Grandi personaggi manzoniani: l’Innominato
Una rilettura della celebre conversione in chiave contemporanea all’insegna dei valori non negoziabili

Esistono capolavori della letteratura universale che trascendono gli anni e le stagioni, e che offrono spunti di riflessione sempre attuali: tra di essi, uno spazio di primo piano compete certamente alla grande opera di Alessandro Manzoni, nel difficile impegno a favore di valori come quelli di verità e giustizia che oggi sono stati opportunamente definiti come «non negoziabili» (Papa Benedetto XVI). In questo senso, la conversione dell’Innominato induce suggestioni particolari, davvero non effimere.

Il confronto tra l’Innominato e Lucia, lo strazio notturno del protagonista e l’abbraccio liberatorio con il Cardinale Federigo appartengono a pagine coinvolgenti come poche. È l’eterna lotta contro il male interpretata da uno spirito credente come quello del Manzoni che in una delle sue celebri odi avrebbe invocato la «bella immortal benefica Fede ai trionfi avvezza» (Cinque Maggio) tenendo certamente conto dell’Innominato e della sua straordinaria vicenda, storicamente reale.

Si tratta di pagine sempre attuali perché i valori essenziali della persona prescindono dalla stretta osservanza religiosa e appartengono alla morale laica non meno che a quella cristiana; pagine che assumono un valore artistico difficilmente ripetibile, in specie nella profonda valutazione psicologica dell’Innominato e del suo dramma esistenziale. Una piccola creatura indifesa come la giovane Lucia apre il cuore del personaggio a un’analisi interiore finora imprevista ma non per questo meno drammatica: il ricordo delle precedenti scelleratezze diventa insopportabile, tanto che il protagonista viene tentato persino dal suicidio, da cui rifugge solo perché si rende conto che nulla risolverebbe. In questo senso, il tormento dell’Innominato è quasi più intenso di quello di Lucia, che trova motivi di speranza nel voto di castità, offerto quale pegno di salvezza.

Poi, accade qualcosa di straordinario: lo scampanio che annuncia la visita pastorale di Federigo Borromeo, l’Arcivescovo Milanese in odore di santità, offre un’opportunità irripetibile che Manzoni interpreta alla stregua di una chiamata divina. L’Innominato si veste in fretta, rinuncia alla scorta fra lo stupore degli astanti e si presenta al cappellano crocifero, segretario del Borromeo, chiedendo udienza al Cardinale. Questi manifesta subito una straordinaria capacità di parlare al cuore dell’Innominato, ringraziando di una visita che, a suo dire, avrebbe dovuto effettuare lui stesso, seguendo gli esempi pastorali di San Carlo.

A questo punto, il turbamento dell’Innominato diventa commozione. Il dialogo raggiunge vertici di alta intensità emotiva che si scioglie nel pianto del vecchio ribaldo sull’omero di Federigo e dopo le ultime ritrosie della «pecorella smarrita» nel suo abbraccio al Cardinale. È una sequenza davvero emozionante, paragonabile, nell’opera manzoniana, alla scena in cui Padre Cristoforo riceve il «pane del perdono» o a quella che lo vede condurre Renzo al cospetto di Don Rodrigo, ormai morente di peste.

L’Innominato è un personaggio moderno nella sua sofferta conquista del Bene e nella scoperta, per lui sconvolgente, che «Dio perdona tante cose per un’opera di misericordia»: esempio perenne di un confronto con le forze del male in cui la vittoria non è mai scontata perché richiede un forte impegno di volontà assieme al superamento dello sconforto e della disperazione. Tutte cose che, per Manzoni, esigono fede attiva ma soprattutto la capacità di scegliere liberamente. In questo senso, la modernità dell’Innominato supera quella di tanti altri protagonisti del romanzo, con le eccezioni dello stesso Padre Cristoforo e di Don Abbondio: il primo, nella sublimazione della colpa come strumento di redenzione e di forte azione sociale fino all’ultimo sacrificio; il secondo, prigioniero di una vigliaccheria e di un meschino egoismo finalizzati all’unico scopo di vivere quietamente.

Autentico campione di pentimento sincero, l’Innominato trova il coraggio dell’umiltà e quello di chiedere perdono, diventando il simbolo vivente della resurrezione a una nuova vita, fra la sorpresa, se non anche l’incredulità di tanti. La sua conversione è rapida, perché si consuma in breve volgere di tempo e in uno spazio ristretto, ma presume una forte capacità di ascoltare il richiamo di una coscienza finalmente ritrovata e corrisponde a una storia vera cui Alessandro Manzoni si è liberamente ispirato. Oggi l’Innominato rimane il testimone di un’esperienza umana ardua come tante, e nello stesso tempo della capacità di liberarsi dal male con l’aiuto di Dio, che gli dona volontà straordinaria, capacità di analisi spietata del proprio passato, e infine la salvezza.

In questo senso, l’Innominato è antico e moderno, o meglio universale, nel senso che prescinde da ogni limite di tempo e di spazio, manifestando una perenne attualità umana, civile, etica.

(luglio 2019)

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