Canterbury, terra dei Guilford
Legami profondi con la mia città

Per puro caso ho trovato un biglietto da visita dentro il portafoglio di mio padre, deceduto 20 anni fa. Il biglietto appartiene a una famiglia fiorentina, la cui proprietà principale fu acquistata negli anni Sessanta del XX secolo da una famiglia che ritrovo nel Gabinetto Vieusseux. Sono i famigerati cattolici-liberali, già, i Lambruschini, i Ridolfi, gli Antinori, i Capponi. Le persone coinvolte nella mia descrizione non appartengono a queste famiglie, però furono a loro molto vicine.

Agli inizi del XIX secolo un personaggio chiave della nomenclatura inglese, Lord Guilford, fondò a Cipro l’Università Ionica. Questa ebbe un ruolo decisivo nel Primo Risorgimento Europeo di stampo liberale. Purtroppo la celebre Università non fece poi una bella fine e solo dopo lo scioglimento del Regime dei Colonnelli in Grecia è stata ripristinata, questa volta direttamente in territorio ellenico.

Perché faccio accenno a questa Università? Perché le persone «coinvolte» nel mio biglietto da visita sono collegabili in rete all’Università Ionica del XIX secolo.

Mi è scattato in testa un campanello d’allarme. Ho una lettera del 1843 che appartiene all’Ingegner Enrico Marchi di Lucca e che proviene da Cefalonia. La lettera l’ho pubblicata recentemente in rete e possiamo rinvenirla anche in una pubblicazione recente del Dottor Giulio Quirico.[1] Un certo Ant. M. (la lettera è cifrata) scrive da Cefalonia a Lucca a tale Ingegner Pietro Giambastiani, invitandolo a recarsi, come agronomo (lui che è un ingegnere) velocemente, con strani passaggi machiavellici su navi al seguito dei patrioti Fabrizi (di Paolo Fabrizi in specifico) passando addirittura da Malta, in Cefalonia. Ho spiegato nella pubblicazione le ragioni del gesto di Ant. M. Ma adesso voglio spingermi oltre. Nel 1849, proprio a Corfù il fratello dell’Ingegner Pietro Giambastiani, il Padre Agostiniano Francesco Giambastiani, morì ufficialmente suicida in terra ellenica. Dico ufficialmente perché ufficiosamente questa morte non fu mai spiegata e la famiglia è sempre stata certa che non si trattò di un suicidio.

Già, proprio Corfù, la terra dell’Università Ionica. Tre anni prima, nel 1846, a Genova si era svolto l’ennesimo Congresso degli Scienziati Italiani, che mascherava come del resto tutti gli altri precedenti congressi (e successivi) la volontà di modificare l’ordine costituito. Prima che di incontri scientifici, si trattava di congressi politici.

I personaggi del Vieusseux parteciparono sempre a questi congressi, non ultimo il personaggio della mia tesi di laurea, Padre Gioacchino Prosperi, che cito nelle lettere e che era amico intimo di Alipio Giambastiani, anche lui Padre Agostiniano come il fratello Francesco e a sua volta fratello dell’Ingegner Pietro. A questa famiglia lucchese apparteneva anche un quarto fratello, invischiato, come i precedenti, nelle vicende politiche del tempo. Quest’ultimo era un impresario teatrale che in tali vesti fu spedito in Spagna, e qui svolse al seguito di noti patrioti del tempo funzioni politiche.

In quegli anni sul trono di Lucca sedeva un personaggio molto contrastato e contrastante, sicuramente centrale nelle vicende del periodo, anche se la storiografia ufficiale lo nega: il Duca Carlo Ludovico di Borbone-Parma.

Questi, fattosi protestante, era in simbiosi con gli ambienti inglesi, e Metternich stesso nelle lettere lo monitora, così come monitora una marchesa lucchese assai nota, Eleonora Bernardini, che aveva lavorato prima per i Bonaparte ai tempi del Principato, poi per i Borbone-Parma ai tempi del Ducato, come si evince dalle sue lettere presenti all’Archivio di Stato di Lucca, che ho ripetutamente pubblicato.[2]

Lord Byron, nel suo peregrinare toscano tra Pisa e Lucca accenna nelle sue lettere a un passaggio di Lord Guilford (presumo sia il fondatore dell’Università Ionica, vista la cronologia) sia da Pisa che da Lucca. Del resto suo padre, Lord North Guilford vissuto a metà del Settecento, ha un suo autoritratto fattogli in Roma da Pompeo Batoni, l’artista di origini lucchesi che sarà vicino alla famiglia dei Borbone-Parma prima della nascita di Carlo Ludovico. Il legame del Sovrano Lucchese con Lord Guilford dunque non mi stupisce più di tanto. Le manovre «patriottiche» di Carlo Ludovico di Borbone le ho ampiamente trattate non solo nella mia tesi ma in varie pubblicazioni.[3] I documenti presenti all’Archivio di Stato di Lucca sono piuttosto «espliciti». Il cugino di Carlo Ludovico, Carlo Alberto di Savoia, ebbe addirittura a scrivere nel 1830 che Carlo Ludovico voleva diventare il Re d’Italia. Vero o falso che sia, i legami con Londra partono da lontano.

Il «protestante» Carlo Ludovico, in Lucca e fuori Lucca si era legato a patrioti di ogni colore, non ultimi i famigerati cattolico-liberali.

A questo punto è necessario chiarire chi è Lord Guilford, e perché questo passaggio dell’Università Ionica sia così essenziale.

I Guilford hanno un doppio nome, North Guilford e la loro sede principale è nel Kent, non lontana da Canterbury, la celebre abbazia.

Se guardiamo alla storia di questa famiglia ci accorgiamo che un celebre amante di Elisabetta I, la Regina vergine, fu Lord North. Quando i diretti discendenti dei North si estinsero, la contea, poi baronia, e ancora contea, fu data ai Guildford, che presero il nome anche di North. Infatti vengono identificati come i Lord North o North Guilford. Il più celebre è senz’altro colui che a metà Settecento rivestì da conservatore un ruolo decisivo per l’Inghilterra del tempo, e fu coinvolto nelle questioni rivoluzionarie americane. Non per niente nella Carolina del Nord, in America, troviamo la contea di Guilford. Il Lord Guilford dei primi dell’Ottocento, fondatore dell’Università Ionica e cultore della civiltà greca, era un erede dei Guilford. E ancor oggi questa celebre Casata è molto legata alla Corona Inglese.

Non disdegnerei affatto, ma metterei a questo punto in risalto, il Lord North «amante ufficioso» di Elisabetta I. Egli fu essenziale nelle dinamiche protestanti del periodo e dunque anche di Canterbury, quando il Primate divenne tale come Primate dell’Inghilterra Protestante. Dobbiamo, io ritengo, per capire queste dinamiche, fare ancora un passo indietro.

Lucca, intorno all’anno Mille. In Lucca si ha in quel periodo come Vescovo Anselmo da Baggio, che diverrà Papa col nome di Alessandro II, e che, nonostante la carica pontificia, mantenne anche quella di Vescovo di Lucca. Il celebre Papa, amico di Matilde di Canossa, proveniva dalla città di Baggio, vicino a Milano, appartenente alla famiglia nobile locale omonima, e si era formato in Normandia, alla scuola del Bec, la celebre abbazia che ebbe un ruolo politico e culturale decisivo nel Medioevo. Di tale abbazia ho recentemente parlato in un articolo.[4] Sinteticamente scrivo che la stessa ebbe un ruolo decisivo; gli Arcivescovi di Canterbury furono quasi sempre Rettori del Bec. Il Bec divenne con la Riforma un’abbazia protestante.

Dopo la sua distruzione, dovuta a incuria, nel XX secolo è stata riedificata. Alcuni territori vicino a Londra sono proprietà dirette tutt’ora del Bec.

Perché insisto su questo punto? Perché i legami tra una Lucca Medievale indipendente, che seppe mantenere la sua indipendenza millenaria, le vicende protestanti nel Cinquecento che videro numerose famiglie lucchesi aderire al protestantesimo e fuggire per questo prioritariamente a Ginevra, e il cattolicesimo-liberale «spinto ma nascosto» dei patrioti lucchesi risorgimentali, spalleggiati da Carlo Ludovico di Borbone, nel XIX secolo, non sono affatto ininfluenti.

Una domanda regna sovrana: Carlo Ludovico era davvero di spirito protestante o il suo protestantesimo era, per così dire, indotto? Il ritrovarsi a Lucca giovò alla sua causa di voler diventare il «Re d’Italia» come ebbe a dire suo cugino Carlo Alberto di Savoia, oppure inficiò tale prospettiva? Fu egli una semplice pedina, mi sia consentito, nelle mani degli Inglesi? Sicuramente alla fine degli anni Quaranta del XIX secolo sua Maestà Britannica, la Regina Vittoria, impegnata nel Mediterraneo Orientale in situazioni politiche complicate, abbandonò, per così dire, le velleità sia di Carlo Ludovico di Borbone che dei vari patrioti italiani, non ultimi quelli cattolico-liberali, «in primis» lucchesi. Salvo poi non chiudere il rubinetto successivamente, ai Savoia, e a nuovi possibili scenari peninsulari.

Desidero insistere però sui legami intercorsi agli inizi del XIX secolo tra Londra e Lucca.

Il nostro Carlo Ludovico di Borbone-Parma si intrattenne in Inghilterra con personaggi di fatto assai ambigui, che lui nobiliterà. Tra questi troviamo non solo il futuro Ministro delle Finanze, che lo porterà alla bancarotta, ma anche una sorta di plenipotenziario, poi molto caro alla Regina Vittoria: mi riferisco al Barone d’Everton. Fu così chiamato grazie alla nobilitazione baronale che Carlo Ludovico di Borbone-Parma concesse a questo personaggio. Premetto che da studi condotti questi individui, peraltro appartenenti al ceto popolare, provenivano però da contee dove si suggeriva che potessero essere figli naturali dei Baroni o Conti locali, senza tuttavia poterlo provare. Il Barone d’Everton in particolare fece una strepitosa carriera in Inghilterra. Ai tempi di Carlo Ludovico si recò in quella Cefalonia cui ho accennato, e negli anni Settanta del XIX secolo la Regina Vittoria lo fece Sir per i suoi meriti in territori ellenici, divenendo per l’occasione il Governatore proprio di Cefalonia.

Le vicissitudini dei Borbone-Parma non inficiarono affatto la carriera del Barone.

Che rapporti intercorsero davvero non tanto tra Carlo Ludovico e gli Inglesi, ma tra la città di Lucca e la stessa Inghilterra, ancor prima dell’avvento di Carlo Ludovico in Lucca?

I sogni di gloria di Carlo Ludovico e dei cattolici-liberali e patrioti locali nascevano da lontano? Credo proprio di sì.[5]

Una tesi di laurea in storia, discussa e pubblicata, casualità ha voluto, lo stesso anno della discussione e pubblicazione della mia tesi di laurea, sempre presso l’Università degli Studi di Pisa, chiarisce, io ritengo, molti di questi risvolti.

La Repubblica Lucchese ha mantenuto una millenaria indipendenza. Come? Senza un esercito, spendendo cifre colossali, sicuramente, ma anche esercitando quella ragionata e «furbesca» diplomazia presso varie Corti Europee che le ha permesso tale lungo percorso. Il modo migliore per chiarire difficoltà ma anche capacità di sintesi per conservare tale autonomia è controllare cosa accadde nei momenti più difficili della Repubblica, ossia quando la Repubblica medesima era in piena decadenza. Possiamo notare subito, se leggiamo lo scritto citato, e più in generale, se osserviamo le vicende della città toscana, come il legame, anche con l’Inghilterra, fosse corposo. Lucca aveva un suo porto, sin dal Medioevo. L’ho ribadito più volte. Una grande città mercantile come era Lucca non poteva svolgere i suoi traffici senza avere un porto sicuro. Purtroppo del suo porto si è parlato troppo poco perché giustamente c’era Pisa, città marinara per antonomasia. Perché poi si sviluppò Livorno e la città labronica fu il cuore pulsante della Toscana Medicea. Ma il porto di Motrone, che si trovava non lontano dall’odierna Forte dei Marmi, e più precisamente vicino a Marina di Pietrasanta, non fu così poco importante sul piano strategico, sia per Lucca che per le potenze mediterranee del tempo. E qui la «marinara» Albione non fu certamente seconda a nessuno.

Se guardiamo alla Lucca decadente, così come ci invita a osservare l’autrice della tesi sulla Lucca del Settecento, sicuramente all’epoca la città guardava con un occhio di riguardo al porto di Livorno. Del resto qui gli Inglesi la fecero da padroni prima dell’avvento della potenza statunitense, che si sostituì parzialmente allo strapotere della Regina.

Ancora nel 1849 Re Leopoldo II d’Asburgo-Lorena della Casa d’Austria, regnante sul Granducato Toscano e per l’occasione, dopo i moti del 1848, costretto, con la sua augusta famiglia, a ritirarsi prigioniero a Gaeta, sbarcò non a Livorno bensì nel più defilato porto di Viareggio (Motrone ormai di fatto non esisteva più), passando poi per Lucca, nelle mani del cattolico-liberale Padre Gioacchino Prosperi, che infatti lo accolse con i suoi familiari nella chiesetta che amministrava alle porte della città di Lucca, Sant’Anna Fuori le Mura, con parole di fuoco contro lo stesso Sovrano e la sua famiglia, deciso, Padre Prosperi, a dirgliene tre o quattro, da Padre Rosminiano qual era, senza peli sulla lingua.

Prosperi sarà pure stato un personaggio «sui generis», ma se poteva permettersi di bacchettare il Sovrano, ormai regnante anche su Lucca, che aveva perso la sua millenaria indipendenza nel 1847, prova ne è che i cattolici-liberali come lui ancora avevano le loro carte da giocare.[6] La Dottoressa Silvia Zaina precisa al riguardo che i Lucchesi non temettero mai di invitare i marinai inglesi a servirsi del loro porto (di Motrone). Non solo, ma una volta che gli Americani li «sostituirono» nel corso del XIX secolo nel porto labronico, si rivolsero anche a loro i Lucchesi per agevolare quello che restava, aggiungo io, dei loro traffici. Del resto chi divenne nel corso del Primo Risorgimento il Console Americano a Livorno fu il Lucchese Giuseppe Binda. Si tratta di Joseph Agamennon Binda, ex agente murattiano, prima al servizio degli Inglesi (per la precisione di Lord Holland) e successivamente genero del Generale Sumter a New York e protetto dal Presidente degli Stati Uniti Buchanan.

Nulla è per caso. Senza contare che quando Napoleone I prese il potere, il Principato Baciocchiano che affidò alle cure di Elisa, l’amata sorella, e di suo cognato Felice Baciocchi, fu il Principato di Lucca e Piombino. Con al centro il ruolo strategico del porto di Livorno. Certo di tagliare le gambe agli odiati Inglesi. Il Congresso di Vienna nel 1815 ripristinò lo Staterello Lucchese, ma a tempo, perché una volta deceduta Maria Luisa d’Austria, moglie di Napoleone, che regnava sul Ducato di Parma, i Borbone-Parma sarebbero ritornati nei loro territori parmensi.

La città labronica e soprattutto Piombino andarono a finire nelle mani del Granduca Austriaco d’Asburgo-Lorena, regnante sul Granducato Toscano.

Carlo Ludovico di Borbone quindi che non aveva una sua flotta, che non aveva un suo porto strategico, se si eccettua quello, piccolo, di Viareggio, si recava tuttavia spesso a Livorno, che di fatto divenne una sorta di sua enclave, una costola dello Staterello Lucchese.

Qui si intratteneva sia con i protestanti inglesi e più in generale europei, nutriti nella città labronica; ma anche con la comunità ebraica, altrettanto numerosa, presente in Livorno. Era «osservato a vista» dal Metternich: pur vivendolo come un personaggio che probabilmente non avrebbe fatto molta strada, poteva rappresentare un tallone d’Achille visto che gli Inglesi avrebbero potuto, per così dire, considerarlo come una loro pedina.

E non solo gli Inglesi. Come appare dalle carte e dai numerosi viaggi del Duca Borbonico, anche il Sovrano Prussiano, personaggio di fede protestante, altrettanto «pericoloso» agli occhi del Metternich, poteva, a contatto col Duca Borbonico, rappresentare una minaccia. Dobbiamo nasconderci dietro a un dito? Dobbiamo far finta che quei cavalieri medievali, così essenziali nelle dinamiche di Lucca e del suo contado, che hanno avuto il merito di continuare a mantenere in vita la Repubblica, siano apparsi dal nulla e soprattutto scomparsi nel nulla? Castruccio Castracani per esempio.[7] La storiografia ufficiale lo vuole provenire da una famiglia di banchieri e darsi alle armi. Ma i suoi legami d’oltralpe che ne decretarono la gloria e le sue abilità armigere non potevano essere proprie di un figlio di banchiere che proveniva peraltro dal nulla. E infatti le tracce della sua antica appartenenza nobiliare ci sono, comunque ignorate dalla storiografia ufficiale, o ritenute non attendibili.

Oppure Ordini Religiosi cittadini, al cui interno, anche in qualità di Rettori, con ruoli strategici decisivi, regnarono personaggi apparentemente provenienti da famiglie plebee, che non avrebbero potuto avere tanto acume e ingegno, ma soprattutto navigata esperienza sia politica che culturale, senza precedenti familiari illustri. Personaggi che spesso ritroviamo presso le principali Corti Europee.[8] E ancora Casate essenziali nelle dinamiche longobarde per secoli come i Sigifredi Lucchesi, potentissime e sparite nel nulla per la storiografia ufficiale, cosa davvero poco credibile. Del resto lo storico Paolo Mencacci in Templari a Lucca ebbe a precisare che, dopo lo scioglimento dell’Ordine Templare, in Lucca i cavalieri appartenuti all’Ordine continuarono a fare quello che facevano prima; evidentemente sotto mentite spoglie, aggiungo io.

I loro legami con i Paesi d’oltralpe potevano essere recisi velocemente senza alcuna conseguenza? Non era forse il tesoro di Papa Clemente V (Bertrand de Got) finito in San Frediano di Lucca e qui scomparso nel 1307 senza lasciar traccia?

È evidente che queste circostanze non possono non far pensare a una longeva Repubblica che, come scrive giustamente la Dottoressa Silvia Zaina, non disdegnò per così dire «l’ingegno» diplomatico nel perseverare l’obiettivo di mantenere la sua millenaria indipendenza, che era poi essenziale alle dinamiche di queste famiglie che evidentemente «sapevano troppo».

Il personaggio della mia tesi, Padre Gioacchino Prosperi, che apparteneva a una di queste famiglie, ebbe a scrivere in una sua lettera pubblicata, a seguito di minacce ricevute, di non minacciarlo anche di morte.

Ciò, asseriva lui, era inutile, perché avrebbe saputo come difendersi. E Padre Prosperi non si difendeva solo con le armi (girava sempre armato) ma soprattutto con la penna e con il ricatto, come ebbe a dire in modo esplicito. Trova sempre editori pronti ad accogliere i suoi lamenti.

Ecco, credo di aver contribuito a chiarire, almeno in parte, la situazione. Tutto il resto un semplice corollario, se vogliamo dirla in termini matematici. Dal momento che la cultura matematica degli ex cavalieri era davvero parecchio avanzata. Molti di loro infatti furono abili ingegneri, medici, alchimisti. Non voglio dire farmacisti, solo perché il farmaco è pratica recente. Canterbury e Lucca dunque, ma anche Bagni di Lucca, da sempre meta ambita della nomenclatura inglese.

Da Canterbury a Lucca, passando per la Via Francigena che l’attraversa, per il Volto Santo, via parallela alla Francigena, una costola di questa. Il cimitero anglicano di Bagni di Lucca, con annessa la sua chiesa anglicana. Affinità e legami ancestrali. Passando dai Guildford.


Note

1 Giulio Quirico, Il Novarese Michele Parma (1802-1871) filosofo del Risorgimento sociale-religioso, Giuliano Landolfi Editore.

2 Vedi articoli pubblicati a nome Eleonora Bernardini sul sito www.storico.org e sul sito Studi Napoleonici, di cui faccio cenno anche nella mia tesi di laurea.

3 Vedi www.storico.org, e ancora Studi Napoleonici in rete, ma anche «A viva Voce», testata on line in rete córsa. Così come il sito ufficiale della società di Canino, nel Lazio, che si occupa del fratello di Napoleone Bonaparte, Luciano, e dei suoi figli patrioti.

4 Vedi www.storico.org, articolo dal titolo Artù vicino di casa.

5 Invito a leggere la tesi dal titolo La Repubblica di Lucca a metà Settecento: strategie e prassi di conservazione, Tesi di laurea di Silvia Zaina, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2009-2010.

6 Elena Pierotti, Padre Gioacchino Prosperi. Dalle Amicizie Cristiane ai Valori Rosminiani, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2009-2010, tesi di laurea discussa e pubblicata in rete.

7 www.storico.org, vedi Castruccio Castracane degli Antelminelli, articolo che ho ivi pubblicato.

8 La Repubblica di Lucca a metà Settecento: strategie e prassi di conservazione, Tesi di laurea di Silvia Zaina, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2009-2010.

(marzo 2021)

Tag: Elena Pierotti, Lord Guilford, Carlo Ludovico di Borbone, Elisabetta I, Canterbury, Lucca, Castruccio Castracani, Alessandro II, Maria Teresa d’Austria, Napoleone Bonaparte, Clemente V.