Mazzini e la religione
Il pensiero religioso del fondatore della «Giovine Italia»

È stato notato che i padri della Patria italiana dovendo confrontarsi con la Chiesa per raggiungere l’unità nazionale, manifestarono spesso un atteggiamento anticlericale anche se per diversi motivi. Se Cavour e altri funzionari, pur proclamandosi cattolici, ritenevano però che lo stato avesse il diritto di legiferare sugli affari ecclesiastici, l’anticlericalismo di Giuseppe Mazzini era fondato invece su uno stampo diverso e più spiritualistico. Il rivoluzionario infatti non combatteva lo Stato della Chiesa solo perché considerato un ostacolo all’unità italiana ma la sua lotta aveva anche una valenza religiosa: dalla «Terza Roma» (intendendo quella del «Popolo» dopo quella dei Papi e degli Imperatori) sarebbe dovuta partire una nuova religione, di cui si considerava una sorta di profeta, che avrebbe sostituito il Cristianesimo ricoprendo il suo ruolo universalistico.

In realtà, Mazzini apprezzava il Cristianesimo riconoscendogli il merito di aver contribuito con la sua morale al progresso e alla libertà delle persone, tuttavia riteneva che ogni religione fosse sottoposta alla legge del progresso e che stesse per giungere un’epoca in cui una nuova fede avrebbe trionfato nel mondo. Le sua fede religiosa restava vaga ed indeterminata, e pur riprendendo molte idee e concetti dalla visione cristiana, presentava anche caratteristiche radicalmente differenti: per il rivoluzionario, Dio non manifestava il suo messaggio una volta per tutte, ma in ogni epoca faceva conoscere la sua dottrina attraverso una progressiva rivelazione. Secondo il fondatore della «Giovine Italia», Cristo veniva perciò ricondotto ad un semplice «rivelatore», l’idea di peccato scompariva e la redenzione assumeva un accento terreno attraverso la liberazione dei popoli. Mazzini credeva inoltre nella reincarnazione e nel progressivo avvicinarsi a Dio attraverso le esistenze successive[1].

Lo stesso obiettivo di costruire un’Italia repubblicana, unita ed indipendente erano considerate dal rivoluzionario un’opera religiosa in quanto Dio aveva assegnato ad ogni nazione una missione da compiere: compito dell’Italia sarebbe stato quello di fare da guida agli altri popoli europei nella lotta per l’emancipazione secondo il principio di nazionalità[2]. Nell’ottica di Mazzini, la religione avrebbe inoltre ricoperto un ruolo fondamentale nella nuova repubblica che sarebbe sorta in quanto il rivoluzionario rifiutava il concetto di laicità e, al contrario, auspicava una sorta di «teocrazia popolare» in cui l’Assemblea Costituente avrebbe ricoperto anche il ruolo di Concilio Nazionale delle Chiese[3].

Nella sua lunga attività cospirativa, il rivoluzionario non riuscì ad attuare i suoi propositi religiosi, anche perché Mazzini non ricoprì mai incarichi politici, con eccezione delle breve parentesi come Triumviro della Repubblica Romana. Durante quel periodo, sebbene i suoi avversari lo accusassero di aver governato come un dittatorie sanguinario, il Genovese diede invece prova di moderazione[4] e di buone capacità amministrative. In quell’occasione, considerata anche la situazione di emergenza in cui si trovava la Repubblica, Mazzini non ebbe l’occasione di attuare la sua riforma religiosa e, anzi, l’articolo 2 della Dichiarazione dell’Assemblea Costituente Romana stabiliva che «il Pontefice Romano avrà tutte le guarentigie necessarie per la indipendenza nell’esercizio della sua potestà spirituale».

Per quanto riguarda la politica religiosa, i governatori romani cercarono di manifestare alla popolazione, nonostante le condanne pontificie, la continuità della fede cattolica (unita ad un marcato accento nazionale) oltre al favore divino verso il nuovo regime. Così, se da un lato, il Governo Repubblicano organizzò l’apertura del Sant’Uffizio per indurre nel popolo avversione verso il precedente Governo Pontificio, dall’altro, nel giorno del Venerdì Santo, i Triumviri, nonostante la contrarietà degli ecclesiastici, ristabilirono un’antica usanza, abolita da Papa Leone XII, che faceva risplendere all’interno della Basilica Vaticana una croce illuminata (per quell’occasione a luci tricolori), e nel giorno di Pasqua, fecero celebrare la Messa all’interno di San Pietro da un prelato sospeso «a divinis» (l’Abate Luigi Spola, assistito da Padre Ventura e Padre Gavazzi), in seguito al rifiuto dei canonici di celebrare la funzione.[5]

Nonostante i suoi fallimenti, sia gli estimatori che i critici riconoscono che Mazzini svolse un ruolo fondamentale nella formazione del Regno d’Italia in quanto la sua tattica di provocare continui moti rivoluzionari ebbe l’effetto di tenere in allarme le Cancellerie Europee e di mantenere alta l’attenzione sul problema italiano (cosa che Cavour sfrutterà con successo). Tuttavia, i ripetuti fallimenti in progetti, secondo la definizione di Carlo Cattaneo, «intempestivi e assurdi», causarono il defezionamento di molti suoi seguaci che decisero di perseguire la strada, assai più concreta e realistica, di un’alleanza con il Regno di Sardegna per ottenere l’indipendenza italiana.

Questo provocò quindi la progressiva emarginazione di Mazzini dal processo risorgimentale: difatti, nonostante la sua disponibilità a collaborare con il Piemonte per ottenere l’unità, Mazzini non accettò mai l’istituto monarchico arrivando anche a tentare delle insurrezioni nel nuovo Regno per cercare di instaurare la Repubblica. Fino alla sua scomparsa, avvenuta nel 1872, Mazzini manifesterà perciò profondo disprezzo verso l’Italia costituitasi, essendo ben lontana da quella nazione immaginata che avrebbe dovuto compiere la missione affidatagli dal suo Dio.


Note

1 Confronta Giovanni Belardelli, Mazzini, Bologna 2010, pagine 76-78.

2 Giuseppe Mazzini non era invece pregiudizialmente ostile al colonialismo europeo in quanto riteneva che l’Europa fosse destinata a «portare il resto del mondo all’incivilimento progressivo». Confronta Giovanni Belardelli, Mazzini, Bologna 2010, pagine 218-220.

3 Sullo stretto rapporto tra politica e religione nel pensiero di Mazzini è esemplare quello che scrisse al Papa Pio IX nel 1847: «Noi fonderemo un Governo unico in Europa, che distruggerà l’assurdo divorzio fra il potere spirituale ed il temporale».

4 Vi furono, durante i mesi della Repubblica Romana, alcuni casi di assassini di preti e sacerdoti, come il massacro nel convento di San Callisto operato da una colonna di finanzieri comandata da Callimaco Zambianchi. Queste uccisioni non furono, però, ordinate dal Governo Repubblicano, che anzi, tentò di porre freno alle violenze.

5 Per la descrizione di questi episodi confronta Stefano Tomassini, Storia avventurosa della rivoluzione romana, Milano 2008, pagine 259-261.

(aprile 2017)

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