Pellegrino Rossi
Un alto protagonista del Risorgimento precursore della cooperazione

In altri tempi, accedere rapidamente ad elevati incarichi pubblici e distinguersi nel pensiero e nell’azione non era impossibile a chi possedeva importanti doti d’ingegno e di volontà. Un esempio che in tal senso può ritenersi emblematico è quello di Pellegrino Rossi, che non a caso venne definito dal Conte di Cavour, nel momento in cui si fondava il Regno d’Italia (1861), come «una delle più belle figure del Risorgimento». Era un giudizio oggettivo che si deve condividere, anche se Rossi è stato troppo spesso accantonato, se non anche dimenticato, come accade a tanti protagonisti che, lungi dal cercare il frastuono mondano dei consensi, sono consapevoli della sua caducità e si impegnano, invece, in una politica intesa come arte di operare nella vita associata per il bene comune.

Pellegrino Rossi (Carrara 1797 – Roma 1848), così chiamato in onore del Santo omonimo, dopo gli studi di economia e diritto compiuti a Pisa e Bologna, giunse all’avvocatura ed alla cattedra in età giovanissima, e divenne Commissario Speciale di Gioacchino Murat nell’infelice tentativo di promuovere il primo tentativo di unificazione italiana, certamente velleitario alla luce della ripresa controrivoluzionaria promossa dal Congresso di Vienna. Non a caso, Rossi fu ispiratore principale del celebre Proclama di Rimini lanciato da Re Gioacchino in concomitanza con la breve avventura conclusa davanti al plotone d’esecuzione di Pizzo Calabro: il documento conteneva significative aperture in senso liberale, a cui il giovane Pellegrino sarebbe rimasto costantemente fedele.

Proprio per questo, si rese inviso alle occhiute polizie di parecchi stati, e scelse la strada dell’emigrazione, al pari di quanto avrebbero dovuto fare tanti altri patrioti del Risorgimento. Scelse Ginevra, dove strinse amicizie di grande impegno politico e culturale, fra cui quelle con Lord Byron e Madame de Stael, ed ebbe rapidamente modo di far valere un’alta e poliedrica preparazione: diventato professore universitario e cittadino svizzero, nel 1820 fu eletto al Parlamento e diede importanti contributi alla stesura della nuova Costituzione, e del cosiddetto Patto Rossi per la regolamentazione dei rapporti fra il Governo federale e quelli cantonali, che peraltro non ebbe seguito, a fronte di tensioni che risalivano al 1815, quando la Svizzera era stata coinvolta in forti contrasti fra liberali e reazionari.

Anche per questo, non appena fu possibile, Pellegrino si rese protagonista di una nuova partenza, emigrando a Parigi su invito del Presidente del Consiglio Guizot, con ulteriori incarichi di alto prestigio: nel 1833 divenne professore di economia alla Sorbona, e poi cittadino francese, Consigliere di Stato, e cinque anni dopo, Pari di Francia: un onore riservato a ben pochi. Assai apprezzato dal Sovrano Luigi Filippo d’Orléans che nel 1830 aveva rovesciato Carlo X, l’ultimo Borbone, Rossi venne nominato ambasciatore presso la Santa Sede; incarico che fu conferito nel 1845 e che egli accolse con favore, perché gli consentiva di rientrare in Italia dopo un esilio, sia pure dorato, di un intero trentennio. Con l’occasione, divenne anche conte.

Il trasferimento a Roma sarebbe stato decisivo, oltre che fatale. Fino a quel momento, Pellegrino Rossi era stato, sia pure ad altissimo livello, un uomo della cooperazione internazionale e delle alte burocrazie statali, lasciando contributi di pensiero e di dottrina attestati, fra l’altro, dalla successiva pubblicazione delle sue opere, ad iniziativa francese[1]. A Roma, dopo il primo delicato incarico che Luigi Filippo gli aveva affidato per negoziare l’espulsione dei Gesuiti dalla Francia, sarebbe diventato patriota attivo e consapevole, in specie con l’ascesa al soglio pontificio del nuovo Papa Pio IX, rimanendo in Italia anche dopo la caduta di Luigi Filippo avvenuta nel 1848, quando il nuovo regime gli revocò le credenziali di ambasciatore: allora la nativa Carrara, anche dietro sollecitazione di Vincenzo Gioberti, lo fece eleggere al Parlamento Toscano[2], ma Rossi non prese possesso del seggio, avendo deciso di restare a Roma come Ministro dello Stato Pontificio. Gli vennero affidati il dicastero delle finanze e quello di polizia, ma di fatto ebbe un ruolo di coordinamento politico e funzionale, anche se formalmente la Presidenza del Consiglio spettava al Segretario di Stato: nel caso di specie, il Cardinale Giovanni Soglia Ceroni.

In breve, Pellegrino Rossi divenne l’artefice prioritario di un sistema di riforme che assumeva una straordinaria rilevanza innovatrice, in un’ottica di annullamento dei residui privilegi feudali, di laicizzazione e di liberalizzazione. Si pensi al progetto di tassazione dei beni ecclesiastici, a quello di una Lega doganale (elaborato assieme ad Antonio Rosmini con l’avallo pur dubitoso dello stesso Pio IX ma disatteso dal Regno di Sardegna) o nel campo informativo, l’avviamento del primo Ufficio Statistico Italiano. Si trattava di iniziative che per opposte ragioni non erano gradite alle forze della reazione, ma nemmeno a quelle del progressismo rivoluzionario più avanzato; e Rossi pagò con la vita, perché pochi mesi dopo avere ricevuto gli incarichi governativi, venne pugnalato mentre si recava al Palazzo della Cancelleria, nei pressi della chiesa di San Lorenzo in Damaso, dove avrebbe trovato onorata sepoltura[3]. Era il 15 novembre 1848.

Rossi fu certamente un moderato, i cui sentimenti cattolici non gli avevano impedito di maturare una salda concezione laica dello stato. Del resto, fin dall’epoca francese aveva potuto naturalmente apprezzare il pensiero e l’opera di Lacordaire, di Montalembert, e soprattutto di Lamennais, la cui celebrazione dell’esilio come momento di alta spiritualità era in grado di parlare in modo vibrante al suo cuore di Italiano costretto, al pari di Dante, a «scendere e salir per l’altrui scale». Del resto, non è forse vero che il motto di «Dieu et Liberté» che aveva animato sin dagli anni Trenta il movimento cattolico liberale francese attraverso le pagine del suo giornale «L’Avenir» era stato ripreso a Roma con quello di «Dio e Popolo» impresso sulla bandiera tricolore?

Ciò non significa che la sua non fosse una posizione minoritaria, ma proprio per questo, Pellegrino aveva ritenuto a più forte ragione necessario battersi per la sua affermazione: anche in questa ottica, devono essere rilette la rinuncia al seggio di parlamentare toscano e la decisione di rimanere a Roma per servire nel Governo Pontificio, e per coltivare il disegno di una federazione illuminata: al momento, una nobile utopia non dissimile da quella del Proclama di Rimini (di cui si è appena celebrato il duecentesimo anniversario) ma destinata a tradursi – nel giro di poco più di un ventennio – nell’unificazione italiana con Roma capitale, sia pure con il correttivo del sigillo sabaudo e di una forte impronta centralistica.

Uomo di cooperazione internazionale, sia pure nella veste di esule illustre ed onorato, e nello stesso tempo, Uomo di forte valenza risorgimentale, Pellegrino Rossi non ha avuto gli onori di Cavour, di Garibaldi, di Mazzini e di Vittorio Emanuele II che sono stati considerati gli artefici principali della nuova Italia, ed i cui monumenti sono sparsi in ogni dove[4]. Nondimeno, il suo ruolo, assieme a quello del Cattaneo sul fronte federalista, ed a quelli del Gioberti e del Rosmini sul versante cattolico liberale, è stato di basilare importanza nell’avere rimosso in termini definitivi le pregiudiziali della Restaurazione e dell’Antico Regime, nel quadro di un pluralismo che non escludeva l’apporto della fede rendendola immune dalle residue suggestioni temporaliste, e che nello stesso tempo trascendeva i confini nel quadro di una nuova ottica universale di collaborazione fra stati, che non perdevano per questo il proprio ethos ma lo valorizzavano in chiave umana e civile.


Note

1 Tra le opere più significative si possono ricordare: Traité du droit pénal (1829), Cours d’économie politique (1829-1841), Mélanges de droit et économie (postumo), Cours de droit constitutionnel (postumo). L’alta considerazione in cui Pellegrino Rossi venne tenuto da parte francese trova conferma nel «Prix Comte Rossi» che venne conferito fino al 1940 a favore di quanti si fossero distinti negli studi di diritto ed economia.

2 Come emerge da fonti originali dell’epoca, l’invito del Gioberti a votare per Pellegrino Rossi, Carrarese di fama illustre, venne formulato sulla pubblica piazza del capoluogo apuano, anche alla luce della sua esperienza di governo nello Stato Pontificio e delle garanzie di apertura moderata espresse da Papa Mastai Ferretti in una possibile ottica federale. Nondimeno, fu interrotto ad alta voce da un cittadino che, esprimendosi in puro dialetto locale, chiese se fosse possibile fidarsi, con chiaro accento dubbioso. Quell’episodio, anche alla luce di quanto sarebbe accaduto a breve, rimase molto impresso nei ricordi del Gioberti, come risulta da varie testimonianze di carraresi illustri quali il Generale Cucchiari ed il conte Monzoni (confronta Mauro Borgioli e Beniamino Gemignani, Carrara e la sua gente, Società Editrice Apuana, Carrara 1977, pagine 431-443).

3 Sulla fine di Pellegrino Rossi la storiografia è molto avara di dettagli. Non è stato mai accertato in termini probanti chi, e per conto di quale fazione, abbia vibrato la pugnalata mortale: secondo ipotesi formulate nel tardo Risorgimento (confronta Giuseppe Spada, Storia della Rivoluzione di Roma e della Restaurazione del Governo Pontificio 1° giugno 1846-15 luglio 1849, Firenze 1869, volume II, pagine 505-513), la congiura sarebbe stata ordita da forze reazionarie, tra cui alcuni fuorusciti napoletani ed il principe di Canino, mentre secondo altre versioni d’epoca, come quella del Generale Federico Torre, potrebbe essere stata opera dei Gesuiti, che non avevano perdonato a Rossi il contributo per la loro espulsione dalla Francia. Non vi sarebbero state, invece, responsabilità dirette dei rivoluzionari oltranzisti, anche se dopo il delitto costoro si sarebbero abbandonati a manifestazioni di scomposto giubilo. Sta di fatto che in quel fatale 15 novembre 1848 non c’erano carabinieri di scorta alla Cancelleria (ma il Ministro aveva rinunciato ad ogni protezione) e che lo stesso Rossi aveva risposto a quanti lo esortavano alla prudenza, affermando che «la causa del Papa è la causa di Dio». (Per ulteriori dettagli, con particolare riguardo al progressivo allontanamento di Papa Mastai Ferretti dal suo Ministro, confronta anche Giulio Andreotti, Ore 13: il Ministro deve morire, Rizzoli, Milano 1974). Per quanto riguarda il cordoglio della famiglia ed il suo impegno in memoria di Pellegrino, si può aggiungere che qualche tempo dopo la morte di Rossi il figlio venne ferito combattendo con Garibaldi.

4 Sono davvero pochi i monumenti sorti in onore di Pellegrino Rossi. Fra i più significativi, giova ricordare quello di Bologna, eretto nel 1862 in onore del patriota, dell’uomo di cultura e del giurista; e quello di Carrara scoperto nel 1876 (con iscrizione dettata da Ruggero Bonghi), opera dell’insigne scultore Pietro Tenerani con bassorilievi di Alessandro Biggi ed Aristide Miani in ricordo rispettivo del Rossi docente a Pisa, e del Consigliere Federale della Repubblica Elvetica.

(dicembre 2016)

Tag: Carlo Cesare Montani, Pellegrino Rossi, Risorgimento, Ottocento, Italia, Cavour, Gioacchino Murat, Proclama di Rimini, Patto Rossdi, Ginevra, Svizzera, Luigi Filippo d’Orléans, Pio IX, Vincenzo Gioberti, Giovanni Soglia Ceroni, Antonio Rosmini, Regno di Sardegna, Ufficio Statistico Italiano, chiesa di San Lorenzo in Damaso, 15 novembre 1848, Lamennais, Stato Pontificio.