Il mito di Pio IX
Storia di un Papa liberale e nazionale
di Ignazio Veca, Edizioni Viella, Roma 2018, 310 pagine

A un ventennio dalla beatificazione del Sommo Pontefice Pio IX, che ebbe luogo a opera di Giovanni Paolo II il 3 settembre 2000, quasi a suggellare il riconoscimento della Chiesa Cattolica per i valori spirituali espressi con il lunghissimo pontificato dell’ultimo «Papa Re», le valutazioni della storiografia continuano a essere molto attente, e in diversi casi, significativamente integrate da importanti approfondimenti, come quello di Ignazio Veca, riguardante soprattutto il primo triennio: quello che diede luogo alle speranze del movimento liberale circa una possibile evoluzione costituzionale dello Stato Pontificio, non disgiunta dalle attese per la conseguente promozione di un disegno unitario, nell’ambito di una federazione presieduta dal Vescovo di Roma.

Di qui, il cosiddetto mito di Pio IX (1792-1878) che era stato elevato al Soglio il 16 giugno 1846 all’ancor giovane età di 54 anni, dopo una rapida carriera ecclesiastica iniziata con l’ordinazione sacerdotale nel 1819, l’incarico di delegato apostolico in Cile, quelli vescovili sulle cattedre di Spoleto e di Imola, e la nomina a Cardinale sopraggiunta nel 1840 per iniziativa del predecessore, Papa Gregorio XVI.

Il nuovo Pontefice si compiacque di esprimere un messaggio piuttosto chiaro sin dalla scelta del nome, che si richiamava a quelli di Pio V, il vincitore di Lepanto, ferreo esecutore dei decreti tridentini, che non aveva esitato a scomunicare la Regina Elisabetta d’Inghilterra; di Pio VII, che aveva vissuto l’esperienza traumatica della grande Rivoluzione e della persecuzione napoleonica, pur manifestando tendenze conciliatrici tanto più commendevoli in momenti davvero tragici per le sorti della Chiesa; e dello stesso Pio VIII, marchigiano come Papa Mastai, anch’egli imprigionato dal Bonaparte per la tenace opposizione del tempo vescovile nei confronti di ricorrenti soprusi dell’Imperatore, ma di grande operosità nello spirito della riconciliazione, pur essendo molto anziano e avendo regnato per meno di due anni.

Pio IX aveva letto le opere di Cattolici in qualche misura «progressisti» come Vincenzo Gioberti, e di storici moderati quali Cesare Balbo e Massimo Taparelli D’Azeglio: anche in questa ottica, non è difficile spiegare il primo gesto significativo del nuovo Pontificato, quello di promuovere l’amnistia ai fuorusciti e ai condannati politici (una sorta di «perdono» caritatevole rivolto a un migliaio di persone) cui avrebbe fatto seguito nel breve termine un atteggiamento anti austriaco tale da suscitare la fiducia in un possibile cambiamento della strategia pontificia, e quindi, una forte emozione negli ambienti liberali e nella ristretta schiera di patrioti che s’illudevano di promuovere l’unità della Patria Italiana, nel quadro di un’evoluzione sostanzialmente pacifica, e quindi, vista la pervicacia delle opposizioni reazionarie, non lontana dall’utopia.

Quello manifestato da Pio IX durante il primo triennio sulla Cattedra di San Pietro fu una sorta di assolutismo illuminato, addolcito da invocazioni destinate a suscitare naturali entusiasmi, come la celebre preghiera a Dio di «benedire l’Italia», e come le riforme del 1847 con cui vennero istituiti il Consiglio dei Ministri, la Consulta di Stato e il Consiglio Comunale di Roma, per non dire della contestuale concessione della libertà di stampa. Non mancarono aperture nei confronti del progresso tecnico, come la ferrovia, tanto più notevole in quanto Gregorio XVI l’aveva definita strumento del demonio. Nondimeno, la struttura istituzionale di fondo rimaneva quella teocratica, basata sulle Tavole della Legge, e non certo sui nuovi canoni della Rivoluzione, riproposti sia pure in maniera edulcorata da quella «moderata» del 1830 e dalla cacciata di Carlo X dal trono di Francia, per sostituirlo con Luigi Filippo d’Orleans.

Alcuni protagonisti dell’epoca ritennero che il nuovo Papa non avesse un’adeguata preparazione politica ma non videro giusto, perché i primi atti del Pontificato furono rivolti a promuovere le attese di quello che durante la Restaurazione era stato definito il «juste milieu» (contro le nostalgie giacobine dei vecchi rivoluzionari e nello stesso tempo contro la volontà di ripristinare l’Antico Regime non senza ricorrere al cosiddetto Terrore Bianco). Poi, con l’avvento della Repubblica mazziniana, la suggestiva proclamazione della Terza Roma – come si definiva quella che fu detta dei popoli – il successo sia pure effimero delle pregiudiziali democratiche, e la conseguente fuga del Pontefice per l’esilio di Gaeta, la storia avrebbe preso un nuovo corso, pur lasciando nella memoria collettiva il «mito» del Papa liberale. D’altra parte, come ha detto Don Roberto Regoli nella presentazione del volume di Ignazio Veca, la cosiddetta unione sacra vagheggiata dai patrioti moderati si risolse in un fallimento perché «la rivoluzione del 1848 non poteva essere cristiana».

Ciò non significa che Pio IX, quale espressione di una nuova modernità tattica, non avesse cercato il consenso, per esempio attraverso una diffusa pratica delle udienze, anche se poi sarebbe stato costretto dagli eventi a esercitare il ruolo di Sovrano temporale in un contesto difficile come non mai, sino alla promulgazione del «non expedit» dopo il 1870, e alla pronuncia della scomunica nei confronti degli usurpatori. Il suo tentativo di coniugare gli antichi valori con le nuove istanze nazionali non poteva avere successo, tanto più che – coerentemente con la dottrina cattolica – avrebbe affermato di non poter dichiarare la guerra e rifiutato l’idea stessa della federazione quale risultato di un processo rivoluzionario, mentre si era detto disponibile, sulla scorta di quanto era accaduto nel Cinquecento, a esercitare poteri determinanti di arbitrato, come avrebbe dimostrato, soprattutto negli anni Cinquanta, stipulando una ventina di Concordati.

Col ritorno dall’esilio dopo la fine della Repubblica Romana, ebbe inizio un nuovo Pontificato: quello che avrebbe condotto alla proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione (1854) seguita dal monumento celebrativo eretto in Piazza di Spagna; e più tardi, al Sillabo (1864), al Concilio Vaticano I (1869) e al nuovo dogma dell’infallibilità pontificia «ex cathedra». Dopo Porta Pia, al termine di un conflitto di pochi giorni col Regno d’Italia, iniziato senza alcuna dichiarazione di guerra da parte del Governo di Firenze e concluso con l’ordine di cedere le armi, il Papa avrebbe rifiutato la Legge delle Guarentigie e si sarebbe ritirato nella Città Leonina, dando inizio a una lunga opposizione, addolcita soltanto col Patto Gentiloni del 1913 e terminata formalmente dopo un sessantennio, con la Conciliazione del 1929.

In effetti, il comportamento assunto dal Vaticano dopo il 1870 fu quello della «non responsabilità» o per meglio dire, citando un’espressione di Ignazio Veca, della fedeltà ai propri doveri: tutto ciò, alla stregua di una prassi da non potersi attribuire al solo Pio IX, pur nella sua figura di monarca assoluto, ma nello stesso tempo a quanti, come Antonio Rosmini, collaboravano attivamente nella gestione degli affari pubblici, non meno che di quelli spirituali.

Il primo triennio del Pontificato di Papa Mastai ebbe caratteri ben diversi da quelli a cui avrebbe dovuto necessariamente uniformarsi dopo l’esperienza della Repubblica Romana, evolvendo verso un’interpretazione religiosa sempre più lontana dalle suggestioni politiche: d’altra parte, non si può certamente dire che la svolta storica sia stata dovuta a Pio IX, laddove furono determinanti le istanze rivoluzionarie e le suggestioni emozionali del Quarantotto.

(settembre 2019)

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