica»: «Se avessi ritrovato le carte di Nicola Cattaneo avrei riscritto la storia d’Italia»

In «Archivio di Corsica», anno 1932, possiamo leggere che Giovanni Gentile ebbe a dire che se avesse ritrovato le carte di Nicola Cattaneo dei Cattaneo di Corsica avrebbe riscritto la storia d’Italia. La rivista «Archivio di Corsica» era diretta da Gioacchino Volpe e posso confermare che Giovanni Gentile scrisse una verità storica incontrovertibile. Qui racconterò chi furono i Cattaneo di Corsica, il loro ruolo e soprattutto quelle che furono le vicende dei loro amici, costretti all’oblio dalla «storiografia dei vincitori».

Sono andata all’Archivio di Stato di Lucca a cercare il fascicolo che è rimasto della famiglia Cattaneo. Poche scarne notizie. Ho appreso che Nicola Cattaneo è morto a Sant’Alessio di Lucca nel 1884, evidentemente per qualche sua ragione amò molto la città. Era lontano cugino dei Bonaparte. Entrò a far parte dell’armata di Re Gioacchino Murat, di cui ho scritto recentemente.[1]

Un uomo, lui e la sua famiglia, legato inesorabilmente ai napoleonidi durante tutto il XIX secolo. Un soldato, come gli altri membri della sua famiglia. Mi sono occupata di lui perché il personaggio della mia tesi, il conte lucchese Padre Gioacchino Prosperi, fu predicatore errante in Corsica in quegli anni grazie alla trasferta missionaria che gli offrì il Duca Carlo Ludovico di Borbone; e divenne egli stesso un seguace del partito bonapartista córso, in auge allora, come appare palesemente dalle carte.[2] Ho ben ampiamente descritto come il Duca Carlo Ludovico con Carlo Alberto di Savoia e alcuni esponenti della Chiesa Romana fosse coinvolto in moti insurrezionali dentro e fuori d’Italia, non andati a buon fine.[3]

Il Dottor Walter Caligiuri nel 2011 ha provato a rispolverare una polemica filosofica – quella tra Pasquale Galluppi e Antonio Rosmini – a lungo dimenticata. Egli ci ricorda che «dopo la grande stagione idealistica e neorealistica tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, gli studi e le ricerche intorno alla filosofia italiana del Risorgimento, a opera di Betrando Spaventa e Giovanni Gentile, l’attenzione nei confronti dei rapporti tra le filosofie di Galluppi e Rosmini, sia andata sempre più affievolendosi nel corso del tempo… Dall’esame congiunto dell’epistolario e degli scritti dei due autori esce un’immagine rinnovata dei rapporti tra i due grandi pensatori, un’immagine che si rischiara grazie a una chiave interpretativa che vuole insistere non tanto, come è accaduto prevalentemente sia nella storiografia idealistica che anti-idealistica, sui punti di rottura tra Galluppi e Rosmini, quanto su quegli elementi di continuità capaci di restituirne la figura e l’opera a quel comune orizzonte filosofico-culturale di ispirazione romantica cui, attraverso la mediazione del momento spiritualistico e cattolico, le due categorie di “tradizione” e di “modernità” tendono a una superiore sintesi e a una pacifica coordinazione».[4]

Proverò a ripartire da questo assunto per chiarire tali rapporti sul piano politico.

Bastia, Corsica, 1830. Niccolò Tommaseo e Salvatore Viale sono presenti sull’Isola Bella e auspicano, sulla scia sia della filosofia rosminiana, che di Pasquale Galluppi, un nutrito dibattito circa la questione italiana per la liberazione dallo straniero in un’ottica federale, con la possibilità che la Chiesa si facesse garante di un «Santo Regno Italico». L’ufficialità li vuole alle prese con la lingua e letteratura córsa, considerata parte integrante di un possibile Stato Federale Italiano che dovrebbe formarsi, con tutta probabilità sotto l’egida papale.

A Torino in quegli anni viveva un religioso lucchese, il conte Padre Gioacchino Prosperi, che da Padre Gesuita in terra piemontese, amico dei d’Azeglio e vicino a Casa Savoia, insegnava nei principali convitti-collegi gesuitici piemontesi, tra i quali quello di Novara, qui intorno al 1822. Nel 1826 il Padre Gesuita uscì dall’Ordine per sopravvenuti scontri col Generale Fortis, divenendo un Padre Francescano. E da Padre Francescano abbracciando la filosofia rosminiana.

Un documento su tutti, che il religioso lucchese ha lasciato all’Archivio di Stato di Lucca, chiarisce la questione. Siamo nel 1846 e Padre Prosperi ormai è «agente» del Duca Borbonico Carlo Ludovico di Borbone, Sovrano del suo Stato di nascita, Lucca; seguace, Padre Prosperi, del partito bonapartista córso, come si evince dalle sue lettere,[5] sta ad Ajaccio, sul sagrato della chiesa di San Rocco, e da predicatore errante come ufficialmente si definisce, arringa un discorso «a pro di quei patrioti che il laicismo italo-sardo li armò? Finalmente». Siamo nel marzo del 1846 e i patrioti polacchi si sono mossi nella loro terra, evidentemente, a detta di Padre Prosperi, ricevendo aiuti dal Regno di Sardegna.

Nel documento, dove Prosperi è definito un fra’ massone, «il muratore Prosperi stette in Corsica nove anni a pro di quei patrioti che il laicismo italo-sardo armò finalmente». Auspicava la formazione di un Santo Regno Italico. Il laicismo italo-sardo viene definito «ancora fastidiosamente vantaggioso». Padre Prosperi è un Padre Rosminiano, seguace cioè della filosofia di Antonio Rosmini, e dunque certamente non ama il «laicismo italo-sardo», pur collaborando con esponenti di quella formazione politica.

Tutte le sue pubblicazioni in patria e fuori tendono a confermarlo. Ma il riferimento più interessante del documento riguarda Pasquale Galluppi e dunque i rapporti del filosofo, di fatto, con la filosofia rosminiana che Padre Prosperi professa. Il 29 marzo 1846 sul sagrato della chiesa di San Rocco ad Ajaccio Padre Prosperi sostenne dunque e incoraggiò i patrioti ivi convenuti, che avevano appena ricevuto la cattiva notizia dell’occupazione di Cracovia da parte delle truppe austriache.[6]

Prosperi nel documento sembra dichiarare (è in terza persona ma la grafia e il linguaggio sono suoi) che i patrioti attendono rinforzi da Parigi e dal Nord Africa. Qui egli è generico; il partito bonapartista córso, cui con ogni evidenza aderisce, appare molto nutrito sull’Isola Bella; quindi è difficile poter stabilire se quei patrioti il 29 marzo 1846 stessero preparando una vera e propria sommossa, in loco.

Ciò che è certo è che il particolare documento del 1846, che il religioso Padre Prosperi ci ha lasciato sulle sue «fatiche missionarie córse», mette in ombra sia il suo ritratto di semplice predicatore che di «sacerdote rivoluzionario», con cui rispettivamente sostenitori e denigratori lo hanno dipinto. Redatto con una grafia frettolosa,[7] a un’attenta e puntigliosa lettura ci offre l’opportunità di riflettere su scenari inconsueti delle vicende del nostro primo Risorgimento. Possiamo dunque leggere nel documento che il 29 marzo 1846 Padre Prosperi si trovava ancora ad Ajaccio «animato dal Pio Legislatore di Nicotera [Pasquale Galluppi] con la patente di efficace abaro, a colmare lo stato di tristezza di tutti i cuori sugli avvenimenti dell’infelice Polonia dei primi di marzo di quell’anno». Il riferimento a Pasquale Galluppi non è casuale: il filosofo che introdusse in Italia la filosofia kantiana fu vicino sia a Vincenzo Gioberti che ad Antonio Rosmini, e legato, per la sua profonda fede, ai redentoristi di Sant’Alfonso de’ Liguori. È proprio Sant’Alfonso, che Prosperi cita nei suoi scritti, ad aver ispirato il Venerabile Pio Brunone Lanteri, cofondatore di quell’Amicizia Cristiana di Torino con Cesare d’Azeglio, di cui Prosperi fece parte da Padre Gesuita.

Alcune frasi successive del documento ci lasciano interdetti, rovesciando quelli che sono i parametri delle nostre abituali conoscenze storiche del periodo. A questo, io credo, Gentile intenda riferirsi parlando di Nicola Cattaneo. Prosegue infatti il documento: «Noi non ci poniamo qui a discorrere delle infamità delle nostre antiche vicissitudini [il noi è riferito ai patrioti córsi] ma i Córsi non sognano e dimenticano che il Regale Ciuffo [Napoleone I] fu intimo amico del Paoli e che i Padri Muratori [Prosperi in quel momento è un Padre Francescano, come ho rinvenuto[8]] sono stati i testimoni degli ultimi gemiti dell’Aquila Imperiale. Sembra che Napoleone abbia quasi lasciato un testamento politico. Il Muratore Prosperi lì ci stette nove anni per manifestare con più luminosità il Vangelo, calice di amore, di speranze, di libertà contro le tenebre dell’errore, della schiavitù, della morte e in un momento di Resurrezione! Ha egli pronunciato quei discorsi a pro di quei sacerdoti polacchi atleti di una religione che il laicismo italo-sardo, ancora fastidiosamente vantaggioso, li armò, finalmente!». Un Padre Prosperi che col collega piemontese Padre Gioacchino De Agostini, a cui indirizza le sue lettere córse e che fu suo collega nei collegi-convitti piemontesi, quale Padre Massone e animato dal Pio Legislatore di Nicotera, lui che è palesemente dalle carte un Padre Rosminiano (pensiamo a quanto scrisse sul Galluppi Giovanni Gentile), sottoscrive l’aiuto materiale degli ambienti laici e liberali del Regno di Sardegna ai moti insurrezionali polacchi del periodo; ammiratore per giunta dell’Aquila Imperiale, cioè collegato agli ambienti bonapartisti isolani, ancora eminentemente liberali! Carlo Alberto di Savoia e il Duca lucchese Carlo Ludovico di Borbone-Parma, che ha incaricato Padre Prosperi della trasferta missionaria córsa, sembrerebbero in qualche modo coinvolti nei richiami del Prosperi e dell’amico Gioacchino De Agostini!

Prosegue il documento: «Noi siamo lieti di annunciare una sottoscrizione ad agosto della nostra città [Ajaccio] a favore dei Muratori, e andiamo sperando che un vasto e più esteso movimento sia iniziato in tutta la Corsica!». Al suo interno si fa riferimento alla nascita di un «Santo Regno Italiano», con ogni probabilità regionalistico, e alcune lettere presenti all’Archivio di Stato di Lucca, lettere del 1838, fotografano questo quadro storico.[9]

Tra i suoi allievi piemontesi Padre Prosperi annoverava quasi sicuramente il filosofo rosminiano Michele Parma. Conosciuto nel collegio-convitto gesuita di Novara dove rinveniamo Prosperi nei primi anni venti del XIX secolo in qualità di docente, come si evince dai suoi carteggi. Del resto Padre Prosperi scrisse che i suoi legami con gli ex allievi, soprattutto piemontesi, rimase costante e fecondo per tutta la sua lunga vita (morì nel 1873).

Una recente pubblicazione[10] descrive in modo dettagliato e scientifico i legami intercorsi tra il filosofo Parma e Antonio Rosmini. E ancora tra lo stesso e alcuni personaggi lombardi e piemontesi che furono essenziali nelle dinamiche politiche del tempo.

Michele Parma frequentò Silvio Pellico. Silvio Pellico pubblicò negli anni Trenta del XIX secolo in Torino con l’editore Paolo De Agostini, fratello di Padre Gioacchino de Agostini, l’amico fraterno di Padre Prosperi. Paolo De Agostini aveva la sua tipografia in Torino, in Via della Zecca, oggi Via Giuseppe Verdi.[11] Michele Parma aveva rapporti con Alessandro Manzoni e il suo entourage.[12] Padre Prosperi cita sempre nelle sue lettere Alessandro Manzoni e gli ambienti a lui vicini. Michele Parma frequentò Don Giulio Ratti, il prevosto di San Fedele a Milano, amico e confessore di Alessandro Manzoni. Ci sono lettere intercorse tra Padre Gioacchino De Agostini e Don Giulio Ratti, che era un Padre Francescano. Come suo cugino Mastai Ferretti, il futuro Papa Pio IX.[13] E come Padre Prosperi.

Altra frequentazione di Michele Parma fu Niccolò Tommaseo. Il Tommaseo è citato da Padre Prosperi assieme a Salvatore Viale nelle sue carte.

Tutto riconduce in quegli anni all’Università Ionica fondata in Corfù da Lord Guilford ai primi dell’Ottocento. Lord Guilford aveva offerto una cattedra a Giandomenico Romagnosi presso la sua Università Ellenica, ma questi non poté accettare l’incarico perché il Governo Austriaco non glielo permise.[14] Romagnosi fu il maestro di Carlo Cattaneo, l’emblema di quello che potremmo definire il «laicismo italo-sardo» di cui Padre Prosperi ci parla nel suo documento. In Corsica un ruolo decisivo ebbero alcuni patrioti, lontani cugini dei Bonaparte, e precisamente i Cattaneo di Corsica. Tra questi Nicola Cattaneo che fu prima al servizio di Gioacchino Murat nella sua armata, e successivamente dentro il partito bonapartista.

Nicola Cattaneo con il suo fascicoletto presente all’Archivio di Stato di Lucca non può purtroppo chiarire nel dettaglio tutti i risvolti, e in questo Giovanni Gentile ha pienamente ragione. Quando Nicola Cattaneo morì, nel 1884, in Sant’Alessio di Lucca, qui vivevano anche alcuni cugini di Padre Prosperi. Credo, questo, un ulteriore indizio per proseguire a narrare le vicissitudini dei patrioti presi in esame. Per rispolverare le perplessità e non solo perplessità di Giovanni Gentile. Perché un dubbio regna sovrano: i Cattaneo di Corsica hanno un qualche grado di parentela con Carlo Cattaneo? Difficile dirlo. Ciò che è certo è che le dinamiche politiche proprie del partito bonapartista del tempo, in cui Padre Prosperi e molti Bonaparte superstiti furono coinvolti, e tra questi i Cattaneo córsi, e che videro il Duca Borbonico Carlo Ludovico anch’esso coinvolto, sono le stesse degli ambienti sabaudi[15] piemontesi e milanesi.

I Borbone-Parma furono legati, ancor prima del loro avvento sul Ducato Lucchese, a Lord Guilford. Il padre del Lord Guilford fondatore dell’Università Ionica, quel Lord Guilford che a metà Settecento fu al centro delle vicende della Rivoluzione Americana, tant’è che negli Stati Uniti, nella Carolina del Nord, una contea è dedicata proprio ai Guilford, ha un suo celebre ritratto fattogli a Roma dal pittore di origini lucchesi Pompeo Batoni, anche lui molto vicino alla casata dei Borbone-Parma. Lord Byron, nel suo peregrinare toscano, nelle lettere cita Lord Guilford in un passaggio da Pisa a Lucca, questo ai tempi del Ducato Borbonico. Non stupisce che Carlo Ludovico di Borbone fosse legato ai Guilford, visti i rispettivi trascorsi familiari. Il Lord Guilford fondatore dell’Università Ionica in Corfù, cultore della civiltà greca e del Romanticismo liberale del tempo, si era avvicinato, così risulta dalle carte, alla religione ortodossa.[16] Carlo Ludovico di Borbone negli stessi anni fece erigere nella sua villa reale a Marlia di Lucca un tempietto ortodosso. Per tale ragione fu tacciato come sempre di bizzarria. Forse non era poi così bizzarro.

Per puro caso ho trovato un biglietto da visita dentro il portafoglio di mio padre, deceduto parecchi anni fa. Il biglietto appartiene a una famiglia fiorentina, la cui proprietà principale fu acquistata negli anni Sessanta del XX secolo da una famiglia che ritrovo nel Gabinetto Vieusseux. Il Gabinetto Vieusseux aveva al suo interno le principali famiglie cattolico-liberali del tempo in terra toscana.

Ho una lettera del 1843 che appartiene all’ingegnere Enrico Marchi di Lucca e che proviene da Cefalonia. La lettera l’ho pubblicata recentemente in rete e possiamo rinvenirla anche in una pubblicazione recente del Dottor Giulio Quirico.[17] Un certo Ant. M. (la lettera è cifrata) scrive da Cefalonia a tale ingegnere Pietro Giambastiani, invitandolo a recarsi, come agronomo (lui che è un ingegnere) velocemente, con strani passaggi machiavellici su navi al seguito dei patrioti Fabrizi (di Paolo Fabrizi in specifico) passando addirittura da Malta, in Cefalonia. Ho spiegato nella pubblicazioni le ragioni del gesto di Ant. M. Ma adesso voglio spingermi oltre. Nel 1849, proprio in Corfù, il fratello dell’Ingegner Pietro Giambastiani, il Padre Agostiniano Francesco Giambastiani, morì, ufficialmente suicida, in terra ellenica. Dico ufficialmente perché ufficiosamente questa morte non fu mai spiegata e la famiglia è sempre stata certa che non si trattò di un suicidio.

Già, proprio Corfù, la terra dell’Università Ionica. Tre anni prima, nel 1846, a Genova si era svolto l’ennesimo Congresso degli scienziati italiani, che mascherava come del resto tutti i precedenti congressi (e successivi) la volontà di modificare l’ordine costituito. Prima che incontri scientifici si trattava di congressi politici. I personaggi del Gabinetto Vieusseux parteciparono sempre a questi congressi, non ultimo il personaggio della mia tesi, Padre Gioacchino Prosperi, che cito nelle lettere e che era amico intimo di Alipio Giambastiani, anche lui Padre Agostiniano come il fratello Francesco e a sua volta fratello dell’Ingegner Pietro. A questa famiglia lucchese apparteneva anche un quarto fratello, invischiato come i precedenti nelle questioni risorgimentali. Quest’ultimo era un impresario teatrale che in tali vesti fu spedito in Spagna, dove incontrò, pare, Fiorenzo Galli di Carrù. Quest’ultimo dalla Spagna finì poi a Londra e sposò Luigia Dunn, cugina del pittore David. Il Galli fu poi padre di Adelaide Galli Dunn che Padre Gioacchino De Agostini, smesso l’abito talare nel 1848, sposerà l’anno successivo, nel 1849, divenendo di fatto il genero di Fiorenzo Galli. Anche Michele Parma, giovanissimo, pare fosse finito a Valencia e qui probabilmente entrò in contatto, ma il condizionale è d’obbligo, col Galli. Forse anche col Giambastiani?

In Milano, Michele Parma divenne un frequentatore del Polidori. Il Polidori era nipote di quel Gaetano Polidori di Bientina, che era stato il segretario personale di Vittorio Alfieri, e che come medico era poi finito a Londra. Gaetano Polidori era divenuto padre di Francis Polidori, che sposerà in seguito il vate Gabriele Rossetti e sarà madre della dinastia Rossetti. C’è una lettera all’Archivio di Stato di Lucca inviata da Londra a un patriota del British Museum nativo di Lucca, Pier Angelo Sarti. La lettera è del 1839 e il Sarti si è stabilito a Lucca con la moglie inglese. I patrioti esuli a Londra, tra i quali il Rossetti, gli scrivono. Tra questi il Piemontese editore Pietro Rolandi e gli Arrivabene.[18]

In quegli anni sul trono di Lucca sedeva infatti quel contrastato e contrastante, sicuramente centrale nelle vicende del periodo, Carlo Ludovico che, fattosi protestante, era in simbiosi con gli ambienti inglesi, come appare dalle carte.

Metternich stesso lo monitorava, come monitorava la marchesa lucchese Eleonora Bernardini, assai nota. Eleonora Bernardini aveva lavorato prima per i Bonaparte ai tempi del Principato, poi per i Borbone-Parma ai tempi del Ducato, [19] come si evince dalle sue lettere presenti all’Archivio di Stato di Lucca, che ho ripetutamente pubblicato. I documenti presenti all’Archivio di Stato di Lucca sono piuttosto «espliciti». Il cugino di Carlo Ludovico, Carlo Alberto di Savoia, ebbe addirittura a scrivere che Carlo Ludovico voleva diventare il Re d’Italia.[20] Vero o falso che sia, i legami con Londra partono da lontano. Il «protestante» Carlo Ludovico dentro e fuori Lucca si era legato a patrioti di ogni colore, non ultimi i cattolico-liberali. Carlo Ludovico era davvero uno spirito protestante o il suo protestantesimo era, per così dire, indotto? Il ritrovarsi a Lucca giovò alla sua causa di voler diventare il «Re d’Italia» oppure inficiò tale prospettiva? Egli era una semplice pedina, mi sia consentito, nelle mani degli Inglesi?

Sicuramente alla fine degli anni Quaranta del XIX secolo Sua Maestà Britannica, la Regina Vittoria, impegnata nel Mediterraneo Orientale in situazioni politiche complicate, abbandonò le velleità sia di Carlo Ludovico che dei vari patrioti italiani, non ultimi quelli cattolico-liberali, in primis lucchesi. Lecito pensarlo? Tutto concorre in tale direzione.

Il nostro Carlo Ludovico di Borbone-Parma si intrattenne in Inghilterra negli anni Venti del XIX secolo con personaggi di fatto assai ambigui, che egli poi nobiliterà. Tra questi il futuro Ministro delle Finanze del Ducato, che lo porterà alla bancarotta, ma anche una sorta di plenipotenziario, poi molto caro proprio alla Regina Vittoria. Mi riferisco al Barone d’Everton. Fu così chiamato grazie alla nobilitazione baronale che Carlo Ludovico di Borbone nel 1830 gli concesse. Premetto che da studi condotti pare che questi personaggi appartenessero a contee inglesi dove si suggeriva potessero essere figli naturali del Conte o Barone di turno. Indiscrezioni a parte, possiamo dire che il Baronw d’Everton fece una strepitosa carriera, in Inghilterra. Ai tempi di Carlo Ludovico fu spedito a Cefalonia, come si evince dalla lettera cui ho fatto cenno.

Negli anni Settanta del XIX secolo la Regina Vittoria fece Sir il Barone d’Everton per i suoi meriti in terra ellenica, divenendo Governatore di Cefalonia. Evidentemente le vicissitudini dei Borbone-Parma di quegli anni non inficiarono la carriera del Barone.

In Livorno, Carlo Ludovico ai tempi del Ducato Lucchese si intratteneva con i protestanti inglesi di cui la città labronica era nutrita. Ma anche con membri della comunità ebraica locale, altrettanto numerosa. Era egli «osservato a vista» dal Metternich che, seppur vivendolo come un personaggio che non avrebbe fatto molta strada[21], poteva rappresentare un tallone d’Achille per gli Asburgo, visto che gli Inglesi avrebbero potuto considerarlo una loro pedina. E non solo gli Inglesi.

Come appare dalle carte e dai numerosi viaggi del Duca Borbonico, anche il Sovrano Prussiano, personaggio di fede protestante, altrettanto «pericoloso» agli occhi del Metternich, poteva, a contatto col Duca Borbonico, diventare pure in questo caso una minaccia.

Possiamo tranquillamente affermare che i Sovrani d’Antico Regime rappresentarono, col loro stile di vita e le modalità di governo adottate, un sistema politico che non seppe rigenerarsi di fronte alle sfide della modernità. Tuttavia in alcuni casi, con molte sfaccettature, che rivelarono le contraddizioni del periodo. Questi Sovrani riuscirono a essere una sorta di testata d’angolo, tale da far temere delle serie ripercussioni di sistema a Vienna, a partire proprio dall’interno del sistema stesso.

Nessuno più del bizzarro ma intelligente Duca Borbonico Carlo Ludovico di Borbone fu dunque sorvegliato per le sue manifestazioni d’intolleranza verso i Governi d’Antico Regime. Molti storici, a partire da Giorgio Spini, ritengono che la vicenda umana del Duca andrebbe scandagliata ancor più nel profondo, per comprendere le dinamiche stesse del nostro Risorgimento. Avendo io discusso una tesi di laurea su vicende vicine a quelle del Duca, ho potuto avvicinare personaggi e situazioni che unirono mondi apparentemente opposti, ma in realtà assai più vicini di quanto sin qui è stato definito. Ritengo che il cattolicesimo liberale rosminiano, in quegli anni in rapporto stretto con Oxford e con il Cardinale Newman, possa aver dato la spinta giusta alla Monarchia Britannica per affrontare un percorso tortuoso ma celebrativo delle possibilità politiche federaliste italiane per l’affrancamento dallo straniero. Lord Guilford fu anche lui in stretto contatto col Cardinale Newman.

Che poi i vari Sovrani della Penisola, che di casa non facevano Asburgo, possano aver osato pensarsi a capo di una Federazione di Stati, potremmo anche ipotizzarlo, in situazioni tanto poco prevedibili. Sicuramente i pensieri giobertiano e rosminiano, che vedevano nel Papa la possibilità di acquisire, lui sì, un ruolo socio-politico guida nella Penisola, mossero molti esponenti Cattolici verso soluzioni politiche che a tutt’oggi sono state poco chiarite. Ho provato con questi pochi tratti a pennellare il quadro, invitando così il lettore a leggere quanto sin qui, con modestia e perseveranza, ho potuto pubblicare.

Adesso però, in aggiunta alle mie pubblicazioni, voglio chiarire più da vicino la volontà di Giovanni Gentile, di Bertrando Spaventa e di Gioacchino Volpe in epoca fascista di dirimere certi contenuti.

La storiografia è fatta anche di ipotesi, ipotesi che debbono però fondarsi su documentazione certa, e su considerazioni che, come un assioma matematico, possano portare luce dove ancora ci sono ombre.

E per far questo parlerò dell’Ingegnere Ermete Pierotti. Le sue vicende bene illustrano quanto capitato ai Cattaneo di Corsica e a Padre Gioacchino Prosperi, il protagonista della mia tesi di laurea.

Il XIX secolo ha visto numerosi e valenti uomini del nostro Paese che, per ragioni politiche, sono stati pressoché dimenticati in Patria: tra questi l’Ingegnere Ermete Pierotti.

La storia di quest’uomo, il primo vero ricercatore ad avventurarsi all’interno del Monte Sacro, è talmente travagliata da sembrare mistificatoria.[22] Si tratta di un Ingegnere militare di grande esperienza e talento, nato a Pieve Fosciana, allora in provincia di Modena, nel 1821. Apparteneva a una famiglia locale di nobili natali. Di stanza a Genova nell’esercito come Ingegnere militare, accusato di diserzione e complicità nel furto di beni militari, nel 1849 venne cacciato dall’esercito. Egli, cattolico liberale, pieno di energie, dopo le tristi vicende lasciò la Patria e si recò a Gerusalemme. Per sbarcare il lunario svolse diversi lavori, nel tentativo di coronare il suo sogno: cercare di svelare i misteri del Monte del Tempio. Per il gran bisogno di lavorare (questo vuole l’ufficialità) nell’estate del 1856 il nostro assistette un Ingegnere Turco, Assad Effendi, nel restauro del principale acquedotto della città. Questo impegno gli permise di avventurarsi all’interno del Monte del Tempio, in cui si trovano tutt’ora importanti riserve d’acqua, e di compiere ricerche. I lavori di manutenzione dell’acquedotto, dove furono impiegati, vista la particolare siccità del 1858 e del 1859, numerosi tecnici, furono per Pierotti motivo di completamento del progetto iniziale che vide il suo coronamento con la pubblicazione nel 1864 del libro Jerusalem Explored. Forse i fatti accaduti in Italia segnarono per sempre il ricercatore? La risposta è no. Il nostro viaggiò sempre in lungo e in largo in Europa. Lo ritroviamo non solo in Italia ma anche a Parigi, a Londra appunto, a Pietroburgo. Da dove traeva sostentamento? Dalla famiglia originaria? Dalle sue pubblicazioni?

Il ricercatore inglese Charles Warren, conducendo ulteriori studi, decretò che le mappe del valente Ingegnere Italiano, pur se in alcuni casi approssimative, erano unicamente contestabili per le dimensioni delle strutture sotterranee visitate.

Sorprendentemente nelle mappe di Pierotti[23] sono indicati dei canali sotterranei non ancora esplorati ma che, grazie alle moderne tecnologie, risultano in sintonia con le più recenti ricerche.

Per quanto singolare possa apparire la vicenda, quello che più deve interessarci sono le convinzioni politiche dell’Ingegnere Modenese, che possiamo rinvenire in una sua pubblicazione presente alla Biblioteca Capitolina di Roma, dal titolo emblematico: Il Potere Temporale al cospetto del Tribunale della Verità.[24]

Forse Giovanni Gentile, concentrandosi sulla ricerca delle carte dei Cattaneo di Corsica, non pose sufficiente attenzione a personaggi minori ma pur sempre essenziali nelle dinamiche del periodo. Sicuramente molte furono le ricerche su Padre Gioacchino Prosperi effettuate dall’entourage di Gioacchino Volpe e dunque di Giovanni Gentile. A cominciare dallo storico Luigi Venturini e dallo storico livornese Ersilio Michel, per passare a Mario Ferrara. Tutti pubblicarono sul Lucchese Prosperi coinvolto in quegli anni in Corsica, in sintonia con quegli ambienti lucchesi che non disdegnarono mai i patriottici moti di Pieve Fosciana del 1834, con Menotti, il figlio di Ciro, sposando questi la causa rivoluzionaria italiana per cacciare lo straniero. Pur tuttavia dicendo e non dicendo. Ma di questo spiegherò successivamente.

Ermete Pierotti credo fosse stato tralasciato perché personaggio troppo controverso e apparentemente fuori dagli schemi strettamente cattolico-liberali. In realtà non è così. Proviamo a leggere le sue carte.

Vuoi il dente avvelenato che il nostro Ermete dovette avere verso le autorità italiane (forse), le quali a torto o a ragione decretarono la fine in Patria della sua luminosa carriera militare, vuoi le amicizie altolocate che il nostro ebbe a Parigi e a Londra, come rinveniamo dalle carte; vuoi i nutriti contatti con la comunità inglese; sta di fatto che egli, dalla pubblicazione, risulta essere particolarmente e, aggiungerei, significativamente favorevole a Casa Savoia, rinnegando i tentativi del Clero di mantenere il Potere Temporale.

«Cos’è questo Potere Temporale», si chiede nella prefazione dell’opera esaminata, «cagione d’infinite sventure all’Italia? È una creazione divina o un’invenzione umana?».

Egli dunque condanna la donazione di Costantino, precisando che «la menzogna di questa donazione è sì evidente e grossolana, che già il Papa Silvestro e i suoi successori non osarono giammai farsene un titolo. Pur avendosene fatto un titolo Papa Adriano con Carlomagno nel 776, Papa Stefano II nel 785 mancò di citarla in una lettera allo stesso Carlomagno. Non esiste alcuna prova certa di detta donazione. Solo Luigi il Semplice si lasciò detronizzare dai Vescovi». La descrizione prosegue con gli effetti nulli della donazione di Matilde e soprattutto con «La Preghiera da farsi agli Italiani». Già, davvero interessante questa preghiera, dedicata all’avvenuta Unità Nazionale, che ancora non comprende Roma, annessa nel 1870, che lui naturalmente auspica. Dimostrando grande Fede verso la Patria unita e ritrovata, il nostro si dichiara vicino a Casa Savoia. «Proteggi», egli scrive, «il nostro Re Vittorio Emanuele II, e tutta la Sua Reale Famiglia; fa’ che i suoi discendenti abbiano, come lui, il vanto d’essere chiamati Galantuomini». Si mantiene convinto delle idealità cattolico-liberali, nella misura in cui il Clero «senta l’amore della Propria Patria ed istruisca il gregge che gli è confidato, ispirandogli lo smascheramento dei nemici dell’Italiana Unità».

Queste ultime franche parole ricordano le altrettanto franche parole del suo conterraneo e contemporaneo Padre Rosminiano Gioacchino Prosperi, che a Lucca e soprattutto fuori Lucca fece numerosi proseliti, prima di cadere come scrisse Luigi Venturini «dimenticato dal tempo giustiziere e come tale talvolta spietato».

A questo punto è necessario parlare di «Archivio di Corsica», la rivista diretta per oltre un lustro da Gioacchino Volpe e intensamente seguita da tutti coloro che in epoca fascista aspirarono non solo alle velleità irredentiste córse, ma a un più generale irredentismo patrio che si richiamava inesorabilmente a un’Italia libera da certo Potere Temporale.

Il 1929 è l’anno del Concordato tra Stato Italiano e Chiesa Cattolica. Se da un lato la Chiesa riuscì a mantenere, col Concordato, prerogative importanti e unitarie, dall’altro perse la partita verso uno Stato centralista e capace comunque di far sentire il suo peso politico.

Non è un caso se proprio in quegli anni i personaggi che ho citato, storici e intellettuali italiani di grido, si preoccuparono di far riemergere dalle ceneri coloro i quali nel XIX secolo si erano battuti per un’Italia senza le spinte decisioniste della Chiesa Romana. Chiesa Romana che peraltro non aveva al suo interno un’unità di intenti e che, soprattutto nella prima metà del XIX secolo, spiazzata dallo strapotere austriaco e dal Cancelliere Metternich, si ritrovò ancor più che con i Bonaparte e col primo Concordato, ad aprirsi ai liberali europei, soprattutto in Gran Bretagna. Anche perché la Gran Bretagna, come ho descritto, era lo Stato Europeo maggiormente coinvolto nel liberare l’Europa dallo strapotere degli Imperi.

Fin tanto che Mussolini non si legò a Hitler e non intraprese la Guerra d’Etiopia, era ben visto a Londra non meno di quanto nel XIX secolo fossero ben visti alcuni Sovrani della Penisola d’Antico Regime, che di casato non facevano Asburgo. Come Carlo Alberto di Savoia e suo cugino Carlo Ludovico di Borbone-Parma. Per questo il religioso Padre Gioacchino Prosperi e il «laico» Ermete Pierotti, entrambi cattolico-liberali in «terra lucchese», si adoperarono così tanto verso una causa nazionale che all’epoca prometteva bene, ed era ben accolta oltremanica.

Poi qualcosa andò storto sia per la Regina Vittoria (io ipotizzo i guai nel Mediterraneo Orientale della fine degli anni Quaranta), sia per il Pontefice Romano (divisioni interne relative alle rendite tedesche). Nel 1855 Pio IX firmò un trattato con i territori tedeschi e da lì in poi sicuramente non ci fu più alcuna velleità oggettiva dei cattolico-liberali di riprendere in mano il loro gioco politico. Ma le conseguenze delle loro precedenti azioni politiche sono continuate anche dopo che i giochi erano fatti, convertiti necessariamente alcuni di loro alla causa liberale di Casa Savoia.

Secondo me sia Giovanni Gentile che Gioacchino Volpe volevano mettere in risalto come il Pontefice e la Chiesa Romana fossero stati «ambigui», in un dato periodo storico. In un momento come quello del Concordato del 1929, che ripeto, segnò sì una riappacificazione. Ma proprio per questo non volevano lasciarsi sfuggire l’occasione di «ripescaggio» di chi aveva combattuto per un’Idea di Nazione sotto l’egida papale ma avulsa da un Potere Temporale da Antico Regime.

Cosa che non funzionò, perché i documenti non furono ritrovati, o semplicemente perché si reputò troppo complesso narrare certe dinamiche. Senza contare che dal 1935 in poi la politica italiana fu diversa in ambito europeo. Londra e non solo la Chiesa non avrebbero gradito queste ricerche o addirittura le ostacolarono? Si tratta solo di ipotesi. Faccio questa affermazione perché a esempio Luigi Venturini, descrivendo le vicende di Padre Gioacchino Prosperi, lo fece sempre col sorriso sulle labbra. Definì il religioso bizzarro e battagliero, parlò del «buon Prosperi». A un certo punto addirittura scrisse riguardo al fido collaboratore piemontese di Padre Prosperi, il Piemontese Padre Gioacchino De Agostini, come di persona sicuramente conosciuta da Padre Prosperi in Piemonte ma di cui non aveva rinvenuto nulla.

Luigi Venturini lavorò tra Livorno e Milano. Era legato a case editrici milanesi. Aveva tutti gli strumenti per sapere, e di certo io credo, sapeva chi era Padre Gioacchino De Agostini. Il dubbio rimane. Forse gli storici del periodo trovarono vari ostacoli. Pur tuttavia sono loro molto grata perché senza questo interesse non avrei potuto ricostruire le vicende che ho descritto.

Giovanni Gentile frequentò Lucca e fu rettore della Normale di Pisa. Gioacchino Volpe fece, come Luigi Venturini, di Livorno un punto di riferimento e di Milano il baricentro delle sue pubblicazioni. Livorno vede anche lo storico Ersilio Michel, sempre nel periodo, occuparsi della questione córsa. Così come il liberale Mario Ferrara, che era amico di Pannunzio, Lucchese di origine (Pannunzio) per parte materna, e nato egli stesso nella città toscana. Ferrara collaborò con Pannunzio al «Mondo» e poi al «Corriere della Sera». La madre di Pannunzio era una Bernardini. Non stupisce che il celebre giornalista conoscesse da vicino le vicende di Padre Prosperi, dell’ava Eleonora Bernardini e del Duca Lucchese Carlo Ludovico. Si giocava in casa e queste persone conoscevano benissimo tutti i retroscena ma la documentazione per sviscerare il tutto è di non facile reperimento. Questo è reale. Erano Pannunzio e Ferrara dei liberali, mentre Volpe, Gentile, Michel e Venturini avevano aderito al fascismo. Ma il mondo liberale era evidentemente in connessione su questo con gli intellettuali più allineati del tempo e anche qui l’obiettivo di ridefinire i rapporti con la Chiesa un bisogno comune. All’epoca troviamo sempre in Lucca presenti Galeazzo Ciano e Costanzo Ciano, quest’ultimo padre di Galeazzo e gerarca fascista. Anche lui livornese come i precedenti e con una villa acquistata alle porte della città di Lucca, nel Morianese, che frequentava assiduamente. Anche Edda Ciano era spesso in Lucca e mantenne questa villa fino alla morte. Frequentò la città finché poté, recandosi sovente a Bagni di Lucca a pranzo al Circolo dei Forestieri, che adesso è un noto ristorante. Ma negli anni Trenta del xx secolo era il Casinò dove Edda Ciano si recava. Molto legata anche per questo a quei luoghi. Qui viveva tra Ottocento e Novecento il conte Giovanni Sforza, padre di Carlo Sforza, futuro Ministro degli Esteri della Repubblica Italiana e amico personale di Costanzo Ciano. Carlo Sforza fu in corsa ai tempi di Einaudi per la carica di Presidente della Repubblica e divenne Ministro degli Esteri. Giovanni Sforza aveva sposato la Lucchese Elisa Pierantoni che viveva anche lei nel Morianese, alle porte di Lucca, e aveva casa in città. Elisa era la mamma di Carlo Sforza. La città era dunque crogiolo di rapporti, di relazioni. Spesso, ribadisco, la volontà di alcuni membri del partito fascista non dovette essere così distante dalla comune volontà liberale di creare un autentico Stato Laico, capace di costruire anche ponti più ampi con quel mondo protestante, specialmente d’oltre Manica, con cui Lucca aveva secolari tradizioni di comunione.

Concludo questo mio pensiero riportando le frasi di Ermete Pierotti, il quale dimostrò familiarità sia con l’editore Rothschild di Parigi che con Napoleone III,[25] descrivendo così il Cardinale Bartolomeo Pacca, deceduto nel 1842: «Uno dei più energici difensori della Santa Sede, cioè il Segretario di Stato di Pio VI, il Cardinale Bartolomeo Pacca, il medesimo che nel 1807 redigette la bolla di scomunica contro Napoleone I, scriverà che i Papi, sbarazzati dal pesante impaccio del Principato Temporale, il quale li obbliga ben spesso a sacrificare una gran parte di tempo prezioso a degli affari mondani, potrebbero rivolgere tutti i loro pensieri al governo spirituale della Chiesa, permettendo di fatto la creazione di un Clero non tentato dai beni materiali».[26]

Il Cardinale Bartolomeo Pacca, che conobbe il marchese Cesare d’Azeglio a Fenestrelle quando entrambi vi furono incarcerati da Napoleone I, che Padre Prosperi ben conosceva, visto che lo cita ripetutamente nel suo più celebre scritto[27]; Prosperi soprattutto conosceva benissimo Cesare d’Azeglio, il quale a Torino «era stato come un padre per lui». Di cui aveva frequentato l’intera famiglia, sin da quando era studente in Roma, nel collegio dei Padri Gesuiti in Sant’Andrea al Quirinale, insieme al figlio del marchese Prospero d’Azeglio.

Per quale ragione, lui che era un religioso, considerato rivoluzionario,[28] avrebbe dovuto citare con tanta enfasi proprio un personaggio considerato un reazionario come il Cardinale Bartolomeo Pacca? Questo se lo chiese in maniera «retorica e se vogliamo ironica» anche Luigi Venturini. La Chiesa, in quel caso sicuramente la Chiesa Córsa (ma Padre Prosperi nelle sue lettere per difendersi dai denigratori aggiunge anche quelle toscana e romana) dovette essere al centro di trattative e particolari spinte rivoluzionarie col partito bonapartista córso, cui Padre Prosperi aderiva. E infatti ciò appare visibilmente dalle carte. Credo che Giovanni Gentile, anche senza ritrovare le carte di Nicola Cattaneo, avrebbe proseguito i suoi studi, ma questo è un mio parere personale, se Mussolini avesse potuto continuare a legare con Londra anziché con Berlino. E probabilmente oggi leggeremmo davvero una diversa storia d’Italia. Più coesa, più londinese e meno romana.


Note

1 Vedi www.storico.org, Gioacchino Murat in Corsica.

2 Elena Pierotti, Padre Gioacchino Prosperi. Dalle amicizie Cristiane ai Valori Rosminiani, tesi di laurea all’Università degli Studi di Pisa, anno accademico 2009-2010.

3 www.storico.org, miei articoli pubblicati nella sezione Risorgimento. E ancora in rete in «Studi Napoleonici». Nel sito della fondazione di Canino intitolata a Luciano Bonaparte. Ma anche sempre on line nella rivista córsa «A Viva Voce» diretta dal Professor Paul Colombani. E ancora nella pubblicazione del Dottor Giulio Quirico dal titolo Il Novarese Michele Parma (1802-1871) filosofo del Risorgimento sociale-religioso, Giuliano Gandolfi editore, 2020.

4 www.cattedraRosmini.org, Dottor Walter Caligiuri, Rosministitue, 15 aprile 2011.

5 Elena Pierotti, Padre Gioacchino Prosperi. Dalle amicizie Cristiane ai Valori Rosminiani, tesi di laurea all’Università degli Studi di Pisa, anno accademico 2009-2010.

6 ASL, Legato Cerù 142, riferimento 7.

7 Il documento è posto in appendice alla mia tesi.

8 Michele Maccarrone, Il concilio Vaticano I e il giornale di Monsignor Giulio Arrigoni. Anno 1968, qui si descrive il Padre Francescano Lucchese che denunciò in Prefettura il suo Arcivescovo per ragioni di economato, che aveva votato l’annessione al neonato Stato Unitario e che pubblicava per la tipografia della Curia Guidotti. Tutti questi caratteri si possono dai documenti attribuire a Padre Prosperi.

9 ASL. Carte Mansi, Filza 4, riferimento 206. In particolare la lettera del 23 settembre 1838. Vedere l’intero Carteggio. BSL, B.ta 2220-14, Mario Ferrara.

10 Giulio Quirico, Il Novarese Michele Parma (1802-1871) filosofo del Risorgimento sociale-religioso, Giuliano Gandolfi editore, 2020.

11 I locali locati da Paolo De Agostini appartenevano, da ricerche empiriche che ho condotto, a una famiglia nobile che alloggiava negli attuali locali della Camera di Commercio di Torino. Non sono riuscita a capire di chi si trattava. Ma si tratta di una semplice curiosità.

12 La madre di Padre Prosperi era Maria Angela Castiglioni, dei Castiglioni di Olona viste le carte presenti in Archivio a Lucca. I Castiglioni di Olona erano cugini dei fratelli Verri e Alessandro Manzoni frequentò Lucca molto prima che sua figlia Vittoria sposasse Giovan Battista Giorgini. In Lucca il nonno Cesare Beccaria aveva pubblicato il suo Dei delitti e delle pene e pare fosse cugino dei locali conti Bianucci.

13 Michele Maccarrone, Il concilio Vaticano I e il giornale di Monsignor Giulio Arrigoni. Anno 1968.

14 Luciano Malusa, Storiografia filosofica e storiografia religiosa, Franco Angeli editore, pagina 212.

15 Elena Pierotti, Padre Gioacchino Prosperi. Dalle amicizie Cristiane ai Valori Rosminiani, tesi di laurea all’Università degli Studi di Pisa, anno accademico 2009-2010.

16 Studies in Church History, Volume 56, The Church and the law, Charlotte Mithuin and Andrew Spicey, Università di Cambridge.

17 Giulio Quirico, Il Novarese Michele Parma (1802-1871) filosofo del Risorgimento sociale-religioso, Giuliano Gandolfi editore, 2020.

18 ASL, legato Cerù, volume 18, lettera di Gabriele Rossetti e a seguire di Pietro Rolandi nel fascicolo in ordine alfabetico alla voce «Rossetti».

19 ASL Carte Giovanni Bezzi, dono Professor Ezio Ricci, inventario volume II, numeri 34-46, numero 721, protocollo 1.954, numero 42 (Legato Cerù). ASL, dono Carafa, FASCICOLO II, Carteggi filza numero 4, riferimento 1.326. Zibaldone lucchese, Tomo I, pagina 238; Bollettino Storico lucchese, Anno IV, 1932, pagine 187-202; ASL, Carte Bernardini, lettera del 4 aprile 1808; lettera del 20 giugno 1809; Masson, Napoleon et sa famille, volume V, pagina 51; ASL, Carte Mansi, filza 4, riferimento 206; ASL, Carte Mansi, filza 4, lettera del 23 settembre 1838.

20 Augusto Mancini, Storia di Lucca, Maria Pacini Fazzi Editore, pagina 330.

21 Questo almeno vuole la storiografia ufficiale.

22 www.storico.org, mio articolo dal titolo Un ingegnere dell’Esercito Sabaudo: Ermete Pierotti.

23 Le sue carte sono conservate a Londra al PEF, Palestinian Exploration Found.

24 Il Potere Temporale al cospetto del Tribunale della Verità, letture dedicate al Popolo Italiano dal Dottor Ermete Pierotti, Firenze e Genova, Tipografia Litografia Fratelli Pellas, 1866.

25 Luigi Venturini, Di Padre Prosperi e del suo libro sulla Corsica, Milano, società editoriale scientifica Tyrrenia, 1926.

26 Ermete Pierotti, Il Potere Temporale al cospetto del Tribunale della Verità, Firenze e Genova, Tipografia Litografia Fratelli Pellas, 1866.

27 Gioacchino Prosperi, La Corsica e i miei Viaggi in quell’Isola, Edizioni Fabiani, Bastia 1844.

28 L’editore Fabiani di Bastia proteggeva e pubblicava scritti di patrioti e ricercati del tempo.

(febbraio 2021)

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