I Grattarola di San Giorgio e le vicende risorgimentali della Penisola
In provincia di Alessandria una donna eccezionale del XIX secolo si curò dei poveri accanto a uomini che fecero il Risorgimento

In provincia di Alessandria, in Piemonte, esiste una fondazione che ha origine nel XIX secolo grazie all’opera encomiabile di una donna eccezionale, la marchesa Angiola Grattarola. In rete possiamo rintracciare una tavola genealogica della famiglia Grattarola-Beccaria(di Pavia, da cui discende anche il nonno materno di Alessandro Manzoni)-Incisa. Tutte famiglie nobiliari piemontesi e nel caso dei Beccaria lombarde. La fondazione Grattarola pare essere proprietà di Giuseppe Ribotti ma fu promossa nel XIX secolo dalla comminata marchesa Angiola Grattarola, a lungo dedita a opere di bene.

Nella storia solerina di Romagnoli possiamo rinvenire che il marchese Giulio Antonio di Grattarola di San Giorgio (di Lomellina), fu militare presso l’Accademia di Torino e nel 1771 sposò la contessa Angiola Maria Guasco. Fu lei, dopo la morte del marito, avvenuta nel 1798, donna benefica e virtuosa. Lei ormai era inferma ma si fece sostenere da un sacerdote. L’Opera dei due rimase sempre segreta. Non avendo prole, con un suo testamento dell’8 aprile 1825 nominò erede della sua immensa fortuna l’Opera Pia dei Catecumeni di Alessandria. Nominò suo erede anche il suo segretario personale Luigi Agosti (un parente del conte Agosti). Quest’ultimo si era fatto lasciare tali benefici con l’estorsione ma non ne godette i frutti perché fu assassinato dal domestico che voleva entrare il prima possibile nel vivo delle eredità e accaparrarsi la cascina dell’Agosti. Un brutto affare. Il domestico, subito reo confesso, fu impiccato.

La marchesa, morta il 14 gennaio 1830, fu sepolta nella piccola chiesa della piana di San Michele, presso Alessandria, da lei stessa eretta nel 1818 sotto il patronato di San Antonio di Losa. Il citato Statuto dell’ente già in data 7 agosto 1819 cita che la marchesa Angiola Guasco Grattarola di San Giorgio redasse un testamento mistico (spirituale, antecedente a quello dettagliato del 1825) con il quale destinava parte delle sue sostanze per l’erezione nel territorio di Solero di un’Opera Pia. Che venne definitivamente costituita con disposizione del Vescovo di Alessandria Monsignor Alessandro D’Angennes, redatta poi in data 25 gennaio 1832.

Fin qui niente di particolare, le Opere Pie nel XIX secolo non si contano, di nobili dediti alla beneficenza ce ne sono stai parecchi. Ma il Vescovo D’Angennes non è un Vescovo qualsiasi, e neppure la famiglia di appartenenza della marchesa Grattarola.

Troviamo dietro a queste poche righe quello che io definisco il Risorgimento nascosto, quello che gli storici di professione non menzionano non perché «minore» ma, ritengo, perché «scomodo».

Alessandro D’Angennes era nato a Torino nel 1781 dal nobile Carlo Luigi D’Angennes e dalla nobildonna Eleonora Chabod. Intraprese la carriera ecclesiastica laureandosi in Teologia a Torino. Dopo vari incarichi proprio in quel di Torino divenne Vescovo di Alessandria nel 1818 e fu poi nominato nel 1832 Vescovo di Vercelli. Ad Alessandria ma soprattutto in Vercelli, terra d’ispirazione multiculturale, come diremmo noi oggi con termine moderno, il D’Angennes ebbe tendenza liberale. Tenne un sinodo sia nel 1842 che nel 1852 promuovendo la nascita di una società operaia di ispirazione cattolica. Divenne poi, a partire dal 1848, Senatore del Regno di Sardegna.

Un liberale, dunque, e che liberale. Fu amico dell’Arcivescovo di Biella, Monsignor Giovan Pietro Losana, di cui ho avuto modo di parlare in passato e su cui ho presentato un breve articolo sul sito www.storico.org.

Losana e D’angennes non sono uomini qualsiasi. Sono amici e collaboratori di cattolico-liberali che anche oggi definiremmo sovversivi, controcorrente. Uomini come Padre Gioacchino De Agostini, nativo di Torino, ma che proprio in Vercelli costruì il suo quartier generale. Lasciò quest’ultimo l’abito talare, sposò una protestante inglese molto più giovane di lui (nata a Londra nel 1833) e figlia del patriota fuoriuscito di Carrù Fiorenzo Galli.

Adelaide Galli Dunn, questo il suo nome, era non solo una Galli ma anche una Dunn; sua madre Luigia Dunn, Inglese, imparentata col pittore David, e con la nomenclatura inglese Whit.

I libri di storia sul Risorgimento hanno dimenticato queste appassionanti figure «trait d’union» tra il Piemonte Sabaudo e l’Inghilterra dei fuoriusciti italiani che combattevano da fronti diversi per una causa comune: la liberazione della Penisola dallo straniero austriaco.

Il D’angennes non avversò sicuramente il De Agostini così come foraggiò la benemerita Opera Pia della marchese di Grattarola in Alessandria. Una convivenza, quella in Vercelli tra il D’Angennes e l’ormai professore giornalista Editore De Agostini sicuramente proficua e preludio alle vicende risorgimentali. Invito anche in questo caso a leggere sul sito le questioni di Padre Gioacchino De Agostini per comprendere l’operato del D’Angennes e della marchesa Grattarola.

Sia Padre Gioacchino De Agostini e il Vescovo D’Angennes, entrambi Vercellesi d’adozione, erano in simbiosi con gli ambienti manzoniani.

In particolare il De Agostini lo troviamo in rapporti epistolari col confessore di Alessandro Manzoni a Milano, Don Giulio Ratti, francescano, prevosto di San Fedele.

E anche la marchesa Grattarola scopriamo non essere distante da Manzoni, lei e la sua augusta famiglia.

Scopriamo dall’Enciclopedia Storico-Nobiliare di Vittorio Spreti che i Beccaria Incisa Grattarola sono un’unica famiglia, una cosa sola. Questa famiglia piemontese con derivazioni lombarde trae origine prima dai Grattarola, con Giovanni Battista di Francesco che per costituzione datale il 25 aprile 1645 sposava Angelica del conte Giovanni Angelo Beccaria, erede del feudo di Grognardo, da dove il cognome Beccaria. Risulta da documenti inoppugnabili che questa famiglia Beccaria, propaggine della grande omonima famiglia pavese, ricordata da Dante, è un ceppo della famiglia Beccari o Beccaro, pure di Grognardo, poi di Acqui, tutt’ora presente.

Quando nel 1684 il conte Carlo Lorenzo Incisa sposò Anna Benedetta, figlia del Grattarola e della Beccaria citati, ma non ebbe figli, fece in modo che i figli di suo cognato si chiamassero Beccaria Incisa, a cui venne aggiunto il nome Grattarola.

Gli alberi genealogici non sono acqua fresca nell’economia delle vicende risorgimentali.

Quel Padre Gioacchino De Agostini, e il Vescovo D’Angennes, nonché l’amico di questi, Monsignor Giovan Pietro Losana, non svolgono le loro benemerite opere solo tra Piemonte e Lombardia ma anche in Toscana. Possiamo così comprendere che le dinamiche risorgimentali che univano regioni diverse e situazioni diverse sulla Penisola partivano da lontano. Un prete lucchese infatti, Padre Gioacchino Prosperi – finito non si sa perché da Padre Gesuita a Torino nel 1815 (forse perché il suo mentore era il conte Cesare Lucchesini di Lucca, anche lui in simbiosi con gli ambienti piemontesi), una volta uscito dall’Ordine, a Padre Francescano, come si evince da una pubblicazione, e ciò intorno al 1826 –, tenne contatti politici e fraterna amicizia col collega e promotore patriottico Padre Gioacchino De Agostini.

Padre Gioacchino Prosperi era figlio di Maria Angela Castiglioni, e i Castiglioni Lucchesi sono, come si evince da alcune carte, verosimilmente quei Castiglioni di Olona imparentati con i fratelli Verri.

Già, i Verri, e Manzoni e gli ambienti manzoniani, che ritornano. Il nonno di Alessandro Manzoni, Cesare Beccaria, che tutti conosciamo come autore del celebre libro Dei Delitti e Delle Pene, peraltro pubblicato per la prima volta proprio a Lucca, aveva rapporti di parentela con dei conti lucchesi, tali Bianucci, e in effetti Alessandro Manzoni frequentò la città toscana molto assiduamente assai prima che la figlia Vittoria qui sposasse Giovan Battista Giorgini.

Così come il genero di Alessandro Manzoni, Massimo D’Azeglio, colui che voleva una volta fatta l’Italia fare gli Italiani, che troviamo spesso a Lucca ospite in casa del conte Cesare Sardi che anche lui di madre faceva Giorgini.

Una mistura di rapporti personali e politici che il cattolicesimo liberale aveva messo a frutto e che una volta scaduto il tempo ultimo del ruolo guida del Pontefice Pio IX col trattato con l’Austria del 1855, dove si chiuse ogni porta a possibili ripensamenti e trattative future, non fu più presa in considerazione dagli storici e dalla storiografia come elemento essenziale nelle dinamiche politiche passate e future della Penisola. Perché intervento corposo ci fu, internazionale, con profondi legami con realtà politiche diverse, anche sul piano ideologico, durante il primo Risorgimento.

La marchesa Angiola Grattarola muore sì nel 1830 ma in quella data già si era in piena insurrezione armata e non solo con i pochi moti scoppiati e poi prontamente repressi descritti dalla storiografia ufficiale (Napoli, Torino, Modena eccetera) ma con moti dell’anima e con un lavorio politico sotterraneo, ma non troppo, che non affiora prontamente ai nostri occhi se ci si ferma a ragionare solo sui vincitori, e non sui vinti. Le donne poi, anche quelle apparentemente più defilate e senza alcuna pretesa insurrezionale, se appartenevano a famiglie in prima linea, spesso univano la loro Fede alla Ragione, a moti dell’anima che diventavano anche moti del corpo.

Impegno in prima linea, defilato, ma pur sempre impegno. Magari sostenendo patrioti in difficoltà, nascondendoli là dove necessario, finanziandoli in gran segreto. Le istanze della modernità, la nascita di un proletariato urbano, soprattutto in regioni che si andavano industrializzando come la Lombardia e il Piemonte, ma in parte anche la Toscana, e non disdegnerei da questo punto di vista neppure la Campania e parte di un’Italia Meridionale nei primi anni del Risorgimento, anche lei in subbuglio; tutto questo faceva emergere donne e uomini forti, impegnati, coraggiosi.

Ecco, questo è il Risorgimento, e questo dovrebbe emergere secondo me anche dalle osservazioni su donna Angiola Grattarola, così pia ma anche così politicamente «formata».


I Grattarola di San Giorgio liberali?

Vogliamo dare delle indicazioni utili per far comprendere come l’Unità Nazionale Italiana, così come ci è stata descritta, poco ha a che vedere con la realtà dei fatti. I Grattarola in questo senso ebbero sicuramente un ruolo decisivo e sono per tale motivo illuminanti.

Il Vescovo Alessandro D’Angennes non fu un Vescovo qualsiasi in Piemonte. Dopo la morte della marchesa Grattarola e la messa in opera delle sue volontà testamentarie, venne trasferito a Vercelli e qui divenne Arcivescovo. Vercelli non era una qualsiasi provincia piemontese ma la più liberale, ospitava molti Ebrei e aveva sul piano dei capitali peso rilevante in Piemonte.

Qui viveva in quegli anni Padre Gioacchino De Agostini, nato a Torino nel 1808 e trasferitosi a Vercelli come insegnante e soprattutto come editore. Fondò diversi giornali e fu considerato l’antesignano del moderno giornalismo liberale piemontese. Padre Gioacchino De Agostini era verosimilmente un Padre Francescano. Dico questo perché è in contatto, nelle lettere, con Padri Francescani. Uno di questi è Padre Gioacchino Prosperi, il protagonista della mia tesi, che aveva lasciato in Torino l’Ordine Gesuita nel 1826 e divenne, come si evince da una pubblicazione, un Padre Francescano. Padre Gioacchino Prosperi in quegli anni aveva avuto contatti in Lanzo con Padre Gioacchino De Agostini e negli anni Quaranta del XIX secolo certamente in via epistolare. Alessandro D’Angennes, l’Arcivescovo Vercellese, era in rapporti con l’Arcivescovo di Biella Monsignor Giovan Pietro Losana, considerato un cattolico-liberale indiscusso, protettore dei protestanti piemontesi e lui stesso come Padre Prosperi accusato ufficialmente di giansenismo. Il D’Angennes divenne dopo il 1848 un Parlamentare Piemontese. Questi Padri Francescani erano in contatto epistolare con Padre Giulio Ratti, Padre Francescano anch’esso, prevosto di San Fedele a Milano e confessore ufficiale di Alessandro Manzoni. Don Giulio Ratti era cugino di secondo grado del futuro Papa Pio IX, alias il Cardinale Mastai Ferretti, Padre Francescano, formatosi a Volterra, in Toscana.

Padre Prosperi era Lucchese e si era trasferito intorno al 1820 in Torino da Padre Gesuita, in casa dei D’Azeglio. Era molto intimo dell’ex Re di Sardegna Carlo Emanuele IV di Savoia, che con lui era rimasto per ben cinque anni in Sant’Andrea al Quirinale in Roma. La comunità di Lanzo, in provincia di Torino, località amatissima dai Savoia, in particolare da Re Carlo Felice, amava molto sia Padre Prosperi che Padre De Agostini.

L’intera comunità commissionò a Padre Prosperi nel 1831 in occasione della morte del Re Carlo Felice un’ode (l’Ode di Lanzo) in sua memoria, ode che fu scritta e pubblicata in Torino presso l’editore Marietti nel 1831 e pronunciata in Lanzo pubblicamente sempre quell’anno. Segno che anche il nuovo Re Carlo Alberto amava particolarmente questi due personaggi. Nel 1833, in piena campagna anti-liberale, almeno in via ufficiale, Padre Prosperi si recò a Parigi indisturbato e frequentò gli ambienti bonapartisti parigini allora considerati sovversivi. Fu espulso in via ufficiale da Torino solo nel 1834, ma questa espulsione fu solo ufficiale perché Padre Prosperi rimase sempre qui indisturbato a predicare e soggiornare. Questo religioso aveva molti capitali a lui affidati che portava in giro in lungo e in largo nella Penisola. Fu fermato a Firenze e nel 1845 subì un processo che si concluse con un nulla di fatto. Una pubblicazione del 1969 di Monsignor Maccarone dal titolo Il giornale di Monsignor Giulio Arrigoni sostiene che Padre Giulio Ratti era piuttosto liberale e non sempre in sintonia con suo cugino Papa Mastai Ferretti. Fece da mediatore proprio Monsignor Giulio Arrigoni, anche lui Padre Francescano di origine bergamasca divenuto negli anni Cinquanta del XIX secolo Arcivescovo di Lucca. Nella medesima pubblicazione si accenna a un Padre Francescano Lucchese sempre in combutta col suo Arcivescovo che dopo l’Unità Nazionale Italiana andò dal Prefetto di Lucca per denunciarlo per le violazioni di economato. Questo Padre Francescano pubblicava per la tipografia della Curia Lucchese Benedini Guidotti. Padre Prosperi era un Padre Francescano Lucchese perché per sua ammissione non si metteva mai le mani a cintola e teneva sempre il suo breviario nel saio, era costantemente in combutta col suo Arcivesco per questioni di economato e pubblicava per la tipografia Benedini Guidotti. Facile trarne le dovute conclusioni. Nel 1869 l’Arcivescovo Arrigoni incaricò Padre Prosperi di recarsi a Roma per i lavori preparatori del Concilio Vaticano I come si evince da una lettera rinvenuta. E qui, nei Giardini Vaticani, Padre Prosperi si intrattenne amabilmente col Papa Pio IX che ben conosceva. Ribadisco, siamo nel 1869. Padre Prosperi mantenne l’abito talare e la Rettoria di Sant’Anna Fuori le Mura in Lucca fino alla sua morte avvenuta nel 1873. Il suo amico, Padre Gioacchino De Agostini, lasciò nel 1848 l’abito talare per sposare Adelaide Galli Dunn, figlia del Piemontese Fiorenzo Galli e della Londinese Luigia Dunn, cugina del pittore David e protestante. Fiorenzo Galli era un patriota e col fratello si era trasferito a Londra per sfuggire a una cattura internazionale. Luigia Dunn era ben introdotta nella nomenclatura inglese sia protestante che ebraica. Tutta questa documentazione è facilmente riscontrabile sia in rete che in cartaceo. Non posso pensare che per quasi due secoli nessuno abbia saputo e/o voluto metter mano in modo organico a queste vicende e che solo la sottoscritta, per pura casualità, trovandosi a discutere una tesi di laurea su uno di questi personaggi, se ne sia occupata. Perché queste faccende ci mettono bene in guardia da come è stata descritta la nostra storia nazionale ed europea. Sempre colpa della Chiesa? Ma i laici dove sono?

Il Manzoni scriveva nell’Adelchi: «Un volgo disperso che nome non ha». Ora siamo nel 2020, ha dell’incredibile!

Ci risponde il protagonista della mia tesi, Padre Gioacchino Prosperi. Intorno al 1860 egli scriveva: «I Padri Gesuiti si dividono in due categorie, quelli sani di mente e quelli che sani di mente non sono» (per questo era uscito dall’Ordine?).

E faceva e cognomi. Secondo Padre Prosperi erano sani di mente Padre Boero e Padre De Ravignan, della Compagnia di Gesù Piemontese. Non erano sani di mente Padre Liberatore e Padre Melia, entrambi Padri Gesuiti Siciliani.

Evidentemente le baronie del Sud che questi Padri rappresentavano non furono pronte, diciamo così, ad assorbire i cambiamenti in atto e ad adeguarsi sia sul piano economico che politico ai cambiamenti europei in atto in quegli anni. Le divisioni ecclesiastiche sicuramente fecero il resto. Il Sud in Italia non aveva conosciuto importanti esperienze laiche come i Comuni e le Signorie.

Quello che emerge con chiarezza è che la storiografia ufficiale dovrebbe rispolverare con maggior piglio descrizioni storiografiche divenute ormai fuori posto, obsolete. Se i Marchesi Grattarola di San Giorgio avevano rapporti di parentela con i Beccaria di Pavia, e il nonno di Alessandro Manzoni era Cesare Beccaria, e sia i Manzoni che i Beccaria furono vicini ai D’Azeglio anche in via parentale, ne consegue che le vicende descritte ci riportano a un pauperismo della marchesa Grattarola intorno al 1830 che non era semplice «pietas» o «carità cristiana», ma un modo di concepire la società e la politica che andava ben oltre quanto sin qui descritto. Donne di frontiera definirei lei e altre come lei, a cui non si è dato il giusto peso perché semplicemente poco peso per ragioni di opportunità politica negli anni a venire dovevano avere le loro idee e le loro azioni.

(aprile 2020)

Tag: Elena Pierotti, Grattarola di San Giorgio, Risorgimento, Gioacchino De Agostini, Alessandro Manzoni, Giovan Pietro Losana, Giovan Battista Giorgini, Pio IX, Cesare Beccaria, Alessandro Verri, Don Giulio Ratti, Padre Gioacchino Prosperi, Angiola Grattarola, Savoia, Alessandro D’Angennes.