Firenze «capitale»
1865-1870: nel 150° anniversario, un’esperienza di forte impatto innovatore nel ricordo di Dante a 750 anni dalla nascita

In Italia è sempre tempo di ricorrenze, grazie ad una storia complessa e multiforme come poche. Si sono appena compiuti 150 anni da quando il Governo Italiano decise di trasferire la sua sede da Torino a Firenze: un gesto bipolare, in cui si volle vedere, da una parte, l’avvicinamento a Roma da parte del neo costituito Regno d’Italia, e dall’altra, una sostanziale rinuncia all’obiettivo prioritario delle forze risorgimentali più avanzate.

Lo Stato Pontificio, sebbene notevolmente ridimensionato nella sua consistenza territoriale, fruiva della protezione francese in cui si ravvisava un ostacolo al momento insuperabile; d’altro canto, la vecchia capitale sabauda era troppo decentrata per la nuova realtà nazionale che si estendeva dalle Alpi alla Sicilia. In questa ottica, la scelta fiorentina fu quasi obbligata, anche se a Torino si ebbero movimenti di protesta popolare che provocarono parecchie vittime.

Nel 1865 nessuno era in grado di prevedere che appena un quinquennio più tardi l’astro di Napoleone III potesse incontrare la rovinosa caduta di Sedan, in occasione della guerra franco-prussiana, aprendo all’Italia l’opportunità di andare a Roma, che il Governo di Vittorio Emanuele II fu pronto a cogliere, sia pure con una prassi per diversi aspetti opinabile. Per questo, l’esperienza di Firenze «capitale» fu breve, ma ebbe un ruolo importante, non solo nell’assetto urbanistico, logistico e demografico del capoluogo toscano, grazie ad una notevole immigrazione, allo sviluppo edile, all’abbattimento delle vecchie mura ed all’avvento di una moderna circonvallazione completata dal Viale dei Colli, progettato e realizzato dall’architetto Giuseppe Poggi.

Alla scelta di Firenze, dopo incertezze comprensibili, contribuirono significative valutazioni di carattere politico e culturale; in effetti, si trattava della città che più di tante altre poteva vantare una tradizione civilmente moderata che risaliva all’epoca lorenese: basti ricordare che il Granducato fu il primo Stato del mondo ad eliminare la pena di morte dal proprio ordinamento già nel Settecento; che la rivoluzione fiorentina del 1859 si era risolta nel giro di mezza giornata senza colpo ferire, coi popolani che si levavano il cappello al passaggio della carrozza di Leopoldo II in partenza per l’esilio; che lo stesso plebiscito per l’unione al Regno d’Italia non ebbe i caratteri giacobini che lo caratterizzarono in altre regioni. Né si deve dimenticare che la presenza toscana nei primi Governi post-unitari era stata importante, a cominciare da quella del Presidente Bettino Ricasoli, il mitico «Orso dell’Appennino».

In questa ottica, è facile comprendere come le manifestazioni fiorentine per il 150° anniversario di Firenze «capitale» abbiano avuto un grande impatto, soprattutto localmente; senza dire che hanno coinciso con un’altra ricorrenza di particolare rilievo: quella dei 750 anni dalla nascita di Dante, Vate d’Italia e massima gloria fiorentina.

Del resto, era stato proprio Dante a celebrare l’esistenza di una Nazione Italiana, se non altro sul piano culturale, tanto che i maggiori poeti romantici, a cominciare da Ugo Foscolo, avevano guardato a lui come precursore dell’idea nazionale, senza dire dei patrioti risorgimentali, dal Pellico al Confalonieri, e dello stesso Giuseppe Mazzini, che ancora giovanissimo gli aveva dedicato il suo primo scritto, destinandolo nel 1826 alla rivista fiorentina «Antologia» di Giampietro Vieusseux.

Dante, spirito universale capace di trascendere il tempo e lo spazio, ebbe motivi di particolare attualità proprio nell’Ottocento perché aveva pagato con l’esilio la fedeltà alle proprie idee ed aveva provato «quanto è duro calle lo scendere ed il salir per l’altrui scale» e «come sa di sale lo pane altrui». In effetti, si tratta di un’attualità perenne, che permane anche negli anni Duemila: non a caso era stato proprio Dante a vedere nel Carnaro il «termine» di un’Italia che agli esordi del Trecento era davvero un’espressione geografica, come avrebbe detto ironicamente il Principe di Metternich mezzo millennio più tardi, e che non poteva avanzare sulla Dalmazia le ragionevoli attese di Nicolò Tommaseo e degli innumerevoli patrioti dell’altra sponda adriatica.

Cosimo Ceccuti ha scritto con felice sintesi che Dante, cittadino oltre che poeta, aveva visto «l’Italia come comunità di cultura, di lingua, di tradizioni, al di sopra degli interessi e delle divisioni municipalistiche». È un giudizio che si può perfettamente condividere in un’epoca come la nostra, caratterizzata dalla crisi dei valori unitari, spirituali ancor prima che politici, e dal ritorno di particolarismi gretti come quelli che Francesco Guicciardini aveva bollato con giudizi memorabili.

La convergenza delle celebrazioni di Firenze «capitale» e di quelle per i 750 anni dalla nascita di Dante, in ultima analisi, non ha ubbidito alle sole semplici esigenze del calendario, ma ha voluto esprimere i migliori contenuti etici di una fiorentinità che sa guardare oltre i ristretti limiti del campanile per proiettarsi in una dimensione universale, confermata dal fatto che nel 1871, quando la capitale venne trasferita finalmente a Roma, nessuna apprezzabile protesta sorse a Firenze, nonostante qualche naturale disagio economico.

Al pari di altre «capitali» preunitarie caratterizzate da grandi tradizioni civili e culturali, come Venezia, Napoli, Milano, Palermo e la stessa Torino, la Città del Fiore ha conservato una vocazione che ne trascende, fra gli altri, i limiti proposti dall’odierno ordinamento regionale e costituisce un ulteriore buon motivo per ottimizzarne gli istituti ed attualizzarne ruoli e funzioni nell’ottica etica ed umana del nuovo millennio.

(ottobre 2015)

Tag: Carlo Cesare Montani, Italia, Ottocento, Firenze capitale, Risorgimento, Regno d’Italia, spostamento della capitale a Firenze, spostamento della sede del Governo a Firenze, Roma, Stato Pontificio, Napoleone III, Vittorio Emanuele II, Viale dei Colli, Giuseppe Poggi, Bettino Ricasoli, Dante, Ugo Foscolo, Pellico, Confalonieri, Giuseppe Mazzini, Carnaro, Giampietro Vieusseux, Nicolò Tommaseo, Cosimo Ceccuti.