Tra Lucca e Ferrara
Storie di una famiglia d’antica origine[1]

Il nostro Paese è caratterizzato da storie di famiglie talvolta non così conosciute al grande pubblico, le cui vicende hanno avuto un rilievo storico sia in patria che fuori, segnando profondamente legami e situazioni, non solo in ambito familiare.

Voglio qui narrarne alcune, che videro come protagonista la famiglia Prosperi, una delle principali casate feudali in ambito estense.

Il personaggio di cui mi sono occupata nella mia tesi di laurea si chiamava Gioacchino Prosperi, era Lucchese, aristocratico di nascita, vissuto nel XIX secolo e rimando alla pubblicazione della mia tesi per chi fosse interessato nello specifico alle sue vicende.[2] Il religioso fu un personaggio assai controverso. Prima Gesuita con i D’Azeglio e i Savoia a Torino, poi Francescano e massone, impegnato in Corsica in questioni risorgimentali a tutt’oggi mai chiarite dalla ricerca storiografica.

Successivamente parrebbe, dalla corrispondenza presente alla Biblioteca Statale Lucchese ed all’Archivio di Stato, legato, da rosminiano, al Lucchese Passaglia, trapiantato a Torino dopo le burrascose vicende romane successive al Quarantotto.

Ma anche al prevosto di San Fedele in Milano, Don Giulio Ratti, confessore personale di Alessandro Manzoni e cugino di Pio IX; un Padre progressista quest’ultimo, solo in parte vicino alle posizioni del cugino Mastai Ferretti, divenuto poi Papa ed anch’egli francescano. Il Ratti, in quegli anni, non fu sempre in sintonia con le posizioni di «Civiltà Cattolica».

C’è già molto, in queste affermazioni, tutte documentabili, per capire il panorama di riferimento e perché Padre Gioacchino Prosperi fu dimenticato, anche in ambito cittadino, sin dalla sua morte, avvenuta nel 1873. Eppure aveva al suo attivo pubblicazioni, era stato un uomo colto che aveva speso la sua vita in patria e fuori, per conciliare il legame tra mondo cattolico, mondo protestante, mondo ebraico e mondo laico italiano. Tutto documentabile, del resto, grazie a quanto il religioso ci ha lasciato.

Dopo la tesi ho voluto dunque andare oltre le apparenze, sia in Piemonte che in Lucca, cercando notizie sulla sua illustre famiglia, sebbene con difficoltà.

Mi sono rivolta persino in Ferrara, al professor Paolo Zanardi Prosperi, che gentilmente, pur non conoscendo il personaggio, mi ha offerto delucidazioni sulla sua famiglia ferrarese, lucchese di provenienza, con un importante passato. I Prosperi Ferraresi hanno infatti molte diramazioni familiari, che rendono complessa una dettagliata ricerca araldica.

Di Gioacchino Prosperi sapevo che era figlio di Maria Angela Castiglioni dei Castiglioni di Olona[3], famiglia di origine longobarda imparentata coi fratelli Verri. Da qui la frequentazione con Alessandro Manzoni, che a sua volta a Lucca era di casa sin dalla più giovane età.

Col professor Zanardi Prosperi non abbiamo potuto al momento capire se Gioacchino appartenesse al suo stesso ramo genealogico, ma molti sono gli elementi che lo fanno supporre.[4] Dunque in modo indiziario, così come sono riuscita a ricostruire le questioni del religioso durante la stesura della tesi, cercherò ora di chiarire fatti e situazioni che ritengo particolarmente rilevanti, soprattutto in ambito nazionale, inerenti la celebre famiglia.

Fatti certi: i Prosperi in Ferrara. Siamo nel 1587 e «Bartolomeo Prosperi, detto il Cavaliere, ricordava la calda amicizia mostratagli dal Duca di Ferrara Alfonso II d’Este, mettendo in evidenza con orgoglio la posizione raggiunta nella Corte ed il rimpianto, dopo la fine del Ducato Estense, per la perduta familiarità con personaggi di grande rango».[5]

La stima nei confronti dei Prosperi non si era manifestata soltanto in occasione di battesimi e cresime, quando da padrini e madrine facevano gli stessi Duca d’ Este, ma si era resa evidente anche in circostanze diverse. È il caso di Bartolomeo Prosperi, nato il 20 gennaio 1538, quando la sua famiglia, già da alcuni decenni, aveva raggiunto una posizione di tutto rispetto nella Corte Ferrarese. Il nonno Bernardino era stato in Francia nel 1494, ambasciatore del Duca Ercole I e per molto tempo corrispondente prezioso e fidato della Duchessa Isabella, moglie di Francesco Gonzaga, colta e brillante animatrice della Corte Mantovana.

Uno zio omonimo, inoltre, aveva ricoperto il prestigioso incarico di consigliere e segretario di Ercole II e trattato per lui il matrimonio e la dote della figlia primogenita Anna con Francesco di Lorena. Anche Giovanni Paolo era entrato nelle grazie di Cesare d’Este a tal punto da meritarsi lusinghiere attestazioni di stima.[6]

Nel 1596 Costantino Prosperi dava alle stampe un libricciolo in rime e lo dedicava a Cesare d’Este, sperando che la protezione del Principe lo salvasse dai calunniatori. Quando il Duca Cesare, deposti i segni di gloria, abbandonava mestamente Ferrara, Costantino la lasciava per tornarsene nell’avita patria lucchese a godere una beata quiete.[7]

La famiglia Prosperi non aveva infatti origini ferraresi, ma toscane. Nel grande albero genealogico, minuziosamente stilato dal notaio Zaniratti nel 1858, compare come capostipite un Ser Conforto da Sorana, notaro e giudice del Sacro Palazzo di Pistoia fin dal 1221. Da lui discende un Prospero di Ser Conforto, anziano della Repubblica Lucchese sul finire del XIV secolo. A Lucca i Prosperi de’ Serconforti si trovarono bene e misero radici per più di un secolo. Non fecero però i conti con i tempi e in una delle tante contese con Pisa diverse famiglie furono costrette a esiliare, prendendo la strada dell’Appennino.

I Prosperi furono tra queste e si recarono a Bologna, altri a Ferrara. Subentrato agli Estensi il dominio pontificio, questo «segnò la decadenza della città di Ferrara ridotta, da capitale di un importante Ducato a periferia anonima e indolente. Non più al centro del gioco politico che aveva caratterizzato il periodo delle Signorie, la città perse rapidamente le sue prerogative di Corte splendida e raffinata. Tra i nobili, gli artisti e i letterati, alcuni seguirono Cesare d’Este nel suo feudo modenese, altri cercarono migliore sorte al seguito dei Pontefici, altri ancora non vollero allontanarsi e rimasero. Anche i Prosperi, che già nel 1573 erano stati reintegrati nella cittadina lucchese, preferirono prendere strade diverse. Un forte nucleo rimase a Ferrara, pur mantenendo interessi economici nella Lucchesia e nel Bolognese. Alcuni invece tornarono definitivamente a Lucca. Altri si dispersero nella Toscana e nel Lazio».[8]

Seguirò qui alcune vicende della famiglia su due fronti, quello lucchese e quello ferrarese, senza trascurare dei rimandi alle loro situazioni laziali, rintracciabili in nota.

In Lucca pare che i Prosperi fossero, in origine, i Ghivizzeni. O comunque ebbero rapporti di parentela con questa casata.

In Ghivizzano, ridente località della media valle lucchese, ha sede un interessante castello, appartenuto a Francesco Castracane degli Antelminelli, fratello del più celebre condottiero Castruccio, di cui ci parla ampiamente Niccolò Machiavelli. Qui troviamo dei documenti che ci riportano ad una famiglia vicina, si presume, nei legami parentali, a Gioacchino Prosperi, cui ho fatto cenno, famiglia presente in Ghivizzano addirittura a partire dall’XI secolo.[9]

A conferma di quanto riferito sappiamo che i Castracane si imparentarono col Signore di Lucca Paolo Guinigi e che in San Francesco di Lucca ci sono i resti mortali sia degli Antelminelli[10] che dei Prosperi. Lo stesso celebre musicista lucchese Luigi Boccherini, figlio di Carola Prosperi, lì è sepolto. A tutt’oggi gli eredi Antelminelli vivono nelle Marche e sono «in via ufficiale» i Signori di Ghivizzano.

Per scoprire alcuni dei particolari rapporti, sia familiari che politici, tra queste casate basta proiettarci nelle più scabrose e, se vogliamo, affascinanti questioni politiche d’epoca napoleonica e del nostro Risorgimento.

Lucca, 5 maggio 1812. «Con una gentile epistola il Principe di Lucca, Felice Baciocchi, consorte di Elisa Bonaparte, sorella dell’Imperatore Napoleone I, tramite il suo ciambellano informava Michel Fausto Prosperi in Ferrara[11] che avrebbe dovuto sacrificare alcune sue proprietà ai rigogliosi verzieri della villa dove le Auguste Altezze Imperiali amavano oziare». La disputa fu cruenta, anche perché la posta in gioco era alta e Michel Fausto non si lasciò impressionare dal potere delle Auguste Altezze. Tuttavia dovette poi cedere il campo e dunque le amate proprietà.

Le Auguste Altezze Reali Bonapartiane relative ai Principi Baciocchi misero salde radici in Lucca, seppur vivendoci per un breve periodo. Ritroviamo i familiari di Napoleone in città per buona parte del XIX secolo. Fuggiaschi in Benabbio nel 1836 col Duca Borbonico Carlo Ludovico, successivamente ospiti in Sant’Alessio sino certamente al 1874, quando ivi morì Nicola Cattaneo dei Cattaneo di Corsica, cugino dell’Imperatore.[12] Se il Duca ospitò questi personaggi, lo fece con la complicità dei congiunti di Gioacchino Prosperi, proprietari in Benabbio e nella Media Valle, che ne furono i sostenitori. Quegli stessi congiunti che ancora nel 1874 dimoravano, non casualmente, proprio in Sant’Alessio di Lucca.

Il Risorgimento Italiano, che spesso può apparire, nelle sue vicende, paradossale, non fu semplice paradosso. Entrò nel vivo proprio con i Bonaparte ormai votati alla «causa mazziniana» negli anni Trenta del XIX secolo, poi a quella cattolico liberale degli anni successivi. Analogo percorso seguirono i congiunti Prosperi.

Il ramo lucchese della famiglia, che aveva proprietà nella «sovversiva» Bagni di Lucca e più in generale in Media Valle, fece del mazzinianesimo, in via più ufficiosa che ufficiale, il fulcro del sistema politico. Anche perché in quegli anni la fluidità dei tempi portò i gruppi mazziniani a collaborare con i cattolici liberali. E i nostri erano i cattolici liberali più progressisti, per antonomasia.[13]

Le scabrose vicende del religioso lucchese Gioacchino Prosperi lo attestano. Non si trattava di un caso isolato, tanto meno di un soggetto «non sostenuto» in ambito familiare.

Dopo aver infatti da massone «combattuto» per la causa corsa in Corsica, che coincideva in quel periodo con il più generale federalismo peninsulare, Padre Gioacchino Prosperi lo ritroviamo addirittura ancora nel 1869 ai lavori preparatori del Concilio Vaticano I, sempre con fare battagliero, accompagnandosi ad un Cardinale «progressista», che partecipò al Concilio.[14] Chi mai poteva essere questo Cardinale, di cui Prosperi parla nella sua corrispondenza, ma di cui si riserva di dichiarare il nome?

Le tappe, minuziosamente descritte, del loro viaggio di ritorno ed i legami familiari dei Prosperi, potrebbero, e sottolineo potrebbero, addirittura far pensare al futuro Papa Leone XIII, allora Monsignore, Arcivescovo in Perugia.[15]

Le particolari vicende del religioso lucchese sono per certi versi analoghe a quelle dei suoi congiunti in Ferrara.

Michel Fausto Prosperi ebbe due figli: Gherardo e Arrigo. La madre di questi ultimi, Angela Scacerni, di idee liberali, contribuì profondamente a indirizzare politicamente i figli, soprattutto il primogenito Gherardo. Molti sono i «può darsi» che dobbiamo porci riguardo alla città di Ferrara così come alla città di Lucca, in apparenza sonnolente e prive di connotazione politica liberale. Nelle due ridenti e chiuse città, anche in senso figurato, dalle loro stupende mura, «giunsero gli echi che fin dalla seconda metà del XVIII secolo andavano emergendo fuori e dentro l’Italia, e che piccoli nuclei di riformatori contribuirono a far circolare nei pensieri e nelle opinioni in alcuni strati dell’aristocrazia e nella nascente borghesia?».

Non dimentichiamo che queste famiglie avevano profondi legami in Europa. Nel caso lucchese con Ginevra, con Londra, Anversa, Lione, sin dal Medioevo. E la decadenza economica non era stata necessariamente sempre decadenza culturale. Senza dimenticare il profondo afflato con gli ambienti vaticani e romani, certamente documentabile, tale da esigere comunque una qualche affinità elettiva anche in Europa.

Per questo il liberalismo di Gherardo Prosperi in Ferrara «fu sincero e profondo», seppur necessariamente legato alle esperienze e alle concezioni di una società chiusa, fortemente gerarchizzata, poco edotta sulle altrui necessità e quindi scarsamente sensibile e attenta ai reali bisogni delle masse popolari, dominata da esempi e ideali tratti assai di frequente da archetipi storici o dalla letteratura classica e dall’arte. La moderna storiografia, dopo l’esaltazione neoidealistica del Risorgimento, ha con molte ragioni insistito sugli aspetti elitari, ingenui e non di rado utopistici che caratterizzarono soprattutto le prime fasi dell’Unità Nazionale. Queste considerazioni, dettate dal senno di poi, non turbarono però le menti e le coscienze dei due giovani rampolli di casa Prosperi. Ben altro avevano in mente e ciò che agitava i loro pensieri doveva indispettire alquanto il loro genitore Michel Fausto, che si sfogava di ciò nelle lettere.[16]

Il 1848 fu tutto un crepitio di fiammelle che attraversarono l’Europa intera, minacciando seriamente l’establishement voluto dal Congresso di Vienna e mantenuto a fatica per più di un trentennio. Gli Imperi e le Monarchie vacillarono sotto le spinte indipendentiste. Neppure la Cattedra di Pietro venne risparmiata, anzi, le timide riforme avviate da Pio IX crearono nei patrioti illusorie speranze sull’atteggiamento della Chiesa di Roma verso la questione italiana.

Anche la sonnacchiosa Ferrara si destò. La provvisoria ritirata delle truppe austriache nelle fortezze del Quadrilatero suscitò facili entusiasmi nei Ferraresi che accorsero in buon numero al richiamo della guerra di liberazione e costituirono il corpo dei Bersaglieri del Po. Tra questi militò il fratello di Gherardo, Arrigo, che combatté a Cornuda e fu tra i pochi feriti di quella giornata. All’armamento di questo corpo di volontari contribuirono in parecchi. Anche Gherardo Prosperi si offrì di acquistare per i volontari cento fucili. Nelle lettere sorprende e diverte l’interessamento di eminenti Cardinali, indaffarati a rovistare nei magazzini in cerca di qualche ferrovecchio, che oltretutto non c’è o finge di non esserci. Viste le lettere, sembrerebbe che alla fine quei cento fucili si siano trovati; «Lo speriamo» suggerisce il professor Zanardi «altrimenti a Cornuda non di uno scontro si sarebbe trattato, ma di un suicidio».

Gherardo non si limitò ad allargare i cordoni della borsa,[17] si rese anche attivo nei comitati civici, che provvidero ai numerosi bisogni di una città divenuta quasi di prima linea, e a quelli, non meno numerosi, delle truppe napoletane che, al comando del Generale Guglielmo Pepe, dovevano, per le vie della Romagna, passare da Ferrara e proseguire per la terra veneta.

L’attivismo di Gherardo Prosperi, avulso da ogni fanatismo, e l’equilibrio dimostrato come maggiore della guardia civica, gli valsero l’elezione il 2 febbraio 1849 a rappresentante della provincia di Ferrara presso l’Assemblea Costituente di Roma. La proclamazione di questa Assemblea era stata fatta il 9 novembre 1848 e nel dicembre successivo le associazioni liberali dell’Emilia Romagna e di parte delle Marche, riunite a Forlì per iniziativa di Aurelio Saffi[18] votavano la convocazione dei collegi elettorali. A Forlì era presente anche il Circolo Nazionale di Ferrara. Nonostante la ferma opposizione di Pio IX, che il 1° gennaio del 1849 proibì con un monitorio di prendere parte alle elezioni di questa Assemblea. Per Ferrara tra gli eletti troviamo anche Gherardo Prosperi, che dal 25 febbraio 1849 partecipò assiduamente ai lavori della Costituente, mantenendo tuttavia la sua indipendenza di giudizio che aveva apertamente manifestato quando, a suo parere, l’Assemblea aveva, fin dal 9 febbraio, inopportunamente proclamato la Repubblica Romana. Probabilmente era nell’animo un moderato, convinto della poca efficacia di soluzioni affrettate e sconcertato, forse, dalle diverse e contrastanti posizioni che emergevano nei dibattiti assembleari, facendolo desistere da interventi diretti. Solo in occasione della richiesta di proclamare il fiume Po «fiume nazionale» si interessò direttamente agli eventi, sostenuto in questo anche dal principe di Canino, Carlo Luciano Bonaparte, che, visti i documenti rintracciati, con i congiunti lucchesi dei Prosperi, ramo lucchese, mantenne serrati rapporti. Probabilmente lo stesso era accaduto in Ferrara.

Quando, due settimane dopo la questione inerente il Po, i Francesi del Generale Oudinot sbarcarono a Civitavecchia, l’Assemblea dovette provvedere alla difesa di Roma.

Bisogna dare atto ai Repubblicani Romani di aver mostrato in quei frangenti grande forza d’animo e fermezza di propositi. I rappresentanti continuarono il loro lavoro assembleare, mentre i difensori, sotto la guida energica di Garibaldi, facevano l’impossibile per prolungare i tempi dell’assedio, senza quasi l’aiuto della popolazione, tradizionalmente legata al Papa e ostile quindi a chiunque mettesse in discussione le prerogative temporali del Pontificato. In queste condizioni era arduo resistere. Il 3 luglio 1849 le truppe di Oudinot entrarono in Roma passando da Porta del Popolo e il giorno seguente il reggimento Lamarre occupò il Campidoglio, dove la Costituente aveva trasferito la sua sede, intimando lo scioglimento. Prima di sciogliersi, l’Assemblea incaricò il principe Bonaparte, cugino del Presidente della Repubblica Francese e futuro Imperatore, di leggere il breve ma fiero indirizzo di protesta, redatto dal segretario Quirico Filopanti. La protesta portava in calce la firma di 92 deputati, e tra le prime figurava quella di Gherardo Prosperi.

Rientrato immediatamente a Ferrara dopo i tragici eventi, l’autorità pontificia gli notificò l’ordine di espatrio. Al Prosperi non restò altro, dopo un brevissimo soggiorno a Firenze, che rifugiarsi nella casa di San Colombano in Lucca dove, poco dopo, lo raggiunse il fratello Arrigo, convalescente della grave ferita ricevuta a Cornuda. Non fu per i due un periodo piacevole il soggiorno nella tenuta, tutt’altro. Il Granducato di Toscana li aveva accolti, ma con sospetto e sotto riserva. La polizia lucchese li sorvegliava attentamente, mentre erano loro impediti sia la cura dei loro interessi, sia il conforto della vicinanza dei propri cari. L’unica parentesi felice del soggiorno lucchese di Gherardo fu il suo matrimonio con la figlia di un funzionario cittadino, avvenuto nel 1851. Il celebrante era suo cugino Don Antonio Prosperi. All’archivio di Stato troviamo Antonio come nome di famiglia dei Prosperi, ma non è dato sapere se ci fossero affinità elettive con i familiari di Gioacchino che, anche lui, si evince da una sua lettera, soggiornò in Gragnano di Lucca, località adiacente a San Colombano. E che viveva nel suo palazzo cittadino sito presso Via Altogradi, quegli stessi Altogradi cui i Prosperi Ferraresi devono una loro eredità. Evidentemente ci furono rapporti, e forse, visti i trascorsi di Gioacchino Prosperi, anche affinità elettive.

Gherardo Prosperi ottenne un salvacondotto per varcare le mura di Ferrara solo nel 1855, senza peraltro potersene poi allontanare.

Il fallimento delle vicende quarantottesche si accompagnò sia in Gioacchino Prosperi in Lucca che in Gherardo Prosperi in Ferrara ad una più generale volontà di riscatto politico: tra i cattolici moderati progressisti nel primo, tra i repubblicani oculati e misurati nel secondo.

Così come Padre Gioacchino Prosperi nelle sue lettere appare tutt’altro che domo anche dopo il 1848, anche l’«illustre ipotetico congiunto» ferrarese Gherardo Prosperi non si sentì un vinto, nonostante il fallimento delle vicende della Repubblica Romana.

Le «durissime condizioni del suo carceriere ferrarese Folicaldi cessarono allorché, il 3 settembre 1856, lo stesso Folicaldi venne richiamato, e Monsignor Pietro Gramiccia, inviato a sostituirlo, ebbe da Roma istruzioni assai più benevole, che permisero al prigioniero di riacquistare la libertà di movimento, e quindi di recarsi in Toscana senza l’incubo di doverci rimanere a tempo indeterminato».

In un sistema politico in disfacimento qual era allora la scena politica d’Antico Regime, anche i membri di queste famiglie d’Antico Regime spesso si trovarono coinvolti in situazioni incresciose, tali da «imbarazzare» le stesse autorità.[19]

In verità il tessuto sociale italiano non riusciva a rinnovarsi e rinnovare in maniera congrua ai tempi, invischiato in interessi di parte ancestrali che ne facevano in se stesso un «patrimonio ricattabile». Gioacchino Prosperi del resto fa capire, a chiare lettere nella sua corrispondenza di vivere la propria esistenza e sopravvivenza esclusivamente sul «ricatto politico».

«La situazione in Italia stava precipitando verso un nuovo conflitto. Gli accordi di Plombières tra Francia e Piemonte, grazie alla spregiudicata e abile politica di Cavour stavano dando i frutti sperati. Nelle città italiane fiorivano i comitati per preparare e favorire la nuova guerra di liberazione. Anche Ferrara era più o meno nascostamente in subbuglio. Ma il fermento maggiore lo aveva suscitato all’alba del 10 luglio 1857 l’ingresso da Porta Romana di Sua Santità Pio IX, giunto in visita a Ferrara.

In realtà i primi cenni dell’imminente sommovimento comparvero mentre si festeggiava con straordinario sfarzo in Ferrara il carnevale del 1859. Le parole di Napoleone III all’ambasciatore e il grido di dolore lanciato da Vittorio Emanuele nel discorso della Corona avevano riacceso le speranze. I comitati segreti lavoravano a pieno ritmo in tutte le principali città d’Italia per preparare l’insurrezione […]. Le ostilità si aprirono il 29 aprile quando il Generale Gyulai, alla ricerca di una vittoria decisiva prima che Piemontesi e Francesi si potessero riunire, varcò il confine del Piemonte. La manovra però non riuscì. Il 20 maggio a Montebello e il 31 a Palestro i Piemontesi ricacciarono gli Austriaci. A Ferrara si esultò. La successiva vittoria di Magenta ebbe effetti ancor più benefici sulle legazioni. Gli Austriaci sgombrarono Bologna, che subito si sollevò e, liberatasi in breve dai rappresentanti del Papa, si diede un Governo provvisorio sotto il patrocinio di Vittorio Emanuele. Ai primi albori del 21 giugno in Ferrara le truppe del presidio abbandonarono precipitosamente i posti di guardia, la Fortezza e gli approvvigionamenti, riparandosi insieme ai Pontefici nella terra transpadana. Appena uscito il presidio austriaco, il custode della Fortezza, temendo ritorsioni e pericoli, corse a casa di Gherardo Prosperi, responsabile della guardia civica, per consegnargli le chiavi. Una bella rivincita per l’ex sorvegliato speciale![…].

Un mese dopo, a seguito del prematuro armistizio di Villafranca, faceva il suo ingresso in città il marchese Gian Antonio Migliorati, regio commissario straordinario assegnato al governo della provincia ferrarese. Primo tra i suoi atti l’istituzione della Guardia Nazionale da affidare alle mani sicure di Gherardo Prosperi.

In quel preciso momento il problema dei territori autoliberatisi dell’Emilia Romagna e della Toscana, lasciato irrisolto sul piano della politica internazionale da Napoleone III, chiedeva una sollecita soluzione […]. A fine agosto furono indette elezioni per votare i rappresentanti da inviare all’Assemblea Nazionale delle Romagne. Quando all’inizio del nuovo anno Cavour tornò alla guida del Governo, anche a Ferrara si aprirono i seggi il 28 marzo per le elezioni del Primo Parlamento Italiano. Qui furono eletti l’avvocato Carlo Mayr e il commendatore Terenzio Mamiani, ma nessuno dei due accettò. Ricorsi nuovamente alle urne, il più votato risultò Gherardo Prosperi. Un Parlamento, quello, che durò pochissimo. Il Prosperi venne rieletto ancora nel 1863. Stremato il nostro sul piano finanziario, visto che si era speso in modo indefesso per la Causa, uscì definitivamente dalla scena politica nel 1865».

Gli ultimi anni li trascorse in ristrettezze finanziarie, calmierate dal matrimonio della sua erede con le fortune del genero Pietro Zanardi, facoltoso possidente ferrarese.

Una sorte analoga toccò a Padre Gioacchino Prosperi in Lucca, tacciato dagli avversari politici di essere divenuto «pazzo» in anzianità, tanto da convincere il celebre personaggio a pubblicare un libricino dallo sconcertante titolo Son pazzo io o son pazzi tutti.

Una sorta di caccia alle streghe, dunque, di fatto, che non risparmiava nessuno. Su queste basi si pose la nostra più autentica Unità Nazionale. C’è da chiedersi, così diversa dalle precedenti «anomalie politiche particolaristiche» che ci videro sin dal Medioevo coinvolti?

Evidentemente no, anche perché i personaggi citati, come si può ben percepire, che fecero «la differenza» sul piano politico, appartennero spesso alle stesse famiglie.

Chi volle spendersi incondizionatamente, specialmente nel corso del Risorgimento, ne rimase del tutto coinvolto, come risulta dalle vicende che ho descritto. Su questi coinvolgimenti credo dobbiamo oggi interrogarci. Perché, se è vero che sono storicamente lontani, è altrettanto certo che condizionano ancora pesantemente il nostro presente.


Note

1 Paolo Zanardi Prosperi, Tra Lucca e Ferrara, Storie di una famiglia, Corbo editore.

2 Padre Gioacchino Prosperi. Dalle amicizie cristiane alla dottrina rosminiana, in tesi on line.

3 Olona è in provincia di Varese.

4 La casa materna del religioso, dove morì nel 1873 e dove soggiornava spesso, era in prossimità di Via Altogradi in Lucca. E gli Altogradi avevano rapporti di parentela con i Prosperi di Ferrara. Non solo, ma il procuratore lucchese dei Prosperi Ferraresi nel XIX secolo si chiamava Francesco Papeschi, ed i Papeschi sono cugini, probabilmente non è casuale, di una famiglia anch’essa con legami familiari con Gioacchino Prosperi.

5 Paolo Zanardi Prosperi, Tra Lucca e Ferrara, Storie di una famiglia, Corbo editore, pagina 11.

6 Paolo Zanardi Prosperi, Tra Lucca e Ferrara, Storie di una famiglia, Corbo editore, pagine 12-13.

7 Rime del signor Costantino Prosperi, presso gli eredi di Iacopo Giunti, 1596, pagina 9, conservato nella Biblioteca privata Zanardi Prosperi.

8 Paolo Zanardi Prosperi, Tra Lucca e Ferrara, Storie di una famiglia, Corbo editore.

9 Carte Pierotti, Archivio di Stato di Lucca, edite dallo storico Eugenio Lazzareschi.

10 Compresa la prima moglie di Paolo Guinigi, Signore di Lucca.

11 Michel Fausto Prosperi risiedeva in Ferrara ma manteneva interessi economici e proprietà in Lucca, tra le quali un terreno attiguo a Villa Reale, sita quest’ultima in Marlia.

12 Vedere Archivio di Corsica e le pubblicazioni di Giovanni Gentile nonché i documenti dei Cattaneo presenti all’Archivio di Stato di Lucca.

13 I riferimenti di Gioacchino Prosperi lo attestano.

14 Lettera a Padre Bernardino in Siena di Gioacchino Prosperi nel 1869, Archivio di Stato di Siena.

15 Gioacchino Pecci ebbe grande familiarità con Lucca e con i congiunti di Padre Prosperi. Il Cardinale Maestro dei Sacri Palazzi da Lui creato, Monsignor Raffaele Pierotti, aveva lontani legami di parentela con i Prosperi di Bagni di Lucca, villa. E la madre di Papa Pecci era Angela Prosperi Buzzi, di Cori. Qualche attinenza con i Prosperi Laziali, anche in Palestrina? Nel XIX secolo fu Arcivescovo in Palestrina Castruccio Castracani degli Antelminelli da Fano, Padre Gesuita ed erede di Castruccio.

16 Paolo Zanardi Prosperi, Tra Lucca e Ferrara, Storie di una famiglia, Corbo editore.

17 Cosa che faceva onore a questi patrioti, così diversi dai nostri politici recenti di ogni colore.

18 Aurelio Saffi con Armellini e Mazzini formò il celebre triumvirato della Repubblica Romana.

19 Così accadeva in Lucca ad un personaggio dell’entourage politico cattolico liberale dei Prosperi. Si chiamava Cesare Pierotti ed era stato invischiato tra gli «amici del popolo» a Firenze nel 1849. Anch’egli certamente ricattabile, viste le sue più o meno «oscure» implicazioni in quelle vicende.

(dicembre 2014)

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