Un ingegnere dell’Esercito Sabaudo: Ermete Pierotti
Quando sbarcare il lunario diventa a suo modo una missione civile

Il XIX secolo ha visto numerosi e valenti uomini del nostro Paese, che per ragioni politiche sono stati in Patria pressoché dimenticati: tra questi l’ingegnere Ermete Pierotti.

La storia di quest’uomo, il primo ricercatore ad avventurarsi all’interno del Monte Sacro, è talmente travagliata da sembrare mistificatoria. Si tratta di un ingegnere militare di grande esperienza e talento, nato a Modena nel 1821. Di stanza a Genova, accusato di diserzione e di complicità nel furto di beni militari, nel 1849 venne cacciato dall’esercito. Egli, Cattolico liberale, pieno di energie, dopo le tristi vicende lasciò la Patria e si recò a Gerusalemme. Per sbarcare il lunario svolse diversi lavori, nel tentativo di coronare il suo sogno: cercare di svelare i misteri del Monte del Tempio. Per il gran bisogno di lavorare, nell’estate del 1856 il nostro assistette un ingegnere turco, Assad Effendi, nel restauro del principale acquedotto della città. Questo impegno gli permise di avventurarsi all’interno del Monte del Tempio, in cui si trovano tuttora importanti riserve d’acqua, e di compiere ricerche.

I lavori di manutenzione dell’acquedotto, dove furono impiegati, vista la particolare siccità degli anni 1858 e 1859, numerosi tecnici, furono per Pierotti motivo di completamento del progetto iniziale che vide il suo coronamento con la pubblicazione nel 1864 in Inghilterra del libro Jerusalem Explored, ossia la Gerusalemme esplorata. Purtroppo i fatti accaduti nel 1849 in Italia lo bollarono per il resto dei suoi giorni. In ogni modo il ricercatore inglese Charles Warren, conducendo ulteriori studi, decretò che le mappe del valente ingegnere italiano, pur se in alcuni casi approssimative ed imprecise, erano unicamente contestabili per le dimensioni delle strutture sotterranee visitate.

Sorprendentemente nelle mappe di Pierotti[1] sono indicati dei canali sotterranei non ancora esplorati ma che, grazie alle moderne tecnologie, risultano in sintonia con le più recenti ricerche. Dunque è fatta salva la scientificità del suo operato.

Per quanto singolare possa apparire la vicenda, quello che più deve interessarci sono le convinzioni politiche dell’ingegnere modenese, che possiamo trarre da una sua pubblicazione presente alla Biblioteca Capitolina di Roma, dal titolo emblematico: Il Potere Temporale dei Papi al cospetto del Tribunale della Verità[2]. Evidentemente, vuoi il dente avvelenato che il nostro dovette avere verso le autorità italiane, le quali a torto o a ragione decretarono la fine in Patria della sua luminosa carriera militare; vuoi le amicizie altolocate che il nostro ebbe a Londra ed a Parigi (appartenne quasi certamente all’omonima famiglia modenese di antica nobiltà, anche se dovrei verificare); vuoi i contatti nutriti con la comunità inglese; sta di fatto che egli, dalla pubblicazione, risulta essere particolarmente, ed aggiungerei, significativamente, favorevole a Casa Savoia, rinnegando i tentativi del Clero di mantenere il Potere Temporale.

«Cos’è questo Potere Temporale» si chiede nella prefazione dell’opera esaminata, «cagione d’infinite sventure all’Italia? È una creazione divina o un’invenzione umana?».

Egli dunque condanna la donazione di Costantino, precisando che «la menzogna di questa donazione è sì evidente e grossolana, che già il Papa Silvestro e i suoi successori non osarono giammai farsene un titolo. Pur avendosene fatto un titolo Papa Adriano con Carlomagno nel 776, Papa Stefano II nel 785 mancò di citarla in una lettera allo stesso Carlomagno. Non esiste alcuna prova certa di detta donazione. Solo Luigi il Semplice si lasciò detronizzare dai Vescovi»[3].

Egli prosegue: «La prima donazione autentica, di cui i Papi potrebbero fare una certa pompa (seppur fosse valevole) sarebbe quella della contessa Matilde[4], fatta nel 1077 e rinnovata nel 1102. Ma quali ne furono gli effetti? La Toscana e la Lombardia, Pisa, Firenze, Pistoia, Siena, Lucca, Milano, Pavia, Cremona, Modena, eccetera divennero altrettante Repubbliche. In conseguenza il Testamento non comprendeva del resto le proprietà territoriali, e non dava alcun diritto di sovranità sugl’individui e sulle province»[5].

L’ingegnere modenese vuole assolutamente elencare gli effetti deleteri prodotti dal Potere Temporale nel corso dei secoli e le relative invasioni da parte di Sovrani stranieri della nostra Penisola; pone egli i Vangeli a vero fondamento della fede e sostiene che, proprio per tale ragione, il Papa non può essere sovrano temporale. I Vangeli – egli scrive – vogliono il trionfo dello Spirito sulla materia, la morale sulla cupidigia, la libertà sulla schiavitù, la fraternità sull’egoismo.

Mette particolare accento sul Vangelo secondo Giovanni, dimostrando di avere una buona cultura teologica. Sembra quasi voler assolvere l’errore dei Pontefici quando accomuna i loro sbagli a quelli degli Apostoli, che per primi non riuscirono a restar fuori da logiche di Potere.

Carina, ma soprattutto emblematica sul piano politico La preghiera da farsi dagli Italiani che dedica alla avvenuta Unità Nazionale. Fra le molte richieste, oltre a pregare perché Dio unisca la Nazione, faccia di Roma la Capitale (siamo nel 1866), nella preghiera compare la distruzione del Potere Temporale. Del resto uniforma il proprio pensiero ad una generalizzata e ritrovata armonia di tutto il popolo. Scrive (sembra la preghiera più dedicata ai posteri che non ai suoi contemporanei) chiedendo a Dio di liberare tutti i comuni della Penisola dai Sindaci, dai Consiglieri che pensano ad impinguar se stessi piuttosto che a far prosperare i loro amministrati.[6]

Il nostro dimostra grande fede verso una Patria unita e ritrovata, dichiarandosi vicino a Casa Savoia, nonostante i Savoia lo avessero allontanato dall’esercito!

Ancora nella preghiera degli Italiani precisa: «Proteggi il nostro Re Vittorio Emanuele II, e tutta la sua reale famiglia; fa’ che i suoi discendenti abbiano, come lui, il vanto d’essere chiamati Galantuomini».

Notiamo dunque che egli, pur convinto dell’operato di Casa Savoia, non manca di ammonire per il futuro, ed appare quasi profetico. Evidentemente, è lecito pensarlo, come Cattolico liberale, in anni cruciali come il 1848 e 1849 doveva aver dato fastidio a qualcuno!

Si mantiene in ogni caso convinto delle idealità cattoliche, nella misura in cui il Clero «senta l’amore della propria Patria ed istruisca il gregge che gli è confidato, ispirandogli lo smascheramento dei nemici dell’Italiana Unità».

Parliamo di un Cattolico liberale votato alla causa italiana, che in quel 1866 ancora attende l’annessione di Roma. Dunque auspica una collaborazione tra Stato laico e Chiesa, sul piano sociale. Scrive infatti: «Ispira al nostro governo l’istituzione di biblioteche popolari, scuole serali e domenicali pei poveri, in ciascuna parrocchia, in ciascun comune e loro dipendenze».

Pare sinceramente votato ad alta moralità politica con parole di fuoco che, rilette oggi, appaiono più che mai attuali: «Concedi [Signore] che si trovi modo di estinguere i debiti della Nazione, con una saggia economia, non soltanto vuotando gli scrigni dei ricchi [ne è parte in causa] ma adoperando una maggior vigilanza, ed usando il rigore della legge contro i ladri dell’avere della Nazione: tanto condannabili perché sono i veri distruttori della pubblica moralità».

Ora, possiamo obiettare che lui stesso fu condannato, anni prima. Ma francamente non credo opportuno, sul piano storico, considerare in positivo o in negativo la condanna che gli fu addebitata. Mi limito a ricordare che la sua è una testimonianza storica; che l’epoca non prevedeva tre gradi di giudizio; e che non ho certo elementi sufficienti per «scagionarlo» delle accuse che gli furono attribuite.

Egli dimostrò familiarità con l’editore Rothschild di Parigi, dove, nel 1865, in rue Saint Andrè des Arts, aveva pubblicato il libro La Palestine actuelle dans ses rapports avec la Palestine ancienne, dedicandolo all’Imperatore Napoleone III[7]. Un ulterior suo scritto, presente presso l’Università di Harvard, dal titolo Rivista generale della Palestina antica e moderna, edito anch’esso nel 1866 per i Fratelli Pellas, documenta la familiarità col mondo anglosassone e, più in generale, europeo, dell’ancora pressoché sconosciuto in Patria ingegnere italiano.

Una frase del suo scritto che ho esaminato mi ha particolarmente colpito, e si riferisce al Cardinale Bartolomeo Pacca, comunemente considerato uno dei prelati più intransigenti della Curia Romana. Frasi, quelle del Cardinale, messe da Pierotti in evidenza le quali, alla luce di documenti recentemente rinvenuti[8], mi inducono a particolare riflessione: «Uno dei più energici difensori della Santa Sede, cioè il Segretario di Stato di Pio VI, [che morirà nel 1842], il Cardinale Pacca, il medesimo che nel 1807 redigette la bolla di scomunica contro Napoleone I, scriverà che i Papi, sbarazzati dal pesante impaccio del principato temporale, il quale li obbliga ben spesso a sacrificare una gran parte di tempo prezioso a degli affari mondani, potrebbero rivolgere tutti i loro pensieri al governo spirituale della Chiesa, permettendo di fatto la creazione di un Clero non tentato dai beni materiali».

Gioacchino Volpe, nella rivista cessata «Archivio di Corsica», presente alla Biblioteca Statale di Lucca, mise in luce come nel corso del XIX secolo la Chiesa Córsa fosse stata coinvolta in situazioni a tutt’oggi non definite sul piano storico di coinvolgimento nelle questioni risorgimentali che videro i napoleonidi protagonisti. In particolare un religioso lucchese, padre Gioacchino Prosperi, da padre missionario in quella terra, venne coinvolto in tali situazioni[9].

I personaggi come il nostro, al centro di provvedimenti giudiziari e processi, nel secolo XIX furono talvolta condannati[10], tal’altra assolti[11], mettendo comunque in luce un modo diverso d’intendere, all’epoca, il sistema Paese, rispetto a quanto si profilava all’orizzonte.

Un’attenta rilettura dei loro temi, apparentemente desueti, invita a guardare dentro alle nostre stesse attuali istituzioni.


Note

1 Le sue carte sono conservare a Londra al PEF, Palestinian Exploration Found.

2 Il Potere Temporale al cospetto del Tribunale della Verità, Letture dedicate al Popolo Italiano dal dottor Ermete Pierotti, Firenze e Genova, Tipografia e Litografia Fratelli Pellas, 1866.

3 Ibidem.

4 Matilde di Canossa.

5 Eccone il testo: «Per la salute della mia anima e quella dei miei parenti, io [Matilde] cedetti alla Chiesa di San Pietro, a titolo di proprietà, nella persona del Papa Gregorio VII, tutti i miei beni, tanto quelli che io possedevo già, come quelli che ho acquistati di poi».

6 Il Potere Temporale al cospetto del Tribunale della Verità, Letture dedicate al Popolo Italiano dal dottor Ermete Pierotti, Firenze e Genova, Tipografia e Litografia Fratelli Pellas, 1866, pagina 68.

7 Nella pagina finale del testo Il Potere Temporale al cospetto del Tribunale della Verità, tra la bibliografia.

8 Luigi Venturini, Di Gioacchino Prosperi e del suo libro sulla Corsica, Milano, Società editoriale scientifica Tyrrenia, 1926.
Elena Pierotti, Padre Gioacchino Prosperi. Dalle amicizie Cristiane ai Valori rosminiani, tesi di laurea discussa presso l’Università di Pisa, anno accademico 2009-2010.

9 Gioacchino Prosperi, La Corsica e i miei viaggi in quell’Isola, Bastia, Tipografia Fabiani, 1844.

10 È il caso di Ermete Pierotti.

11 È il caso del religioso Prosperi che subì un processo a Firenze nel 1844, come ricorda lo storico livornese Ersilio Michel nella sua pubblicazione Patrioti italiani in Corsica.

(gennaio 2013)

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