Eleonora Bernardini
Una donna attiva nelle questioni risorgimentali italiane, tra vecchio regime e modernità

Nata a Lucca il 4 aprile 1773 da Carlo De’ Nobili e da Luisa Conti, Eleonora De’ Nobili andò in sposa nel 1790 a Federigo Francesco Bernardini, assai maggiore di lei e vedovo di Luisa Santini. I personaggi che citerò avevano tutti estrazione nobiliare. Eleonora, rimasta vedova nel 1818, sopravvisse al marito fino all’11 maggio del 1855. Fu sepolta nella chiesa dei Servi, a Lucca. Fu Dama D’Autour di Elisa Baciocchi prima, durante il periodo napoleonico; poi Dama di Palazzo della Regina Maria Luisa di Borbone e della duchessa Maria Teresa (figlia questa di Vittorio Emanuele I di Savoia) durante il Ducato Borbonico Lucchese. Per quanto il vero titolo nobiliare di Eleonora fosse quello di contessa (e come tale è indicata negli almanacchi di Corte), a Lucca la chiamavano, non sappiamo per quale motivo, la Marchesa Bernardini.

Questo personaggio costruì le più segrete trame politiche del Principato prima e del Ducato poi, non estranea comunque, vista la data di morte, alle più generali questioni risorgimentali.

Fu amica fraterna di Padre Gioacchino Prosperi, il prete lucchese di cui in altra sede ho narrato ampiamente le vicende, molto coinvolto il sacerdote in sede nazionale nelle questioni risorgimentali. Quest’ultimo aveva dei rapporti anche familiari con la Marchesa Bernardini perché sua madre era Maria Angela Castiglioni, dei Castiglioni di Olona, dunque cugina dei fratelli Verri. Ma anche, quest’ultima, come ravvisiamo all’Archivio di Stato di Lucca, con legami parentali con la stessa Marchesa Bernardini. L’abitazione in Lucca dove Padre Gioacchino Prosperi morì nel 1878 apparteneva a sua madre ed era adiacente del resto a Palazzo Bernardini.

La Marchesa nelle lettere dava suggerimenti al sacerdote su come spostarsi sul terreno politico accidentato in cui si era venuto a trovare, lui che era dichiaratamente massone e per giunta ex gesuita e poi francescano. Il tutto tra Lucca e la Corsica rivoluzionaria della prima metà del XIX secolo. In quei tempi Lucca appariva sorniona ma segretamente coinvolta col Duca Borbonico Carlo Ludovico, Carlo Alberto di Savoia ed altri principi della Penisola in particolari quanto a tutt’oggi mai chiarite manovre sovversive.

Alcune lettere della Marchesa, rimasteci, lasciano intravvedere coinvolgimenti e trame del periodo, permettendoci di tuffarci in alcune situazioni cui la storiografia ufficiale non ha mai potuto e/o voluto attingere.

Strettissimi i rapporti della stessa con Josephine De Beaurnais, quando l’allora Generale d’Italia, Napoleone Bonaparte, durante la 1° Campagna Francese nello Stivale, fece sostare la consorte in città, a Lucca, per ragioni di sicurezza. Le due donne furono confidenti: purtroppo non sono rimasti che frammenti a suggellarne i rapporti.

Stretti i legami di Eleonora Bernardini anche con Luciano Bonaparte, che a lungo soggiornò presso il Principato Lucchese, governato prima dalla sorella Elisa Baciocchi, poi dal Duca Borbonico Carlo Ludovico. Quest’ultimo ospitò segretamente alcuni membri rivoluzionari della sua Bonaparte, fra cui anche alcuni figli.

Faccio riferimento a lettere confidenziali della Marchesa sulle questioni dello stesso Luciano e dei suoi congiunti. In una missiva del 4 aprile 1808 inviata ad Eleonora da un conoscente non meglio identificato e che si trova nelle Carte Bernardini, leggiamo: «Il signor Luciano, come sarà noto, è partito, e mi pare non sappiasi bene ancora per dove. I miei rispetti al Signor Federigo (intendo grande e piccino ossia Ghighetto [rispettivamente marito e figlio della stessa]) ed a tutti di sua famiglia. Mi riverisca il Signor Grant (se è più costì) da cui ricevetti il Milton di Dobson».

Stiamo parlando evidentemente non solo del Bonaparte ma di John Milton, un erede del poeta Milton del Seicento, e di un suo collaboratore inglese, tale Grant. Gli Inglesi sono ed erano di casa a Lucca.

Posso confermare da ricordi d’infanzia che l’inglese era considerato dalle famiglie nobili lucchesi «lingua di famiglia», visti gli stessi stretti legami storici con la Gran Bretagna. La piccola Repubblica oligarchica toscana era riuscita, del resto, a fare della sua indipendenza motivo di rapporti più o meno serrati con le varie Corti Europee.

Molti i sudditi di Sua Maestà Britannica che soggiornarono spesso nel territorio lucchese, e non solo nel XIX secolo, ma anche nelle epoche successive. Alle Terme di Bagni di Lucca, in particolare, ricchissima la loro presenza, ieri come oggi.

Questi rapporti col mondo inglese non furono solo di cortesia, ma anche politici, soprattutto durante il Risorgimento. I riferimenti dalle lettere della Marchesa Bernardini tendono a confermarlo. Ci sono in particolare dei richiami nelle sue carte ai rapporti tra Madame Lucien (Bonaparte) e la contessa D’Albany. Si tratta solo di accenni, non ben chiariti.

Il 20 giugno del 1809 scriveva la marchesa Bernardini alla zia Lambertini: «Le senateur Lucien va y arriver (ai Bagni) la nuit prochaine avec sa famille et c’est fait hereux pour le pays par la depanse qu’il y fait. J’espere que cela n’empéchera pas le projet qu’a la C.sse d’Albany d’y venir… Un certo Masson ci parla anche dei rapporti fra Madam Lucien e la contessa D’albany». Non possiamo comunque dimenticare, per quanto frammentarie siano le testimonianze, che furono gli Inglesi ad accogliere i Bonaparte fuggiaschi dopo la caduta napoleonica, quei Bonaparte che tradirono la fiducia del fratello Imperatore, una volta in disgrazia e deportato a Sant’Elena.

Qualche anno dopo la fine del Principato la Marchesa Bernardini la ritroviamo invischiata nelle faccende risorgimentali dello Stivale. Ancora in combutta coi Bonaparte?

Ecco una sua lettera del 23 febbraio 1834: «Ho ricevuto il libretto del Graberg, e vi prego, quando gli scriverete, di ringraziarlo molto e distintamente riverirlo in mio nome. Egli veramente un buono e brav’uomo, e bisogna perdonargli quelle sue debolezze. Le passioni umane hanno in tutti la stessa origine, e l’errore sta solo nei vari obiettivi a cui si dirigono». Stiamo parlando di Giacomo Graberg de Hemso, cognato del Ministro Svedese de Lagersvel, che era un grande e fedele suo amico.

Questi era nato nel maggio del 1776 a Gounarfre e fu dapprima ufficiale della Marina Inglese. Costretto a lasciare il servizio a causa di un duello, fu a Genova istitutore ed impiegato contabile. Nel 1800 addetto alla Legazione Svedese in Italia, come Segretario particolare del Ministro, di cui sposò la cognata, francese di origine. Nel 1806 ancora Segretario del Principe di Saluzzo, duca di Carignano,[1] col quale intraprese varii viaggi in Europa ed alla fine dello stesso anno fu nominato Vice-Console di Svezia a Genova. Nel 1815 fu Console a Tangeri reggendo, per incarico, anche il Consolato di Sardegna; nel 1823 venne trasferito a Tripoli, ma di lì, per divergenze col proprio Governo, richiamato nel 1828. Si ritirò allora a Firenze.

La Marchesa Bernardini, sua amica, appartenne di fatto a quella Lucca nera che vide nei valori dell’indipendenza lucchese, almeno finché resse, il fulcro del programma politico della stessa nomenclatura lucchese. Certamente i particolarismi politici non limitarono, sul piano operativo, la Marchesa, che a Firenze, col Graberg de Hemso, di concerto ad alcuni principi della Penisola, così come compare in una lettera, tramò durante il primo Risorgimento per far trionfare, sottobanco, coalizioni federative.

Le varie missive ci indicano in maniera approssimativa il percorso politico della nobildonna. Il 5 settembre 1834 ringrazia l’amico Graberg: «Mille grazie per il libro Le parole d’un credente[2] del Lamennais. Esso è molto pericoloso e il Papa ha fatto bene proibirlo, ma sarebbe desiderabile che certi libri Egli vietasse la lettura ai popoli e la comandasse ai Principi. Questo è il mio pensiero, un po’ stravagante, come vede. Del resto ciò che il Lamennais dice è impraticabile, finché non si compia l’Adveniat Regnum Tuum. Dunque a che serve scrivere siffatte cose?».

In verità la marchesa Bernardini ebbe certamente una visione più ampia sul piano politico rispetto al pensiero diffuso in quegli anni tra le nobildonne d’Antico Regime. Offrì ad esempio in prestito quel libro del Lamennais anche ad altri, provocando un certo scompiglio nella sua città, visti i suoi appunti ivi inseriti (non ritenuti ortodossi).

Scrive ella infatti: «Nel primo tomo de’ miei Commentari io feci alcune brevi considerazioni sui Diritti dell’Uomo proclamati dall’Assemblea Costituente[3] e se volete mandare da me il Settari, gli consegnerò entro poche ore perché se il Giusti, Editore in Lucca, sapesse che il libro non è in casa mia! Dio che strepito ne farebbe».

Poiché i primi tre tomi dei Commentarii non erano stati pubblicati ancora né potevano esserlo per difficoltà insorte in Lucca da parte della censura, se si fosse saputo che giravano per le case di Lucca ne sarebbe andato di mezzo l’editore Giusti cui lo scrittore Papi aveva ceduto l’opera sua. Il tutto a fotografare il particolare clima politico di quegli anni.

In Firenze, nel luglio 1834, transitò il conte Broglio, Sabaudo, legato a Carlo Alberto di Savoia, per il quale ricoprì incarichi. Naturalmente passò anche da Lucca, non solo da Firenze. La Marchesa si trovava in quel preciso momento proprio a Firenze, dall’amico Graberg, evidentemente coinvolto, anche per le sue qualità di ex diplomatico, nelle vicende che videro come protagonista l’amica lucchese. Ella scrisse in quel frangente ad Ascanio Mansi, Segretario di Stato in Lucca, ciò in data 7 luglio 1834: «La gita che fa a Lucca il conte Broglio, munito finalmente delle Lettere che lo accreditano presso la nostra Corte da lui per quanto sembrava desiderata finora invano, mi offre una buona occasione per rammentarvi a voi ed anticipare una comunicazione che mi riserbavo a fare in persona contando poter essere in Lucca prima del termine di questa settimana. Alcuni affari che non ho anco potuto sbrigare per la lentezza di questi tribunali e a motivo di villeggiature di persone con cui avevo a trattare mi faranno per quanto prevedo differire alla ventura settimana il mio ritorno e frattanto sarà bene che vi informi di quanto mi sembra opportuno che sappiate. Come vedrete dalla data dell’acclusa lettera sono pochi i giorni che mi fu diretta dal conte di Sebettgtsche e mi fece fare molte congetture sui motivi che potevano averlo indotto a scrivermela e tra queste non vi nasconderò che i graziosi complimenti che vi leggevo mi dettero un momento un sospetto che si sapesse che io potessi lasciarmi indurre a togliere la difficoltà di mezzo prendendo io l’opera di cui si tratta».

Qui la Marchesa, seppure sibillina, chiarisce al Segretario di Stato Lucchese alcuni particolari che inducono il lettore a pensare ad una macchinazione in cui lo stesso nobile prussiano pare coinvolto, di concerto con il Mansi. Non dimentichiamo i retroscena del Duca Lucchese sul suo protestantesimo ma soprattutto i suoi legami con Stati che oggi definiremmo canaglia, come poteva essere la Prussia di allora, votata a mire risorgimentali che poi si concretizzeranno con la proclamazione del Secondo Reich.

Prosegue infatti la Marchesa: «Ella [Ascanio Mansi] è troppo importante e dirò così troppo tecnico per poter essere adatta a me onde non farci che al più di scorrerla [si tratta di un’opera letteraria che al suo interno contiene, come possiamo successivamente dedurre, contenuti politici] e tentata a leggerne qualche brano più alto alla portata comune!». La modestia della Marchesa contiene in se stessa un certo fare guardingo. Prosegue infatti, più avanti, nella stessa lettera: «Degli affari attesi, considerando Egli [Sebettgtsche] l’accennata opera come autentica e come una specie di Archivio di documenti diplomatici, non vi sentiste disposto ad acquistarla. Posso dirvi che in mia presenza la propose al conte Broglio, che la trattò troppo cara per lui. Egli vi darà le poche notizie che potrei darvi io, onde non mi resta che a rallegrarmi delle buone nuove che mi hanno dato della sua salute e ripetermi. P. S. Poiché avete la Regina Madre è inutile che io vi dica che il 18 la Granduchessa andrà in Santo e il 20 uscirà di casa per andare col Granduca a Livorno».

È evidente che il Segretario di Stato Lucchese ed il conte Broglio di Torino sono interessati alle medesime carte, per di più di stampo diplomatico, offerte a caro prezzo. Il conte Broglio non ha disponibilità finanziaria sufficiente per acquistarle, mentre forse il Duca Borbonico Lucchese, si evince, potrebbe meditare di intascarsele, in qualche modo. Possiamo azzardare una qualche macchinazione politica di stampo federale? Un mercanteggiare sospetto? In verità pare esservi stato in Firenze un rendez vous, due anni dopo, ossia nel 1836, tra i vari Principi della Penisola e gli stessi Principi Francesi. L’amico Graberg scriverà alla Marchesa Bernardini in data 11 giugno 1836: «Intesi però bene dalla contessa di Lipona [alias Carolina Bonaparte, vedova dell’ex Re di Napoli Gioacchino Murat] a cui il 10 avevano forse riferito Inglesi e Francesi che la visitavano, la probabilità che i Principi Francesi vengano a Firenze, per poi imbarcarsi a Livorno o riprendere la via di Genova e di Torino».

La Marchesa suppone nella lettera che i Principi Francesi (a questo punto sosterrei i Bonaparte anziché i Borboni) possano diventare essi stessi oggetto di questo segreto incontro fiorentino, con lo scopo di incontrare gli stessi Re di Napoli. La Marchesa Eleonora premette che se ciò dovesse accadere, resterebbe a Firenze qualche giorno in più. Mentre poco la gratifica «l’esaminare più da vicino il Re di Napoli ed anche lo zio Leopoldo [alias Leopoldo II d’Asburgo-Lorena, Granduca di Toscana] che a Parigi viene chiamato “Le gros de Naple”, non così per i Principi Francesi».

Quali le reali aspettative sui Bonaparte? Ed i vari principi della Penisola potevano sottobanco sostenerli, in un progetto federale, nonostante la pericolosità, almeno apparente, dei loro interventi politici? Non ho infatti motivo di pensare che Carolina Bonaparte si interessasse espressamente dei movimenti di un Luigi Filippo d’Orleans e dei suoi congiunti, peraltro all’epoca investito dalle attenzioni asburgiche. Mentre i Principi Bonaparte, noti massoni, avevano una certa libertà di movimento e, verosimilmente, un qualche sostegno a Londra.

Chi è davvero la Marchesa Bernardini? Azzardo, ma forse la lettera che sto per trascrivere può sostenere che non trattasi poi di un azzardo. La Marchesa a mio avviso è un agente, peraltro ben conosciuto dagli Asburgo che, ben vicina ad alcuni ambienti vaticani, come in una successiva lettera evinciamo, sostiene e foraggia i Bonaparte, che evidentemente sperano di accaparrarsi, nelle questioni italiane, un ruolo guida, direi quasi egemone.

Nella prima lettera troviamo quanto lo stesso Metternich tema la Marchesa ed i suoi legami. Lucca, 23 settembre 1838 (inviata dalla Marchesa ad Ascanio Mansi, Segretario di Stato Lucchese): «Non ho ancora risposto alla graditissima da Milano del 16 perché non sapevo dove raggiungervi leggendo i progetti ulteriori del vostro viaggio che avete fatto benissimo a prolungare poiché eravate in moto e in situazione di poter disporre di voi come non di frequente vi accade. Essendomi informata ho inteso da suo figlio vi è stata diretta una lettera a Genova ed io seguo il suo esempio con tanta maggior certezza che trattereste in questa città in quanto che ho saputo dalla “Gazzetta di Genova” l’arrivo del Marchese di Brignole da Parigi confermatomi in serata dal Principe di Metternich il quale mi ha favorita (la sera) una visita che vi ha fatto rivolgere tutti gli occhi del teatro e dato luogo forse a delle strane congetture mentre io la prima ne ero sorpresa quanto onorata, benché egli nel 19 si fosse rammentato della nostra vicinanza ai Bagni nel 17 venendo a trovarmi in casa col conte Appony[4]». Perché tanto interesse del Principe di Metternich per la Marchesa, di idee liberali? Si trattava in tutta evidenza di una visita di cortesia dettata dal bisogno di ricordarle la sua ingombrante presenza. La Marchesa del resto era a conoscenza degli spostamenti dello stesso Principe Metternich.

Eleonora Bernardini insiste nel 1838 nella corrispondenza col Segretario di Stato Lucchese di rammentarla in Genova all’ottimo marchese Brignole «il quale conoscette la mia simpatia e la mia stima. Riserbando il resto oltre le nostre [col Mansi] prossime conversazioni». Il «resto» della Marchesa Bernardini sono delle «confidenze politiche» che non può scrivere e preferisce riportare a voce. Il riferimento ai Brignole poi in questo caso è duplice. Da una parte il diplomatico Antonio Brignole Sale, presente a Parigi per un certo periodo e che Carlo Alberto in quel frangente richiamò, dall’altra un Monsignore della stessa casata, proveniente da Firenze ed anche lui diretto, nello stesso frangente, a Genova. Un rendez vous, quello genovese, dettato con ogni probabilità dal bisogno di ridefinire, presumo, un contesto politico. Al quale la Marchesa non pare affatto estranea.

Ella e, con tutta evidenza, visti i rapporti con la stessa, il Padre Prosperi citato, non sono estranei a questi movimenti politici. L’anno successivo Padre Gioacchino Prosperi inizierà le sue predicazioni corse, che nulla hanno delle predicazioni mentre fungono da sotterfugio politico. E ciò per ben dieci anni. Dieci anni di tentativi, dieci anni di elaborazione politica. Il 26 dicembre del 1838, quindi tre mesi dopo la precedente lettera citata, sempre ad Ascanio Mansi la Marchesa parlò in una lettera di un avvocato modenese, tale Giacomo Ferrari, che le fu caldamente raccomandato a Firenze (non dimentichiamo il legame spirituale ed umano di Carlo Alberto con gli ambienti fiorentini, dopo il suo soggiorno in città durante gli eventi rivoluzionari francesi) onde procurargli ed ottenergli il permesso di soggiornare in Lucca. A questo punto la Marchesa scopre in parte le sue carte affermando: «Rammentando io le molte inquietudini avute l’anno scorso (e inutilmente!) per consimile oggetto volli esimermi da ogni impegno e addussi per scusarmi la mia assenza da Lucca, la poca aderenza che avevo coll’attuale Direttore della Polizia (non è più il córso Vincenti) e la maggiore utilità di qualche altra raccomandazione».

Ma la Marchesa in realtà è molto coinvolta nelle questioni politiche del tempo al punto che prosegue con queste dichiarazioni: «Questa gli fu data, ed io non presi nessun incarico. Solo, riflettendo meco stessa, e tutto il bene che mi si dicea del soggetto, della sua sapienza, onestà, istruzione e vedendolo condannato a Modena! Contumace! A tre anni di prigionia dopo quei tali considerando che precedono la sentenza, restai per almeno esser meritevole di riguardo. Se non poteva ottenere la stessa Grazia da parecchi altri ottenuta. Fu allora che senza darne notizia a veruno feci sapere al Pieri [presumo capo della polizia] da altre persone (che mi nominarono, non so perché, forse per tenersi fuori dalle responsabilità) la prossima venuta a Lucca del predetto Ferrari e le sue qualità sembrarono meritare esaminato il suo caso prima di prendere una risoluzione». Il Ferrari, una volta giunto in Lucca, ebbe diverse difficoltà, ma la Marchesa intercedette col Mansi, poiché lo stesso Ferrari chiese espressamente che il Segretario di Stato fosse informato del suo stato.

In un altro carteggio la Marchesa risulta perorare la causa del Bezzi[5] in Marsiglia. Si tratta verosimilmente di Giovanni Bezzi di Casale Monferrato, vicino ai circoli mazziniani. La lettera è del 1854, anno peraltro precedente il decesso della Marchesa, ancora attiva in quegli anni. Il patriota garibaldino di Trento Egisto Bezzi in quella data ha solo sedici anni, anche se al momento i miei studi non sono ancora giunti a verificare in toto il documento. Certe le posizioni in ogni caso della nobildonna, che fece non solo della causa politica della sua città, ma dell’intero Stivale motivo di lotta ed impegno. Una curiosità sulla Marchesa Bernardini. Tra i suoi discendenti la madre di Mario Pannunzio.


Note

1 Trattasi del padre di Carlo Alberto, vista la data di riferimento.

2 Le parole d’un credente dell’Abate J. M. de Lamennais, pubblicato nella primavera di quel 1834, ebbe subito enorme diffusione in Italia. Il libro era stato condannato da Gregorio XVI con l’enciclica Singulari Nos in data 25 giugno 1834.

3 Il riferimento è ai Commentari della Rivoluzione Francese, primo tomo, 1836, Bastia, tipografia Fabiani.

4 Il conte Appony era il fiduciario e segretario del Principe di Metternich.

5 Troviamo un Giovanni Bezzi garibaldino in Reggio Emilia nato nel 1822; non saprei al momento se trattasi dello stesso patriota Giovanni Bezzi presente anche in Casale Monferrato. Egisto Bezzi, nato in Trento nel 1835, appartenne alla famosa famiglia trentina di artisti intagliatori. Quest’ultimo fu uno dei Mille e collaborò dopo l’Unità Nazionale nei moti mazziniani successivi, organizzati in Lugano dal Mazzini medesimo, questo nel 1867. Sua madre è una Santini, cognome diffusissimo in Lucca. Non saprei dire se ciò potesse avere qualche attinenza con la città di Lucca. Né se tra il primo ed il secondo Bezzi ci siano dei legami parentali. Certamente legami diremmo noi oggi, ideologici, questo sì.

(luglio 2015)

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