Gioacchino Murat in Corsica
La lettura di alcuni documenti degli Archivi toscani e Vaticano

La vicenda storica di Gioacchino Murat è stata particolarmente controversa. Personaggio che divenne da figlio di albergatore a Sovrano,[1] esempio di quella mobilità sociale che caratterizzò il periodo napoleonico. La sua folgorante carriera ebbe un tragico epilogo. Ed è di questo epilogo che i documenti che ho rinvenuto si occupano.

Analizzando sinteticamente i fatti che precedettero la tragica fucilazione del nostro in Calabria, troviamo un Murat speranzoso di mantenere il suo Regno napoletano, ed al contempo con velleità politiche che andavano oltre quanto già in precedenza era riuscito ad ottenere.

Dopo una folgorante carriera e la brillante ascesa, al punto da diventare Re del Regno di Napoli nel 1808, quando Napoleone dette al fratello Giuseppe il Regno spagnolo, egli si prodigò per sostenere l’Imperatore in Russia, durante la difficile campagna del 1812.

In seguito alle sorti avverse di Napoleone, avviò segretamente contatti con l’Austria, inviando a Vienna il principe Cariati, e contemporaneamente prese contatti con gli Inglesi, incontrando personalmente un delegato di Lord Bentick, a Ponza. Da tali manovre scaturì un accordo con le due potenze che gli garantirono la conservazione della Corona.

Ma il Congresso di Vienna decise la restituzione del Regno di Napoli ai Borboni ed allora Murat dichiarò guerra all’Austria, riavvicinandosi a Napoleone, che nel frattempo era fuggito dall’esilio dell’Elba. In quel frangente l’ex Re partì con il suo esercito alla conquista del Nord Italia. Al suo comando annoverava, fra gli altri, i generali Caracciolo, Pignatelli, Pepe, D’Ambrosio.

Dalle Marche entrò nelle Romagne ed il 20 marzo 1815, giunto a Rimini, lanciò un accorato appello, redatto da Pellegrino Rossi, con il quale chiamò tutti gli Italiani a raccolta, esortandoli alla rivolta per la conquista dell’Unità e dell’Indipendenza nazionale. Il gesto di Murat riaccese le speranze di molti giovani, fra cui Alessandro Manzoni, il quale iniziò la stesura della canzone Il proclama di Rimini, rimasta poi incompiuta come l’iniziativa murattiana.

La diffidenza italiana verso i Francesi non aiutò Murat: l’appello rimase in gran parte inascoltato.

La guerra all’Austria proseguì registrando un primo successo presso Panaro, ma anche la successiva sconfitta del 3 maggio 1815 a Tolentino. Egli dunque arretrò fino a Pescara, dove promulgò una Costituzione, nella speranza di ottenere l’agognato sostegno popolare, che non arrivò. Incaricò allora i generali Carrosca e Colletta di trattare la resa, che ci fu il 20 maggio, con la sottoscrizione della Convenzione di Casalanza, presso Capua, con la quale i Borboni ritornarono sul trono di Napoli.

Il nostro riparò in Corsica quando Napoleone si stava avviando verso la definitiva caduta che avvenne pochi giorni dopo a Waterloo. In Corsica raggiunsero Murat notizie di malcontento popolare nel suo ex Regno. Ufficialmente per tale motivo partì in settembre per Napoli, sbarcando a seguito di una tempesta a Pizzo Calabro, dove venne catturato e fucilato a soli quarantotto anni d’età, il 13 ottobre 1815.

Egli, dopo la caduta del regime napoleonico, si propose dunque come Re d’Italia; di fatto il celebre Proclama di Rimini[2] dette inizio ad un’epoca, quella risorgimentale, piena essa stessa di contraddizioni, che il nostro seppe da subito interpretare.

Gerardo Raffaele Zitarosa[3], in una sua pubblicazione, sostenne che Giustino Fortunato e Pietro Colletta avrebbero attirato Murat nel Regno di Napoli, facendogli credere che sarebbe stato accolto in modo trionfale dalla popolazione, allo scopo di bloccare le sue intenzioni di conquista. Confutata in passato, questa ipotesi si è rivelata infondata, almeno tale l’interpretazione più accreditata sulle conclusioni del celebre studioso calabrese.

L’ufficialità lo vuole esiliato in Francia, dopo aver trattato la resa coi Borboni. In quell’occasione Napoleone non volle saperne di lui ed allora Murat riparò in Corsica, allo scopo di tentare l’ultima sua carta politica: dirigersi nel Meridione.

Nella rivista soppressa «Archivio di Corsica», diretta nella prima metà del XX secolo da Gioacchino Volpe, furono messe in rilievo, con provati documenti, le vicende che condussero il Murat in Calabria nell’ottobre del 1815, dove trovò la morte.

Ritengo tali documenti rilevanti sul piano storico, non solo per quanto ci dicono di Murat, dell’uomo e del personaggio, ma per essere riusciti a delineare, quasi dall’interno, le dinamiche iniziali dei movimenti insurrezionali del nostro primo Risorgimento, che tanto sono stati dibattuti ed ancora non del tutto definiti.

Scrive lo storico Ersilio Michel in «Archivio di Corsica»[4]: «Il 25 agosto 1815, dopo i pericoli e le peripezie patite in Provenza, Gioacchino Murat, accompagnato da pochi seguaci, sbarcava clandestinamente, com’è noto, a Bastia, forse ancora incerto sul partito cui appigliarsi per avvincere di nuovo a sé quella fortuna che pareva l’avesse abbandonato. La notizia del suo arrivo si spargeva presto tra i cittadini e da Bastia si propagava rapidamente nei vari luoghi dell’Isola, richiamando a Vescovado, dove l’ex Re si era ritirato, subito dopo lo sbarco, numerosi Córsi, che a Napoli, negli anni precedenti, avevano militato sotto di lui, o vi avevano coperto uffici civili.

Dall’Isola, come è facile immaginare, la notizia veniva presto trasmessa a Livorno, a Genova, a Civitavecchia, a Napoli. Seguirono le autorità politiche della città e consoli esteri. [La notizia] si propagò poi per ogni dove. Seguirono trattative con lo stesso Murat di vari Governi.

Appena si era sparsa la notizia dello sbarco di Murat in Corsica, più numerosi convennero a Livorno i forestieri sospetti che si proponevano di partire per Bastia; e il cancelliere criminale toscano Giovanni Nisi, prima ancora di ricevere istruzioni da Firenze, adottava contro di loro, sistematicamente, il grave provvedimento dello sfratto dal Granducato. Il presidente Puccini, scrivendo in proposito al Governatore Spannocchi, il 2 settembre approvava quella misura di rigore, e anche a nome del Ministro Corsini, prescriveva che ai forestieri sfrattati fosse fatto obbligo di prender la via di terra, anziché quella di mare, appunto perché non andassero ad ingrossare il numero degli aderenti al Re Gioacchino».[5]

Evidentemente i vari Sovrani della Penisola e la stessa Austria temevano i movimenti dell’ex Sovrano, pur essendo questi necessariamente circoscritti e, con una certa approssimazione, preventivabili. Si temevano soprattutto alcuni uomini al seguito di Murat, qui descritti come Córsi che, fedeli sostenitori del partito bonapartista, avrebbero potuto destabilizzare le decisioni politiche prese a Vienna.

Nessun governo d’antico regime ivi presente considerò in modo superficiale quanto stava accadendo, segno che Re Gioacchino aveva ancora un seguito nella Penisola, seppur minoritario.

Scrive Michel: «Nei giorni seguenti giungevano ai Ministri granducali, dalla Corsica, dall’Elba, notizie sempre più inquietanti […]. Un ufficiale medico toscano, di nome Landini, mandato dal colonnello Casanova a Portoferraio, a prender possesso dei magazzini dell’ospedale militare e civile, prima dell’ingresso formale delle truppe granducali, trasmetteva il 6 settembre al Presidente del Buon Governo Toscano le seguenti informazioni: “…Voi sapete che l’eroe Murat s’è potuto salvare in Corsica con pochi dei suoi. La posta di Bastia lo trovò in una piccola barca vestito da marinaio, nell’atto che era per perdersi. Lo ricevette al suo bordo e lo portò a sbarcare in un luogo detto l’Arcivescovo. Ha trovato dei partigiani e si dice che ordini alla gente. Il suo primo pensiero, appena sbarcato, fu di scrivere a questi signori… esortandoli a non rendersi a noi, assicurandoli che sarebbe venuto a soccorrerli. Questa mattina ha scritto di nuovo, ma la lettera è stata intercettata.

Bisogna confessare che qui sono tutti di un colore e piuttosto che fare il loro dovere, che li richiamerebbe alla sommissione al Sovrano, si attaccherebbero per sfuggirla anche al Bey di Algeri…”.[6] […] Il Murat […] ormai deciso di tentar l’impresa della riconquista del trono, al quale dichiarava di non aver mai abdicato accelerò alacremente i preparativi della spedizione, preparativi che potevano essere da tutti osservati [molti gli emissari dei vari governi pronti a controllare ogni mossa dell’ex Sovrano].

Il console pontificio a Bastia riferiva il 10 settembre quanto aveva osservato e saputo e dichiarava insieme la necessità che di tutto fossero ragguagliati i Consoli delle Potenze alleate: “…otto delle più grosse barche di questo porto sono state in parte comprate e in parte noleggiate dai segreti agenti di Murat, né si è guardato al prezzo per ottenerle dai proprietari; ed una filunga bene equipaggiata è stata pure noleggiata. Su questa si crede che debba imbarcarsi l’ex Re per essere in stato di fuggire in qualche occasione; la maggior segretezza regna su quest’affare, ma dai movimenti che osservansi nei suoi antichi impiegati militari si scorge pienamente il loro progetto. Essendo sbarcato Murat in Corsica senz’alcun equipaggio, v’è da presumere con tutto fondamento che dette barche debbono essere destinate a imbarcare tutti i Córsi che si vorranno imprudentemente avventurare a seguire il suo destino, dei quali il numero in ragione dei bastimenti non deve essere indifferente. Quantunque non si possa conoscere con certezza la destinazione di Murat è però voce comune che egli voglia far lo sbarco nel Regno di Napoli e si assicura in Gaeta. Mi sembrerebbe pertanto opportuno che si ragguagliassero immediatamente i Consoli delle Nazioni e delle Potenze alleate ed in particolar modo quelli di Francia, Inghilterra ed Austria. Quello di Napoli poi è il più necessario, affinché, accusandolo alla sua Corte, possa decidersi a prendere delle pronte misure, per opporsi a qualunque fosse l’impresa di Murat…”.[7]

[…] Quali che fossero le segrete intenzioni di Re Gioacchino, il suo contegno sospetto e i suoi maneggi e preparativi accrescevano sempre più le inquietudini delle autorità granducali, e sino dal 23 settembre il conte Fantoni, in una lettera al Presidente del Buon Governo, per porre un termine ai timori e per liberarsi da ogni incubo che derivava da quell’inquieto e misterioso vicino, proponeva una spedizione armata, composta di milizie toscane e austriache che sbarcasse sotto la protezione delle navi britanniche in un luogo dell’Isola e si impadronisse della persona di Murat.[8]

A preoccuparsi fu soprattutto lo Stato Pontificio, che pure ospitava al suo interno alcuni napoleonidi. Gioacchino Murat era pur sempre un napoleonide “sui generis”, che agli occhi dei patrioti poteva apparire un personaggio legato ormai al passato, ma allo stesso tempo capace di far rivivere più di altri quei principi scaturiti dalla rivoluzione che produssero gli avvenimenti di quegli anni.

Infatti se le autorità toscane e quella córsa non dimostrarono grande inquietudine per la prorogata dimora del Re Gioacchino nell’Isola, non di meno il Cardinale Consalvi, Segretario di Stato vaticano, raccomandava una particolare vigilanza al Delegato apostolico di Civitavecchia: “La permanenza di Murat nell’isola di Corsica apriva una strada alle clandestine corrispondenze epistolari tra quell’Isola e lo Stato Pontificio. Le lettere che pervengono dalla via di mare e specialmente da quel luogo sospetto meritano una particolare sorveglianza […]”.[9]

La mattina del 4 ottobre 1815 una nave inglese portò la notizia della partenza del Murat a Civitavecchia e consegnava lettere per il Cardinale Consalvi e per il Console inglese che quel delegato, Monsignor Giovanni Antonio Benvenuti, si affrettava a inviare a Roma per mezzo di un dragone (mandando il cavallo per una staffetta) insieme al rapporto di Basilio Puppi, segretario dell’Ufficio di Sanità. La partenza di Murat era stata fatta risalire al 28 settembre. Passarono vari giorni senza che si avessero sicure notizie della spedizione avventurosa e le autorità granducali, sebbene non avessero a temere per la quiete e la sicurezza dello Stato, scrivendo il 6 ottobre al Segretario di Stato, quasi deploravano che nulla più si fosse saputo di Re Gioacchino. Si riteneva in specifico che Murat nella sua spedizione procedesse d’accordo con gli Algerini.

È noto che l’8 ottobre, dopo varie peripezie, Murat sbarcava a Pizzo Calabro, e vi trovava da parte di quegli abitanti una accoglienza molto diversa da quella che aveva sperato.[10] Quello stesso giorno, invece d’iniziare la marcia trionfale verso Napoli, veniva catturato dal capitano Trentacapilli […] e nei giorni successivi, dopo un processo sommario, veniva condannato a morte. Una lettera proveniente dall’Archivio Segreto Vaticano così descrive la vicenda: “Il governatore di Terracina Raimondo Modesti sostenne che il signor Murat, sortendo di Corsica alla direzione di Salerno, accompagnato da due lance cannoniere e due corvette […] per mezzo di un temporale andò a sbarcare a Pizzo Calabro.

Suppose che i suoi disegni potessero realizzarsi e, presentatosi nella piazza pubblica di detto luogo, con la spada in mano, pronunciò queste parole: ‘Viva il vostro Re legittimo Gioacchino Murat’.

Il popolo, non sapendo che fare, restò sorpreso. A queste voci discese un capitano di linea che era distaccato nel castello di detto luogo, ed irrompendo con le sue parole disse: ‘Arrestiamo questo birbante’ come di fatto successe, e fu condotto nel suddivisato castello”».[11]

In questa, come in altre successive analoghe vicende risorgimentali, scorgiamo un modo d’intendere le possibili alleanze e relazioni come un qualcosa di estemporaneo, con movimenti non ben calibrati, dove le forze in campo affrontavano il nemico senza precisi coordinamenti.

Le nostre vicende risorgimentali non partirono col piede giusto e Re Gioacchino, se in un primo tempo aveva destato una certa ammirazione, sulla scia del mito napoleonico, trovò in campo forze che facilmente poterono contenerlo.

Uomini del calibro di Alessandro Manzoni si entusiasmarono di fronte ad un Re che seppe dar credito ai cambiamenti scaturiti dalle vicende rivoluzionarie, pur tuttavia ritraendosi appena si resero conto che un’epoca si era ormai conclusa, e niente poteva in alcun modo resuscitarla.

La vicenda di Murat mise in evidenza il ruolo accessorio ma allo stesso tempo essenziale sul piano politico di zone cuscinetto, come ad esempio la Corsica; un’isola che per la sua posizione geografica e la sua condizione di territorio francese, potette ospitare patrioti di ogni colore e nazionalità, spesso ricercati dalle varie polizie.

Murat trovò qui terreno fertile, visti i suoi trascorsi con Napoleone I, ma allo stesso tempo rimase abbagliato dalle promesse che senza ogni dubbio gli erano state fatte, nel tentativo di raggiungere Napoli. Si trattava con ogni evidenza solo di promesse, ed infatti ne rimase travolto.

Egli ad un certo punto rappresentava agli occhi dei patrioti italiani l’ennesimo straniero che cercava di appropriarsi della nostra storia nazionale. Un avventuriero che voleva troppo, ed insieme un uomo sprezzante del pericolo, pronto a tutto pur di mantenere quanto era riuscito ad accaparrarsi. Che voleva costruire scenari politici diversi da quelli posti in campo, questi sì, con l’obiettivo di guardare ad un futuro non di antico regime.

Del resto, è doveroso ribadirlo, Murat aveva quarantotto anni e una provata esperienza politica, per giunta su di un piano internazionale. Sicuramente l’ex Sovrano pose del suo in queste vicende, ma fu allo stesso tempo sostenuto da quell’esercito e da quegli esponenti della Carboneria, la cui diffusione sul territorio egli aveva contribuito a far crescere.

Ritengo che, in quel preciso momento, il nostro Paese perse un’occasione politica, quantomeno di possibile coinvolgimento e coesione sociale, soprattutto fra Nord e Sud della Penisola. In questo Re Gioacchino rappresentò, seppur in modo confuso, una carta da giocare per i nostri patrioti nella soluzione della questione nazionale.[12] [13]

Evidentemente i tempi non erano maturi; ancora la Carboneria non aveva al suo interno quelle condizioni che la portarono, in epoca successiva, a formare e indirizzare alcuni valorosi uomini del nostro Risorgimento.


Note

1 Figlio di un albergatore, studiò in seminario, da dove venne espulso a venti anni, si arruolò nella guardia costituzionale di Luigi XVI. Caduta la Monarchia borbonica, entrò nell’esercito rivoluzionario, divenne rapidamente ufficiale. Seguì da subito il Bonaparte, partecipò attivamente al colpo di Stato del 18 brumaio 1799. L’anno successivo divenne cognato del futuro Imperatore dei Francesi, sposandone la sorella Carolina, fino a divenire nel 1808 Re di Napoli, in sostituzione di Giuseppe Bonaparte, che quell’anno acquisì la corona spagnola.

2 Nel marzo 1815 si dichiarò pronto a divenire Re d’Italia invitando gli Italiani a ribellarsi al nuovo dominatore austriaco. In molti furono colpiti favorevolmente. Tra questi lo stesso Alessandro Manzoni.

3 Studioso e scrittore lucano, il cui nome rimane legato alle manifestazioni più importanti della vita culturale italiana dal 1933 al 1970.

4 Ersilio Michel, storico livornese, si è occupato a lungo di storia del Risorgimento, con particolare riguardo alle vicende corse del periodo.

5 ASCL: governo di Livorno, corrispondenza Ministeriale, Lettera del 2 settembre 1815.

6 Archivio di Stato di Firenze, Buon Governo Segreto, anno 1815, numero 329, Lettera del Console Pontificio a Bastia, 4 settembre e del Landini, 6 settembre.

7 Archivio di Stato di Firenze, Buon Governo Segreto, anno 1815 numero 329, Lettera del Console Lota, 10 settembre 1815.

8 Archivio di Stato di Firenze, Buon Governo Segreto, anno 1815, numero 329, Lettera del commissario Fantoni del 23 settembre 1815.

9 Archivio segreto Vaticano – Segreteria di Stato 165 – Polizia Famiglia Bonaparte – 1815 – 1824, Lettera 27 settembre 1815, s. n.

10 Questo genere di interpretazione storica vuole un coinvolgimento di patrioti italiani della Penisola nelle vicende del’ex Re, sconfessato ufficialmente ma in verità, visti questi documenti, forse piuttosto realistico.

11 Archivio Segreto Vaticano, Segreteria di Stato numero 285, Consiglio di Napoli, anno 1815, Lettera del 13 ottobre s. n. e numero 165 polizia, famiglia Bonaparte.

12 H. Zima, Murat ovvero il sogno dell’Italia unita. La campagna di Tolentino del 1815 e la fine a Pizzo, Tolentino 2004.

13 A. Valente, Gioacchino Murat e l’Italia Meridionale, Torino, Einaudi, 1976.

(agosto 2012)

Tag: Elena Pierotti, Gioacchino Murat, Corsica, Italia, Risorgimento, Italia Meridionale, Pizzo Calabro, Ottocento, Napoli, Calabria, Napoleone Bonaparte.