Giuseppe Pierotti
Arte e Politica nel XIX secolo

Oggi nessuno conosce Giuseppe Pierotti come pittore, scultore ed uomo politico. Ma nel XIX secolo non era così. Anzi, il personaggio era piuttosto famoso. Compagno di studi di Giovanni Fattori e Telemaco Signorini a Firenze, ma anche amico di Gino Capponi, di Cosimo Ridolfi, dell’Abate Lambruschi e dello scienziato Vincenzo Antinori. Col suo nome, per la verità, troviamo due artisti, uno piemontese, l’altro toscano. Narrerò le vicende di quest’ultimo.

Dovendo scrivere una tesi di laurea in storia del Risorgimento su un personaggio lucchese singolare come Padre Gioacchino Prosperi ed avendo ricevuto uno stato di famiglia che partiva dal 1767, ho potuto approfondire determinate dinamiche, giungendo alla conclusione che l’ambiente di provenienza del mio personaggio della tesi coincideva con lo stesso ambiente di provenienza del pittore menzionato. Ma andiamo per gradi.

Giuseppe Pierotti nacque a Castelnuovo Garfagnana il 28 gennaio 1826; ed ivi è deceduto nel 1884. Di lui sul piano biografico si è occupata soltanto la Fondazione Matteucci di Viareggio, che è nota per la sua encomiabile attività che investe il panorama artistico nazionale, e non solo, d’età moderna e contemporanea. La Fondazione viareggina riprende dalle pagine di Angelo De Gubernatis le notizie biografiche del nostro. Niente di straordinario, visto che il pittore fu vicino, con l’intera sua famiglia, al patriota e scienziato Carlo Matteucci, a cui la Fondazione si richiama. Studiò a Firenze all’Accademia di Belle Arti diretta da Giuseppe Bezzuoli e da Giovanni Gazzarrini, con artisti del calibro di Giovanni Fattori e Telemaco Signorini, universalmente noti come appartenenti al gruppo artistico dei Macchiaioli che faceva capo al Caffè Michelangelo di Firenze. Il pittore Giuseppe non possiamo classificarlo come un Macchiaiolo anche se, osservando le sue tele, traspare quel senso dei chiaroscuri, delle luci e delle ombre che caratterizzarono i precursori dell’impressionismo. In realtà il suo percorso dovette essere sul piano artistico meno lineare, più articolato. Si fece conoscere per le Madonne e temi d’arte sacra che rappresentò, ma anche per alcuni ritratti di personaggi noti del tempo; le sue origini familiari cattolico liberali ed il suo essere un aristocratico lo portarono certamente a privilegiare alcuni schemi e contenuti. Suo padre Cesare era stato verosimilmente un «Amico del Popolo» nella Firenze del 1848 e questo doveva aver condizionato il giovane Giuseppe. Cesare (1806-1901) fu investito da pesanti accuse che lo portarono a doversi difendere sul piano giuridico e che procurarono a Giuseppe, presumo, non solo imbarazzo ma anche difficoltà a collocarsi sul piano politico, lui che certamente, viste le frequentazioni, dovette essere un moderato. Era suo padre il rivoluzionario «poco limpido» del 1848, di cui si fa cenno in alcune pubblicazioni? Ho dovuto giungere alla conclusione, leggendo lo stato di famiglia in mio possesso e confrontando le date ed i luoghi di provenienza dei personaggi in oggetto, che con ogni evidenza questa fu la situazione, anche se Cesare lo si colloca più in ambito lucchese che garfagnino. Ma si trattò di una famiglia, la sua, con diverse anime e collocazioni geografiche. Dell’intimità tra Giuseppe e Gino Capponi fa fede una lettera scritta dal nostro all’amico nel 1856, dove proprio l’intima amicizia col noto aristocratico ed uomo politico e di cultura fiorentino ben chiarisce tale contesto di riferimento. Scrisse infatti Giuseppe all’amico Gino Capponi: «Capponi mio, il cavaliere è tuo, non è mio», parlando di scavi archeologici relativi al 1200 che si tennero in quel periodo a Castelnuovo Garfagnana. Perché una simile affermazione? La famiglia di Giuseppe apparteneva a quella nobiltà di spada di origini longobarde che ha fatto la storia del nostro Paese. La fiorentina famiglia Capponi, di origini «più recenti» rispetto ai cavalierati medievali della famiglia del nostro, aveva indubbiamente antica origine. Ed in tutta evidenza l’amicizia tra i due veniva «da lontano». I Capponi furono a lungo i Gran Maestri del Tau, coloro che salvarono nel Cinquecento il cavalierato dalle mire dei De’ Medici fiorentini, finché il Granduca non li richiamò all’Ordine in modo perentorio: segno evidente che i Capponi poterono, almeno per un certo periodo di tempo, contrastare gli stessi De’ Medici, ormai padroni di Firenze, nella tutela dei loro stessi interessi, anche economici. La famiglia di Giuseppe, per contrapposizione, vista la frase, conferma la sua origine Giovannita. Quale il cavalierato di riferimento? Cavalieri del Santo Sepolcro di Goffredo di Buglione? Cavalieri di Malta? Cavalieri Templari? Poco importa. In fondo cambiando la ragione sociale il prodotto restava lo stesso. Voglio essere chiara su questo punto assai controverso: si è troppo insistito sul piano storiografico sulla contrapposizione tra i vari Ordini cavallereschi, senza perorare la causa essenziale della loro stessa esistenza in vita, che oltrepassò di gran lunga le diverse contrapposizioni. Che tuttavia ci furono, altrimenti il nostro non avrebbe usato tale espressione con l’amico Gino Capponi.

Negli anni in cui visse Giuseppe la politica nazionale era davvero in prima linea. Come poteva uno come lui mettersi unicamente al servizio dell’arte, dimenticando o lasciandosi alle spalle situazioni familiari che pesavano come macigni? Questo bisogna pur dirlo. Lo vediamo dunque sul piano artistico spostarsi da Milano, dove lavorò nel Duomo (alcune sue opere sono esposte al Museo d’Arte Moderna milanese) a Parma, negli anni in cui ormai il Duca Carlo Ludovico di Borbone, Duca di Lucca fino al 1847, regnava nel piccolo Principato; ma ivi lavorò anche negli anni Settanta del XIX secolo. Si conoscevano bene, il pittore ed il Duca, visto che in Lucca alcuni membri della sua famiglia lo avevano a lungo servito. Soprattutto Giuseppe soggiornò a Firenze, dove aveva studiato, e dove troviamo un suo autoritratto del 1870, proprio nelle sale degli Uffizi. Qui gli fu commissionato da Cosimo Ridolfi un quadro che raffigura il Ridolfi con i suoi figli nell’atto di presentarli a Gino Capponi, all’Abate Lambruschi e allo scienziato Vincenzo Antinori, tutti ritratti nel dipinto con, sullo sfondo, la tenuta di Melato. Il dipinto in questione è stato gentilmente ceduto dal suo proprietario a Palazzo Medici Riccardi in Firenze nel 2010, in occasione dei festeggiamenti per i centocinquant’anni dell’Unità Nazionale.

Cosimo Ridolfi presenta a Gino Capponi i suoi figli

Giuseppe Pierotti, Cosimo Ridolfi presenta a Gino Capponi i suoi figli

Per frequentare evidentemente con assiduità l’ambiente artistico, ma aggiungerei politico, fiorentino, il nostro ivi si trasferì ed infatti in una sua lettera indirizzata a Telemaco Signorini, lo invita a piazzargli alcune opere ed è in tale lettera che troviamo la residenza fiorentina di Giuseppe: Via delle Ruote, Fortezza da Basso, luogo frequentato dagli artisti, anche in epoca più recente. Troviamo oggi varie sue tele in gallerie d’arte, anche americane, con quadri che raffigurano come soggetto nature morte. Nel 1854 vinse un premio artistico ed una sua scultura è presente in Canada, segno evidente che anche a livello internazionale l’opera dell’artista ebbe una certa attenzione, diremmo noi oggi, mediatica. Molti suoi dipinti ritraggono celebri opere del passato, rivisitate dall’autore. Il valore artistico fu indubitabile, se non altro per la sua formazione personale, di tutto rispetto. Ma è sul ruolo politico familiare, agevolato dalle sue frequentazioni, che oserei soffermarmi. Tra i Macchiaioli, in proposito, citerei la famiglia Martelli di Firenze. Ai tempi del Regno d’Etruria con Bonaparte essi si schierarono con le nuove forze francesi e con le novità rivoluzionarie del momento. Successivamente un membro di tale famiglia, Diego Martelli, fu il mecenate che fece di Castiglioncello la patria del movimento artistico dei Macchiaioli, dopo che lo era stato il caffè fiorentino Michelangelo. Iniziò in quel periodo la crescita turistica, e non solo, della cittadina litoranea toscana, in provincia di Livorno, oggi più conosciuta per il film Il sorpasso di Dino Risi. Le frequentazioni del nostro si legano proprio a quegli ambienti livornesi, visto che alcuni suoi congiunti li ritroviamo ad esempio a Castagneto Carducci, qualche anno prima, in veste di musicisti ed educatori, indossando abiti religiosi. Senza contare il ruolo che la famiglia del nostro, in Lucca, aveva dovuto sostenere per i repentini cambiamenti politici del Ducato Lucchese: fine della millenaria Repubblica nel 1799; affermazione del Principato Baciocchiano di Lucca e Piombino; costituzione del Ducato Borbonico dopo il Congresso di Vienna; annessione al Granducato di Toscana in anticipo, rispetto ai tempi previsti, nel 1847; annessione successiva al Regno d’Italia. Ma soprattutto passaggio, e questo è bene ribadirlo, da un contesto europeo di riferimento, come fu quello dello Staterello Lucchese, che ebbe sempre i suoi rappresentanti nelle varie Corti Europee, e tra questi anche membri della famiglia del nostro, ad un contesto in cui non si aveva più diretta voce in capitolo, in cui ancestrali riferimenti economici e politici dovettero cedere il passo ad una realtà nuova, e non sempre all’altezza della situazione. Quegli ancestrali interessi economici e politici che probabilmente a lungo ritardarono la fine dell’agonia dello Staterello indipendente. Ciò naturalmente non vuole solo riferirsi alle difficoltà finanziarie, alla retrocessione della cittadina toscana, ma ad un più generale contesto nazionale che faticò non poco ad affermarsi, soprattutto per quei contrasti interni che Cavour purtroppo, con la sua prematura morte, non poté sciogliere. E che fecero dire al suo fido collaboratore Giovanni Bezzi d’Aubrey, frequentante Lucca in modo assiduo anche per ragioni familiari, alla vigilia della sua morte, nel 1878, in un Memoriale indirizzato all’allora Sovrano Umberto I, che era assolutamente necessario all’Italia tutta mettere da parte dinamiche di contrapposizione, soprattutto con la Santa Sede, se si volevano perorare gli interessi di tutti. Le parole del celebre patriota di Casale Monferrato, naturalizzato Inglese, suonarono come un monito, ma restarono purtroppo inascoltate a lungo: con ogni evidenza la Corona non riuscì a dirimere i complessi contrasti interni. Questo il quadro di riferimento. Giuseppe morì, relativamente giovane, nel 1884. Dalle successive vicende familiari che qui, per ragioni personali, non intendo descrivere, posso intuire che egli non riuscì sempre a vivere una serena vita familiare. Una carrellata dei quadri di Giuseppe può consentire di comprendere le dinamiche della sua arte; ed anche forse, ma non sono certamente un critico d’arte per potermi esprimere, le incertezze che coprirono l’intero arco della sua vita.

(luglio 2016)

Tag: Elena Pierotti, Ottocento, Italia, Risorgimento, Macchiaioli, Giuseppe Pierotti, Giovanni Fattori, Telemaco Signorini, Firenze, Gino Capponi, Cosimo Ridolfi, abate Lambruschini, Vincenzo Antinori, Carlo Matteucci, Caffè Michelangelo, De’ Medici, Goffredo di Buglione, Templari, Carlo Ludovico di Buglione, Bonaparte, Dino Risi, Castagneto Carducci, Cavour, Umberto I.