Giacomo Manzoni, il rivoluzionario moderato di Giuseppe Mazzini
Non solo un bibliofilo di rango

Le osservazioni che ho espresso nell’articolo sul revisionismo risorgimentale pubblicato sul sito trovano la piena conferma nell’articolo che propongo oggi.

Per gli storici, il conte Giacomo Manzoni è solo un moderato che nel XIX secolo, una volta fallito il 1848, si dedicò esclusivamente ai libri come bibliofilo di rango, e questa sua importante attività dell’età più matura ha oscurato del tutto il reale ruolo da lui ricoperto durante il Primo Risorgimento. Cercherò di dimostrare con queste poche note che questo tipo d’interpretazione sul personaggio, la quale lo vuole irrilevante sul piano rivoluzionario, sia del tutto arbitraria; anzi, a mio parere, essa nasconde precisi risvolti politici, a tutt’oggi mai chiariti dagli storici.

Il nostro appartenne alla famiglia dei conti Manzoni di Lugo di Romagna.

Suoi legami parentali con Alessandro Manzoni pare siano di lungo corso poiché sappiamo della localizzazione dei Manzoni di Lugo in Romagna dal XVI secolo.

Erano in effetti originari della Lombardia, e in qualità di proprietari terrieri vantavano, all’epoca in cui nacque Giacomo, rapporti di parentela con Vincenzo Monti, il celebre scrittore lombardo. Probabilmente antiche comunioni parentali anche con i Manzoni lombardi, cui appartenne il noto scrittore Alessandro, vissuto nel XIX secolo.

Giacomo Manzoni, nato a Lugo nel 1816, studiò nella mia città, Lucca, e precisamente presso il Collegio «Carlo Ludovico», che fungeva nello Stato Lucchese da Università, intitolato, il Collegio medesimo, all’allora Sovrano Borbonico regnante in Lucca.

Ivi il nostro rimase fino al 1835, quando si trasferì a Roma per perfezionare la lingua ebraica, grazie a Monsignor Nicola Wiseman, in quel periodo nella città eterna in qualità di docente di ebraico.

Questo narrano le biografie ufficiali che investono Giacomo Manzoni. Nessuno però precisa perché proprio a Lucca egli fosse stato inviato per studiare e per quale reale motivo fosse poi diventato Nicola Wiseman il suo baricentro ideologico e politico oltre che educativo nella Città Eterna.

A Lucca in quel preciso momento storico anche il più celebre Alessandro Manzoni si recava spesso, avendo qui ben due figlie residenti, di cui una, Vittoria, maritata con il Toscano Giovan Battista Giorgini, il quale risiedeva in Lucca. Ma lo scrittore Alessandro nella città toscana era di casa sin dalla più tenera età, grazie ai conti Bianucci, suoi cugini, che vi risiedevano stabilmente. Ricordiamo tra l’altro che il celebre Cesare Beccaria, suo nonno, già a fine Settecento qui aveva pubblicato per la prima volta in Italia Dei delitti e delle pene, scritto «controcorrente» che condannò «ante litteram» senza «se» e senza «ma» la pena di morte. Qualche legame amicale e/o di antica parentela anche in questo caso? Non posso dimostrarlo completamente, anche se molti documenti all’Archivio di Stato Lucchese del periodo riportano agli ambienti lombardi di Alessandro Manzoni. Avrò modo sotto di chiarire la cosa.

Tornerei però a Nicola Wiseman, che Giacomo Manzoni conobbe a partire dal 1835 in Roma, e allo stesso Giacomo.

Lucca nel 1835 non era affatto la città tranquilla e tradizionalista che viene descritta dagli storici. Il Duca Borbonico era effettivamente un riformato che, secondo i miei studi e pubblicazioni cui ho fatto riferimento sul sito www.storico.org, in numerosi articoli, dava sostegno a personaggi non così favorevoli alla Restaurazione, in linea con la tradizione Riformata lucchese.

Vincenzo Monti, il cugino di Giacomo Manzoni, ad esempio, aveva avuto anche lui rapporti con Lucca, se non altro perché qui «in libertà» era possibile pubblicare testi un po’ compromettenti, secondo una tradizione antecedente la stessa Rivoluzione Francese. L’Enciclopedia qui aveva trovato sostegno e pubblicazione in un’epoca in cui l’opera in Italia era dappertutto ritenuta pericolosa e non certo pubblicabile.

Ho dunque motivo di ritenere con questi brevi cenni che Giacomo Manzoni non si trovasse a studiare in Lucca per puro caso. L’ebraico per esempio era materia amata e studiata in città. I chierici Regolari della Madre di Dio, in città, avevano sempre seguito con accuratezza traduzioni dall’ebraico e addirittura dall’arabo, a partire da Padre Ludovico Marracci, il primo in assoluto a tradurre il Corano in latino sin dal XVI secolo. Ce lo rammenta anche il Padre Lucchese Gioacchino Prosperi, protagonista della mia tesi, quando in quel XIX secolo, di fronte a testate giornalistiche contrarie a un rapporto dialettico degli ambienti cattolici con le forze ebraiche e riformate, sostenne a spada tratta l’opportunità di interagire con queste Confessioni religiose. Chi era il conte Padre Gioacchino Prosperi? Dalle lettere pare che la madre, Maria Angela Castiglioni, interagisse (in rapporti di parentela?) con i Castiglioni di Olona, in Lombardia, cugini questi ultimi dei fratelli Verri.

Tutti sappiamo che Giulia Beccaria, madre di Alessandro Manzoni, aveva avuto una relazione extra coniugale con Alessandro Verri, e si sospettava all’epoca che quest’ultimo fosse il vero padre dello scrittore Alessandro.

I legami tra il Cardinale Wiseman e la Lucca «Riformata» c’erano, e lo spostarsi di Giacomo Manzoni dal Liceo Lucchese nel 1835 al collegio cui in Roma afferiva proprio il Cardinale Wiseman per i suoi studi, potrebbe farlo supporre.

Il Cardinale Wiseman era nato a Siviglia nel 1802, ma la sua famiglia era inglese con antiche origini ebraiche; ed infatti egli, subito dopo la sua nascita, si trasferì a Londra con i genitori, divenendo qui il più celebre orientalista europeo del periodo.

Conosceva perfettamente l’ebraico (anche per le sue antiche origini familiari) e la sua presenza in Roma data a partire dal 1818, quando qui fu inviato all’età di 16 anni presso il Venerabile Collegio Inglese sito in Roma, riaperto proprio quell’anno, dopo essere stato chiuso per vent’anni a causa delle guerre napoleoniche. Sappiamo che in seguito il Cardinale Wiseman diverrà l’ago della bilancia tra il Riformismo Cattolico e il mondo protestante d’oltremanica e per un certo periodo si suppose pure che un accordo, un sostanziale avvicinamento tra la confessione Cattolica e quelle Riformate, si sarebbe trovato.

Mi permetto, visti i miei studi documentabili in rete, complice lo stesso Duca Borbonico e i vertici cattolici e riformati del periodo, con cui il Duca Borbonico aveva relazione, di suggerire come Giacomo Manzoni, protagonista di questo breve saggio, negli anni successivi ai suoi studi lucchesi e poi romani, sia diventato un rivoluzionario a tutto tondo, non distante affatto da principi etici che oltrepassavano la sua stessa storia familiare.

Durante la Repubblica Romana, con Giuseppe Mazzini, Giacomo Manzoni fu nominato Ministro dell’Economia della Repubblica medesima.

Per le sue scelte, ritenute da Giuseppe Mazzini non troppo appropriate al radicalismo abbracciato, venne messo in minoranza e di fatto poi defenestrato, anche se mai si arrese del tutto agli ai numerosi attacchi ricevuti.

In verità il suo fu un ruolo decisivo nelle vicende politiche del periodo. Solo dopo i fatti ascritti, riconducibili alla Repubblica Romana, egli si ritirò a vita privata, divenendo bibliofilo di fama internazionale.

I suoi interessi culturali sono peraltro riconducibili ai medesimi interessi del Duca Lucchese Carlo Ludovico di Borbone il quale, con i dovuti distinguo, fu anch’egli un bibliofilo di spessore. Qualche assonanza, mi sono chiesta, con la storia personale di Giacomo Manzoni? Le carte del Regnante Lucchese mettono in luce chiaramente che il suo impegno da bibliofilo nascondeva ben altro, come quando nel 1839 fece venire in incognito il ribelle Sir Antonio Panizzi a Lucca in veste di bibliotecario, costretto poi, il rivoluzionario emiliano, a fuggire dall’Italia nel suo «pellegrinaggio» sulla Penisola per le minacce ricevute in Genova, senza poter portare a compimento i propri fini rivoluzionari. Anche in questo caso l’impegno di Panizzi e del Duca Lucchese per i buoni libri nascondeva relazioni politiche e intenti compromettenti. Spesso la Chiesa e i Sovrani d’Antico Regime erano a conoscenza dei movimenti patriottici, così risulta dalle carte esaminate, se non addirittura palesemente complici, allineati insomma, ma non alienabili in termini ufficiali. E intorno una pletora di personaggi che curavano con i loro spostamenti (anche il giovane Giacomo Manzoni?) questi difficoltosi tentativi politici di sovvertire l’ordine costituito.

Tutti insieme appassionatamente, anche oltre il 1848, sin quando nel 1855 Papa Pio IX non decise definitivamente di accordarsi con Austria e territori tedeschi col reciproco Concordato di quell’anno.

Avrebbe potuto il Pontefice, chiediamocelo, in tutta sincerità, «non dar spazio» ai finanziamenti dei territori di lingua tedesca, quando la Corona Inglese era ormai persa nel Mediterraneo Orientale a risolvere spinose situazioni e aveva di fatto abbandonato l’idea di aiutare nel breve periodo l’Italia nel suo complessivo processo unitario? Chiudendo sicuramente, visti i risvolti, certi rubinetti?

I fatti successivi al 1855 saranno soprattutto il frutto di un’entrata in «corner» dei Savoia nel percorso Rivoluzionario di stampo unitario e non più federale, come viceversa si era sempre da più parti auspicato.

Analizzare perciò l’operato politico di Giacomo Manzoni durante la Repubblica Romana, nel 1848, quando fu Ministro dell’Economia, ci consente di chiarire il quadro descritto sin qui.

Egli «cercò di contemperare legislazione di emergenza e correttivi di più ampio respiro: così, a provvedimenti quali l’emissione di biglietti della Banca Romana garantiti dallo Stato e il prestito forzoso di oltre 3.000.000 di scudi (imposto ai patrimoni più consistenti), affiancò una revisione nel settore del pubblico impiego, che permettesse un’esatta verifica delle spese per il personale, e la conversione delle quattro categorie di buoni in circolazione in un’unica categoria infruttifera; legge questa che garantiva alle casse dello Stato un risparmio pari a 250.000 scudi.

Per contro, nonostante fosse sollecitata da alcuni deputati, il Manzoni non ritenne praticabile una radicale riforma monetaria, centrata sulla creazione di una Banca Nazionale».[1]

Fin qui il nostro era in linea con il volere di Giuseppe Mazzini, a capo del triumvirato con Saffi e Armellini. Ma a questo punto «su questioni come il Bilancio preventivo per il 1849, l’abolizione dei dazi doganali con la Toscana (verso cui si mostrò nettamente contrario) e il giuramento di fedeltà alla Repubblica da parte degli impiegati, entrò in forte contrasto con i deputati più radicali, che mostrarono crescente insofferenza verso la politica pragmatica e scevra da condizionamenti ideologici adottata dal Manzoni. Poco in sintonia anche con i componenti del Triumvirato, in particolare con Giuseppe Mazzini, che lo riteneva non adatto ai momenti di emergenza, all’inizio dell’aprile del 1849 il Manzoni accettò di buon grado l’incarico di verificare a Parigi (il futuro Napoleone III, una vecchia conoscenza degli ambienti mazziniani e riformati presenti anche in Lucca come ho ampiamente dimostrato attraverso i miei studi pubblicati) e a Londra (i “whig” di Lord Holland, altra vecchia conoscenza dei medesimi ambienti, anche in questo caso ampiamente definita dagli studi che ho condotto) se esistessero le condizioni per contrarre un prestito a favore delle esangui casse della Repubblica Romana.

Dopo un brevissimo e infruttuoso soggiorno in Francia, il Manzoni giunse nel maggio del 1849 a Londra dove ebbe colloqui con uomini politici e banchieri (incontrò tra gli altri R. Cobden). Nessuno però volle concedere crediti al Governo Repubblicano di Roma. Durante la permanenza in Inghilterra, Manzoni dovette inoltre difendersi dalla calunnia, lanciata dal giornale romano “La Speranza”, ripresa dal londinese “Times” e da alcuni politici inglesi, che oggetto della missione fosse, tra l’altro, la vendita di manoscritti sottratti alla Biblioteca Vaticana. Non così limpida l’accusa, forse alcuni interessi dello stesso in merito ci furono (alcune carte furono in anni successivi riconsegnate dallo stesso Giacomo e poi da suo figlio)». Ritengo che la strumentalità delle accuse sia comunque piuttosto plateale.

Se Giacomo Manzoni ebbe modo di intavolare trattative di così alto livello sia a Parigi che a Londra, non andate poi a buon fine, lui che di fatto era di matrice cattolico liberale, una ragione ci sarà. Non sorge il dubbio a qualche storico, e i miei studi tendono inequivocabilmente a dimostrarlo,[2] che tanta familiarità avesse alle spalle una familiarità assoluta dei suoi stessi ambienti originari cattolico liberali con i medesimi ambienti?

Caduta la Repubblica Romana, da ricercato, Giacomo Manzoni, sotto mentite spoglie, si recò a Losanna, poi a Genova, Lucca, Firenze (l’assassino torna sempre sul luogo del delitto) e nella primavera del 1850 a San Marino, ospite dello zio Borghesi, noto epigrafista e numismatico.

Nel 1851, temendo la Polizia Pontificia, passò prima a Corfù e poi a Malta, dove declinò i pressanti inviti di Giuseppe Mazzini di entrare nel Partito d’Azione. Non ne aveva mai fatto parte, ma forse afferiva alla Lega Italica dei rivoluzionari moderati Fabrizi, i quattro fratelli rivoluzionari e mazziniani emiliani, di origine lucchese?

Solo a partire dal 1854 poté finalmente stabilirsi a Torino dove rimase, alternando soggiorni in Svizzera e in Romagna, per circa 10 anni. Fu durante l’esilio che Giacomo Manzoni si votò definitivamente alla passione per lo studio e i libri, divenendo appunto un famoso bibliofilo.[3]

Proviamo a chiederci se una simile biografia, unitamente ai risvolti che ho ampiamente descritto, dell’ambiente di provenienza generale del nostro, non dovrebbe destare, a esser buoni, seri sospetti rivoluzionari sul personaggio (altro che moderato) e sui contatti dello stesso con gli ambienti che afferirono nelle varie capitali europee ai cattolici liberali del tempo, non ultima la cittadina lucchese, a tutti gli effetti in quegli anni una capitale europea, seppur tenuta opportunamente in ombra nel suo importante ruolo da forze politiche eterogenee che avevano tutto l’interesse a non mostrare la reale portata degli eventi che l’avevano investita.

Credo non ci sia molto da aggiungere a quanto ho affermato. Penso fermamente che i risvolti poco chiari del 1848 fiorentino, che precedette cronologicamente quello romano, e in cui il mio quadrisavolo Cesare fu ampiamente coinvolto come cattolico liberale, votato proprio in qualità di cattolico liberale a un ruolo rivoluzionario con Domenico Guerrazzi negli «Amici del Popolo», possano essere sufficientemente chiariti da queste poche note, che svelano gli stessi legami tra la mia città, gli ambienti romani, e anche quelli parigini e londinesi. Spero che qualche storico sia all’ascolto e rifletta su queste poche note. Qualunque suggerimento di ogni lettore che sia interessato ai temi affrontati da questo articolo, scritto senza preconcetti di sorta, sarà per me assolutamente gradito.


Note

1 Vedere Treccani alla voce Giacomo Manzoni.

2 Invito alla lettura degli scritti pubblicati in rete e in particolare su questo sito, ma anche alla mia tesi di laurea.

3 Ibidem.

(febbraio 2019)

Tag: Elena Pierotti, Manzoni, Napoleone III, Giuseppe Mazzini, Nicola Wiseman, Roma, Lucca, Parigi, Londra, Partito d’Azione, Giacomo Manzoni.