Napoleone Bonaparte
Un giacobino papista

Dire che qualcuno è un giacobino papista è una contraddizione in termini? Non credo proprio per l’Imperatore Francese Napoleone Bonaparte.

Ho trovato prove incontrovertibili che egli fu assolutamente un giacobino papista. Non un reazionario come viene dipinto e nemmeno un autentico mangiapreti. Dei documenti precisi lo attestano.

In Segromigno in Monte di Lucca abbiamo una splendida villa, chiamata per gli antichi proprietari Villa Orsucci. Nel 1836 la contessa di Lipona, sorella minore di Napoleone Bonaparte, la acquistò dai conti Orsucci e la tenne fino alla sua morte, avvenuta in Firenze nel 1839. Gli eredi di Carolina Bonaparte la vendettero al barone Tossizza. Chi era costui?

Il barone Tossizza, livornese, fu nobilitato da Carlo Ludovico di Borbone-Parma negli anni Trenta del XIX secolo. Nel 1843 il barone, la cui famiglia è tutt’ora accreditata nella nobiltà lucchese, ebbe un ruolo di primo piano nelle vicende di Cefalonia, quando Carlo Ludovico di Borbone-Parma qui inviò il barone D’Everton, un Inglese da lui nobilitato nel 1830, con incarichi che porteranno lo stesso barone negli anni successivi a divenire Governatore di Cefalonia e Sir grazie alla Regina Vittoria d’Inghilterra nel 1871.

Troviamo il barone Tossizza in Francia ai tempi di Napoleone III e in Grecia i suoi eredi nel XX secolo, con importanti incarichi. È evidente che sia Napoleone III che successivamente la Corona Britannica non tolsero credito ai Tossizza. Il barone Tossizza nel XIX secolo acquistò anche delle proprietà in Domazzano (Borgo a Mozzano), territorio lucchese, come attesta l’avvocato Pellegrini di Borgo a Mozzano, un cattolico-liberale che ai tempi di Napoleone I aveva retto incarichi pubblici. Qui non era amato dai notabili del luogo, «in primis» la famiglia Giorgi che, essendo stata in sintonia con Papa Pio VII, per ricordarglielo, fece erigere nella sua proprietà un busto di Pio VII.

Gli intransigenti non amavano certamente il Tossizza. Viene da chiedersi perché egli acquistò in Lucca queste proprietà. Certamente la villa di Segromigno in Monte appartenuta ai Murat su sollecitazione del Duca, di casa in questi luoghi. Ma anche Domazzano dovette essere un suggerimento del Duca Borbonico che, in luoghi come questi (penso a Benabbio, nel comune limitrofo di Bagni di Lucca) nascondeva patrioti mazziniani fuggiaschi, non ultimi gli stessi Bonaparte. La presenza del Tossizza doveva, ritengo, fungere quasi da «controllo del territorio», mi sia concesso, per il Duca Borbonico convertitosi al protestantesimo.

L’avvocato Pellegrini era un cattolico-liberale che noi definiremmo progressista, ossia volto a cogliere le istanze di modernità che il Direttorio e il regime filo francese napoleonico volevano incarnare. Così sia lui che i suoi eredi sempre apprezzarono, anche durante la Restaurazione, quei valori di libertà. E i personaggi che in Cefalonia prima e in Corfù nel 1848 videro un coinvolgimento diretto in questi moti rivoluzionari, come appare dalle carte, sono i cugini dell’avvocato Pellegrini: l’ingegnere Pietro Giambastiani di Lucca in Cefalonia nel 1843 e suo fratello, il frate agostiniano Francesco Giambastiani, che morì ufficialmente suicida in Corfù nel 1848, suicidio mai provato né approvato dalla famiglia del religioso.

Il barone Tossizza vendette la sua proprietà di Segromigno in Monte di Lucca, appartenuta alla contessa di Lipona (Carolina Bonaparte) qualche anno più tardi ai marchesi Zanardi Prosperi di Ferrara, legati anche loro ai moti insurrezionali del 1848.

Tutti questi passaggi di proprietà avvalorano l’ipotesi che sicuramente i moti insurrezionali del 1843, mai provati o segnalati ma che le carte fanno affiorare, videro il coinvolgimento dei napoleonidi mazziniani, dei cattolici-liberali non intransigenti e di Casate regnanti che non facevano capo agli Asburgo.

E Napoleone I?

L’avvocato Pellegrini aveva sposato Teresa Pierotti di Motrone, anche lei cattolico-liberale legata ai Pierotti di Lucca che avevano aderito, anche se cattolico-liberali, ai moti rivoluzionari giacobini. Peraltro alcuni di loro dimoravano in Valdottavo, vicino a Domazzano, dove si trovava il barone Tossizza.

Il giacobino Lorenzo Pierotti, di cui ci parla il dottor Tori di Lucca in una sua pubblicazione, da una lettera risulta che il 1° gennaio 1815 si associa al conte Fabrizio Lazzari di Torino, nipote del Generale Napoleonico Rege De Gifflenga, in comunione in quel frangente con Eugenio, figliastro dell’Imperatore Francese. Fabrizio Lazzari è amico fraterno di Carlo Alberto di Savoia. E lo sarà sempre, divenendo il suo Ministro dell’Interno negli anni Trenta del XIX secolo.

Dunque essendo il principale agente murattiano il Lucchese Giuseppe Binda, anche lui con una proprietà in Segromigno in Monte, data nel 1830 in prestito a tre mazziniani celebri (Gherardi Angiolini, il conte Bichi e Michele Carducci, padre di Giosuè) in comunione con questi ambienti, ed essendo il Murat non più recalcitrante nell’unirsi all’Imperatore dopo la sua fuga dall’Isola d’Elba, avvenuta a fine febbraio del 1815; e ancora avendo Lorenzo Pierotti inviato la lettera rinvenuta all’abate Ranieri Zucchelli di Pisa, suo amico, se ne deduce che gli ambienti cattolico-liberali in quel momento non erano così recalcitranti nei confronti di Napoleone I. Tra i due mali, quello giacobino e quello asburgico, questi sceglievano sicuramente il minore.

Se la storiografia ha dipinto Napoleone sia come un rivoluzionario mangiapreti che come un reazionario papista ha commesso un grave errore e una grave disattenzione in entrambi i casi, sul piano storico.

I documenti che ho all’attivo avvalorano tale possibilità. Nel bicentenario della morte dell’Imperatore dovremmo rendere omaggio di verità storica non solo a lui ma anche a tutti coloro che si batterono per idealità ben diverse da quelle che poi si sono affermate. Che nascondono dietro una patina di liberalismo qualcosa che di liberale ha ben poco. Ne è riprova la tangibile mancanza di un revisionismo storico che dovrebbe assolutamente, in nome di situazioni storiche incontrovertibili, venir affrontato e non ignorato o, addirittura, vilipeso.

(giugno 2021)

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