La famiglia Pierotti in Mediavalle
Patrioti risorgimentali

Esistono fatti e situazioni storiche definite «minori» e personaggi storici talvolta dimenticati dalla storia, anche a causa «del tempo giustiziere e come tale talvolta spietato»[1], che nel corso della loro esistenza furono forieri di novità e contenuti vibranti per la costruzione di un’epoca che li vide in qualche modo protagonisti. Tra questi il patriota della Mediavalle Lucchese Matteo Pierotti e i suoi figli.

Matteo nacque a Valdottavo, comune di Borgo a Mozzano, provincia di Lucca, nella seconda metà del Settecento. Ho motivo di ritenere che provenisse da una famiglia d’estrazione nobiliare che datava dal Medioevo, quando in queste sue terre le condizioni politiche videro i cavalierati al centro del sistema difensivo di quei territori, che presentano ancora i numerosi incastellamenti, frutto di un retaggio feudale di notevole spessore. Matteo e la sua famiglia erano di estrazione cattolico liberale[2], legati cioè a quelle correnti del Cattolicesimo che videro, a partire dal Settecento, un loro bisogno di esprimersi oltre i modelli esclusivi d’antico regime. Sempre in quelle terre della Mediavalle, e precisamente in Gioviano, una Teresa Pierotti sposerà in quegli anni l’avvocato Pellegrini di Borgo a Mozzano che, seppure non di estrazione nobiliare, divenne decisivo in sede locale sul piano politico ai tempi del Principato Baciocchiano in Lucca e collaborò a lungo con le forze giacobine prima e bonapartiste poi.

Matteo Pierotti studiò in seminario a Lucca ma non prese i voti; divenne avvocato e si dedicò, sin da giovanissimo, all’attività politica, esponendosi in prima linea in sommovimenti, anche di stampo mazziniano. Ebbe contatti serrati con numerosi esponenti della Toscana liberale che lo omaggiarono con la loro amicizia e solidarietà nel momento del bisogno. Venne infatti arrestato e subì la detenzione nel carcere lucchese perché sospettato, erroneamente, d’aver organizzato un attentato al Duca Carlo Ludovico di Borbone. Riabilitatosi, vista l’infondatezza delle accuse, una volta che Carlo Ludovico di Borbone nel 1847 ebbe ceduto il suo piccolo Regno Toscano al Granduca Leopoldo II d’Asburgo Lorena, come il Congresso di Vienna aveva previsto nel 1815, diretto a Parma, Matteo riprese la sua instancabile attività politica, fino a divenire deputato al Parlamento Toscano nel 1859. Egli educò i suoi figli Giovanni e Luigi a quei valori di libertà d’impronta cattolica che lo avevano sempre caratterizzato. Matteo Pierotti viene ricordato in particolare per la sua amicizia col conterraneo Antonio Mordini, garibaldino, membro della Società Nazionale e profittatore in Sicilia ai tempi della spedizione dei Mille, quando sostituì il Generale Giuseppe Garibaldi in quel compito, una volta che questi si spostò sul continente. È rimasta una lettera inviata da Antonio Mordini a Matteo Pierotti e consultabile all’Archivio di Stato Lucchese[3], in cui il prodittatore Mordini non mise affatto in buona luce i Siciliani, descrivendoli con frasi che rivelano, questo dobbiamo dirlo a difesa dei Siciliani stessi, l’impreparazione e l’inadeguatezza della spedizione dei Mille, senza nulla togliere al significato politico della spedizione e soprattutto all’afflato leggendario che essa dovette suscitare nei contemporanei e nella storiografia immediatamente successiva all’Unità nazionale. Evidentemente Antonio Mordini dovette fronteggiare una situazione caotica che lo mise nella condizione di non saper sempre prevenire gli eventi e perciò accusò, impropriamente io credo, i Siciliani, che spesso, salvo i collaborazionisti, si sentivano giustamente dominati anziché liberati dai garibaldini e creavano ostruzionismi. Nella seconda metà del Settecento, sempre in Valdottavo, vide la luce Assunta Pierotti, quasi sicuramente congiunta di Matteo, anche se non so indicarne il grado di parentela. Divenne la madre di Michele Pierantoni in Lucca, che fu l’ultimo bibliotecario della cittadina Toscana, su incarico del Duca Borbonico Carlo Ludovico. I Pierantoni erano una famiglia di ricchi imprenditori della seta di origini napoletane, presenti sul territorio lucchese, ed in specifico in Sant’Alessio di Lucca e nel Morianese, luoghi limitrofi alla città. Erano anche proprietari terrieri.

Assunta rimase presto vedova e, come ricorda il genero di suo figlio, il conte Giovanni Sforza, appartenente al ramo toscano degli Sforza di Milano, in una sua pubblicazione del 1919,[4] fu in grado di affrontare la sua condizione di vedova accollandosi il peso dell’intero patrimonio familiare che curò in prima persona. Ciò non stupisce perché queste famiglie avevano antichi retaggi longobardi e dunque, anche se le donne erano relegate in un angolo sul piano della gestione degli affari sia economici che politici delle loro famiglie, al momento del bisogno rispolveravano il matronimico originario divenendo garanti degli stessi interessi familiari. Così del resto venivano educate, in questo senso in modo un po’ maschile, perché se nell’evenienza gli uomini, un tempo guerrieri, venivano a mancare, dovevano saper assumere il loro posto. Bene lo evidenzia Giovanni Sforza nella pubblicazione in oggetto quando ricorda i modi spartani con cui Assunta Pierotti trattò suo figlio Michele da bambino, costringendolo ad andare talvolta sotto il temporale in caso di pioggia per rafforzarne il carattere, come emergeva da racconti familiari allo stesso Giovanni.

Modi un po’ militari, se così posso esprimermi, che riflettevano un’educazione incline alla disciplina ed alle regole. Capitava dunque in queste famiglie (e non è un caso se alcuni loro membri divennero dei patrioti e rivoluzionari, seppur di stampo cattolico liberale) che un personaggio come Assunta tenesse contatti con Cambray Digny[5] durante l’epoca napoleonica, come appare da documenti d’archivio presenti alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze.[6] Ritornando a Matteo, i suoi due figli Giovanni e Luigi non furono da meno rispetto al padre. I due fratelli, alla stregua del padre Matteo, si laurearono a Pisa in Legge. Giovanni fu compagno di studi di Giosuè Carducci, nativo di Pietrasanta, il cui padre Michele era stato un medico rivoluzionario che tenne i contatti con i patrioti lucchesi mazziniani.[7] Per l’intera sua vita Giovanni, che divenne un letterato, fu seguace dell’amico poeta Giosuè Carducci e nel 1901, presso l’Aula Magna dell’Università di Pisa, tenne un celebre discorso in memoria del Senatore Marco Tabarrini, deceduto quell’anno. Tabarrini, che era Piemontese di nascita, fu intimo amico di Massimo d’Azeglio. Anche quest’ultimo frequentò a lungo Lucca, ed in specifico la casa del conte Sardi, che di madre faceva Giorgini ed aveva la principale residenza cittadina in Monte San Quirico. Massimo d’Azeglio, come ben sappiamo, si era sposato in prime nozze con una figlia di Alessandro Manzoni. La sorella di sua moglie era coniugata con Giovan Battista Giorgini di Lucca. Il fratello di Giovanni, Luigi, divenne il sindaco liberale di un paesino della Mediavalle, Trassilico, di antichissima tradizione estense. Qui si annoverano le nascite di personaggi celebri. Tra questi Giovanni Pierelli, qui nato nel 1628 e che fu segretario di Raimondo Montecuccoli, Ambasciatore del Ducato di Modena.

Nel 1661 vide la nascita in Trassilico Antonio Vallisneri il cui padre Lorenzo era stato podestà estense. Antonio fu medico e naturalista di fama, scienziato che insegnò a lungo presso l’Università di Padova. Ed ancora nella cittadina menzionata ebbe i natali nel 1784 Leopoldo Nobili, scienziato che studiò l’elettromagnetismo e che fu docente di fisica sperimentale in Firenze.

Luigi Pierotti, una volta divenuto sindaco, seppe fasi amare dai propri amministrati. A lui, dopo la morte, venne eretta una statua in suo ricordo in una piazzetta all’ingresso dell’abitato storico del borgo. Egli si fece garante delle antiche tradizioni del luogo e sostenne l’economia agricola ed i bisogni essenziali della collettività, in un’epoca in cui non era semplice farlo. Anche questo sicuramente fu retaggio dell’educazione civica impartitagli da suo padre e dall’intera sua famiglia. Questi personaggi risultano sepolti nel bellissimo chiostro dei Padri Cappuccini in Borgo a Mozzano, a riprova dell’amore e della devozione di tutta la cittadinanza che in quel luogo li volle per i valori politici e civili che seppero rappresentare.


Note

1 La frase non è mia ma di uno studioso livornese vissuto a cavallo tra XIX e XX secolo, Luigi Venturini, citato più volte nella mia tesi di laurea dal titolo Padre Gioacchino Prosperi. Dalle Amicizie Cristiane ai Valori Rosminiani, che è in rete e che invito a leggere perché introduce quanto sto per descrivere in questo breve articolo.

2 Archivio di Stato di Lucca, Carte Pierotti.

3 Archivio di Stato di Lucca, Carte Pierotti.

4 Giovanni Sforza, Vita di personaggi lucchesi illustri, Lucca, Tipografia Baroni 1919.

5 Funzionario napoleonico fiorentino di origini francesi che Napoleone inviò a Castelnuovo Garfagnana come Governatore durante la prima fase napoleonica e che a Unità d’Italia avvenuta divenne Sindaco di Firenze.

6 Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Carte di Luigi Guglielmo Cambray Digny 43/28.

7 Roberto Pizzi, Squadre e Compassi in Lucchesia…, Lucca, Maria Pacini Fazzi editore.

(marzo 2018)

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