I Padri fondatori della nostra democrazia
Carlo Massei: liberalismo, mazzinianesimo e clericalismo, trame e risvolti politici dai contorni definibili

Forse sin qui gli storici non si sono prodigati abbastanza nel constatare la reale portata politica di un uomo come Carlo Massei. Traggo dal Dizionario Biografico Treccani, e dalla bibliografia ivi inserita alcune note su uno dei Padri fondatori , a pieno titolo, della vita democratica del nostro Paese. Carlo Massei è più conosciuto in sede locale, ma il valore politico dello stesso e la sua piena collaborazione, nonostante il suo laicismo e liberalismo mazziniano, col mondo cattolico, ne fanno, a mio avviso, un politico degno di nota.

Perché ritengo indispensabile una premessa: vorrei, attraverso la presentazione di questo personaggio, definire come il mazzinianesimo sia stato, per lungo tempo, in sintonia con i clericali moderati. Non solo, ma attraverso alcune osservazioni tratte da miei studi e vicende personali, riflettere sulla complessità di tali rapporti, che hanno segnato da vicino le sorti politiche della Penisola. Cercherò qui di definire che l’assunto di Pier Giorgio Camaiani nel celebre Dallo Stato Cittadino alla città bianca di un ceto dirigente moderato lucchese (laico e cattolico) non particolarmente degno di nota non risponda del tutto alla realtà. Certamente non ci furono un Mazzini, un Gioberti e nemmeno un Guerrazzi, però le connotazioni politiche dei moderati lucchesi di qualsiasi impronta ebbero larga presa nelle trame del periodo, anche perché la storia politica della città, di pressoché millenaria indipendenza, poneva le stesse famiglie di appartenenza dei personaggi in questione nella condizione di porsi come interlocutori, persino internazionali.

«Carlo Massei nacque a Lucca il 31 agosto 1793 da Pier Francesco Giuseppe Massei e da Laura Burlamacchi». Chi conosce le vicende di Francesco Burlamacchi in Lucca nel Cinquecento sa quale importanza ebbe per la città questa famiglia, coi suoi principi «democratici», che intendevano dar forma nel Centro-Nord del nostro Paese ad una confederazione di Repubbliche su modello elvetico. I Burlamacchi furono all’epoca anche sospettati d’essere dei «riformati», visti i forti legami lucchesi con la Confederazione Elvetica.

«La famiglia Massei vantava origini molto antiche e già nel 1331 un Vanni di Masseo compare tra i dignitari della città come firmatario del giuramento di fedeltà a Giovanni di Lussemburgo, Re di Boemia e al figlio Carlo, divenuti Signori di Lucca. Dal 1395 i vari componenti della famiglia parteciparono regolarmente al governo della città, sedendo tra gli Anziani. Lo stesso Pier Francesco Giuseppe, padre del Massei, fu estratto almeno otto volte dagli elenchi della nobiltà originaria per prendere parte attiva all’Amministrazione della Repubblica Lucchese. Della vita privata di Carlo Massei, soprattutto relativamente agli anni giovanili, non si hanno notizie. Fu comunque indirizzato agli studi classici e successivamente avviato a quelli legali presso le scuole lucchesi. Per le capacità personali e i segnali di fedeltà della famiglia il 19 ottobre 1815 ottenne dal Governo il riconoscimento di un sussidio triennale di 600 lire annue per completare gli studi – a sua discrezione – in una delle più famose università d’Europa. Scelto l’ateneo di Bologna, il Massei già il 6 luglio 1816 conseguì la laurea dottorale in Diritto a pieni voti. Sulla scia di tali risultati il nostro si trasferì a Roma, dove fu avviato alla pratica legale dal giureconsulto Cavi ed ebbe modo di frequentare anche lo studio dell’avvocato Bonadosi. Nel febbraio 1822 fu iscritto nell’albo degli avvocati di Roma. Il soggiorno romano fornì al Massei l’occasione per allargare le proprie conoscenze e incontrare studiosi delle più disparate discipline tra cui Giulio Cordero di San Quintino, storico, numismatico, archeologo molto conosciuto anche a Lucca, insieme col quale nel giugno 1820, intraprese un soggiorno a Napoli. Qui ebbe modo di entrare in contatto con le “idee liberali” e di osservare con interesse l’ordinato compiersi della Rivoluzione Napoletana».[1] Giovanni Sforza nelle sue osservazioni di storico ed erudito si limitò a trattare il Massei ed il suo rapporto con Cordero di San Quintino come una semplice collaborazione sul piano culturale. Ma con tutta evidenza non fu così. Giulio Cordero di San Quintino fu un Padre Barnabita Piemontese di estrazione nobiliare, che ebbe contatti con tutta la nomenclatura europea, soprattutto inglese, legando questi contatti in via ufficiale col suo percorso culturale di archeologo e numismatico, anche dopo aver dismesso i voti. In realtà, come spesso accadeva, si trattò di coperture volte a tenere in vita contatti politici. Non è casuale che questi personaggi si spostino sempre su teatri politici in bilico nel momento giusto, anche quando ivi si presentano «spericolate» e/o «inattese» rivoluzioni. Sia il Massei che il Cordero furono dunque in Napoli proprio nel momento, tengo a rilevarlo, in cui le questioni napoletane erano spinose e bollenti. Il personaggio che ho trattato nella mia tesi, Padre Gioacchino Prosperi, lucchese ed aristocratico, Padre Gesuita e poi un rosminiano massone, fu a lungo proprio in quegli anni in Torino, ed ivi in stretta relazione con gli amici più intimi del Cordero. A cominciare dall’intera famiglia D’Azeglio per proseguire col Peyron, con gli stessi Sovrani Sabaudi, con diplomatici del calibro di Luigi Cibrario, Filiberto Avogadro di Collobiano e Monsignor Losana. E Prosperi era un liberal moderato in strettissimi rapporti, anche di parentela, con i personaggi che citerò più avanti, quanto meno in sintonia gli stessi con i «luoghi d’elezione» del Massei. Visto poi il proseguo delle vicende del nostro, oso dirlo, Napoli in quel momento non fu per entrambi, Cordero e Massei, un «rendez vous» casuale.

«Proprio l’evoluzione della situazione politica del Regno delle Due Sicilie e soprattutto l’apertura del Parlamento [non dimentichiamo i forti legami del Cordero con Londra e degli interessi inglesi nella vicenda] spinsero il Massei a prolungare fino alla fine di ottobre il suo soggiorno in città. Il Massei prese a seguire quotidianamente le sedute dei deputati napoletani e riuscì anche a stringere amicizia con Carlo Poerio.

Rientrato a Roma nell’ottobre del 1820, il Massei proseguì l’attività forense, che dal 1822 potette esercitare autonomamente. La morte del padre lo costrinse a far ritorno a Lucca, dove si vide però negato il diritto di svolgere la professione senza aver prima superato un esame di ammissione all’albo locale. Cercò allora fortuna nell’attività imprenditoriale e, dal dicembre del 1829, come amministratore locale della Comunità di Capannori, della quale fu nominato Gonfaloniere.

I trascorsi napoletani e l’attitudine a non accettare imposizioni lo esposero però ai sospetti della polizia ducale, impegnata in quegli anni a seguire ogni notizia di fantomatiche cospirazioni. Il Massei fu così segnalato come uno tra i referenti lucchesi di una non ben definita congiura che avrebbe coinvolto anche esponenti liberali del Granducato di Toscana. Fu perciò colpito da un decreto di espulsione (poi amnistiato dal Duca Carlo Ludovico) e dalla revoca dell’incarico di Gonfaloniere di Capannori». Il riferimento è volto con tutta probabilità ad alcuni episodi del periodo. In specifico si ricorda che «già dopo i fallimenti dei moti del 1831 si erano segnalate presenze repubblicane nel Compitese [territorio facente capo ai territori di Capannori, in provincia di Lucca], con i fratelli Borrino, i quali avevano impiantato una stamperia clandestina che diffondeva la “Gazzetta del Serchio” (1835), manoscritta e riportante sulla testata il motto della Giovine Italia di Mazzini “Perseguitate con la verità i vostri persecutori, scrivete”. A Segromigno, sempre territorio di Capannori, la villa dell’avvocato Binda era ritrovo di cospiratori».[2]

«Solo nel 1833, grazie alla momentanea fiducia dell’incostante Duca Lucchese, il Massei fu pienamente riabilitato e autorizzato anche a svolgere l’attività forense».

Sull’incostanza del Duca Lucchese, mi sento di affermarlo, si è scritto sin troppo. Troppo poco, viceversa, sulle motivazioni reali della sua incostanza, che non si possono ricondurre, come si è fatto, ad una semplice caratterialità.

Il Duca Lucchese, come ho voluto dimostrare con la mia tesi su Padre Gioacchino Prosperi, cui rimando,[3] era tanto incostante quanto desideroso di affrancarsi da un sistema politico che lo vedeva come Sovrano d’Antico Regime «a tempo», poiché il suo Regno doveva avere, secondo i dettami del Congresso di Vienna, i giorni contati. E non viveva l’auspicato passaggio a Parma come una soluzione del tutto gradita. Non solo, ma il Borbone Lucchese era anche uomo colto e niente affatto scontato. Per cui fece esperienze, anche in materia religiosa, votate ad una visione più ampia di quella offerta dal Cattolicesimo del periodo, sempre con finalità politiche. Non stupisce dunque che egli sul Massei possa aver cambiato idea. In modo strumentale o meno. In quegli anni del resto proteggeva molti ricercati politici liberali nel suo Stato, di nascosto. Tra i quali anche membri della famiglia Bonaparte e Luigi Carlo Farini, illustrissimo ricercato che ebbe poi in sede nazionale un notevole peso politico nella cerchia cavouriana. È proprio in Corsica, luogo deputato alla famiglia Bonaparte e fucina di esperienze rivoluzionarie, che ritroviamo in quegli anni non solo il religioso patriota della mia tesi, ma anche Carlo Massei.

«Nel 1834, in occasione di un breve soggiorno in Corsica, Carlo Massei qui conobbe il Generale Franceschetti e Poli, già attori delle vicende murattiane [cui, aggiungo, i protetti dal Duca, ossia i Bonaparte, afferirono]».[4] Visto quanto rinvenuto sui personaggi risorgimentali incontrati nel mio percorso di studio, che della Corsica fecero motivo d’incontro ed analisi politica, non stupirebbe, il condizionale è d’obbligo, pensare ad un Massei «incaricato» dallo stesso Duca Lucchese, in incognito, di «particolari missioni», nel suo caso non religiose, come per Padre Gioacchino Prosperi. Il Duca aveva infatti particolari mire politiche, tanto da aspirare, come ebbe a dire Carlo Alberto di Savoia, a divenire «Re d’Italia». Magari all’interno di una confederazione di Stati, cui i Bonaparte non avrebbero voluto essere, in tutta evidenza, estranei.[5]

«Al ritorno a Lucca Carlo Massei, nel 1835, fu tra i promotori di un asilo infantile sul modello di quello fondato a Cremona da Ferrante Aporti. Sempre in quegli anni ebbe parte primaria nella creazione a Lucca della Cassa di Risparmio, all’interno della quale, ricevuta l’approvazione sovrana l’11 febbraio 1837 fu eletto Vicepresidente del Consiglio di Amministrazione. Perorò anche la causa della coltivazione del riso nelle campagne lucchesi, fino ad allora proibita per motivi di salute pubblica. Il momentaneo favore del Duca consentì al Massei di applicare sul campo le sue ipotesi agronomiche, ma con scarsa fortuna perché il rinnovato divieto ducale gli procurò un grave tracollo finanziario. Il 18 luglio 1839 il Duca lo nominò Presidente del locale Tribunale di Commercio».

Anche qui dobbiamo, ritengo, chiarire. Sia il Duca Lucchese che il cugino Carlo Alberto di Savoia, avevano indubitabilmente comportamenti apparentemente contraddittori, anche nei confronti dei loro accoliti. Perché, nonostante il tracollo finanziario, il Duca avrebbe dovuto nominare il Massei proprio Presidente della locale Camera di Commercio? Perché non aveva al suo attivo altri uomini degni di nota o semplicemente per dare un contentino al nostro? In realtà le maschere mostrate in certe situazioni erano frutto di una continua altalena politica nazionale e sovranazionale, che vedeva alcuni Sovrani d’Antico Regime, e nello specifico chi di Casata non faceva Asburgo, guardinghi ed incapaci di gestire la loro stessa politica interna. Ad esempio proprio nel 1839 il ricercato politico Antonio Panizzi, futuro Sir Panizzi, emigrato a Londra per ragioni politiche, ebbe un lasciapassare a Torino proprio grazie all’interessamento del Duca Borbonico Lucchese. Probabilmente i vertici piemontesi non furono ostili al lasciapassare britannico. Poi a Genova fu pesantemente intimidito e di fatto costretto a ritornare a Londra. Per dirla con le frasi scritte alla madre da Giuseppe Mazzini sull’accaduto, quanti erano i Re Sabaudi, uno o due? Chi governava insomma, il Governatore Genovese o Carlo Alberto? E se di contromossa del Sovrano si era trattato, che cosa mai poteva così repentinamente aver fatto cambiare idea a Carlo Alberto se non un «pericolo» proveniente magari dai controlli della Santa Alleanza, sempre vigili e puntuali? O di qualche, sintomatico, delatore interno allo stesso Stato Sabaudo? Il Sovrano Lucchese poi, visto il nullo peso politico del suo Stato, si trovava certamente ancor più di Carlo Alberto in una impasse generale.

Quando i sogni di gloria del Duca Borbonico, con tutta probabilità stavano svanendo (difficile comunque affermare questo fino in fondo. Potrebbe essere vero il contrario, ossia il tentativo di finire il mandato nel Regno in bellezza, col botto, da parte del Duca che tentò tutte le carte per rimanere al potere e non lasciare Lucca), ma certamente non i sogni di gloria neoguelfi da un lato e mazziniani dall’altro, in un’ottica di necessaria collaborazione, ossia «negli anni Quaranta e soprattutto a partire dal 1846, Carlo Massei intravide nella pubblicistica la via per affermarsi. Partecipò quindi a Lucca alla redazione dei giornali locali liberal moderati, “Il Vapore”, “La Riforma” e l’“Impavido”. Proprio all’interno di quest’ultimo, questo almeno vuole l’ufficialità, entrò in contatto con le posizioni “liberalpopuliste” che già circolavano nella Penisola e che nella vicina Livorno avevano trovato una potente cassa di risonanza nella poliedrica figura di Francesco Domenico Guerrazzi. Da allora in avanti [ma la loro amicizia risaliva al 1832 e, aggiungerei io, ciò a conferma di possibili contatti cittadini lucchesi con le frange mazziniane più accese in anni considerati top secret nella gestione degli stessi Sovrani «non del tutto allineati»] la maggior parte dell’attività pubblica del Massei si svolse sotto l’insegna del tribuno livornese». Perché il Duca avrebbe dovuto permettere tanta pubblicistica nel suo Stato? Sì, era spesso assente da Lucca, ma non erano forse assenze «volute»? Il Duca dall’estero, poteva seguire anche più nel dettaglio, perché meno osservato, le vicende lucchesi. In quegli anni di seppur non facili comunicazioni la comunicazione non mancava, specialmente tra l’Austria, la Svizzera, l’Inghilterra, la Francia e Lucca.

Annoterei a questo punto alcune vicende «personali». Il Padre Prosperi citato aveva rapporti di parentela e, oserei dire, di comunione politica, con i miei nonni.

Lorenzo Pierotti, nato nel 1767 e deceduto nel 1854, apparteneva agli ambienti canoviani ed era vicino alla famiglia Bonaparte, vuoi, questa è una mia personalissima osservazione, per tornaconto individuale, come molta nomenclatura lucchese ai tempi del Principato, vuoi per autentico convincimento circa «le magnifiche sorti e progressive» della Penisola. Sta di fatto che già il 1° gennaio 1815, quando Napoleone I si trovava ancora all’Isola d’Elba, confabulava con il conte Lazzari di Torino per naturalizzare patrioti in Piemonte. E i Bonaparte trovarono rifugio negli anni successivi proprio in Benabbio, dove la sua famiglia aveva proprietà.

Il figlio Cesare (1806-1901) fu coinvolto nelle questioni guerrazziane nel 1849 a Firenze, tra gli amici del popolo. Ancora nel 1867 col suo congiunto, Ermete, teneva azioni nella stressa Banca Popolare di Firenze in cui anche il Guerrazzi era azionista. I coinvolgimenti personali non del tutto lineari con le vicende politiche democratiche del tempo non avevano allontanato, almeno sul piano finanziario, questi personaggi. E Tommaso Corsi, intorno al 1860, era ancora per lui un punto di riferimento.

Suo figlio Giuseppe (1826-1884), più moderato, aveva contatti stretti con Gino Capponi ed il suo entourage. E forse, dico solo forse, in questo caso, visse in modo defilato anche geograficamente, rispetto al padre. Il di lui figlio Roberto, per ragioni personali venne «allontanato» dalla famiglia d’origine proprio dal nonno Cesare, quando ormai il padre Giuseppe era deceduto, intorno al 1890, e sempre Roberto esattamente, nel 1928, fu invitato a vivere, particolare coincidenza, in una proprietà sita nel paese di Massa Macinaia che era appartenuta prima ai Sinibaldi, amici del Massei ma anche dei Bonaparte, poi allo stesso Massei. I contatti, con tutta evidenza, non potevano non esserci stati.

Il Massei si era richiamato decisamente ai valori democratici mazziniani e «così, unito il Ducato di Lucca al Granducato di Toscana nell’ottobre del 1847 e caduto il Governo di Gino Capponi nel settembre del 1848, egli fu chiamato proprio da Guerrazzi, Ministro dell’Interno del neonato Governo Democratico, guidato da Giuseppe Montanelli, a ricoprire la delicata carica di Prefetto del Compartimento di Grosseto. Durante il periodo democratico il Massei fu anche eletto nell’effimera Assemblea Costituente Toscana e, sul finire dell’esperienza guerrazziana, fu nominato con G. Manganaro e T. Paoli membro della Commissione Governativa di Livorno in sostituzione del Governatore Pigli, caduto in disgrazia presso il Dittatore. Proprio l’intensa partecipazione al Governo Democratico e il legame con Guerrazzi, negli anni successivi, lo portarono al centro delle attenzioni della Magistratura Granducale. Fu infatti arrestato, poi rilasciato, sospeso dall’Albo degli Avvocati, inquisito nel processo Guerrazzi, oltre a essere protagonista di un processo parallelo di fronte alla Corte Regia di Lucca per i fatti livornesi dell’autunno 1848. Gli anni Cinquanta videro il Massei transitare ancora all’interno degli ambienti del democraticismo toscano. Nel 1852 una perquisizione portò alla luce 42 lettere di Guerrazzi a lui indirizzate, mentre nel 1857, sebbene da posizioni di seconda fila, seguì in modo partecipe l’ondata insurrezionalistica che investì il Paese. Nel 1858 fu tra i membri del collegio di difesa degli imputati chiamati in causa in un processo intentato sulla base di un’ipotesi accusatoria che mirava a fare di Giuseppe Mazzini l’ispiratore di un unico moto nazionale a base cittadina. Dopo la definitiva fuga del Granduca nell’aprile del 1859 iniziò per il Massei una nuova stagione. Già alla fine di questo mese, sebbene inviso al Prefetto Moscheni, fu nominato con Paolo Sinibaldi Consigliere Aggiunto di Prefettura».

I tre personaggi, Moscheni, Sinibaldi e Massei, simpatie a parte, ebbero casa in campagna, tutti nello stesso paese, Massa Macinaia, come ho avuto modo di rilevare. Le simpatie personali non sempre collimavano con i rispettivi interessi politici. Per cui il Prefetto Moscheni chiuse un occhio sul mazzinianesimo e democraticismo di Sinibaldi e Massei. Se posso permettermi, ordini superiori, visto anche il peso politico dei Sinibaldi.

Il 9 agosto 1859 il Massei risultò eletto all’Assemblea Toscana, in seno alla quale già il 19 seguente propose l’immediata fusione con il Piemonte. Il 23 marzo 1860 fu eletto Deputato nel Collegio di Lucca II e confermato anche nella legislatura successiva. Nel luglio 1860 peraltro, ancora sedotto dal messaggio guerrazziano, venne segnalato dalla polizia fiorentina come uno dei promotori di una costituenda «associazione nazionale fra le province dello Stato per sopperire i danni della guerra d’Indipendenza» di chiaro segno anticavouriano. Il Massei fu anche autore di numerose opere di carattere storico-politico, tra le quali meritano una certa attenzione La storia civile di Lucca dall’anno 1796 all’anno 1848 (Lucca 1878), commissionatogli dal Governo Provvisorio Toscano nel 1859, e L’Italia e la politica di Napoleone III durante e dopo la Guerra d’Indipendenza (I-III, Livorno 1863), in cui propose una lucida ricostruzione degli anni più recenti della storia nazionale. Sul versante parlamentare, sconfitto nelle elezioni del 1865 e del 1867, il Massei fu rieletto in quelle del 1870 e del 1874, sempre nelle file della Sinistra. Il 16 marzo 1879, in virtù di questa sua lunga militanza, fu nominato Senatore per la 3° categoria; l’incarico venne convalidato il 29 maggio successivo ma, per le cattive condizioni di salute, il Massei non potette mai recarsi a Roma a prestare giuramento. Egli morì a Lucca il 9 agosto 1881.[6]


Note

1 Giovanni Sforza, 1886, pagina 74.

2 Roberto Pizzi, La famiglia Cotenna di Monte San Quirico e il Risorgimento Lucchese, Lucca, Maria Pacini Fazzi editore, 2011, pagina 52.

3 Padre Gioacchino Prosperi. Dalle Amicizie cristiane ai valori rosminiani, Università di Pisa, 2010, pubblicata su Tesi online.

4 Rimando alle questioni córse trattate da me su articoli pubblicati sul sito www.storico.org.

5 Ibidem.

6 Vedere pubblicazione generale e bibliografia inserita on line in Dizionario Biografico Treccani.

(ottobre 2015)

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